Mosaici di saggezze: il commento di
Bruno Vergani
Al «Credi in Dio?» - Domanda
che dalle nostre parti sovente contiene il sottotesto: «Sei cattolico o ateo?»
- Rispondo: «Con Lui ho un flirt complicato»,
come merita una domanda mal posta nel suo implicito imporre e costringere ad un
dualistico aut aut tra fideismo e
ideologismo, fra teismo e nichilismo. Il saggio Mosaici di saggezze, filosofia
come nuova antichissima spiritualità (Augusto Cavadi, Mosaici di saggezze
Filosofia come nuova antichissima spiritualità,
Diogene Multimedia, Bologna 2015, pp. 357) , del filosofo Augusto Cavadi analizza e spiega il perché di
questo erroneo imperversante approccio e indica ragionevoli e praticabili
alternative di emancipazione da tale miope, asfittico, provincialismo. L’opera,
oltre all’inequivocabile taglio filosofico pluralistico-aconfessionale
sintetizzato nel titolo, affronta con taglio ritengo inedito la complessa, anzi
ciclopica, questione spirituale della, e nella, filosofia. Prefazione di
Orlando Franceschelli, esponente valoroso del naturalismo filosofico, uomo di
pensiero abile - più del cane antidroga dell’aeroporto con l’hashish - nel subodorare, identificare,
estrarre e smantellare, tracce occulte anche infinitesimali di clericalismi e
integralismi religiosi, come pure ideologicamente areligiosi, dunque, in
qualche modo confessionali. Presenza che chiarisce e rassicura, dalle prime
pagine, del taglio filosofico e laico di un libro sulla spiritualità e
“spirituale”; spirito evidentemente inteso come entità che si rivela ed esprime
- non in antagonismo con materia, corpo e Natura - come moto personale e
universale di pensiero, sentimento e volontà, alla ricerca del vero, del bello,
del giusto, suggerendo «cammini ragionevoli per abitare, con serenità e se possibile
con allegria, il groviglio delle nostre esistenze.»
Quello che subito colpisce
del saggio - oltre al piacevole disorientamento procurato dell’oggetto libro in
sé con copertina, grafica e impaginazione, evocanti un corposo catalogo
dell’Ikea - è la profusione di citazioni che strutturano buona parte
dell’opera, oltre a quasi mille note purtroppo non a piè di pagina, ma tutte da
meritarsi con continue aperture e chiusure del volume in quanto poste alla
fine. Citazioni tanto copiose che nei primi capitoli il lettore si sentirà un
po’ spiazzato perché apparentemente orfano dell’Autore, del suo peculiare
stile, di quel “tu” con il quale interloquire; un iniziale effetto collage che nel prosieguo della lettura
apparirà, via via, sempre più familiare e piacevole, una sorta di progressiva
messa a fuoco che vedrà dal collage
prendere forma, coerente col titolo dell'opera, eleganti mosaici. Si potrebbe
ritenere che tale metodo derivi principalmente dalla pluridecennale esperienza
professionale di insegnante di filosofia dell’Autore: probabilmente vero ma
sicuramente parziale. Il punto è che Cavadi se ne impipa del personale
protagonismo e correlati sfoggi d’erudizione: nel percorso sullo spirituale, esso stesso spirituale, sviluppato nel saggio, suo e dei tanti dei quali
riporta citazioni - trattati con pari rispetto da Patti Smith (la cantante) a
Kant, seppur con differenti valutazioni - sceglie di porsi come discreto
regista e comprimario. Nello svolgersi del libro affiora intermittente una vera
e propria storia della filosofia, beninteso storia spirituale, fresca e
accattivante perché compenetrata dal percorso autobiografico dell’Autore che
giunto a maturità rendiconta un’articolata testimonianza del suo vissuto e
della personale ricerca: testamento a babbo vivo che dona al lettore eredità
universale proficua e nel contempo impegnativa in quanto percorso di lavoro e
di vita «intrinsecamente interminabile».
