venerdì 2 febbraio 2018

FEDE CRISTIANA E MONDO DELLA POLITICA: QUESTIONI APERTE



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2.2.2018

      Fede cristiana e impegno politico: un rapporto problematico

    Una riflessione sul rapporto che, in linea di principio, dovrebbe intercorrere fra fede (cristiana) e impegno politico  presupporrebbe una chiara, inequivoca, determinazione di cosa intendiamo per “fede” e cosa per impegno “politico”. Infatti la risposta alla domanda sul rapporto fra i due termini dipende moltissimo dal significato che attribuiamo a ciascuno dei due.
   Se, provvisoriamente, li intendiamo in accezioni abbastanza generiche da poter essere condivise senza forti obiezioni, la “fede” sarebbe l’accettazione del messaggio evangelico come criterio di orientamento nel mondo e l’impegno “politico” sarebbe qualsiasi attività in forma associata che incida sulla società in maniera metodica (non occasionale) e durevole (non momentanea).
   Ebbene, se così intesi, i due poli possono essere concepiti in tre prospettive differenti.

a) L’integralismo (soprattutto cattolico)
    Secondo la prima prospettiva, che potremmo definire “integralista”, il messaggio evangelico contiene delle indicazioni precise sulla società, sulle istituzioni politiche, sulle leggi dell’economia, sulla bioetica e così via: il cristiano davvero coerente deve soltanto applicare, in maniera quanto più fedele possibile, queste indicazioni (possibilmente interpretate in maniera autorevole dal magistero ecclesiastico). L’angolazione “integralista” si trova declinata a destra, a centro e a sinistra: in genere è una tentazione tipicamente cattolica.

b) Il dualismo separazionista (soprattutto protestante)
   Per molti versi opposta è la visione, che potremmo definire “dualista” o “separatista”, di chi ritiene che la sfera della fede e la sfera della politica debbano mantenersi rigorosamente parallele. Il vangelo ci parla del rapporto intimo fra l’anima e Dio, non si occupa del mondo – regno del Demonio - con il suo groviglio di vizi e di peccati. Questa ottica è stata declinata in varie chiese ma è particolarmente congeniale con l’impostazione “protestante” o “riformata” di matrice luterana e calvinista. Il principio di dare a Dio quel che è di Dio e a Cesare quel che è di Cesare ( Luca 20, 20 – 26 e passi paralleli in Marco e in Matteo) è stato, ad esempio, applicato in Germania al tempo del nazismo: davanti a Dio tutti i regimi politici sono peccaminosi, al cristiano spetta obbedire alle leggi vigenti anche senza nessuna convinzione interiore, soltanto per garantire un minimo di ordine sociale.

c) Una terza via: la fede nel vangelo come “riserva critica” e pungolo costruttivo
     Dall’ epoca, moderna a oggi,  però, ci sono stati cristiani (sia cattolici che protestanti) insoddisfatti sia dell’integralismo che identifica fede e politica sia del dualismo che le separa nettamente.
   L’integralismo, infatti, attribuendo alla Bibbia una competenza anche in campo socio-politico, apre la strada alla teo-crazia, al “governo di Dio” o, meglio, in concreto, alla iero-crazia, al “governo dei gestori del sacro” (che si autoproclamano interpreti autorevoli della Bibbia). 
    Non molto meglio vanno le cose, però, quando la propria fede cristiana si auto-esonera da qualsiasi “giudizio” sulla storia: è il motivo per cui grandi pensatori protestanti, come Barth e Bonhoeffer, si fecero promotori di una “Chiesa confessante” che proclamasse, anche a rischio di morire, l’incompatibilità del messaggio evangelico con certi regimi politici disumani (cfr. la celebre Dichiarazione di Barmen).
    Una terza via fra integralismo e dualismo separazionista l’hanno segnata pensatori particolarmente acuti (tra i quali il domenicano Edward Schillebeeckx). Secondo questa prospettiva:

