Perché al referendum voterò sì, anche se non serve a niente
La prima cosa che dobbiamo fare è capire per bene di cosa tratta
il referendum. Seguite il mio ragionamento. In Italia si estraggono sia
gas che petrolio, sia sulla terraferma che in mare. Disinteressiamoci di
gas e petrolio estratti sulla terraferma perché il referendum non
tratta di questo. Interessiamoci invece di gas e petrolio estratti in
mare. La prima distinzione da fare è:
Per approfondire il dibattito suscitato da questo articolo si può andare al seguente link:
- gas e petrolio estratti entro le 12 miglia (22,2 km) dalla costa;
- gas e petrolio estratti oltre le 12 miglia (22,2 km) dalla costa.
Il quesito del referendum tratta solamente di gas e petrolio estratti entro le dodici miglia
(22,2 km) dalla costa. Non tratta quindi delle trivellazioni di gas e
petrolio sulla terraferma e oltre le dodici miglia dalla costa.
Ora vediamo di capire per cosa stiamo andando a votare.Ogni
compagnia petrolifera che decide di trivellare deve chiedere una
concessione allo Stato. Una concessione è l’autorizzazione a esplorare e
costruire piattaforme in un determinato tratto di mare. La domanda che
sorge spontanea è: quante piattaforme ci sono entro le dodici miglia
dalla costa? La risposta è 92 ma attenzione, anche qui va fatta una
importantissima distinzione. Delle 92 piattaforme sono 48 quelle eroganti
(cioè che estraggono gas e petrolio). Le restanti servono per
permettere a quelle 48 di funzionare. Le 48 piattaforme eroganti entro
le 12 miglia dalla costa sono divise in:
- 39 piattaforme che estraggono gas;
- 9 piattaforme che estraggono petrolio.
Queste sono le piattaforme interessate
dal quesito referendario. Adesso che abbiamo capito di cosa stiamo
parlando, possiamo procedere a capire cosa chiede il referendum.
Queste 48 piattaforme sono state
costruite perché lo Stato ha in passato concesso alle compagnie
petrolifere il permesso di esplorare quei tratti di mare dove ora
sorgono le piattaforme di estrazione. Ma nel 2015 è cambiato qualcosa
perché è stata approvata la legge di stabilità per il 2016. Con la legge di stabilità 2016
lo Stato decide di non dare più concessioni per nuove trivellazioni
entro le dodici miglia (22,2 km) dalla costa. Di conseguenza dal 2016 in
poi le compagnie petrolifere potranno chiedere il permesso di
trivellare il mare oltre le dodici miglia dalla costa oppure sulla
terraferma, ma non potranno più effettuare nuove trivellazioni entro le dodici miglia dalla costa.
Ma cosa dice la legge di stabilità del
2016 sulle piattaforme entro le dodici miglia dalla costa già costruite e
in attività? Dice che il permesso di trivellare un certo tratto di mare
(cioè la “concessione”) può essere rinnovato dalla compagnia
petrolifera fino all’esaurimento del giacimento. Insomma, il succo è che
con la legge di stabilità 2016 vengono impedite le nuove trivellazioni
entro le dodici miglia, ma quelle già esistenti possono essere sfruttate
finché non finiscono il gas e il petrolio da estrarre. E siamo
finalmente arrivati al quesito referendario.
Andremo a votare il 17 aprile per
decidere se vogliamo che per le piattaforme entro le 12 miglia dalla
costa e per le concessioni date prima della legge di stabilità del
2016 tali piattaforme debbano:
- continuare ad estrarre gas e petrolio fino ad esaurimento dei giacimenti (voto NO);
- cessare l’attività di estrazione anche se i giacimenti non sono esauriti (voto SÌ).
