venerdì 31 marzo 2017

SCHOPENHAUER SECONDO ALBERTO GIOVANNI BIUSO

Cari amici e care amiche,

    come molti di voi ricorderanno, nel novembre dell’anno scorso abbiamo avuto come ospite alla “Casa dell’equità e della bellezza” il professor Alberto Giovanni Biuso (docente di Filosofia teoretica presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania) che ci ha suggerito delle variegate, e profonde, meditazioni sul tempo. L’incontro, avendo pienamente soddisfatto le aspettative di una riflessione rigorosa ma chiara e accessibile anche ai non-addetti ai lavori, ha suscitato il desiderio di un nuovo appuntamento.
Abbiamo così concordato, usufruendo della generosa disponibilità del nostro amico, un secondo appuntamento per domenica 2 aprile 2017.

***
Programma dell’incontro con Alberto Biuso
“Casa dell’equità e della bellezza”
Palermo - Via N. Garzilli 43/a
2 aprile  2017, ore 11.00 - 15.00

Una giornata di riflessione e discussione su:
Schopenhauer e la saggezza


Ore 11.00      Accoglienza reciproca
Ore 11.30     La saggezza secondo Schopenhauer
                      ( conversazione introdotta da Alberto Giovanni Biuso )
Ore 13.15     Pranzo con ciò che ognuno vorrà liberamente condividere
Ore 15.00     Fine dell’incontro

L’ospite della giornata è Alberto Giovanni Biuso, docente di Filosofia presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania. E’ autore, fra altri testi, di Nomadismo e benedizione. Ciò che bisogna sapere prima di leggere Nietzsche, Di Girolamo, Trapani 2011, pp. 200, euro 16,50. 

* La partecipazione è gratuita. Chi non è già socio sostenitore del “Centro di ricerca esperienziale di teologia laica” è, però, invitato a lasciare un’offerta libera per le spese di mantenimento della Casa dell’equità e della bellezza.                    

giovedì 30 marzo 2017

MAYR-NUSSER E DON PINO PUGLISI: UN PARALLELISMO



 
“ADISTA” 23. 3. 2017



MAYR-NUSSER E DON PINO PUGLISI: MARTIRI DEL NAZISMO E DELLA MAFIA



     Il 18 marzo 2017  la Chiesa cattolica ha proclamato “beato” Joseph Mayr-Nusser, un cittadino alto-atesino che il nazismo condannò a morte nel febbraio 1945 per essersi rifiutato di giurare fedeltà a Hitler. Il ricordo vola facilmente a Franz Jägerstätter, ghigliottinato dai nazisti il 9 agosto 1943 per ragioni analoghe e proclamato “beato” il 26 ottobre 2007. Meno immediato, a prima vista, il rimando a don Pino Puglisi, assassinato dai mafiosi a Palermo il 15 settembre 1993 e proclamato “beato” il 25 maggio 2013; meno immediato, ma non peregrino.

    Mayr-Nusser era molto impegnato nell’educazione dei giovani così come, qualche decennio dopo, Pino Puglisi. Entrambi furono critici nei confronti dei metodi pedagogici, in auge nei rispettivi ambienti nazista e mafioso, di stampo repressivo: avvertirono, e denunziarono negli scritti, i pericoli di un addestramento all’obbedienza cieca (secondo il modello che sarà denominato “pedagogia nera”).

   Entrambi seppero leggere, con lucidità, il carattere intrinsecamente ateo, blasfemo, del sistema nazista e del sistema mafioso, andando al di là delle affermazioni verbali e delle relazioni diplomatiche fra tali sistemi di dominio e le gerarchie cattoliche.

  Entrambi sperimentarono l’isolamento nella ribellione a regimi di oppressione e di intimidazione che ritenevano, giustamente, incompatibili col vangelo di Gesù e, prima ancora, con la dignità intrinseca di ogni persona umana. Ed entrambi pagarono con la vita questo isolamento: né il nazismo né la mafia potevano permettere che qualcuno rompesse la cappa del silenzio impaurito e la tacita complicità della maggioranza (dei cittadini chiamati alle armi, nel caso di Mayr-Nusser; dei preti operanti in Sicilia, nel caso di Puglisi).

