martedì 31 gennaio 2017

LA MAFIA OGGI: SOMMERSA E GLOBALIZZATA


“Repubblica- Palermo”
28.1.2017

LA MAFIA GLOBALIZZATA

Il 15 gennaio del 1993 Totò Riina è stato catturato. La storia di Cosa nostra ha subito una svolta epocale. Come storici e magistrati ci aiutano a capire (ho terminato in questi giorni la lettura istruttiva di Globalmafia. Manifesto per un’internazionale antimafia di Giuseppe Carlo Marino con un ampio contributo in forma di postfazione di Antonio Ingroia), con la consegna allo Stato del suo dittatore sanguinario, la mafia siciliana ha segnato il passaggio dalla fase stragista alla fase della ristrutturazione interna e dell’infiltrazione soft nelle strutture esterne.
Il cambio di strategia legittima due giudizi solo apparentemente contraddittori. La mafia è indebolita? Se si guarda alla sua pervasività nel territorio si può rispondere, fortunatamente, di sì. Meritorie iniziative della cittadinanza più consapevole, sinergicamente intrecciate con altrettanto meritorie azioni delle autorità giudiziarie e di pubblica sicurezza, hanno reso la vita più difficile ai boss di quartiere. Qualche intercettazione telefonica lo conferma: il suggerimento è di non chiedere il pizzo a commercianti che aderiscono apertamente a organizzazioni antiracket dal momento che potrebbero essere in contatto più immediato con le Forze dell’ordine.
Tuttavia, se si guarda alla mafia siciliana nei suoi rapporti con le associazioni similari operanti in Italia e in altri Stati (europei, americani, africani, asiatici e persino australiani), vale la risposta opposta: è viva e vegeta, scoppia di salute e fa affari alla grande. Meno della ‘Ndrangheta, a quanto pare, ma non meno di camorristi campani e sacro-coronisti pugliesi. Se facesse solo affari, sarebbe grave; ma poiché la mafia stringe alleanze con i politici, la situazione è gravissima. In silenzio, e alla chetichella, nei decenni trascorsi è penetrata nei gangli delle amministrazioni del Centro (eclatante il caso di Roma)  e del Nord Italia, tessendo patti scellerati persino con partiti   - sedicenti puri e duri – come la Lega. E cosa sta avvenendo in Germania, in Belgio, in Austria,  in Liechtenstein? Già negli anni Novanta un ministro della giustizia del Baden-Wüttemberg dovette dimettersi perché intercettato mentre raccomandava al leader del CDU di Stoccarda di essere più prudente nei suoi rapporti con ambienti mafiosi (calabresi). Al di là di singoli episodi, sarebbe credibile che in Europa continentale i mafiosi negozino con banchieri di alto rango, riciclando somme colossali di denaro sporco, senza provare ad agganciare esponenti politici dislocati ai vari livelli della piramide (tanto più che ormai agevoli ponti d’oro collegano, nei due sensi di marcia, le poltrone più ambite della finanza agli scranni più autorevoli della politica) ? Se ciò non avvenisse la mafia non sarebbe mafia. Tanto più che, a dispetto di ogni logica democratica,  il primato  planetario delle centrali economico-finanziarie sulle istituzioni politiche favorisce la subordinazione delle seconde alle prime: basta osservare quali priorità l’Unione Europea sta rispettando nel rispondere alla sfida epocale delle immigrazioni, nonostante le dichiarazioni altisonanti di molte Costituzioni. Allo stato mi pare che di questa degenerazione non se ne preoccupino né i politici in auge né le grosse agenzie d’informazione. Lo si farà quando, come è avvenuto a Duisburg il 15 agosto 2007, le mafie useranno i mitra? Forse. Ma allora potrebbe essere già troppo tardi.

Augusto Cavadi

mercoledì 25 gennaio 2017

LE RELIGIONI ORIENTALI E LE TRE RELIGIONI DEL LIBRO: UN SEMINARIO A PALERMO

Dopo i due eccellenti seminari di Andrea Cozzo (rispettivamente su "Induismo" e su "Buddhismo"), venerdì 27 gennaio dalle 18,00 alle 20,00 proverò a introdurre una riflessione critica sul rapporto fra le due religioni orientali e le tre religioni del Libro (ebraismo, cristianesimo e islamismo).
La quota di partecipazione è di euro 10,00 ; gratis per gli iscritti al "Centro di ricerca esperienziale di teologia laica" (quota mensile: euro 10,00).
Agli iscritti che ne facciano richiesta saranno forniti i report dei primi sue seminari.
L'appuntamento, come al solito, presso la "Casa dell'equità e della bellezza" di via Nicolò Garzilli 43/a (angolo via Enrico Parisi) a Palermo.

