domenica 15 gennaio 2017

UNA CHIESA CATTOLICA DIVENTA SINAGOGA PER GLI EBREI


“Repubblica-Palermo”
15.1.2017

UNA SINAGOGA ALLA COMUNITA’ EBRAICA

Che una chiesa cattolica venga offerta in uso, come sinagoga, alla piccola comunità ebraica di Palermo è senz’altro una buona notizia. Come ai tempi dei Normanni e degli Svevi (prima della sciagurata politica spagnola di persecuzione in nome della “purezza del sangue” e dell’unanimità religiosa) , la città siciliana torna a essere un modello di convivenza pacifica, anzi costruttivamente sinergica, fra etnie e culture differenti. Il che – in una fase storica di integralismi fanatici e aggressivi - non è poco.
L’evento si presta a interpretazioni, e sviluppi, abbastanza diversi. Cosa significa che esso non susciti opposizione da nessuna area socio-politica e ideologica (né, per la verità, particolari manifestazioni di giubilo)? Certamente che un’epoca, durata due millenni sino a pochi decenni fa, si è chiusa. Quando ero ragazzino, in famiglia, “ebreo” era usato dispregiativamente come epiteto per chi si mostrava eccessivamente legato al denaro. In tutte le chiese cattoliche la liturgia del venerdì santo  - giorno in cui come è noto si commemora la morte di Gesù sulla croce – prevedeva che si pregasse per “i perfidi Giudei”, per la conversione di un popolo ritenuto, in blocco, “deicida”: assassino di Dio ! Poi arrivò Giovanni XXIII e soprattutto il Concilio Vaticano II: l’invocazione fu radiata dalla liturgia e sostituita con la preghiera per gli Ebrei, “nostri fratelli maggiori”. Oggi nessun teologo cattolico serio pensa che, per salvarsi l’anima, un ebreo debba convertirsi a una confessione cristiana: egli deve, piuttosto, diventare sempre più convintamente e coerentemente ebreo (e ciò, sia detto per inciso, lo porterebbe molto probabilmente a essere critico nei confronti della politica dell’attuale governo dello Stato d’Israele).
 Questo clima di pacifica convivenza potrebbe essere espressione, e effetto, di una generalizzata indifferenza per le matrici religiose e spirituali: diamo le chiese a chi le vuole, tanto non interessano più quasi nessuno. L’indifferentismo è senz’altro preferibile al fondamentalismo intollerante. Ma è anche il massimo che ci si possa augurare per la ricchezza complessiva di una società? E’ un tema su cui non sarebbe sprecato un tempo per riflettere e confrontarsi.
Personalmente propenderei per sostenere che sarebbe meglio che l’episodio palermitano servisse da spunto per un processo di riscoperta reciproca delle proprie culture di riferimento. La globalizzazione delle idee non può accontentarsi di un rispetto basato, essenzialmente, sull’ignoranza e sul disinteresse. E’ vero: le religioni sono state, e saranno sempre, apparati ideologici utili per conflitti di potere. Ma non solonecessariamente. Esse sono state, e probabilmente resteranno in futuro, anche riserve di simboli, di intuizioni poetiche, di creazioni artistiche, di aperture contemplative, di energie etiche a favore dei diseredati. Che città come Palermo diventino sempre più multietniche, multiculturali, multicolorate è un fenomeno che potrebbe riservare problematiche spiacevoli (basti pensare alle relazioni instabili fra la mafia indigena e le mafie immigrate); ma anche, e soprattutto, risorse preziose. Per questo sarebbe importante passare dalla domanda “Che cosa possiamo concedere a ebrei, musulmani, induisti, buddhisti…?” alla domanda “Che cosa possiamo imparare da ebrei, musulmani, induisti, buddhisti…?”.

Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com

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