   Isolati in vita, ambedue i beati sono stati contestati da morti con argomentazioni analoghe. Cattolici che hanno militato nell’esercito tedesco durante la Seconda guerra mondiale si sono chiesti, in più sedi e con toni di protesta, se la beatificazione di Mayr-Nusser non si risolvesse in una condanna morale nei loro confronti, come se fossero stati tutti o cretini o criminali. Parroci e frati, abituati a benedire nozze di latitanti e a battezzarne i figliuoli, si sono chiesti se la beatificazione del prete del quartiere Brancaccio non suonasse come un grave monito nei loro confronti, come se fossero tutti  complici dei mafiosi, o per ingenuità o per calcoli utilitaristici.

   Su questo punto magistero e teologi dovrebbero fare il massimo di chiarezza possibile. Quando si addita alla pubblica ammirazione un personaggio della storia cristiana si intende colpevolizzare chi non se ne dimostra quotidianamente all’altezza o piuttosto indicare un percorso di santità verso cui tendere con fermezza ma serenamente? Nella prima ipotesi, farebbero bene preti e fedeli ad affrettarsi a inchiodare un “beato”  su un altare secondario, omaggiandolo con fiori e candele, diffondendo l’idea che si sia trattato di un eroe eccezionale da venerare più che da imitare. Nella seconda ipotesi, ogni figura di “santo”  dovrebbe stagliarsi come un punto interrogativo inquietante rivolto all’insieme della chiesa: in che cosa sei cambiata da allora? La norma statistica è l’obiezione di coscienza verso ogni genere di militarismo, di bellicosità nazionalistica, o l’acquiescenza alla logica dominante di preparare la guerra per mantenere la pace? In altri ambiti problematici: la norma statistica è l’intransigenza verso ogni genere di clientelismo, di corruzione, di omertà o le comunità cattoliche sono ancora convinte che la mafia sia un fenomeno di mero ordine pubblico da delegare, senza immischiarsi troppo nelle faccende del mondo, a magistrati e poliziotti? Se queste beatificazioni si ficcheranno al nostro fianco come pungoli insistenti, riveleranno ancora senso. Se saranno solo occasioni di messe solenni con le prime file riservate alle autorità civili e militari, o magari anche di qualche convegno tutto sommato inoffensivo, si riveleranno  vestigia di fasi storiche tramontate per sempre.

Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com 
   
http://www.adista.it/articolo/57181

mercoledì 29 marzo 2017

LINEE ESSENZIALI DELL'EBRAISMO A PALERMO


Nella sequenza di incontri per una prima alfabetizzazione sulle grandi tradizioni sapienziali del mondo, venerdì 31 marzo alle 18 (in punto) avrà luogo un seminario di Augusto Cavadi su “Linee essenziali dell’ebraismo”.

Aggiungeremo così un altro tassello al mosaico delle saggezze, dopo aver dato un primo sguardo a induismo, buddhismo, politeismo greco e sciamanesimo.
Il seminario è iniziativa del  “Centro di ricerca esperienziale di teologia laica” (presso la “Casa dell’equità e della bellezza” di via Nicolò Garzilli 43/a – Palermo).

Ingresso:  euro  5,00.
Per chi abbia difficoltà economiche: offerta libera.
Per gli iscritti al “Centro di ricerca” (§):  gratis.

CENTRO DI RICERCA ESPERIENZIALE  DI TEOLOGIA LAICA

  Il 1 gennaio 2017 si è costituito a Palermo (presso la “Casa dell’equità e della bellezza” in v. Nicolò Garzilli 43 /a, all’angolo con via Enrico Parisi) il “Centro di ricerca esperienziale di teologia laica”.
   E’ un luogo aperto a tutte le persone che, a prescindere dall’eventuale appartenenza a una comunità confessionale (ebraica, cristiana, islamica o altro) e dalle convinzioni in campo religioso (eventualmente agnostiche o atee) desiderino contribuire a una ricerca collettiva sul divino , sia a livello teorico di indagine teologica sia a livello  di sperimentazione pratica.
   In concreto il Centro prevede di offrire:

a)   Seminari settimanali sulle ricerche teologiche contemporanee
b)   Week-end di spiritualità laica
c)    Giornate comunitarie (“Le domeniche di chi non ha chiesa”)
d)   Conferenze di esperti ospiti
e)   Presentazione di libri
f)     Cenette teologiche per non…teologi
g)   Ritiri di meditazione e proposte di nuove forme di preghiera liturgica