Chiarito il motivo per cui siamo chiamati
a votare il 17 aprile, è ora di farci una opinione in merito. Vediamo
di citare qualche dato per capire come sono strutturati i consumi
energetici in Italia per capire quale sarebbe l’impatto del
referendum. Iniziamo dicendo che l’Italia è un paese fortemente
dipendente dalle importazioni per quanto riguarda l’energia. Infatti
sulla totalità del fabbisogno energetico italiano, gas e petrolio
estratti in Italia contribuiscono solo per il 10% del totale dei
consumi. Ciò significa che il restante 90% di fabbisogno energetico in
Italia è garantito dalle importazioni di petrolio e gas. Nel 10% di
petrolio e gas estratti in Italia sono comprese le estrazioni sulla
terraferma e in mare, sia entro che oltre le dodici miglia. Le
estrazioni di gas e petrolio entro le dodici miglia, oggetto del
referendum, sono quindi una frazione del 10% del totale dei consumi (il
dato in esame è riferito al 2014). Nello specifico, tale frazione è pari
al 2,1% per il gas e 0,8% per il petrolio, sul totale del 10% di gas e
petrolio estratti in Italia. Ciò significa che, sulla totalità del
consumi italiani, la vittoria del SÌ comporterebbe una mancanza di un totale di 2,9%
sul totale dei consumi italiani, e di conseguenza un ulteriore
approvvigionamento estero per sopperire a tale mancanza. Tale mancanza
del 2,9% sui consumi totali non avverrebbe il giorno successivo alla
vittoria del SÌ. Le concessioni relative alle piattaforme interessate
dal referendum hanno in realtà una scadenza ben precisa, che in caso di
vittoria del SÌ non verrebbe prorogata. Le prime concessioni scadono nel
2016, le ultime scadranno nel 2027. Quindi gli effetti del referendum
non sarebbero immediati ma diluiti nel tempo. Ci sono inoltre
nove piattaforme entro le dodici miglia che hanno richiesto la proroga
prima della legge di stabilità del 2016 e verranno di sicuro autorizzate
a continuare le trivellazioni.
Nella formazione di una opinione propria
c’è anche da considerare la questione ambientale. È vero che una
piattaforma di estrazione, sia essa di gas o di petrolio, costituisce un
pericolo costante per le nostre coste. Ma è anche vero che fino ad oggi
in Italia l’unico incidente fu una fuga di gas metano a Ravenna negli
anni ’60. Se consideriamo anche che in Italia le perforazioni offshore (cioè in mare aperto) si effettuano fin dagli anni ’50 possiamo concludere che il rischio ambientale, benché sempre presente, non può essere il motivo principale per votare SÌ e
cessare ogni trivellazione entro le dodici miglia. Sulla questione
ambientale i promotori del NO affermano che dismettendo le piattaforme
entro le dodici miglia, dovendo dipendere in maniera maggiore dalle
importazioni, i nostri porti si riempirebbero di grandi navi petroliere.
Questo non è vero per un motivo semplicissimo: le centrali
termoelettriche utilizzate in Italia vengono alimentate per il 60% da
gas naturale e solo per il 4% da petrolio e derivati (per il 20% dal
carbone e il restante 16% da fonti fossili varie). Il gas in Italia
viene importato utilizzando gasdotti provenienti dalla Russia, che da
sola ci fornisce il 50% del gas totale che importiamo. La restante metà è
divisa fra Paesi Bassi, Norvegia, Algeria e Libia. Nessuna nave in transito quindi, ma un maggiore utilizzo di gasdotti già esistenti e funzionanti.
Va affrontata la questione della perdita
di lavoro di chi opera sulle piattaforme che dovrebbero essere dismesse
se vincesse il SÌ. Abbiamo già detto che l’effetto del SÌ verrebbe
spalmato in dieci anni, un tempo congruo per permettere alle aziende e
ai lavoratori di trovare un accordo per evitare ogni licenziamento,
magari dirottando quegli stessi lavoratori sulle piattaforme oltre le
dodici miglia che se vincesse il SÌ verrebbero sicuramente potenziate
per bilanciare la dismissione di quelle entro le dodici miglia. Non
credo quindi che la perdita di lavoro degli addetti sia un motivo valido
per votare NO al referendum, perché anche votando SÌ e dismettendo le
trivelle entro le dodici miglia quegli addetti non rimarrebbero a mio
parere senza lavoro.
Bisogna anche porsi il problema della
fine che faranno le piattaforme dismesse. La legge obbliga le compagnie
petrolifere a smontare le piattaforme e chiudere i fori di
trivellazione. Ma potrebbe nascere un contenzioso fra tali compagnie e
lo Stato. Le compagnie potrebbero cioè contestare allo Stato i mancati
introiti relativi alle piattaforme che sono obbligate a dismettere. È
una possibilità che considero remota, ma che se dovesse verificarsi
lascerebbe le piattaforme dismesse lì dove sono in attesa della
risoluzione del contenzioso. Penso a questo punto, dopo aver sciorinato
dati su dati, di avere dato abbastanza spunti al lettore per crearsi una
propria opinione e decidere cosa votare al referendum del 17
aprile.Adesso esporrò la mia opinione sul referendum.