Augusto Cavadi
a.cavadi@libero.it

martedì 24 gennaio 2017

IL SACRAMENTO DELLA PENITENZA: IL PARERE DI DON SUDATI


“Centonove”
19.1.2017

LA CONFESSIONE CATTOLICA: UN SACRAMENTO DA RIFORMARE

Solitamente si recensiscono libri editi da poco tempo in modo da informare i potenziali lettori delle novità. Ma se un libro di valore intrinseco  – e di interesse ampio – non ha incontrato, al momento della pubblicazione,  una ricezione adeguata, e se il recensore ne ha avuto notizia con dieci anni di ritardo, deve restare sottotraccia o è il caso di segnalarlo?  Convinto dell’opportunità della seconda ipotesi, do volentieri conto de “Le chiavi del paradiso e dell’inferno. Materiale per una riforma della confessione” (Marna, Barzago 2007, pp. 327, euro 15,00) a firma di don Ferdinando Sudati.
    Innanzitutto: perché un libro sulla necessità di riformare il sacramento della confessione dovrebbe interessare non solo i cattolici ma anche una sfera più ampia di lettori ‘laici’ ? Perché ciò che accade nella Chiesa cattolica, nel bene e nel male, condiziona fortemente l’ethos di popolazioni, come l’italiana, che – per fortuna o per sfortuna, a seconda dei punti di vista – è ancora a maggioranza (sia pur nominale) cattolica. Una Chiesa autoritaria, repressiva, invadente non favorisce certo la maturazione critica e la responsabilizzazione di una società, laddove esperienze religiose comunitarie di segno differente favoriscono la crescita culturale e civile dei contesti in cui operano. E il sacramento della confessione (detto anche della penitenza o della riconciliazione), per quanto statisticamente in clamoroso ribasso, ha costituito e costituisce uno degli strumenti più penetranti della pedagogia ecclesiale (detta anche, con un vocabolo che richiama l’antipatica analogia fra il popolo credente e un gregge di pecore, “pastorale”).
     Ebbene, con coraggio pari all’erudizione, don Ferdinando Sudati presenta innanzitutto una breve storia di questo sacramento  che, a differenza di altri (come il battesimo e l’eucarestia), non si può fare risalire al progetto originario di Gesù di Nazareth. Di biblico, infatti, c’è solo il detto giovanneo “Ricevete lo Spirito santo. Coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati (Gv 20, 22 b – 23).  I primi cristiani hanno inteso questa parola come invito al perdono reciproco, senza differenze di ruolo fra vescovi, presbiteri e laici (ruoli che per altro si sono configurati nel tempo e con estrema elasticità da una comunità all’altra). Per i peccati gravissimi (tradimento, assassinio, “maltrattare gli schiavi, opprimere i poveri, calunniare” etc.) si ritenne, abbastanza presto, che il perdono dei fratelli dovesse seguire una confessione pubblica e un congruo periodo di penitenza allo scopo soprattutto di compensare con opere benefiche il male inferto: ma ciò non più di una volta nella vita. Dal VI secolo in poi i monaci irlandesi (preti o solo monaci che fossero) introdussero la prassi di assolvere dai peccati quanti si rivolgevano loro in forma privata; ma la nuova prassi non cancellava la convinzione che nelle celebrazioni liturgiche più importanti il celebrante potesse invocare l’assoluzione generale di tutti i presenti, anche di chi non avesse manifestato individualmente le proprie colpe.
    Fu con il Concilio di Trento (XVI secolo) che la Chiesa cattolica ridusse il canale della conversione alla sola confessione individuale e segreta di tutti i propri peccati, gravi e meno gravi, a un sacerdote: insomma secondo il modulo rimasto sostanzialmente inalterato sino ai nostri giorni. Questa dogmatizzazione restrittiva provocò sin da subito la reazione delle nascenti chiese protestanti che contestarono sia l’origine biblica di questo modo di intendere il sacramento sia la pretesa che esso agisca per così dire automaticamente, come se il perdono divino potesse dipendere – quasi “magicamente” -  dai rituali umani.
    Oggi i limiti del sacramento della riconciliazione sono avvertiti ampiamente: la Chiesa cattolica ha previsto di ritornare a formule più comunitarie, ma solo in casi di emergenza (per esempio di un gruppo di persone che venga a trovarsi in pericolo di morte) e comunque a condizione che, cessata l’emergenza, ci si sottoponga a una confessione individuale. Troppo poco per teologi come don Sudati (e come le decine di studiosi, italiani e soprattutto stranieri,  di cui egli riporta l’opinione nel corso dell’esposizione): una vera riforma esigerebbe almeno lo scioglimento di due nodi. Il primo: il clerico-centrismo. Dio perdona attraverso i fratelli in quanto tali, senza legarsi le mani a un’istituzione ecclesiastica che si è andata costituendo e irrigidendo nei secoli: giusto, dunque, chiedere perdono alla comunità che abbiamo ferito, ma senza affidare a nessun altro singolo uomo il monopolio sulla nostra coscienza. Il secondo nodo è più radicale: il teismo giudiziario. Il Dio che è stato annunziato da Gesù come Padre comune non è un giudice supremo: quindi ognuno di noi può e deve chiedere la forza di migliorare, ma senza passare per le forche caudine di un mini-processo giudiziario. Dio dona la grazia, appunto, gratuitamente: al di là, e al di sopra, di una contabilità ragionieristica. Dopo molti secoli, un papa prova adesso a ricordarcelo, ma le resistenze all’interno stesso delle gerarchie vaticane dimostrano quanto lontano sia ormai l’eco della rivoluzione (incompresa) di Gesù di Nazareth.

Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com

giovedì 19 gennaio 2017

CI VEDIAMO A BERLINO E/O A HEIDELBERG ?

Comunico agli agli amici residenti in Germania che da venerdì 20 gennaio a mercoledì 25 avrò un giro di incontri pubblici secondo il calendario che segue. Superfluo aggiungere che sarò felice di ri-abbracciare chi di voi potrà incontrarmi in uno di questi giorni:

Venerdì 20 :      dal pomeriggio  in poi a Berlino.
                          Alle ore 19,00 incontro co-organizzato dall'associazione "Mafia? Nein ! Danke"
                                             e la sezione locale della "Società Dante Alighieri"
Sabato   21:      Alle ore 19,00   presentazione della traduzione tedesca del mio libretto La mafia 
                         spiegata ai turisti (a cura di Giuseppe Pitronaci, Di Girolamo editore) presso la
                          Libreria  "Mondolibro"
Domenica 22:   Dalle 18 in poi ad Heidelberg
Lunedì 23:        Dalle 16,15 alle 17,45 conferenza su "Mafia –  die Negation gerechter Ökonomie"
                         (in italiano con traduzione in tedesco) a cura della sezione locale della "Società
                         Dante Alighieri" di Heidelberg presso Institut für Übersetzen und Dolmetschen
                         Plöck  57a, Konferenzsaal II (EG)