Un Consiglio scientifico (estensibile per cooptazione su auto-candidatura di volontari) ha il compito sia di progettare iniziative sia di vagliare le proposte che potranno provenire dai simpatizzanti.
Il Centro si basa sui contributi finanziari dei sostenitori.
La quota minima per diventare sostenitore è di euro 10,00 al mese (15 a coppia).
Il Centro di ricerca non ha in quanto tale scopo di lucro e i sostenitori avranno ingresso libero a tutte le iniziative.
In alcuni casi, per auto-finanziarsi, il Centro di ricerca  potrà prevedere modesti contributi di partecipazione per i non-sostenitori.

martedì 28 marzo 2017

INCONTRO CON RAGAZZI DEL QUARTIERE "LA RUSTICA" DI ROMA

Iniziativa "Il centunesimo passo"


Aria di primavera
21 Marzo 2017, è la prima volta che si celebra, ufficialmente istituzionalizzata, in tutta l'Italia, la "Giornata nazionale della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime delle mafie".
La manifestazione, che vede coinvolti soprattutto migliaia di studenti in tutte le località grandi e piccole della penisola, con cortei, fiaccolate e momenti di riflessione commemorativa, ha interessato anche i ragazzi dell'Istituto Tecnico Statale per il Turismo "L. Bottardi" della Rustica.
Guidato dalla Professoressa Carla Tribolati un folto gruppo di studenti, in rappresentanza delle varie classi di quell'Istituto, ha voluto fornire la propria sentita presenza all'evento dimostrando un'adesione incondizionata al tema dolorosamente tragico delle vittime della mafia, anzi di tutte le mafie, coperte e non, mimetizzate o palesi. 
Nell'evento locale, svoltosi nel piazzale antistante la "Casa delle Associazioni" (quello che viene proposto come l'"angolo di discussione del posto" o lo "speaker's corner" rusticano), sotto uno splendido cielo primaverile, gli onori di casa li ha fatti il Comitato di Quartiere della Rustica con i membri del suo Direttivo accogliendo i ragazzi e partecipando al loro simpatico assembramento formatosi spontaneamente con l'aggiunta di numerosi cittadini,  intorno ai rappresentanti del Municipio V, l'Assessore alle Politiche Culturali Maria Teresa Brunetti accompagnata dal Consigliere Pietro Rossi, che hanno rivolto un affettuoso saluto agli studenti, ma in particolare intorno al relatore ufficiale della manifestazione, il Professor Augusto Cavadi, filosofo e scrittore palermitano, impegnato nell'Associazione "Libera" ed autore, fra le numerose altre pubblicazioni sulla mafia, del volume "101 storie di mafia che non ti hanno mai raccontato" (Newton Compton).
Il Professore, con la sua indubbia competenza, in quanto vissuto e tuttora operante negli ambienti della sua Palermo infestata dai fenomeni di mafia più vistosi, ha illustrato ad un'attentissima platea la genesi di quei fenomeni, il loro svilupparsi nel tempo, ed i pericoli insiti nella rassegnazione e nella resa di coloro che danno ormai inevitabili e quasi fatali tali aspetti di una società, per loro, irrimediabilmente malata ed incurabile.
Quindi, per Cavadi, non abbassare mai la guardia, lottare per affermare sempre ed ovunque il proprio diritto a camminare a testa alta con la dignità che spetta ad ogni cittadino contro l'incultura del sopruso e della sopraffazione.
Sono state ricordate con l'occasione alcune vittime della mafia, citate nel volume del Professore, vittime illustri e meno illustri, personaggi noti e comuni cittadini.
Ad alcune domande dei presenti il relatore ha fornito delle risposte chiarificatrici ma, soprattutto, toccanti in quanto ci illustrano delle realtà dolorose che i più non conoscono nei loro aspetti più inquietanti.
Si conclude l'incontro con i ragazzi sotto un caldo sole di inizio primavera con l'appuntamento da qui ad un anno, nello stesso luogo, con gli stessi intenti e lo stesso animo, e non solo con delle speranze da coltivare, ma con cose che dovranno divenire, e certamente diverranno, delle certezze.
                                                                          MARIO  GIULIANA

