giovedì 29 giugno 2017

LA LIBERTA' NEL WEB, TRA IRONIA E QUESTIONI GRAVI

Riporto un articolo del mio amico Elio Rindone ospitato su www.italialaica.it il 21.06.2017.
Non è un 'post' di facile consumo, ma un testo da leggere quando si ha un po' di tempo (e di voglia) per decifrare il linguaggio ironico e soprattutto per riflettere sulle questioni serissime che solleva. Qualcuno obietterà che sono questioni di difficile soluzione: è vero, ma se un problema non viene neppure visto più come un problema la soluzione, da ardua, diventa impossibile.
 
UN NUOVO SPETTRO SI AGGIRA PER L'EUROPA: IL WEB
 
Finalmente se ne sono accorti: era ora! Il 23 novembre 2016 l’Europarlamento ha approvato una risoluzione per contrastare la crescente disinformazione nei confronti dell’Unione europea, e ha proposto l’istituzione di una lista nera delle fonti dei media sospettate di fare propaganda ostile nei confronti dell’Ue.
Il 30 dicembre, in un’intervista al Financial Times, il presidente dell’Antitrust, Giovanni Pitruzzella, ha detto che, per evitare che Internet resti un Far West, bisogna creare una rete di agenzie pubbliche che si occupino di bonificare il web sulla base di parametri di verità stabiliti dallo Stato.
Il 31 dicembre, in un’intervista a Repubblica, il ministro della giustizia, Orlando, ha dichiarato che i social sono diventati il principale strumento per veicolare messaggi di odio che sono spesso il presupposto per la radicalizzazione violenta, e che la loro diffusione è così rapida che la giurisdizione, con gli strumenti tradizionali, non ce la fa a contrastarli.
Buon ultimo, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo messaggio di fine anno ha anzitutto ricordato che c’è un insidioso nemico della convivenza, su cui, in tutto il mondo, ci si sta interrogando, quello dell’odio come strumento di lotta politica, e ha poi precisato che in particolare il web, quando vi penetrano l’odio e la violenza verbale, da grande rivoluzione democratica rischia di diventare un ring permanente, dove verità e falsificazione finiscono per confondersi.
Ben detto, e non possiamo non rallegrarci di questa rinnovata Santa Alleanza di forze nazionali e internazionali. È stato individuato il nemico: quei movimenti che mettono in pericolo la tenuta delle istituzioni, nazionali ed europee, e che possiamo chiamare ‘populisti’ perché, mentre proclamano di voler tradurre in atto la volontà popolare, con particolare attenzione alle classi più povere, in realtà assecondano demagogicamente le aspettative della parte più incolta e arrabbiata della popolazione, anche le più becere, senza preoccuparsi della loro validità e realizzabilità.
Ed è stato individuato il principale strumento di cui si servono queste forze oscure dell’anti politica per la loro opera distruttiva: il web. Mentre si dicono mosse dall’indignazione, intesa come coraggiosa manifestazione di disgusto, disprezzo e collera di fronte alle ingiustizie e ai soprusi messi in atto dalle classi dirigenti, in realtà esse inondano la rete di messaggi che trasudano livore, astio e malanimo verso la cosiddetta casta e i suoi rappresentanti più in vista, accusati di ogni nefandezza: dalle pulsioni autoritarie alla corruzione, dalla connivenza con gli evasori fiscali alla difesa dei banchieri.
Lo strumento è davvero pericolosissimo, perché incontrollabile, dato che tutti possono servirsene: dal primo degli imbecilli all’ultimo dei nullatenenti. Da tempo, infatti, noi difensori delle istituzioni siamo estremamente preoccupati. Con le nostre risorse economiche e grazie ai nostri partiti di riferimento potevamo controllare agevolmente quasi per intero l’informazione radio-televisiva e cartacea: ma se invece chiunque può mettere in rete la propria opinione, sarà veramente difficile far prevalere i buoni sentimenti, e le idee corrette sostenute dai nostri bravi giornalisti, sulle parole di odio e sulle falsità propalate da chi vuole a ogni costo delegittimare le istituzioni.