mercoledì 18 gennaio 2017

CORPO A CORPO CON IL DOLORE


“Centonove”
12.1.2017
CORPO A CORPO CON IL DOLORE


Fra le numerose tragedie che incrociano, prima o poi, le vicende esistenziali di ciascuno di noi rientrano certamente le malattie cerebrali. Ed è difficile stabilire, in questi casi, se a soffrirne di più sono i soggetti colpiti o i familiari che ne assumono la cura. Tra questi ultimi, alcuni si chiudono in un dignitoso silenzio e sopportano, in solitudine, il calvario; altri trovano il coraggio ulteriore di riflettere su ciò che vivono, di metabolizzare la tremenda esperienza e di offrire ad altri qualche indicazione di senso. E’ questo il caso dello psicologo e psicoterapeuta pugliese Emanuele Chimienti che nel prezioso Fuori dalla festa. Riflessioni antropologiche sull’esperienza del dolore (Lecce 2016, pp. 80, disponibile presso l’autore telefonando allo 0832.390547) ripercorre, con profondità sapienziale coniugata a delicatezza di tratto, gli ultimi quindici anni trascorsi accanto alla moglie Rosanna, colpita dall’invalidante morbo di Alzheimer.
    E’ vero, ammette l’autore senza difficoltà: quando il dolore bussa alla nostra porta, la reazione più immediata è di “protestare o girare la testa”. E’ quanto egli stesso ha sperimentato all’impatto con la malattia della moglie. Ma è possibile - e auspicabile – un altro atteggiamento: “entrare per la sua porta stretta e attraversarlo”. Infatti, “se lo accettiamo, il dolore non ci schiaccia; e se ci lasciamo accogliere, ci offre i suoi doni inattesi”.
    Solo a una considerazione superficiale questo genere di pensieri può essere identificato come sintomo di dolorismo (forse traccia delle precedenti convinzioni dell’autore che è stato anche presbitero della Chiesa cattolica). In realtà si tratta di idee maturate da una prospettiva assolutamente laica (se, con l’aggettivo, intendiamo  - come sarebbe corretto – indicare un’ottica di ragionevolezza, di ponderazione, di apertura a tutte le ipotesi interpretative dell’enigma insondabile che è la nostra esistenza): una prospettiva che, in altri scritti, Chimienti definisce, con felice neologismo, dell’   <<Oltrove>> , in quanto oltre le confessioni religiose tradizionali e i sistemi dottrinali codificati. In questa logica si smette di “identificare la Vita esclusivamente con la gioia” e, conseguentemente, “il dolore come qualcosa di estraneo, opposto e nemico della Vita”; si impara, piuttosto, a scoprire che Essa è “un fiume che scorre tra due sponde, non una: la sponda della gioia e la sponda del dolore”. Quest’ultimo, il dolore, non va considerato come “un nemico della vita: una noxa da eliminare (scienza), una maledizione da redimere (religione)”, quanto “una parte intrinseca della Vita” che “può contenere ed offrire elementi preziosi di vita” (dove la maiuscola indica il riferimento, al di là delle particolari vicende biologiche, al “Soffio vitale che anima l’universo”). Esso ci spoglia di tutto ciò che è superfluo e ci sollecita a concentrarci sull’essenziale per cui può aprirci (la possibilità di chiuderci ancora di più nel nostro egoismo è inseparabilmente imminente) a “un nuovo tipo di gioia: quella che molti saggi, uomini e donne, di luoghi, culture e tempi diversi dichiarano possibile non come qualcosa che si prova, ma come qualcosa che si è; non come qualcosa che si ha, ma come qualcosa che ci ha. Una realtà che non ci annienta assorbendoci, ma che, effondendosi, ci espande”.
    Proprio il riferimento dell’autore stesso ad altre culture del pianeta attesta che egli non ha alcuna pretesa di offrire una visione della sofferenza radicalmente originale. Ciò che rende originali, e illuminanti, queste pagine è – a mio avviso – il tono sommesso, confidenziale, di chi scrive ex abundantia cordis: non per insegnare verità astratte ma per testimoniare convinzioni foggiatesi gradualmente al crogiuolo di una lacerante esperienza autobiografica di cui sono frutto e, in qualche impalpabile misura, lenimento.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com

martedì 17 gennaio 2017

CASA DELL'EQUITA' E DELLA BELLEZZA: PROSSIMI APPUNTAMENTI


2° Calendario appuntamenti
presso la “Casa dell’equità e della bellezza”
di via Nicolò Garzilli 43/a – Palermo

MARTEDI’ 17 GENNAIO
Dalle 18,00 alle 20 “Centro di ricerca esperienziale di teologia laica”
Seminario su “Linee essenziali del buddhismo” (Andrea Cozzo)
Ingresso su iscrizione (euro 10,00; per gli iscritti al “Centro di ricerca” gratis)  ()

MERCOLEDI’ 18 GENNAIO
Dalle 21,30 alle 23 “Noi uomini a Palermo contro la violenza sulle donne”
Incontro organizzativo
Ingresso libero