lunedì 27 marzo 2017

domenica 26 marzo 2017

SULLA COMUNICAZIONE FRA MEDICO E PAZIENTE




“Centonove”
9.3.2017


STRATEGIE TERAPEUTICHE ?  MEGLIO LA COMUNICAZIONE

       “E’ solo un palliativo!”: quante volte lo sentiamo e lo ripetiamo con tono sconfortato, amaramente derisorio? E lo sentiamo ripetere anche sulle labbra di medici, infermieri, familiari di malati gravi o in fase terminale.  Ma una cura palliativa significa, etimologicamente, offrire un “pallium”, un mantello: e per chi è denudato dalla sofferenza – esposto al gelo della solitudine davanti alla morte – una coperta intiepidita non è poco. Una terapia che allievi i dolori può essere molto, anzi può essere tutto ciò che è possibile in quel contesto. Perciò, a seconda delle circostanze, dovremmo abituarci anche a dire: “E’ addirittura un palliativo, per fortuna!”.
     In una strategia terapeutica i farmaci, necessari, non risultano però mai sufficienti. Altrettanto necessaria è la capacità di chi si prende cura del paziente di comunicare con lui. E proprio alla comunicazione all’interno della relazione terapeutica è stata dedicata una delle tante (troppe ?) tavole rotonde nell’ambito del Convegno  sulla “Organizzazione della Rete di Cure Palliative alla luce dei nuovi LEA” promosso dall'Ordine dei Medici e dall'ASP di Palermo in collaborazione con FIMMG (Palermo, 24 – 25 febbraio 2017).
    Il sociologo e pedagogista  Danilo Dolci insisteva molto sulla distinzione (assai poco rispettata) fra “trasmettere” e “comunicare”: fra l’inviare unilateralmente dei messaggi a potenziali stazioni riceventi e lo scambiarsi biunivocamente dei messaggi fra soggetti paritetici. L’espressione abituale “mezzi di comunicazione di massa” è una spia eloquente della confusione linguistica: come è possibile una comunicazione se è di “massa”? Giornali e radio-televisioni sono “mezzi di trasmissione di massa”: essi infatti raggiungono le masse, ma non sono – di norma- raggiunti dalle masse. Non chiedono, anzi spesso neppure permettono, il feed-back: la reazione, la risposta, il riscontro attivo.
    Tutti noi a scuola abbiamo imparato a distinguere, tra i docenti preparati, i trasmettitori e i comunicatori: coloro in grado di esporre i fondamentali della propria disciplina e coloro che inseminavano questi fondamentali all’interno di una dialogo bilaterale. E’ ovvio che tra insegnante e alunno, come tra medico e paziente, ci sia un dislivello di competenze: ma questa asimmetria professionale deve coniugarsi con la sincera convinzione della pari dignità personale. Che significhi questo nella relazione educativa lo sanno le maestre capaci di accettare che il bambino di quinta elementare prospetti  - forse a torto forse a ragione – un procedimento alternativo per risolvere un problemino di aritmetica o il docente di filosofia capace di accettare che lo studente liceale dia di un passo di Hegel un’interpretazione alternativa. Ma che significa comunicare nell’ambito della relazione terapeutica?
   Indubbiamente significa saper trovare le parole adatte per spiegare con chiarezza, non scissa dalla delicatezza, una diagnosi (specie se infausta). Ma significa anche saper ascoltare il malato. E’ giusto preoccuparsi di ciò che si deve, generosamente, dare al paziente: ma questo dare non è sempre un dire. Talvolta, come ci ricorda Simone Weil, ciò che l’altro ci chiede sono solo due minuti di attenzione. Forse chi è in orizzontale su un lettino vuole essere ascoltato, vuole proporre una sua visione della malattia o della morte o della vita: comunicare significa, anche, saper tacere. Saper esercitare un silenzio accogliente e – se è il caso – solo in seconda istanza dire la propria opinione. E’ questo l’atteggiamento di ogni filosofo-consulente in grado di esercitare con professionalità il proprio compito: un atteggiamento di autentica, effettiva, comunicazione che potrebbe offrirsi come paradigmatico per ogni altra relazione d’aiuto.
                                                                              Augusto Cavadi
                                                                     www.augustocavadi.com

sabato 25 marzo 2017

I SICILIANI SPIEGATI AI TURISTI (undicesima puntata)