In merito alla citatologia
digredisco annotando che sovente imperversa in donne e uomini di pensiero e azione
caratterizzati da approccio clericale o esasperatamente ideologico, altrimenti
accademico specializzato settorialmente oltremisura; soggetti che ripetono
ossessivamente solo e sempre gli stessi - di solito non più di un paio - autori
e testi “sacri” di riferimento, citatologia che Costanzo Preve giudicava,
ritengo puntualmente, «parente povera della filosofia». Nel saggio di Cavadi
invece, agli antipodi da quanto sentenziato da Preve, le citazioni irrompono
eterogenee e universali e nel contempo legate da un fil rouge che le articola razionalmente e esteticamente. Questo
peculiare dire di Cavadi “a modo suo e a modo loro” stimola una fluttuante,
libera e pluralistica espansione di pensiero nel lettore. Citazioni disparate
scelte, criticamente analizzate e vagliate dall’Autore che preciso esprime,
quando lo ritiene necessario, puntuali distinguo oltre a individuare, talora
con motivata durezza e avulso da hegeliane interpretazioni di sacralità della
storia, eventuali limiti, rischi di derive e plateali dannosità. Un pluralismo
irriducibile e impenitente ma non buonista. Ricordo che in un vangelo apocrifo
si narra degli apostoli che attraversando i campi s’imbatterono in una carcassa
di cane in putrefazione e san Pietro, che stava davanti, disse: «Maestro, scostati»,
ma Gesù, al contrario, andò avanti e fermandosi a un passo dal cane esclamò:
«Che denti bianchi!»
. Cavadi a differenza di quanto qui narrato di Gesù dice la carogna, ma uguale
a lui i denti bianchi è sempre abile nel coglierli.
Nei primi capitoli vengono
analizzati natura e scopi della filosofia, la peculiare matrice spirituale, i
proficui motivi per cui filosofare e esposte altre e differenti matrici
spirituali : orientale, New Age, psicologica, l’opera è ricca di citazioni
spiazzanti, su questa ultima matrice psicologica emerge come e quanto Freud
fosse più spirituale di Jung. Il saggio sbroglia il complesso rapporto storico
della filosofia e delle spiritualità a matrice filosofica con la spiritualità
in genere, e quella delle religioni rivelate e istituzionalizzate, dinamiche
d’antagonismo e di reciproche contaminazione e compenetrazioni talvolta
proficue, come anche deleterie. Qui il saggio con semplicità espositiva diventa
complesso com’è complessa la tematica affrontata: dalle notorie tematiche di
Agostino che cristianizza il platonismo platonizzando così il cristianesimo e
Tommaso che segue percorso simile con l’aristotelismo, a passaggi minori poco
conosciuti e sorprendenti come, ad esempio, il copyright “Esercizi Spirituali” e correlate pratiche tutte della
filosofia greca classica, solo in seguito “rubate” e fatte proprie dal
cattolicesimo. In questo sbrogliamento oltre a circostanziare talune evidenti
arroganze dei monoteismi storici e connessi monopoli spirituali, come pure di
alcune ideologie, sono ben analizzate e denunciate le responsabilità della
filosofia medesima nel suo avere soventemente abdicato, in sterili
intellettualismi, alla sua vocazione spirituale; vocazione universale di
indagine al significato e fine dell’esserci, dell’Altro, della Natura, della
finitudine, della sofferenza, della soddisfazione personale e collettiva e
correlate prassi di vita. Territori che se lasciati vuoti dalla filosofia
vengono inevitabilmente, come accade nei processi della fisica, colmati e colonizzati
da chi si trova da quelle parti. Il prestante invito e la testimonianza di
Cavadi per una filosofia capace di spiritualità pensata e vissuta non cade
nell’equivoco del massimalismo, coerente al suo pluralismo invita ad una
spiritualità anche «oltre la filosofia per mezzo della filosofia». Descrive
inoltre «come fra parentesi» differenti modelli di spiritualità “laica”
alternativi alla filosofia stessa: letteratura; musica - “leggera” inclusa -;
pittura; ricerca storica e artistica; scienze “dure”, fino alla gastronomia e
allo sport.
Il saggio
espone costellazioni di filosofi moderni e postmoderni dove Cavadi sceglie, per
evidenti esigenze di condensazione, una ventina di gemme che si sono distinte
per lo specifico e diretto contributo ad una filosofia spirituale, talora loro
malgrado - come Feuerbach o Fichte - dove l’Autore individua, enuclea e palesa
la peculiare spiritualità in modo convincente. Capitoli davvero preziosi per
chi, non filosofo di professione come il sottoscritto, desidera apprendere
agilmente snodi cruciali della spiritualità filosofica moderna e postmoderna.
