http://mafie.blogautore.repubblica.it/2018/04/1711/?ref=RHRS-BH-I0-C6-P33-S1.6-T1
Le scomuniche ai mafiosi, come le grida di manzoniana memoria, si sono moltiplicate in proporzione
alla loro inefficacia. Già nel 1945 i vescovi siciliani ricordano che sono
automaticamente (“ipso facto”)
scomunicati “tutti i rei sia di rapina sia di omicidio”. Seguono anni di
ambiguità sotto l’egida del cardinale Ruffini che non era un filo-mafioso, ma
uno dei molti che (anche nella magistratura e società civile) riduceva la mafia
a fenomeno delinquenziale come tanti nel mondo, senza vederne lo spessore politico-economico. Nel
1993 Giovanni Paolo II, in visita in Sicilia, non usa il termine tecnico
“scomunica” ma lancia ai mafiosi quel grido diventato celebre (“Convertiteti:
una volta verrà il giudizio di Dio!”) che risuona ancora più eclatante di una
mera dichiarazione canonica. Da allora, e specialmente dopo l’assassinio di don
Puglisi e di don Diana, i vescovi ribadiscono che, anche senza una condanna
esplicita, chi uccide o danneggia gravemente e intenzionalmente il prossimo si
pone da solo fuori dalla comunione ecclesiale (ex communione). Si arriva così al recente pronunciamento di
Francesco I nei pressi di Sibari il 21
giugno 2014: “I mafiosi sono scomunicati, non sono in comunione con Dio”.
Chi segue
i complessi rapporti fra Chiesa cattolica e mafie non può non constatare con
soddisfazione la crescente consapevolezza, nei pastori e nei fedeli,
dell’incompatibilità fra il vangelo e la lupara. Ma, con altrettanta lucidità,
non può chiudere gli occhi su alcuni aspetti problematici della questione.
Una prima
considerazione: i mafiosi non vivono in una sfera vitrea fuori dal tempo e
dallo spazio, risentono dei mutamenti culturali epocali esattamente come il
resto dei cittadini. La secolarizzazione, che segna mentalità e costumi del
Meridione, incide anche sul peso che essi danno agli aspetti teologici,
liturgici e canonici. In alcune lettere intercettate e pubblicate, Matteo
Messina Denaro confessa chiaramente di non ritenersi più cristiano: non crede
più in Dio né in una vita dopo la morte.
Una seconda
considerazione: una cosa è condannare ex
cathedra i mafiosi in generale e tutta un’altra cosa è applicare la
condanna, nella concretezza dei territori specifici, ai singoli mafiosi in
carne e ossa. Se sono papa o vescovo è relativamente facile comminare
scomuniche; se sono parroco in un quartiere popolare di Catania, o in un
piccolo borgo dell’Aspromonte, non è altrettanto facile negare a un noto boss
il matrimonio in chiesa o il funerale religioso in pompa magna.
Ma ciò che
riterrei decisiva è una terza, e ultima, considerazione. Se scopro che la mia
cucina è infestata da formiche o scarafaggi, prima di attrezzarmi d’
insetticidi, non mi chiederò che cosa attragga tanto gli sgraditissimi ospiti?
Analogamente, prima di studiare strategie per cacciare i mafiosi dalla comunità
ecclesiale, sarebbe più logico interrogarsi sulle ragioni per cui i mafiosi
frequentano gli ambienti cattolici e tengono tanto a occupare posti di rilievo
al loro interno (dirigenti di associazioni, superiori di confraternite rionali
, amministratori di opere pie…). Si potrebbe scoprire una verità scomoda ma
lampante: curie vescovili e parrocchie attirano mafiosi e amici di mafiosi,
come il cacio attira i topi, perché sono luoghi dove girano soldi e si muovono
leve di potere. Sarebbe così – si chiedono alcuni teologi più schietti – se le
comunità cattoliche vivessero in maniera più sobria, più libera dall’affarismo
economico, dalle relazioni con ministeri e assessorati, dalle manovre
elettorali? Chiese più vicine allo stile evangelico - alla solidarietà con gli impoveriti e gli
emarginati; alla cura dell’ambiente naturale; all’osservanza delle regole
democraticamente stabilite; al rispetto laico della libertà di coscienza di
tutti… - sarebbero ancora appetibili agli occhi dei mafiosi ? O questi,
piuttosto, se ne terrebbero lontani con sussieguo, come da congreghe di
patetici idealisti?
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com

Perfettamente d'accordo, anche se espliciterei maggiormente qualcosa che sicuramente Augusto sottintende (o che semplicemente non ho letto io): che ciò non vale per tutte le parocchie e le curie.
RispondiEliminaSarà evidente ma forse è piacevole evidenziarlo.
Ci sono luoghi e realtà in cui sono più credibili chiese e mafie, di quanto non lo siano le istituzioni dello Stato laico. E' uno degli aspetti della 'questione meridionale' e spesso, da parte della chiesa cattolica, è preferibile prendere le distanze dallo Stato laico e ammiccare a chi ha presa sulla gente, in un modo o nell'altro. D'altre parte certi personaggi delle istituzioni sanno che per affermarsi devono scendere a patti con chi ha più ascendente sulla gente, cioè chiesa e mafie. Se non si risolvono, dopo 160 anni, i problemi del Meridione le cose continueranno così. Questo è il mio parere.
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