“Gattopardo”, marzo 2017

I SICILIANI SPIEGATI AI TURISTI (undicesima puntata)

Con tutte le approssimazioni del caso, si può comunque affermare che in ogni etnia prevale ora il codice maschile ora il codice femminile. Che nella fredda Europa continentale e scandinava prevalga la tonalità del padre (giusto, rigoroso, che impone il rispetto delle regole) e nell’Europa mediterranea la tonalità materna (tollerante, comprensiva, disposta a perdonare le trasgressioni) non è un’affermazione né nuova né azzardata. Eppure al visitatore della nostra isola qualcosa di questo schema non torna. Sì, è vero: come in altre aree del Mediterraneo anche in Sicilia “un’immotivata prevalenza delle carezze sulle punizioni” provoca il risucchio “nel vortice delle assoluzioni, eccezioni, condoni”; si respira un’aria femminile-materna , tessuta di sensualità e calore, caratterizzata dalla “personalizzazione di tutti i rapporti” che induce “a un’eccessiva indulgenza per i colpevoli, al particolarismo e al familismo, a una concretezza che rende difficile la disciplina, l’astenersi e il durare” (Franco Cassano). Eppure questa componente “materna” in Sicilia non la si ritrova mai separata dal suo opposto “paterno”, maschile: per essere più precisi, patriarcale e maschilista. Sia nella “pedagogia nera” di molti genitori autoritari e repressivi sia, in misura ancor più plateale e micidiale, nella pratica mafiosa (che sacrifica, sull’altare del profitto e del dominio, anche gli affetti familiari e amicali più cari) si riscontrano una durezza, un’implacabilità, che difficilmente trovano l’omologo in altri contesti socio-culturali. L’ospite della nostra terra è così seriamente disorientato dal momento che  sperimenta, più o meno personalmente, le tendenze  - contraddittorie – di un maternage sin troppo soffocante e di un paternalismo oppressivo sino alla spietatezza.
   Esiste una chiave interpretativa di questa fastidiosa dialettica fra opposti? Forse (purtroppo) sì. La contraddizione si può spiegare (e quindi, in qualche misura, la si può prevenire) distinguendo l’ambito pubblico dall’ambito privato. Spesso, infatti, nel primo prevale il codice materno dell’indulgenza verso i furbi, gli evasori, i profittatori, i proprietari di case e ville abusive, persino verso i ladri, i corruttori e  - nei casi di omicidi passionali – gli assassini; ma quando si è toccati nel proprio privato, nel proprio ambito familiare, nel proprio onore (vero o presunto), nella propria “roba”…scatta la durezza maschile/paterna della punizione inesorabile, della vendetta senza sconti. Nulla di strano, dunque, che una stessa signora possa esclamare “Poverino !”  se assiste all’arresto di uno spacciatore di borgata che non abbia mai danneggiato i suoi figliuoli   e “Cornutissimo!” al ragazzino che le abbia sottratto con destrezza  una bottiglia di vino dalla borsa della spesa.
    La consapevolezza di questa tensione disastrosa potrebbe indurre i siciliani migliori a prestare attenzione al proprio stile di vita individuale e professionale, riplasmandolo in direzione di una giustizia equa; di una legalità equidistante dal legalismo e dalla cedevolezza; di una maschilità intrisa di paternità autentica e, per questo, capace di interiorizzare il meglio della capacità femminile di intuire, comprendere e soccorrere. Giganti morali come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino (ma la lista sarebbe lunghissima) sino al momento della morte hanno testimoniato, nel modo di rapportarsi agli imputati e ai familiari di questi,  che la sintesi junghiana di animus e di anima  è possibile.
  