·      il vangelo dà al credente solo alcune indicazioni di massima: la dignità di ogni essere umano (in quanto figlio/figlia di un unico Padre), il primato della condivisione fraterna rispetto all’accumulazione privata, la nonviolenza come metodo di risoluzione dei conflitti e così via. Queste  indicazioni di principio sono poche (a differenza di quanto ritengono gli integralisti che si illudono di trovare nella Bibbia ricette politiche dettagliate), ma irrinunciabili  (a differenza di quanto ritengono i dualisti separazionisti che si illudono di poter accettare anche regimi politici programmaticamente contrari a quei pochi criteri orientativi evangelici);
·      il  vangelo costituisce, dunque, per il credente sia una “riserva critica” nei confronti dei regimi politici (nessuno dei quali realizzerà mai al cento per cento l’utopia del “regno di Dio” in terra) sia anche un pungolo a collaborare lealmente con gli uomini e le donne di buona volontà affinché la convivenza sul pianeta sia sempre più vicina possibile alla solidarietà nella giustizia e nella libertà. Da entrambi gli aspetti, la fede esige attenzione a ciò che avviene nella storia ed esclude, radicalmente, ogni atteggiamento di a-politicità indifferenzista;
·      nel contesto italiano attuale questa visione del rapporto fra fede cristiana e prassi politica significa, da una parte, che nessuna autorità ecclesiastica può indicare  - come avviene tuttora, più o meno scopertamente, da parte di alcuni vescovi e di alcuni preti – quali partiti politici, o per lo meno schieramenti, vadano sostenuti con il proprio voto; dall’altra parte, però, significa che nessun credente autentico può votare per quelle formazioni politiche che la sua coscienza, a un esame obiettivo , trovi  all’esterno inclini ad adottare la guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti internazionali  e, all’interno, permissivi verso pratiche razziste (come ho cercato di mostrare nel mio Il Dio dei leghisti)  o corruttive o mafiose (come ho cercato di mostrare nel mio Il Dio dei mafiosi).


Augusto Cavadi

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11 commenti:

Bruno Vergani ha detto...

Sempre lucidissimo caro Augusto. Riguardo la terza via, quella fra integralismo e dualismo separazionista ero rimasto colpito dalla teologia “sociale” del cardinale e teologo francese Yves Marie-Joseph Congar (1904 –1995), espressa nel terzo capitolo del saggio teologico ecclesiologico «Per una teologia del laicato» scritto nel 1956, testo introvabile che provo a riassumere. Congar, fedele al credo cattolico, analizza il piano di Dio dettato nella rivelazione, dal «facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza» all’ultimo capitolo dell’Apocalisse, dove Dio «assumendo lui stesso la carne della nostra umanità» vuole costruire il suo tempio di comunione attraverso Gesù Cristo «capo della Chiesa, ma anche di tutta la creazione»; Regno di Dio universale nel quale Congar dettaglia differenti e complessi aspetti, tra questi quello escatologico dell’ultimo giorno e quello «dinamico o progressivo» del tempo della Chiesa, tempo intermedio del già, dove «Gesù stesso è, in un certo senso, il Regno di Dio» e il non ancora della Parusia, dove Cristo alla fine del piano salvifico ritornerà sulla terra. Dunque due tappe e in mezzo un tempo intermedio. A che scopo tale tempo? Iddio onnipotente senza indugiare avrebbe potuto terminare il suo piano con l’Ascensione concludendo con la Pentecoste. Congar vede in tale indugio uno scopo preciso: Dio o il Cristo o la Chiesa non sono i soli artefici di tale piano, per giungere a meta è necessario il libero agire degli uomini nella storia perché senza tale cooperazione il Regno di Dio rimarrebbe incompiuto. In tale interpretazione «La regalità di Cristo resta, di diritto, universale» mentre la Chiesa sarebbe un regno spirituale della fede distinto dal «mondo naturale degli uomini e della storia», entrambi differenti coprotagonisti della realizzazione del Regno, «Rendete a Cesare quel che è di Cesare…». Nel piano unitario di Dio la Chiesa e il mondo sono entrambi finalisticamente ordinati al Regno di Dio, «ma per vie e titoli differenti», così «la regalità universale di Cristo non corrisponde a quella di una regalità ugualmente universale della Chiesa». Ne consegue per il cristiano che il profano sviluppo umano storico non è un processo antagonista e nemico - il giussaniano giudicare il mondo "illusione e sterco" con paradigma medievale che entra a gamba tesa nel post moderno -, o nella più misericordiosa interpretazione mero accadimento subalterno da tollerare, ma in quanto forza indispensabile all’accadimento del Regno evento da valorizzare e col quale allearsi. Sacro non contrapposto al profano, quindi non «Resistenza del Mondo ma Resistenza nel Mondo». Tralasciando il possibile effluvio di concezioni hegeliane, riguardo un supremo Principio regolatore della storia avvertibile in Congar, quello che qui mi sembra puntuale è l’intelligente sintesi, dal punto di vista cattolico, della complessa realtà in una concezione aperta che agli antipodi del dualismo gnostico e integralismi, ricapitola universalmente il soggetto in sé medesimo, l'Altro e il mondo.

Mauro Matteucci ha detto...

Carissimo Augusto,

condivido pienamente la tua analisi sul rapporto tra fede e impegno politico. Pur privilegiando l'impegno nel sociale, credo che non vada messo da parte l'importanza della Politica nel senso più alto, nonostante il degrado che ne vediamo oggi, perché le spetta la progettualità in rapporto al bene comune della società, con particolare attenzione agli ultimi, come ricorda il grande educatore e sacerdote:
La politica è altrettanto orribile quando chi la fa crede d’essere dispensato dal sentirsi bruciare i bisogni immediati di quelli cui l’effetto della politica non è ancora arrivato. Don Lorenzo Milani

Mauro Matteucci

Alberto G. Biuso ha detto...