È dunque il momento di passare dalle parole ai fatti e, senza perdere altro tempo, imbrigliare subito la rete. Nessuna voglia di censura, per carità! Noi abbiamo sempre difeso la libertà di parola, ma non possiamo ignorare che la situazione è enormemente cambiata da quando, alla metà dell’Ottocento, il nostro John Stuart Mill scriveva, nel suo splendido saggio Sulla libertà, che «Il male più temibile non è il violento contrasto tra parti diverse della verità, ma la silenziosa soppressione di una sua metà; finché la gente è costretta ad ascoltare le due opinioni opposte c'è sempre speranza; è quando ne ascolta una sola che gli errori si cristallizzano in pregiudizi, e la stessa verità cessa di avere effetto perché l'esagerazione la rende falsa».
E no, caro John, qui non si tratta più di lasciare libero spazio a tesi contrapposte, entrambe opinabili, ma di impedire la diffusione di notizie e valutazioni assolutamente false, che riescono a minare, specialmente tra i giovani, la credibilità dei tradizionali mezzi d’informazione, e rischiano, lacerando la nostra società, di far trionfare alle elezioni le forze populiste e antisistema.
Per nostra fortuna, i messaggi di odio, spesso caratterizzati – nessuno potrebbe negarlo – da ignoranza, stupidità e turpiloquio, che pullulano in rete offrono alle nostre autorità ampia giustificazione per intervenire. Con la condanna dell’odio abbiamo trovato dunque la scorciatoia che ci consentirà di porre fine all’anarchia della rete. Ma, a nostro parere, ciò non basta: occorre individuare pure le radici, anche molto lontane, di simili atteggiamenti eversivi ed epurare senza esitazione quei testi che da secoli offrono tali pessimi esempi. Ed è proprio qui l’originalità della nostra proposta, che forse a prima vista sembrerà eccessiva ma che in realtà è dotata di straordinaria coerenza.
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Noi riteniamo necessario, infatti, cancellare anzitutto un bel po’ di pagine di quel testo che ha avuto un ruolo incomparabile ma estremamente ambiguo nella formazione della nostra cultura: la Bibbia. Facciamo qualche esempio, per essere chiari.
In quello che i cristiani chiamano Vecchio Testamento ricorrono, infinite volte, parole di una violenza inaudita contro quelli che vengono considerati nemici. Ecco come il profeta Geremia prega il Signore di punire coloro che avrebbero tramato ai suoi danni: “Abbandona i loro figli alla fame, gettali in potere della spada; le loro donne restino senza figli e vedove, i loro uomini siano colpiti dalla morte e i loro giovani uccisi dalla spada in battaglia” (Geremia, 18, 21). Parole che, per la loro crudeltà, risulterebbero raccapriccianti persino per gli spacciatori di odio del web.
E il profeta Isaia si permette addirittura di giudicare, non si capisce a che titolo, le sentenze emesse dai giudici del suo tempo: “Guai a coloro che fanno decreti iniqui e scrivono in fretta sentenze oppressive, per negare la giustizia ai miseri e per frodare del diritto i poveri del mio popolo, per fare delle vedove la loro preda e per spogliare gli orfani. Ma che farete nel giorno del castigo, quando da lontano sopraggiungerà la rovina? A chi ricorrerete per protezione? Dove lascerete la vostra ricchezza?” (Isaia, 10, 1-3). Tanta arroganza può spiegarsi in un solo modo: nasce da un odio preconcetto e, direi, di sapore populista.
Un’ultima citazione, tratta dal profeta Amos, che si sente in diritto di calunniare e di minacciare onesti commercianti che attendono con ansia la fine del riposo festivo per tornare al lavoro: “Ascoltate questo, voi che calpestate il povero e sterminate gli umili del paese, voi che dite: «Quando sarà passato il novilunio e si potrà vendere il grano? E il sabato, perché si possa smerciare il frumento, diminuendo le misure e aumentando il siclo e usando bilance false, per comprare con denaro gli indigenti e il povero per un paio di sandali? Venderemo anche lo scarto del grano». Il Signore lo giura per il vanto di Giacobbe: Cambierò le vostre feste in lutto e tutti i vostri canti in lamento” (Amos, 8, 4-7.10). Ci troviamo, con tutta evidenza, di fronte all’invidia sociale di chi non è capace di arricchirsi col proprio lavoro e sfoga la propria rabbia augurando il male agli altri.