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com

giovedì 23 marzo 2017

LE LINEE ESSENZIALI DELL'EBRAISMO: UN SEMINARIO A PALERMO

Nella sequenza di incontri per una prima conoscenza delle grandi tradizioni sapienziali del mondo, venerdì 24 marzo 2017 , alle 18 (in punto), avrà luogo
 un seminario di Augusto Cavadi su
 “Linee essenziali dell’ebraismo”

Aggiungeremo così un altro tassello al mosaico delle saggezze, dopo aver dato un primo sguardo a induismo, buddhismo, politeismo greco e sciamanesimo.
Il seminario è iniziativa del  “Centro di ricerca esperienziale di teologia laica” (presso la “Casa dell’equità e della bellezza” di via Nicolò Garzilli 43/a – Palermo).
Il testo di riferimento sarà Hans Kung, Ebraismo, Biblioteca universale Rizzoli, Milano 1999.
 
Ingresso:  euro  5,00.
Per chi abbia difficoltà economiche: offerta libera.
Per gli iscritti al “Centro di ricerca” (***):  ingresso gratuito.


(***)      CENTRO DI RICERCA ESPERIENZIALE  DI TEOLOGIA LAICA

  Il 1 gennaio 2017 si è costituito a Palermo (presso la “Casa dell’equità e della bellezza” in v. Nicolò Garzilli 43/a, all’angolo con via Enrico Parisi) il “Centro di ricerca esperienziale di teologia laica”.
   E’ un luogo aperto a tutte le persone che, a prescindere dall’eventuale appartenenza a una comunità confessionale (ebraica, cristiana, islamica o altro) e dalle convinzioni in campo religioso (eventualmente agnostiche o atee) desiderino contribuire a una ricerca collettiva sul divino , sia a livello teorico di indagine teologica sia a livello  di sperimentazione pratica.
   
    In concreto il Centro prevede di offrire:

Seminari settimanali sulle ricerche teologiche contemporanee
Week-end di spiritualità laica
Giornate comunitarie (“Le domeniche di spiritualità laica”) 
Conferenze di esperti ospiti
Presentazione di libri
Cenette teologiche per non…teologi
Ritiri di meditazione e proposte di nuove forme di preghiera liturgica

Un Consiglio scientifico (estensibile per cooptazione su auto-candidatura di volontari) ha il compito sia di progettare iniziative sia di vagliare le proposte che potranno provenire dai simpatizzanti.
Il Centro si basa sui contributi finanziari dei sostenitori.
La quota minima per diventare sostenitore è di euro 10,00 al mese (15 a coppia).
Il Centro di ricerca non ha in quanto tale scopo di lucro e i sostenitori avranno ingresso libero a tutte le iniziative.
In alcuni casi, per auto-finanziarsi, il Centro di ricerca  potrà prevedere modesti contributi di partecipazione per i non-sostenitori.


martedì 21 marzo 2017

CI VEDIAMO, ALLA FELTRINELLI DI PALERMO,GIOVEDI' 23 MARZO 2017 ?

Giovedì 23 marzo 2017, alle ore 18 (in punto), alla Feltrinelli di via Cavour (a Palermo) Maria D’Asaro e Pippo La Face discuteranno con l’autore il piccolo libro di Augusto Cavadi Tenerezza. Hanna Wolff e la rivoluzione (incompresa) di Gesù (Diogene Multimedia, Bologna 2016, euro 5,00).
Interventi musicali al pianoforte a cura di Giorgio Gagliano.

domenica 19 marzo 2017

CI VEDIAMO A ROMA ALLE 10,30 DI MARTEDI' 21 MARZO 2017 ?

L'assessora alle politiche sociali del V Municipio di Roma ha avuto l'idea di utilizzare il mio Centouno storie di mafia che non ti hanno mai raccontato (Newton Compton) per le manifestazioni del 21 marzo 2017. Sinceramente onorato dell'iniziativa,  che mi è ha trovato un po' alla sprovvista, sarò a Roma alle 10.30 in Zona La Rustica, piazzale di via Dameta (di fronte al mercato). Ovviamente incontrerò volentieri gli amici romani che potranno/vorranno partecipare.

sabato 18 marzo 2017

CI VEDIAMO A BOLOGNA LUNEDI' 20 MARZO 2017 ALLE ORE 20 ?