SABATO 21  GENNAIO
Dalle ore 18 alle ore 20
Iniziativa del “Centro studi di medicina integrale” (Gabriella Pravatà)
- proiezione del video "KING CORN" documentario in inglese sulla manipolazione del mais;
- dibattito sul tema;
- programmazione iniziative sul territorio.
E’ previsto un contributo libero per il Cesmi.
E' gradita prenotazione anche con sms al 339 6749999


VENERDI’ 27 GENNAIO
Dalle 18,00 alle 20 “Centro di ricerca esperienziale di teologia laica”
Seminario su “Induismo, buddhismo e cristianesimo” (Augusto Cavadi)
Ingresso su iscrizione (euro 10,00; per gli iscritti al “Centro di ricerca” gratis)  ()


SABATO 28 – DOMENICA 29 GENNAIO
Dalle 9 alle 17 “Arvis” e “Abaca onlus”
Workshop esperienziale di foto-terapia con Judy Weiser (Canada)
Ingresso su iscrizione (euro 180,00 per l’intero seminario)

(⌘) CENTRO DI RICERCA ESPERIENZIALE DI TEOLOGIA LAICA

  Il 1 gennaio 2017 si costituisce a Palermo (presso la “Casa dell’equità e della bellezza” in v. Nicolò Garzilli 43 /a, all’angolo con via Enrico Parisi) il “Centro di ricerca esperienziale di teologia laica”.
   E’ un luogo aperto a tutte le persone che, a prescindere dall’eventuale appartenenza a una comunità confessionale (ebraica, cristiana, islamica o altro) e dalle convinzioni in campo religioso (eventualmente agnostiche o atee) desiderino contribuire a una ricerca collettiva sul divino , sia a livello teorico di indagine teologica sia a livello  di sperimentazione pratica.
   In concreto il Centro prevede di offrire:

a)   Seminari settimanali sulle ricerche teologiche contemporanee
b)   Week-end di spiritualità laica
c)    Giornate comunitarie (“Le domeniche di chi non ha chiesa”)
d)   Conferenze di esperti ospiti
e)   Presentazione di libri
f)     Cenette teologiche per non…teologi
g)   Ritiri di meditazione e proposte di nuove forme di preghiera liturgica


Un Consiglio scientifico (estensibile per cooptazione su auto-candidatura di volontari) ha il compito sia di progettare iniziative sia di vagliare le proposte che potranno provenire dai simpatizzanti.

Il Centro si basa sui contributi finanziari dei sostenitori.
La quota minima per diventare sostenitore è di euro 10,00 al mese.
La lista dei sostenitori in regola con i versamenti sarà resa pubblica ai frequentatori del Centro di ricerca.

Il Centro di ricerca non ha in quanto tale scopo di lucro e i sostenitori avranno ingresso libero a tutte le iniziative.
In alcuni casi, per auto-finanziarsi, il Centro di ricerca  potrà prevedere modesti contributi di partecipazione per i non-sostenitori.

