venerdì 14 novembre 2025

CLAUDIA FANTI A PALERMO DOMENICA 16 NOVEMBRE 2025 DALLE ORE 11,00 IN POI...

 Le scienze (biologia e fisica in primis) possono dialogare proficuamente con le spiritualità contemporanee (specie post-teistiche)?  E’ questo il tema dell’ultimo libro di Claudia Fanti, “A casa nel cosmo. Per una nuova alleanza tra spiritualità e scienza”, Gabrielli editore.

L’autrice, nota anche come co-direttrice della Collana “Oltre le religioni” (i cui titoli sono pubblicati dalla stessa casa editrice Gabrielli) sarà a Palermo, presso la “Casa dell’equità e della bellezza”, ospite del “Centro esperienziale di teologia laica”, domenica  16 novembre 2025 per una Giornata di riflessione e confronto sul tema del volume dedicato alla ecologia in senso ampio e profondo.

Il programma prevede che ci si incontri, per l’accoglienza reciproca e la sistemazione in sala, alle ore 11,00. E’ tollerata, al massimo, mezz’ora di ritardo perché alle ore 11,30 in punto si spengono i citofoni esterni (ci scusiamo in anticipo per i ritardatari rispetto al…ritardo massimo consentito). Dalle 11,30 alle 13,30 vi sarà una prima sessione con Claudia Fanti, dopo la quale chi vorrà potrà restare a condividere sulla tavola qualcosa per un sobrio pranzo condiviso. Al termine della pausa, dalle ore  15,00 alle ore 17,00 è prevista una seconda sessione di dialogo in cerchio.

Chi desidera leggere una presentazione breve del libro di Claudia Fanti può cliccare qui: Ecocidio della Terra? per scongiurarlo essenziale l'unità fra scienza e coscienza - Zero Zero News

Chi volesse un’analisi più articolata del medesimo libro può cliccare qui:

Augusto Cavadi, il blog: CLAUDIA FANTI PER L'ALLEANZA FRA SCIENZE E SPIRITUALITA'

Non è prevista nessuna quota di partecipazione, ma è gradito nella cassettina dell’ingresso un contributo libero da parte di chi desideri partecipare alle spese di manutenzione della “Casa dell’equità e della bellezza”.

giovedì 13 novembre 2025

ANTONIO MINALDI DAL "SESSANTOTTO" ALL'IMPEGNO ODIERNO NEL MOVIMENTO PER LA PACE

 

“Il mio personale rapporto tra violenza e non violenza inizia negli anni Settanta (…). E’ il tempo della grande contestazione (…). Iniziato che ero un timido ragazzino, curioso di capire il mondo entro i venti di rivolta che lo animavano, e concluso da adulto nelle dure lotte del Settantasette col ruolo riconosciuto di leader del movimento studentesco e col soprannome, sicuramente significativo, di <<Molotov>>”: così, sin dalla prima pagina, si presenta Antonio Minaldi, autore del recente Gandhi ad Auschwitz. Elogio della Nonviolenza (e sue problematiche), Multimage, pp. 99, euro 10,00. “L’adesione all’ipotesi della lotta armata come strategia politica era lo spartiacque tra noi che ci consideravamo i veri rivoluzionari e coloro che avevano tradito i vecchi ideali, consegnandosi al nemico con sbiaditi discorsi riformisti” (pp. 7 – 8). Da allora passa, non invano, mezzo secolo: intreccio di altre esperienze politiche, di viaggi per il mondo, soprattutto di letture e di riflessione. L’esito, abbastanza recente, di questo itinerario è l’adesione “alla teoria e alle pratiche della Nonviolenza” (p. 9), non solo come “scelta di vita” ma anche come “strumento privilegiato, costitutivo e strategico, di una scelta politica non qualsiasi, ma ‘rivoluzionaria’, rivolta cioè alla capacità fattuale di abbattere un potere dominante, violento e armato, votato al sopruso e alla guerra” (p. 10).