Lunedì 20 marzo 2017, alle ore 20, ci vediamo a Casa "Babel" (via Milazzo, 4 - Bologna) per discutere insieme sul senso della vita a partire dal mio libretto Andarsene. Brevi riflesioni sulla morte propria e altrui (Diogene Multimedia, Bologna 2016, euro 5).
Introdurranno la conversazione Angela Chiaino, Annamaria Rais e don Fabrizio Mandreoli.
Previsto l'intervento dell'editore Mario Trombino.
Organizza e coordina Dino Cocchianella.
L'incontro prevede un primo momento conviviale in cui si consumerà ciò che ciascun partecipante avrà voluto gratuitamente portare in tavola.

giovedì 16 marzo 2017

CI VEDIAMO A TRENTO ALLE ORE 20 DI SABATO 18 MARZO 2017 ?


Care e cari, la prossima tappa del mio giro nel profondo Nord sarà Trento.
Sabato 18 marzo, alle ore 20, incontrerò un gruppo di persone che si riunisce presso la Cappella Universitaria (di fronte alla chiesa di S. Maria Maggiore) per confrontare le nostre esperienze in tema di "spiritualità laica".
Nel corso dell'incontro sarà consumata una sobria cenetta con i contributi culinari volontariamente preparati dai partecipanti.
Chiunque sarà, liberamente e gratuitamente, il benvenuto.

mercoledì 15 marzo 2017

DEMOCRATIZZARE LA SPIRITUALITA'. BONAFE' INTERVISTA CAVADI


"Alto Adige" 
15.3.2017
DEMOCRATIZZARE LA SPIRITUALITA’
di Fabio Bonafé
Un argomento quasi imbarazzante, e inevitabilmente ambiguo, quello che sarà al centro dell'incontro promosso dalla Biblioteca Provinciale “Claudia Augusta” per giovedì 16 marzo alle ore 18 presso il Centro Trevi, in via Cappuccini 38 a Bolzano: “Una spiritualità senza Dio? Il bisogno di una spiritualità nel mondo globalizzato”. A parlarne sarà Augusto Cavadi, filosofo e consulente filosofico, ma anche esperto di teologia e di mafia, suo il libro “Il Dio dei mafiosi” (San Paolo, 2009) e anche il best seller “La  mafia spiegata ai turisti” (Di Girolamo, 2008), tradotto in almeno dieci lingue, giapponese compreso. Animatore di originali iniziative culturali e politiche (tra tutte ricordiamo le “Vacanze filosofiche per non filosofi”), oltre che autore di numerosi libri, Cavadi è un “filosofo di strada”, non un dispensatore di sapere, ma piuttosto un ricercatore in dialogo con gli altri.
Cosa fa pensare che oggi esista un significativo bisogno di spiritualità?
Se per spiritualità intendiamo, come si fa solitamente, un’attitudine religiosa – addirittura in senso confessionale -  penso che il bisogno di spiritualità sia in sensibile decremento. Qualora, invece, restituiamo alla parola “spiritualità” il suo significato originario, a mio avviso più autentico, di vita interiore intensa che si manifesta in gesti limpidi ed efficaci, allora possiamo riconoscere che c’è una grande sete di spiritualità. Mi spingerei ad asserire che proprio la crisi delle confessioni religiose apre spazi nuovi alla coltivazione delle spiritualità naturali, laiche.
Come si collegano spiritualità e filosofia?
In Occidente il cristianesimo ha gradatamente, ma inesorabilmente, monopolizzato nell’opinione pubblica la nozione di “spiritualità”. Ma di questo processo sono stati responsabili, primi fra tutti, i filosofi i quali – dimenticando, come hanno insegnato Hadot e Foucault, che la filosofia greca è stata per secoli una pratica spirituale – hanno ridotto troppo spesso la filosofia a mero esercizio intellettuale, a tecnica logica. Anche pensatori viventi, come Martha Nussbaum, ribadiscono e testimoniano che la filosofia è integrale quando è un modo di essere nel mondo, non solo un modo di pensare il mondo.
E’ per questo, suppongo, che il sottotitolo di uno dei tuoi ultimi libri (“Mosaici di saggezze” Ed. Diogene Multimedia, 2015) recita: Filosofia come nuova antichissima  spiritualità”. Ma filosofia e spiritualità non sono articoli di lusso, per poche persone?
Davanti ai tanti problemi, urgenti e drammatici, che costellano la geografia  del nostro pianeta globalizzato è spontaneo ritenere che occorra dare la precedenza ad altri settori di analisi e di operatività come la produzione economica e la prassi politica. Soprattutto a venti o trenta anni è facile convincersi che nuove scoperte scientifiche, ardite applicazioni tecnologiche e soprattutto serie riforme politiche possono farci uscire dalla stagnazione in cui versiamo come individui e molto spesso come Stati. Ma la storia ci insegna che un’umanità spiritualmente povera riesce a sprecare anche le occasioni più favorevoli. Non si tratta di sottovalutare ciò che possiamo e dobbiamo innovare sul piano delle strutture economiche, sociali e politiche: si tratta di convincersi che ogni sperimentazione su questo piano va accompagnata, innervata, sostenuta da quella che Antonio Gramsci chiamava “riforma intellettuale e morale”.  Se questo è vero, non ci sarà imprenditore o politico in grado di cambiare davvero il corso della storia se il livello medio dei lavoratori e degli elettori  - dei cittadini, insomma – non sarà cresciuto quanto a saggezza, onestà intellettuale, gusto della contemplazione, familiarità col bello, pace interiore, sensibilità per la sofferenza dei viventi umani e oltre. Le urgenze sono numerosissime, ma democratizzare la spiritualità non è tra le meno impellenti. Su questo registro non mi stupirei se cardinali blasonati con attici di lusso o cattedratici dalle bibliografie chilometriche dovessero rivelarsi meno “spirituali” di maestre di provincia o di artigiani quotidianamente fedeli agli impegni della propria bottega.