domenica 15 gennaio 2017

UNA CHIESA CATTOLICA DIVENTA SINAGOGA PER GLI EBREI


“Repubblica-Palermo”
15.1.2017

UNA SINAGOGA ALLA COMUNITA’ EBRAICA

Che una chiesa cattolica venga offerta in uso, come sinagoga, alla piccola comunità ebraica di Palermo è senz’altro una buona notizia. Come ai tempi dei Normanni e degli Svevi (prima della sciagurata politica spagnola di persecuzione in nome della “purezza del sangue” e dell’unanimità religiosa) , la città siciliana torna a essere un modello di convivenza pacifica, anzi costruttivamente sinergica, fra etnie e culture differenti. Il che – in una fase storica di integralismi fanatici e aggressivi - non è poco.
L’evento si presta a interpretazioni, e sviluppi, abbastanza diversi. Cosa significa che esso non susciti opposizione da nessuna area socio-politica e ideologica (né, per la verità, particolari manifestazioni di giubilo)? Certamente che un’epoca, durata due millenni sino a pochi decenni fa, si è chiusa. Quando ero ragazzino, in famiglia, “ebreo” era usato dispregiativamente come epiteto per chi si mostrava eccessivamente legato al denaro. In tutte le chiese cattoliche la liturgia del venerdì santo  - giorno in cui come è noto si commemora la morte di Gesù sulla croce – prevedeva che si pregasse per “i perfidi Giudei”, per la conversione di un popolo ritenuto, in blocco, “deicida”: assassino di Dio ! Poi arrivò Giovanni XXIII e soprattutto il Concilio Vaticano II: l’invocazione fu radiata dalla liturgia e sostituita con la preghiera per gli Ebrei, “nostri fratelli maggiori”. Oggi nessun teologo cattolico serio pensa che, per salvarsi l’anima, un ebreo debba convertirsi a una confessione cristiana: egli deve, piuttosto, diventare sempre più convintamente e coerentemente ebreo (e ciò, sia detto per inciso, lo porterebbe molto probabilmente a essere critico nei confronti della politica dell’attuale governo dello Stato d’Israele).
 Questo clima di pacifica convivenza potrebbe essere espressione, e effetto, di una generalizzata indifferenza per le matrici religiose e spirituali: diamo le chiese a chi le vuole, tanto non interessano più quasi nessuno. L’indifferentismo è senz’altro preferibile al fondamentalismo intollerante. Ma è anche il massimo che ci si possa augurare per la ricchezza complessiva di una società? E’ un tema su cui non sarebbe sprecato un tempo per riflettere e confrontarsi.
Personalmente propenderei per sostenere che sarebbe meglio che l’episodio palermitano servisse da spunto per un processo di riscoperta reciproca delle proprie culture di riferimento. La globalizzazione delle idee non può accontentarsi di un rispetto basato, essenzialmente, sull’ignoranza e sul disinteresse. E’ vero: le religioni sono state, e saranno sempre, apparati ideologici utili per conflitti di potere. Ma non solonecessariamente. Esse sono state, e probabilmente resteranno in futuro, anche riserve di simboli, di intuizioni poetiche, di creazioni artistiche, di aperture contemplative, di energie etiche a favore dei diseredati. Che città come Palermo diventino sempre più multietniche, multiculturali, multicolorate è un fenomeno che potrebbe riservare problematiche spiacevoli (basti pensare alle relazioni instabili fra la mafia indigena e le mafie immigrate); ma anche, e soprattutto, risorse preziose. Per questo sarebbe importante passare dalla domanda “Che cosa possiamo concedere a ebrei, musulmani, induisti, buddhisti…?” alla domanda “Che cosa possiamo imparare da ebrei, musulmani, induisti, buddhisti…?”.

Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com

sabato 14 gennaio 2017

LE LINEE ESSENZIALI COMUNI ALLE DIVERSE TRADIZIONI BUDDHISTE

Dopo la splendida lezione sull'induismo, MARTEDI'  17 GENNAIO 2017 (ore 18 - 20), Andrea Cozzo terrà un secondo seminario su "INDUISMO: LE LINEE ESSENZIALI", Come avvenuto per l'induismo, non si tratterà di approfondire l'una o l'altra versione storica del buddhismo quanto di coglierne gli aspetti generali, ma costitutivi, di ogni indirizzo specifico. 
L'appuntamento è a Palermo presso la "Casa dell'equità e della bellezza" di via Nicolò Garzilli 43/a.
Qui di seguito le note tecniche per chi desiderasse partecipare al seminario.
***

I Corso di teologia critica
Gennaio – Febbraio 2017

Motivazione di fondo del Corso:
La pace fra i popoli presuppone la pace fra le loro differenti religioni. Ma la pace fra le religioni non è possibile senza un minimo di conoscenza reciproca. (Questo, in sintesi, il programma della Fondazione per un’etica mondiale di Hans Küng)

Sede: Casa dell’equità e della bellezza (v. N. Garzilli 43/a, Palermo)
Prossima data: martedì 17 gennaio 2017 ore 18, 00 – 20,00
(le altre due date, con i relativi orari, saranno concordate al termine della prima riunione sulla base delle preferenze dei presenti)
Relatori: Andrea Cozzo e Augusto Cavadi (www.augustocavadi.com)

1.    Linee essenziali dell’induismo
2.    Linee essenziali del buddhismo
3.    Buddhismo e cristianesimo
4.    Il politeismo greco


Partecipazione: La partecipazione è riservata agli iscritti (prenotarsi su: a.cavadi@libero.it).  La quota di iscrizione è di euro 30,00 per i 4 incontri. Ogni singolo incontro euro 10,00.
Chiunque abbia difficoltà finanziarie può notificarlo all’organizzazione per le debite facilitazioni.
Testo suggerito: F. Dipalo, Introduzione al pensiero buddhista, Diogene Multimedia,Bologna 2015, pp. 145, euro 10,00.
Per i soci sostenitori del “Centro di ricerca esperienziale di teologia laica” (*)  l’iscrizione è gratuita.