Ma non bisogna credere che la situazione cambi col Nuovo Testamento. Anzi, sin dall’inizio la giovane madre di Gesù, certamente traviata dai seminatori di odio del tempo, sembra nutrire sentimenti eversivi e, scambiando i suoi sogni con la realtà, magnifica il Signore perché “ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi” (Luca, 1, 52-53). Dal figlio di una donna cui vengono attribuite parole così scandalose non ci si può aspettare, ovviamente, nulla di buono.
E infatti, per inaugurare la sua missione, Gesù utilizza un passo tra i più faziosi di Isaia e afferma che il Signore lo “ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore” (Luca, 4, 18-19). Si considera, in poche parole, in missione per conto del Padreterno al fine di sconvolgere l’ordine costituito. E per accreditarsi di fronte al popolino ben presto comincia a spacciare bufale servendosi dei mezzi allora disponibili: manda in giro per i villaggi i discepoli a raccontare che il loro maestro è capace di guarire lebbrosi, moltiplicare pani e persino di risuscitare morti. E le folle ci cascano!
Anzi, accresce la sua popolarità a buon mercato proclamando apertamente beati i poveri, perché sta per finire la loro condizione di miseria, e minacciando ogni sorta di disgrazie ai ricchi: “Ma guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione. Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete” (Luca, 6, 24-25). Promesse utopiche e sentimenti di odio puro, di cui i rifiuti della società si sono nutriti per secoli.
Ma questo modello di tutti i populisti non si limita alle parole. Passa addirittura a forme di violenza gratuita: arrivato a Gerusalemme, “Gesù entrò poi nel tempio e scacciò tutti quelli che vi trovò a comprare e a vendere; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe” (Matteo, 21, 12). Ma non solo i mercanti: anche le autorità religiose sono oggetto dei suoi attacchi. E pretende di giudicare non soltanto i loro atti ma anche le loro coscienze: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all'esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume. Così anche voi apparite giusti all'esterno davanti agli uomini, ma dentro siete pieni d'ipocrisia e d'iniquità. Serpenti, razza di vipere, come potrete scampare dalla condanna della Geenna?” (Matteo, 23, 27-28.33). Di fronte a tanta arroganza e a tanto odio immotivato, non c’è da stupirsi se a un certo punto non ne hanno potuto più e lo hanno messo a morte!
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Ma sentimenti di odio si trovano non solo nella Bibbia ma anche in moltissime pagine di quelli che sono considerati i nostri più grandi letterati. Noi crediamo che, una volta iniziata una battaglia, non ci si possa fermare a metà e che, se abbiamo avuto il coraggio di toccare la Bibbia, non arretreremo certo di fronte al compito di ripulire le loro opere. Anche in questo caso ci limitiamo a pochissimi esempi di falsità e di malanimo.
Nella Divina Commedia, quello che tutti giudicano il nostro sommo poeta sembra che goda nel mandare all’inferno re e imperatori, principi e banchieri: in pratica, quasi tutta la classe dirigente del suo tempo. Ma non basta! Persino quando scrive il Paradiso, non riesce a trattenere il suo livore e pone in bocca a san Pietro una invettiva contro alcuni papi suoi successori così virulenta che sembra di udire le urla di un video postato sul web: “Quelli ch'usurpa in terra il luogo mio, il luogo mio, il luogo mio [...], fatt'ha del cimitero mio cloaca del sangue e de la puzza” (Dante Alighieri, Paradiso, XXVII, 22-23, 25-26).
Nell’Ottocento, Giacomo Leopardi riserva alle classi dirigenti italiane giudizi sprezzanti, perché le ritiene prive di quella moralità e di quella autorevolezza che le metterebbero in grado di influenzare positivamente lo stile di vita e il modo di sentire dell’intera nazione: “Le classi superiori d’Italia sono le più ciniche di tutte le loro pari nelle altre nazioni. Il popolaccio italiano è il più cinico di tutti i popolacci” (Giacomo Leopardi, Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani).