Il tuo testo è come sempre assai chiaro e argomentato. Avrei comunque varie riserve, tra le quali il fatto, ad esempio, che i Vangeli canonici proporrebbero «la nonviolenza come metodo di risoluzione dei conflitti». Ci sono infatti almeno un paio di esempi evangelici di legittimazione e addirittura di utilizzo della violenza anche da parti del Rabbi.
Alberto

Augusto Cavadi ha detto...

Non ho presenti questi passaggi, ma ci saranno certamente. Il problema è duplice: capire cosa intendiamo per nonviolenza e capire quale possa essere stato il significato complessivo del messaggio originario di Gesù.
a.

Biuso ha detto...

Questi ad esempio:

«Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare» (Mt., 18, 6).

«Entrato poi nel tempio, cominciò a cacciare i venditori, dicendo: ‘Sta scritto: La mia casa sarà casa di preghiera. Ma voi ne avete fatto una spelonca di ladri!’» (Lc., 19, 45-46).

Naturalmente le molteplici, varie e raffinate esegesi di cui sono capaci i biblisti potranno condurre alle più varie interpretazioni di questi brani (a conferma che il testo biblico consiste nelle sue letture e non in una presunta parola originaria) ma il loro significato mi sembra abbastanza chiaro.

Augusto Cavadi ha detto...

Ah, meno male ! Temevo di peggio...Se sono questi i passaggi non-nonviolenti mi tranquillizzo. Che siano gesuani o redazionali, non mi pare che esprimano odio ad personam né volontà di vendetta: li vedo, piuttosto, come tipici esempi del genere letterario (e comportamentale) del profeta biblico. Alla mia opinione (opinabilissima) la nonviolenza ha un'essenza e delle modalità storico-sociali di declinarsi attraverso il tempo e attraverso lo spazio.

Biuso ha detto...

Ma, caro Augusto, violenza e odio non coincidono affatto.
Si può essere violenti senza provare odio (i boia, ad esempio, o la più parte dei militari in guerra) e si può odiare senza esercitare la violenza (per debolezza, per timore delle conseguenze o per altro). Quei brani evangelici non esprimono odio personale ma legittimano e testimoniano l'esercizio della violenza.
Quanto ai profeti biblici, mi sembra che la loro violenza (contro questo e quello, oggetti delle loro condanne) sia esplicita e ripetuta.

armando caccamo ha detto...

Come inserirsi in un dibattito come quello acceso tra così qualificati a condurlo? Solo la mia incoscienza può. Io credo che le parole chiave nell’esposizione di Augusto siano “riserva critica” e “pungolo” per sintetizzare la terza via che una persona di fede (a qualsiasi religione appartenga) può seguire. Anche gli atei sono cresciuti influenzati da una cultura che fa riferimento a varie teologie e a vari testi sacri. Quando si deve, perché si deve, conciliare il pensiero politico alla propria cultura, intesa come prima, ci si deve affidare alla soggettiva elaborazione di pensiero, frutto dell’integrazione del sé ‘culturale’ col pensiero storico dell’uomo universale, creatura o espressione finale del tempo che viviamo. Al pensiero politico così formatosi non possono non seguire che una serie di comportamenti coerenti; quali? quelli che rifiutano le utopie e i dettami irrazionali e fideistici e cercano di affidarsi alla mediazione, al sano compromesso che prediliga il rispetto dei più e la convivenza pacifica fra tutti gli uomini. E’ in questo contesto che l’uomo è chiamato a cimentarsi con la propria libertà di essere, di fare e di. Spero di essere stato chiaro.
Grazie
Armando Caccamo

armando caccamo ha detto...

errata corrige: libertà di essere, di fare e di DIVENTARE

Maria D'Asaro ha detto...

Ottima disamina su due polarità fondamentali per un'esistenza umana consapevole. Rilancerò le tue riflessioni nel mio blog. Grazie anche per i preziosi contributi - in particolare quello di Bruno Vergani - espressi nei vari commenti.

Bruno Vergani ha detto...

Caro Augusto temevi da Biuso quanto aveva sparato Luigi Lombardi Vallauri in una intervista a l’“Espresso”?:
«Il solo Vangelo di Matteo parla 23 volte di tenebre, di fuoco eterno, di verme, di Geenna, di pianto e stridor di denti. Gesù era completamente dominato dall'idea dell'inferno. Altro che buona novella! La sua novella è la più spaventosa che mai sia stata annunciata all'uomo. Ma tutti se lo sono scordati. Si dice che Gesù era buono e caso mai è la Chiesa a essere cattiva. Sbagliato. Gesù era cattivissimo.»