(*) CENTRO DI RICERCA ESPERIENZIALE DI TEOLOGIA LAICA

  Il 1 gennaio 2017 si è costituito a Palermo (presso la “Casa dell’equità e della bellezza” in v. Nicolò Garzilli 43 /a, all’angolo con via Enrico Parisi) il “Centro di ricerca esperienziale DI teologia laica”.
   E’ un luogo aperto a tutte le persone che, a prescindere dall’eventuale appartenenza a una comunità confessionale (ebraica, cristiana, islamica o altro) e dalle convinzioni in campo religioso (eventualmente agnostiche o atee) desiderino contribuire a una ricerca collettiva sul divino , sia a livello teorico di indagine teologica sia a livello  di sperimentazione pratica.
   In concreto il Centro prevede di offrire:

a)   Seminari sulle ricerche teologiche contemporanee
b)   Week-end di spiritualità laica
c)    Giornate comunitarie (“Le domeniche di chi non ha chiesa”)
d)   Conferenze di esperti ospiti
e)   Presentazione di libri
f)     Cenette teologiche per non…teologi
g)   Ritiri di meditazione e proposte di nuove forme di preghiera liturgica


Un Consiglio scientifico (estensibile per cooptazione su auto-candidatura di volontari) ha il compito sia di progettare iniziative sia di vagliare le proposte che potranno provenire dai simpatizzanti.

Il Centro si basa sui contributi finanziari dei sostenitori.
La quota minima per diventare sostenitore è di euro 10,00 al mese.
La lista dei sostenitori in regola con i versamenti sarà resa pubblica ai frequentatori del Centro di ricerca.

Il Centro di ricerca non ha in quanto tale scopo di lucro e i sostenitori avranno ingresso libero a tutte le iniziative.
In alcuni casi, per auto-finanziarsi, il Centro di ricerca  potrà prevedere modesti contributi di partecipazione per i non-sostenitori.