E ancora nel Novecento, Pier Paolo Pasolini non perdeva occasione di scagliarsi contro una borghesia, sempre quella italiana, accusata di egoismo, conformismo, cecità di fronte alle ingiustizie e, al solito, responsabile delle carenze dei ceti inferiori. Nel film La ricotta, per esempio, pronunciava, per bocca di un attore famoso intervistato da un giornalista che col suo sorriso da ebete ne confermerebbe il giudizio, questa opinione sui suoi connazionali: “Il popolo più analfabeta, la borghesia più ignorante d’Europa”.
Anche questa volta non c’è da stupirsi se questi personaggi hanno avuto una vita piuttosto travagliata, e l’ultimo dei tre sia finito morto ammazzato: avranno avuto pure grandi doti poetiche, ma, se non si fa che criticare e spargere odio, è inevitabile che alla fine le vittime delle tue aggressioni te la facciano pagare.
Ma noi crediamo che sia necessario andare ancora oltre, se vogliamo togliere ogni appiglio all’odio che dilaga sul web nei confronti delle attuali classi dirigenti. L’arma di cui si servono i populisti è il confronto tra i progetti originari – il Manifesto di Ventotene per l’Unione europea, la Costituzione repubblicana per l’Italia – e le realizzazioni effettive. Ebbene, dobbiamo dire chiaramente che quelli non erano che sogni e utopie, anzi dobbiamo emendare quei documenti in modo che nessuno possa più attribuire ai leader europei e nazionali la responsabilità di promesse non mantenute o volutamente disattese.
Chi scriverebbe, oggi, quanto si legge nel Manifesto, e cioè che “la rivoluzione europea” debba “essere socialista, cioè proporsi l'emancipazione delle classi lavoratrici e la creazione per esse di condizioni più umane di vita”? Oppure che “le forze economiche non debbano dominare gli uomini, ma – come avviene per le forze naturali – essere da loro sottomesse, guidate, controllate nel modo più razionale, affinché le grandi masse non ne siano vittime”? Sembra incredibile, ma sono passati soltanto pochi decenni da quando si usavano ancora i termini ‘rivoluzione’ e ‘socialismo’, eppure è proprio di simili assurdità che si nutre la propaganda ostile che nega ogni rapporto tra la UE e il progetto di Ventotene e, deplorando il crescente impoverimento dei lavoratori, semina dubbi sul valore dei grandi risultati già raggiunti dall’Unione europea e dall’euro.
E se in Italia vogliamo evitare che i nostri governanti siano accusati di infischiarsene dei più caratterizzanti principi della Costituzione, bisogna affrettarsi a cancellare parole che oggi ci fanno sorridere per la loro ingenuità: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Ma lo sappiamo tutti che in un’economia liberista ciascuno deve curare i propri interessi, in una libera competizione con gli altri, e che lo Stato deve intervenire il meno possibile! Come sappiamo che, poiché per reggere la concorrenza straniera la forza-lavoro deve essere acquistabile come una merce qualunque, è impossibile considerare il lavoratore come una persona che ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto e “in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Eliminando da documenti chiaramente datati affermazioni ormai prive di senso, tutti potranno così finalmente capire che il mondo è questo e che non ci sono alternative.
* * *
Ebbene, noi cittadini benestanti e benpensanti, liberali e democratici, moderati e progressisti, di destra di centro e di sinistra, crediamo di avere dimostrato a sufficienza che le idee sediziose contenute nelle opere citate costituiscono l’humus da cui germoglia l’odio di chi ha interesse a confondere verità e menzogna, e che oggi ha trovato nel web il megafono più potente. Tocca ora alle nostre autorità portare a compimento, senza esitazioni, l’opera di bonifica e di pacificazione della società, non solo imponendo regole severe all’uso della rete ma anche costituendo commissioni di cardinali, di professori universitari, di letterati, di giuristi che, usando le loro differenti competenze, possano rimuovere una volta per tutte le antiche radici di quell’ondata di falsità e di odio che ora rischia di sommergerci.
        Elio Rindone

