giovedì 10 agosto 2017

QUALE SPIRITUALITA' PER I LAICI ?



“VIOTTOLI”

Semestrale di formazione comunitaria

Anno XX, n. 1/2017





SPIRITUALITA’   SI’.   MA QUALE ?



   Se si abbia bisogno o meno di religione, possiamo discuterne (e le opinioni in campo sono le più disparate). Non così se si abbia bisogno  di spiritualità. Qui la convergenza sulla risposta affermativa è molto più affollata (se si escludono alcuni interlocutori così condizionati, sia pur dialetticamente, dal clericalismo da respingere ogni ipotesi di spiritualità solo perché incapaci di supporne una non-confessionale). Ma se tutti (o, per lo meno, molti) siamo convinti della necessità e dell’urgenza di una spiritualità per il nostro tempo (post-moderno o, secondo altri, iper-moderno), è anche vero che ognuno di noi ha poi una sua particolarissima idea di spiritualità: analoga, nel migliore dei casi,  alle idee degli altri. E l’analogia, comunque, indica (nella sua accezione originaria, tecnica) una somiglianza parziale che non esclude una dissomiglianza ancora maggiore.

   Per dialogare sul tema, quindi, anche nei contesti meno polemici e più meditativi che si possano immaginare, è indispensabile un’ auto-riflessione su ciò che ognuno di noi intende per “spiritualità”, a partire dall’esame di come la vive effettivamente. Una sorta di autocoscienza che porti ciascuno a esplicitare una propria concezione di “spiritualità”.

 A tale scopo potrebbe riuscire istruttivo una sorta di check-up sulla base di alcuni parametri. Innanzitutto: per me spiritualità si oppone a corporeità? Ritengo che la mia vita sarà sempre più spirituale quanto minori saranno le concessioni alle esigenze fisiche, alle potenzialità atletiche, ai desideri sessuali, agli acciacchi dell’età?

  Un secondo parametro: per me spiritualità si oppone a socialità? Ritengo che la mia vita sarà sempre più spirituale quanto minori saranno le occasioni di relazioni umane (di coppia, di comunità, di gruppo, di movimenti, di partiti, di sindacati…)? Penso che l’interiorità sia non solo necessaria, ma anche sufficiente a coltivare in pienezza la personalità?

   Un terzo parametro: per me spiritualità si oppone a prassi? Ritengo che la mia vita sarà sempre più spirituale quanto minori gli impegni professionali, le iniziative pratiche, i progetti operativi? Penso che la contemplazione sia non solo necessaria, ma anche sufficiente a realizzare la mia umanità?

     A seconda delle risposte che diamo a ciascuna di queste domande, e di come tali risposte si incastrano in cento combinazioni possibili, avremo altrettante interpretazioni della vita spirituale. In altre epoche, e in altre culture, questa varietà di prospettive è stata considerata dispersiva e le grandi istituzioni (soprattutto religiose) hanno provato a sfoltirla per pervenire a poche tipologie codificate: il bramanesimo, l’eremitaggio, il monachesimo cenobitico , l’impegno nel mondo del lavoro e degli affari, la militanza armata (prima di condannare alcuni preti latino-americani coinvolti nella guerriglia, la Chiesa cattolica ha approvato per secoli gli Ordini cavallereschi)... Oggi, per fortuna, sarebbe impensabile ridurre a uno, o a pochi modelli, le vie e i metodi e gli stili della ricerca spirituale  in ciascuna area del pianeta. Il pluralismo s’impone sempre più nell’ambito della stessa confessione religiosa, della stessa regione geografica, persino della stessa famiglia. Forse, addirittura, ognuno di noi - secondo i periodi della sua evoluzione e le circostanze oggettive in cui viene  a trovarsi – avverte l’esigenza di sperimentare declinazioni diverse della propria dimensione spirituale.

   Dobbiamo dunque concludere che, nel campo della spiritualità, “va tutto bene”?