domenica 12 marzo 2017

ARRIVEDERCI, PAPA' ANGELO

Caro Angelo,

    da due anni e mezzo ci dicevi che avresti presto raggiunto la tua Gina. Ti sei preparato a questo passaggio con la lucidità previdente, meticolosa, talora persino pignola, di sempre: non volevi che le tue figlie avessero fastidi dopo la tua morte, essendoti preoccupato per lunghi anni della loro serenità  in vita.
   Per quanto mi riguarda, continuerò a dire ai miei amici ciò che ripeto loro da tanti anni: che ho avuto la ventura di un suocero filosofo. E a chi mi chiederà in quale università ti sei laureato, risponderò ancora una volta che ti sei laureato all’università della strada, dove ti eri iscritto a nove anni.
   Pian piano ti sei dato tutte le materie acquisendo le caratteristiche principali di un vero filosofo.
   Infatti hai esercitato la saggezza, gestendo con equilibrio i beni della tua famiglia e, quando hai avuto responsabilità politiche, amministrando con correttezza i beni pubblici.
   Hai esercitato la gentilezza, trattando con cordialità chi ti voleva del bene e schivando i conflitti quando percepivi sentimenti negativi nei tuoi confronti.
  Hai esercitato la gratitudine anche per le piccole cose: poche settimane fa ti sei accorto che avevo scelto come salvaschermo del computer una foto con te, Adriana e me e , con un sorriso dolcissimo, mi hai sussurrato: “Grazie anche per questo”. Poi,  qualche giorno dopo, chiudendo una telefonata con Adriana le hai detto: “Di’ ad Augusto che gli voglio bene”. Giustamente Adriana ha risposto: “Anche lui, papà, te ne vuole”.
   Filosofo per saggezza, per gentilezza, per attitudine alla gratitudine: ma anche filosofo per senso dell’ ironia. Quando negli ultimi anni hai cominciato a perdere colpi nel corpo – non certo nella mente, sveglissima sino alle ultime ore – commentavi: “Sono i malanni della vecchiaia. Se volevo evitarmeli, bastava morire prima”.
  Sino a quando questi acciacchi sono stati sopportabili, siamo stati felici di averti con noi. Ma negli ultimi giorni rischiavano di diventare eccessivi: per questo abbiamo accettato il tuo meritato riposo con intensa tristezza, ma non senza una altrettanto grande serenità. Questo è l’ultimo dono che ci hai lasciato.
   Grazie di tutto, Angelo: e buon viaggio verso dove tutti siamo, presto o tardi, destinati.


Santo Stefano Quisquina 8.3.2017