Quello che penso è che votare NO sia inutile perché non produrrebbe alcun risultato. Allo stesso modo penso anche che votare SÌ sia inutile
perché produrrebbe un cambiamento minuscolo (perdita di meno del 3% del
fabbisogno energetico annuo) e in un arco di tempo di dieci anni.
Insomma, a mio parere è inutile votare per il SÌ tanto quanto votare per
il NO. Ma il referendum comunque ci sarà, dei soldi pubblici verranno
spesi per permettere a noi cittadini di esprimerci e sento quindi il
dovere di andare a votare. Dopo averci riflettuto molto ho deciso che al
referendum del 17 aprile voterò SÌ. Il motivo è che
votare SÌ – e quindi bloccare il rinnovo delle concessioni per i siti di
estrazione entro le dodici miglia – pur non sconvolgendo nulla in
termini puramente tecnici, rappresenta il segnale che è ora di smettere
di investire sulle risorse fossili e dirottare gli investimenti verso le
risorse rinnovabili. Non è un processo istantaneo, è da stupidi pensare
che l’esito del referendum possa nel giro di un giorno modificare le
scelte energetiche dell’ultimo secolo.
Votando SÌ il popolo italiano manda un segnale forte
all’attuale Governo e a quelli che seguiranno affermando che la strada
delle rinnovabili è quella giusta. Qualche riga sopra ho citato dei dati
su quali siano i combustibili fossi che alimentano le centrali
termoelettriche. Tali centrali termoelettriche alimentate a combustibili
fossili producono il 63,5% di tutto il fabbisogno di energia elettrica
in Italia. La restante parte di energia elettrica consumata in Italia,
ben il 36,5%, è prodotta da fonti rinnovabili. Questo dato ci dice che
la strada delle rinnovabili è già stata imboccata. Votando SÌ voglio
affermare il mio auspicio che questa strada venga percorsa con sempre
più convinzione e determinazione con l’obiettivo di arrivare, non da un
giorno all’altro ma lavorando giorno per giorno, a ridurre notevolmente
la dipendenza dell’Italia dalle importazioni e favorire così il rilancio
della nostra economia.
Jafar al-Saqili
Per approfondire il dibattito suscitato da questo articolo si può andare al seguente link:
//parlamente.com/2016/03/29/perche-al-referendum-votero-si-anche-se-non-serve a-niente/
NUN S’HAV’A SPIRTUSARI U MARI
RispondiEliminaNo, u mari nun s’hav’a spirtusari u mari
è la nostra vita la vita di li nostri
occhi di li nostri aricchi.
O com’è bellu séntiri nna lu silenziu
di la notti la risacca di l’unna
che s’annaca ntra lu virdi di l’alighi!
com’è bellu vidiri li pisci saittari
ntra l’oru di lu suli o l’argentu di la luna!
com’è bellu lu splendiri di milli e milli
luci quannu di stiddi si vestinu li celi!
E iddi, iddi lu vonnu spirtusari u mari
cu pezzi di ferru arrugginutu
ca fannu un rumuri di nfernu e fannu
pazzi li pisci chi si nni stannu
npaci natannu na lu mari calmu
e chinu di culuri di sapuri d’amuri.
No, u mari nun s’hav’a spirtusari u mari.
No, u mari nun s’hav’a spirtusari u mari
è lu specchiu di l’immensitati di Diu
di Diu eternu, di lu so amuri
ca nun finisci,nun finisci mai.
È un piccatu, un piccatu murtali
sulu a pinsari di vulirlu allurdari
ncanciu d’un varrili di petroliu
ch’allorda poi li celi di l’universu.
È un piccatu, un piccatu murtali
vuliri canciari l’azzurru tersu
e limpiu di la so acqua
cu l’acqua nivura di la pici
di vuliri canciari l’oduri di mari
c’allarga lu pettu e la peddi
cu l’oduri aspru di lu petroliu
che rumpi lu cori finu a scasiddarlu.
No, u mari nun s’hav’a spirtusari u mari
Ti ringrazio molto per questa mail. La tua posizione mi sembra la più equilibrata fra quante ho avuto modo di leggere. Anche io ho molti dubbi anche se alla fine voterò sì. Giovanna Audino
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