   Sulla base di quanto ho maturato in più di sessant’anni di tentativi, errori, riprese e rilanci, direi che  - pur con tutta la pluralità ammissibile, anzi auspicabile – una spiritualità matura e costruttiva dovrebbe fare tesoro delle lezioni delle grandi religioni millenarie, nel doppio senso di inverarne le risorse preziose e di evitarne le conseguenze dannose.

    Non c’è dubbio che le religioni offrano risorse preziose: una tradizione nel cui alveo inserirsi, una dimensione comunitaria nella quale riconoscersi, una scuola di preghiera consolidata nel tempo, la possibilità di essere spronati da confratelli ricchi di carismi, delle norme collaudate dall’esperienza …Ma la storia insegna che si tratta di lame a doppio taglio e su ogni risorsa incombe il rischio della degenerazione devastante: la tradizione tende a scadere in tradizionalismo, l’appartenenza comunitaria in conformismo, la docilità nei confronti dei maestri in dogmatismo, l’ammirazione per i carismi in culto della personalità, il rispetto delle regole in legalismo…

   Se questo è, sostanzialmente, vero, ogni esperienza spirituale è chiamata a sottoporsi a un test del genere: quanto somiglio alle espressioni ‘alte’ delle religioni (espressioni che attraggono la stima ammirata anche dei miliardi di esseri umani che non praticano quelle determinate religioni) e quanto sono distante dalle espressioni ‘basse’ delle medesime (espressioni tollerate con disagio anche dai fedeli che si riconoscono in quelle determinate religioni)? O, se si preferisce adottare la terminologia della pensatrice statunitense Martha Nussbaum, quanto una spiritualità mi fa “fiorire” come persona e quanto mi soffoca, mi  rattrappisce, mi isola?

   In altre fasi della vita sono stato molto più indulgente nell’accettare compromessi fra ciò che la coscienza mi dettava e le strutture ‘religiose’ in cui mi trovavo ad agire (anche perché la tattica del compromesso alleggeriva la mia responsabilità e mi evitava rogne di vario genere). Con il tempo divento meno remissivo. Non con le persone (a cominciare da me) di cui conosco troppo bene i limiti, le debolezze, verso cui anzi mi viene sempre più facile la comprensione solidale, ma con gli assetti istituzionali (chiese, comunità, associazioni, centri di spiritualità, scuole…). Non riconosco a nessuno il diritto di sfruttare la fame di spiritualità autentica che ci attanaglia, di barattare facili consolazioni e ricette miracolistiche in cambio di sudditanza e di oboli finanziari. In questo campo vige intatto il detto latino: corruptio optimi pessima . Già: più alti sono i valori in gioco, più grave ogni tentativo di strumentalizzarli a scopi beceri.



Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com

1 commento:

Mauro Matteucci - Pistoia ha detto...

Caro Augusto,

la tua riflessione giunge davvero appropriata in questa fase: infatti il valore spiritualità rischia di essere frainteso e tu ne metti ben in evidenza i rischi con quel "corruptio optimi pessima". Come sai, lavoro ormai da molti anni come volontario con gli emigranti e nell'ultimo anno anche con i rifugiati. Spesso mi sono domandato: ma l'incontro tra umanità allo stesso tempo, comune e differente è spiritualità? Quale valore ha, se costituisce un alibi per rifuggire da una realtà concreta che ogni giorno ci interroga in modo ineludibile? Credo che una risposta la dia oggi papa Francesco con un messaggio profondamente innovatore sempre attento ad accostare Vangelo e attenzione all'umanità degli esclusi. Ancora prima l'aveva data don Lorenzo Milani, quando metteva al primo posto della pastorale i poveri. Purtroppo c'è un modo di intendere l'impegno nel sociale come protagonismo se non anche carrierismo, che distruggono il valore spirituale della socialità anche in gruppi e persone vicine alla stessa Chiesa. Buon Ferragosto e grazie delle tue riflessioni
Mauro