giovedì 12 gennaio 2017

LE ORE PASSANO E DOVREMO RENDERNE CONTO


“Diogene Magazine” , nn. 40 – 41 / dicembre 2016 – gennaio 2017-01-11

Non sprechiamo tempo, la partita è aperta

In questi giorni è tutto un intreccio di auguri. Le formule variano, i mezzi tecnici pure, ma la sostanza resta: che il 2017 sia migliore dell’anno che si chiude. Dopo l’imbarazzo del natale (non si sa mai come possa reagire l’interlocutore islamico o induista o ateo), si allentano le precauzioni: sembra il momento dell’augurio più laico, più universale, più condiviso.
Se consideriamo questi scambi come segni di buona educazione non c’è questione. Un po’ come quando chiediamo al vicino di casa: “Come va?” E’ un gesto di cortesia che verrebbe rovinato da una risposta sincera e dettagliata, con l’elenco completo delle disgrazie personali, che andasse al di là di un “Tutto bene, grazie”.
Ma se, per raptus filosofico,  ci soffermassimo a pesare le parole, per rintracciarne il significato profondo, si aprirebbero interrogativi spaesanti. Già: a ben rifletterci, che senso ha l’augurio di un anno migliore?
Se avessero ragione quanti vedono nella storia un’ineluttabile degradazione entropica, un processo necessario e inarrestabile verso il freddo e il silenzio del nulla, l’augurio di capodanno suonerebbe beffardo o patetico. Per la cultura nichilista – che non è la  cultura del nostro tempo, ma che certo ne rappresenta una fetta rilevante – “niente di nuovo sotto il sole”. Com’è scritto in una pagina della Bibbia che sgomenta (non è un caso se nelle chiese si tende a non evocarla dal pulpito), “il vento soffia a mezzogiorno, poi gira a tramontana: gira e rigira e sopra i suoi giri il vento ritorna. (...) C’è forse qualcosa di cui si possa dire: ‘Guarda, questo è una novità?’. Proprio questa è già stata nei secoli che ci hanno preceduto” (Qoèlet,1, 10). Nietzsche ne ha ripreso il messaggio al tramonto del XIX secolo: “Tutto va, tutto ritorna; la ruota dell’esistenza gira eternamente. Tutto muore, tutto rifiorisce...”. In questa prospettiva, radicata nella mentalità anche di molti che non hanno mai aperto né Antico Testamento né Nietzsche, la partita è stata decisa già in anticipo, a tavolino: possiamo recitare soltanto un copione scritto prima – e senza – di noi. L’unica libertà possibile, direbbero gli Stoici greci o il moderno Spinoza, è acconsentire saggiamente alla necessità del fato, aderire alla legge ineluttabile del destino, accettare con animo rassegnato ciò che non ci è dato di evitare.
Né l’augurio di capodanno ha molto più senso in una prospettiva – in un certo senso opposta, ma non meno diffusa della precedente – lineare, ‘progressista’, ottimistica, secondo la quale il nuovo è, per definizione, migliore dell’ antico e il domani non può che essere, per principio, più gratificante dell’oggi. Se veramente fosse così, se veramente la storia si sviluppasse come evoluzione necessaria, continua, inarrestabile, non sarebbe ogni espressione augurale superflua? Non è molto logico ‘auspicare’ che, per un nostro interlocutore, l’estate subentri alla primavera o l’alba alla notte stellata. Le rivoluzioni, come le eclissi di sole, non si sperano: si prevedono. Le tre grandi culture a cui si sono formati i maestri della mia generazione  (idealistica, positivistica e marxista) hanno alimentato questa immensa illusione, preparando – di delusione in delusione – la strada alla disperazione attuale.
Forse, allora, scambiarsi l’auspicio di un anno migliore implica una diversa interpretazione della storia: rappresentata non più come il serpente che si morde la coda né come una locomotiva che sfrecci di trionfo in trionfo, ma – se mai – come una linea spezzata, con alti e bassi, slanci e cadute, anticipi e regressioni. Una storia in cui niente è impossibile a priori, né di positivo né di negativo, perché momento per momento tutto dipende dall’intersezione di miliardi di libertà finite. Una storia che può sorprendere, in meglio o in peggio, perché nessuna legge intrinseca e aprioristica la determina unidirezionalmente. La stessa Trascendenza, se c’è, non può – o non vuole -  forzare la volontà delle creature. Davvero, per dirla con De Gregori, “la storia siamo noi”. Perché, pur influenzati da molteplici fattori, non ne restiamo del tutto annichiliti, ridotti  a rotelle di un meccanismo anonimo e implacabile. 
Questa prospettiva è affascinante, ma anche scomoda. L’anno, che si apre senza il nostro ‘permesso’, non si chiuderà senza il nostro concorso. La nostra vita personale, come la situazione in Europa o nel mondo, dipenderà anche da quel poco che ciascuno di noi avrà saputo costruire. Per quanto condizionata, la nostra libertà permane: e siamo responsabili di ciò che facciamo come di ciò che tralasciamo (o rinviamo a data da destinarsi). Solo perché la partita è aperta, ha senso scambiarci gli auguri: non dunque invito al fatalismo, ma appello alle risorse – inesplorate – che giacciono, inutilizzate,  nella società e, in ultima analisi, nel cuore di ciascuno di noi. Non riesco a immaginare, per me e per gli altri, augurio più vero: che nessuno sprechi il tempo, prezioso ma non inesauribile, che gli è concesso. Nella mia città, Palermo, sulla facciata del Municipio, proprio sotto l’orologio che segna il lento scorrere delle ore, è incisa la più trascurata delle avvertenze: Pereunt et imputantur. Sì, passano: e di ciascuna dovremo rendere conto. Che ci si aiuti a raccogliere gli appelli della storia affinché, insieme, si possa “lasciare il mondo un po’ migliore di come lo si è trovato” (Baden Powell). Il futuro ci è dato come dono, ma anche come compito: che nessuno abbia a pagare l’ingratitudine nei confronti della Vita col fallimento della propria esistenza.

                                                                                                          Augusto Cavadi 
                                                                                                               www.augustocavadi.com