giovedì 20 aprile 2006

BIBBIA E LUPARA


Repubblica - Palermo
20.4.06

Una bibbia come espediente per la mafia e il suo contesto

La cronaca della cattura di Provengano ha attestato, ancora una volta, l’inquietante compresenza di Bibbia e lupara nelle tane dei mafiosi. Solo una nota di colore o, al più, la conferma di relazioni pericolose fra potere ecclesiastico e poteri illegali? Probabilmente si tratta di un indizio che rimanda a scenari più complessi, solitamente trascurati. Ne abbozziamo alcuni.
La problematica che viene, in prima istanza, coinvolta riguarda l’ambito - circoscritto ma non ristretto – di coloro che (ebrei, cristiani e musulmani) si riconoscono, con differenze interne, nel Libro: in modo particolare nell’Antico Testamento. I credenti nelle tre grandi religioni monoteistiche del Mediterraneo non possono più differire la loro risposta ad un dato di fatto evidente: il Dio della Bibbia - come scrive ad esempio il noto esegeta cattolico Giuseppe Barbaglio – è un Giano bifronte. Un Giano che mostra, secondo le pagine dei tanti libri che costituiscono la “Biblioteca”, un volto di misericordia, di pace e di perdono ma anche di ira, di guerra e di vendetta. Questa concezione è incompatibile con la coscienza moderna e va dunque, coraggiosamente, rivista. Sino a quando si privilegerà una lettura ‘letteralista’ (o ‘fondamentalista’) del Testo principe dell’Occidente, si lasceranno aperte le porte ad ogni genere di applicazione terroristica e criminale. E’ venuto il momento di capire - e di insegnare alle giovani generazioni nelle parrocchie, nelle sinagoghe e nelle moschee – che la sacra Scrittura non è dettata parola per parola dallo Spirito santo e che, piuttosto, testimonia una fase storica (di due millenni fa) della faticosa e mai esauribile ricerca religiosa di alcuni popoli. Un modello a cui guardare per andare avanti, dunque: non un feticcio da imbalsamare ed applicare meccanicamente.

Una seconda problematica sollevata dal sequestro dei volumi meditati da Provengano possiede dimensioni più vaste e interessa chiunque si occupi, al di là degli aspetti teologici, del fenomeno mafioso. I capi di “Cosa nostra” fanno tanto spesso ricorso a fonti letterarie così autorevoli perché, più o meno inconsciamente, cercano una legittimazione ideologica del loro potere effettivo. Ai loro stessi occhi la mafia non si esaurisce nei fattori (per altro costitutivi ed essenziali) dell’organizzazione militare, dell’arricchimento economico e della complicità con le istituzioni civili ma comprende anche – per riprendere l’espressione suggerita da Umberto Santino – un “codice culturale”: un insieme di credenze, principi etici, simboli, norme, tradizioni…
Se questo è vero, la lotta al sistema di dominio mafioso deve partire dal piano repressivo, finanziario e politico ma non può limitarsi ad esso: deve farsi anche battaglia culturale, rivoluzione intellettuale ed etica. Non basta dunque destrutturare dottrine aberranti e morali ambigue: è necessario controproporre una “visione del mondo” più lucida e principi d’orientamento operativo più argomentati. Nel vuoto di criteri di giudizio e, soprattutto, di buone pratiche c’è spazio per ogni organizzazione criminale che abbia solo l’apparenza di una comunità fondata su valori e donatrice di senso. La società siciliana non si libererà da questo cancro sino a quando sarà autoindulgente e tollererà facilmente, al proprio interno, atteggiamenti paternalistici, clientelari, conformistici, conservatori, illegali e “alegali”(l’aggettivo più ricorrente nelle recenti analisi di Antonio La Spina): in somma, atteggiamenti mafiosi e paramafiosi. Ecco perché la partita si gioca nella quotidianità delle relazioni umane dentro le scuole, le facoltà universitarie, gli ospedali, gli uffici pubblici, le imprese commerciali, le banche; nelle scelte, individuali e collettive, non escluse le scelte elettorali. Purtroppo, in proposito, arrivano segnali contraddittori: sondaggi (parziali) documenterebbero un crescente consenso per personaggi – come Rita Borsellino – che incarnano senza ombre e senza equivoci la cultura del confronto critico, della solidarietà, della partecipazione attiva; ma ancora alle ultime consultazioni milioni di siciliani si sono espressi a favore di personaggi rappresentativi di quel modo di vedere e di condurre la vita che, in niente o quasi, si differenzia dalla filosofia della mafia. Personaggi antropologicamente troppo simili ai Provenzano che vengono arrestati ed ai colonnelli che subentrano al loro posto: per i quali i valori e le norme sono specchietto per le allodole o, nel migliore dei casi, spunti retorici per discorsi ufficiali. E la stessa religione un inventario di espedienti per lavarsi la coscienza (dentro) e per rendere presentabile la propria immagine pubblica (all’esterno).

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