La seconda parte del libro
dedicata allo sviluppo e all’applicazione pratica dettagliata le «Linee
essenziali di una spiritualità filosofica». Veri e propri esercizi spirituali
laici, dove lo stile di scrittura si fa ancora più diretto e fruibile,
s’incrementano le annotazioni autobiografiche e diminuiscono, in parte, le
citazioni che appaiono forse più valorose per la loro immediatezza e
incisività. Indicazioni di metodo pratiche mai moralistiche, ma frutto e nel
contempo pianta del corretto filosofare. Docilità critica alla lezione delle
scienze, presenza a sé e agli altri, capacità di auto umorismo, accettazione
della propria finitudine, saggia gestione delle critiche altrui, equilibrio
negli stili di vita, distacco, gratitudine… Percorso pratico di saggezza,
dunque, di soddisfazione. Il libro si congeda poeticamente con una commovente
(muoversi insieme) poesia di David Maria Turoldo e chiude con un “Dossier Operativo”: non poteva finire
che così questo percorso spirituale, dossier
che non indica eventuali nebulose ipotesi di lavoro future, ma rendiconta e
invita a quanto Cavadi è stato abile a implementare e imprendere da decenni,
percorso ben anticipato nella prefazione di Franceschelli. Momenti pratici e
precisi di spiritualità operativa e comunitaria: Vacanze, Week - end e cenette filosofiche, Domeniche di chi non ha chiesa,
seminari di teologia critica, celebrazioni comunitarie.
Nell’intero libro un solo
motivo di personale titubanza, inizialmente nebuloso, mi è stato chiarito
grazie a una decina di citazioni con approccio e taglio mistico che l’Autore
riporta di Marco Vannini: non solo
non mi sono piaciute, ma,
nonostante i distinguo e le precisazioni di Cavadi, non le condivido nel merito
percependole cubetti del mosaico un po’ fuori posto. Citazioni purtroppo serie
(quanto sarebbe qui utile un po’ di umorismo Zen con la consapevolezza di un
Thomas More), che estrapolo e condenso attento a non distorcerle: “fondo dell’anima”;
“personale anima abile nel raggiungere sublimità al di sopra della natura” -
qui l’arguto Franceschelli nella prefazione, nonostante l’inequivocabile
effluvio di sostanza stupefacente, ha amichevolmente glissato; “La grazia è
senza perché […] appare come l’universale, ove non è più l’io”; “magica
forza” dove Vannini si trova specularmente d’accordo con Hegel - per speculare
intendo come si diceva negli anni ’70 degli opposti “ismi” che s’incontrano, a
riguardo mi tornano alla mente i desaparecidos
dei regimi argentino e cileno, dove i militari hanno ucciso spietati migliaia
di cittadini moderati e estranei al conflitto, ma sovente graziavano i reali e
diretti nemici organizzati e armati: si sa, tra militari ci si può anche
intendere. Un approccio mistico indifferente a qualsiasi «conoscenza della
conoscenza» (Morin), contiguo all’occultismo favorente totalitarismi - su
questo Cavadi in altri passaggi ha colto puntualmente potenziali rischi di
derive autoritarie - in quanto più poggiato sull’emozione che sul cosciente e
razionale pensiero. Forse esagero ma non possiamo escludere che l’ineffabile è
tale non perché sublime ma perché non contiene nulla. Se contiene, dice e dice
bene e bello (a pagina 126 un illuminante Wittgenstein risolve la problematica),
ma sul nulla può attecchire di tutto: un individuo che afferma un potente,
impersonale, soprannaturale profondo dell’anima potrebbe alzarsi una mattina e,
coerente con sè stesso, pontificare al mondo senza alcun perché che tale forza,
per azione di una gratuita universale potenza magica, è lui medesimo. E’
accaduto nei totalitarismi e correlati olocausti, accade ai piccoli guru nelle
derive New Age. Appare dunque necessario integrare con un’accurata analisi la
relazione tra l’umano pensiero e il sacro e viceversa. Sacro evidentemente
prodotto dal pensiero del soggetto fin dai primordi, eppure tarlo
potenzialmente esautorante e il soggetto e il pensiero, sia in versione annichilente
che di ebbra esaltazione. Relazione del pensiero col sacro; della
razionalità con l’emozione; del plausibile con l’occulto paradisiaco o
infernale che sia, per la quale ritengo proficuo permanga, affermando il
primato della ragione produttrice di sano, e tutto sommato anche di santo, una
consapevole e dialettica dicotomia.
Consapevole d’aver voluto
recensire il saggio con la congruità che merita ma, per evidenti limiti di
personali competenze, di non esserci riuscito, termino un po’ migliore grato
all’Autore e a tutti i suoi amici di percorso.
Bruno Vergani