Mail priva di virus. www.avast.com

3 commenti:

armando caccamo ha detto...

Al di là dell'indubbia ironia e della dotta capacità di narrare e di 'motivare' una realtà di cui tutti sentiamo i danni, ma di cui, noi uomini liberali e democratici, non neghiamo i benefici, la questione, come tu dici caro Augusto, è di difficile, anzi di impossibile soluzione. Io credo che la domanda da porsi è: dal "liberi tutti" al "liberi nessuno" c'è un solo "salto quantico" o ce ne sono di intermedi? Dai tempi narrati dalla Bibbia e poi dai Vangeli e poi da Dante e poi da Leopardi niente abbiamo imparato? Alla pervasività della propagazione dell'odio, della calunnia, delle strumentalizzazioni che neanche Pasolini ha conosciuto e a cui solo il web ci ha (ahimè) abituati, dobbiamo permettere tutto? Ieri a Superquark hanno raccontato la storia di un americano che, lasciati moglie e figli, armatosi si di un mitragliatore , è andato in una pizzeria di Washington in cui aveva letto sul web che si ordiva un complotto tramato da Illary Clinton e da gruppi deviati della Cia e per poco non ha fatto una strage. E a questo che si deve arrivare? Alla giustizia fatta da falsi sceriffi che si mettono la stella da soli e vanno ad uccidere?

Pietro Spalla ha detto...

Sempre pungente Elio, e appassionato. Ci fa riflettere. Però penso che il punto non è quanto sono miopi, cattive e nemiche dei deboli le nostre istituzioni ma quanto siamo capaci di emendarle e migliorarle. E certo non affiderei questo compito a chi sbraita, generalizza, fa demagogia, a chi si rifugia nel vittimismo e nell'ingiuria quando è in difficoltà, a chi non sa fare autocritica e sa essere fantasioso e creativo quando deve manifestare livore e frustrazione ma è in difficoltà se deve argomentare le propri opinioni. Mi sembrerebbe di passare dalla padella alla brace se dovessimo affidarci a quelli i cui motto è: "se non sei d'accordo con noi e con il verbo del nostro Guru sei un ladro ed una spia, complice anche tu dei poteri forti e dell'informazione di regime"

Biuso ha detto...

Condivido l'ironico e amaro testo di Elio Rindone.
E mi dispiace davvero che amici come Armando e Pietro sottovalutino il fanatismo e il pericolo di chi sta attualmente governando l'Italia e l'Europa in forme e con obiettivi che è tecnicamente esatto definire 'criminali'.

Se "chi sbraita, generalizza, fa demagogia, chi si rifugia nel vittimismo e nell'ingiuria quando è in difficoltà, chi non sa fare autocritica e sa essere fantasioso e creativo quando deve manifestare livore e frustrazione ma è in difficoltà se deve argomentare le proprie opinioni" è al potere, la sua azione risulta assai più pericolosa di chi ha comportamenti simili stando all'opposizione.

Mi spiace soprattutto che persone come Armando e Pietro abbiano talmente introiettato lo spirito autoritario del tempo attuale da non rendersi conto che stanno invocando la censura dei potenti sugli strumenti della critica sociale. Che può essere sterile o feconda, costruttiva o pericolosa, ma è sempre necessaria per la vita stessa del corpo collettivo. Non bastano i tanti esempi enunciati da Elio per dimostrarlo?
Un caro saluto a tutti.