Trovo molto significativa questa testimonianza del coetaneo Minaldi e – devo confessare – anche confortante per quanti, sin dal Sessantotto, ci siamo convinti che la società cui dedicare la totalità delle nostre energie fosse di “liberi, uguali e fraterni” e che avvicinarvisi con “dittature” più o meno terroristiche fosse un modo per allontanare la méta (dal momento che senza “libertà” e “fraternità” tutto ciò che si ottiene è la sostituzione delle ineguaglianze economiche con le ineguaglianze di potere, pervertendo – per citare Ignazio Silone – la dittatura del proletariato in dittatura sul proletariato ). Da allora infatti la nostra posizione di “amici della Nonviolenza” che non hanno la sfrontatezza di qualificarsi come “nonviolenti” è stata ed è bersaglio di tiri incrociati: da parte dei “duri e puri” che, di frazionismo in frazionismo, sono arrivati alla divisione dell’atomo e da parte dei “realisti” ben inseriti nello status quo (spesso ex-rivoluzionari pentiti) che ci accusano di ingenuità “utopistica”.

Ciò premesso e chiarito, mi pare doveroso aggiungere che il lodevole scritto di Minaldi non è privo di sviste storiche né di lacune né di passaggi molto opinabili.

Quando parlo di sviste mi riferisco ad asserzioni come: all’epoca di Marx “il concetto di Nonviolenza, così come la potenza del femminile, come strumenti di lotta politica capaci di incidere nei rapporti di forza non avevano ancora fatto il loro ingresso nella storia” (p. 63). Senza risalire lontano per millenni sino a Socrate, Buddha, il Taoismo, Gesù e neppure per secoli sino a Erasmo da Rotterdam , Voltaire e Kant (autori di cui si devono riconoscere almeno semi rilevanti di rifiuto della logica della gestione violenta dei conflitti) mi sembra opportuno notare che Marx (nato nel 1818) è stato un contemporaneo di Henry David Thoreau (nato nel 1817) e di Lev Tolstoj (nato nel 1828): la Nonviolenza, “antica come le montagne” (Gandhi), è stata davvero a disposizione di chi ha avuto il desiderio di vederla!

Un’altra svista non secondaria per rilevanza mi pare l’identificazione di “aggressività” (che è un dato fisiologico, genetico, necessario alla sopravvivenza del soggetto) e “violenza” (che è un dato patologico, culturale, nocivo alla sopravvivenza dell’individuo e della sua specie): la violenza e la nonviolenza sono due modi alternativi di gestire, di canalizzare, di istituzionalizzare l’aggressività. Dunque non è esatto affermare che “violenza e Nonviolenza ci appartengono per natura” (p. 70) dal momento che, invece, tendenze innate (o acquisite nei millenni di storia evolutiva) sono – “in un continuo mediarsi” (ivi) - la pulsione aggressiva alla competizione  e la pulsione alla cooperazione solidale.

Una delle conseguenze di questa (inesatta) identificazione di “aggressività” e “nonviolenza” mi pare sia l’affermazione secondo cui - posto che “la guerra” sia “un dato emblematico dei modi che in ogni epoca storica hanno caratterizzato la violenza” (p. 73) – “lo scontro armato e le migrazioni violente e predatorie dei popoli debbano essere considerati come dati senza i quali la storia umana non si sarebbe neppure resa possibile” (ivi). Ma è davvero così? Se si concede questa retrospettiva allo storicismo hegeliano non si dovrebbe condividere la prospettiva della “fine della storia” qualora l’evoluzione umana ci portasse a escludere come un tabù il ricorso alla guerra? Direi che la storia umana non sarebbe stata possibile nel passato e non lo sarebbe nel presente e nel futuro  senza conflitti, senza divergenze di sentimenti e di umori, senza dialettica di idee e di interessi; ma non senza scontri bellici (o comunque violenti, tesi all’annichilimento o per lo meno alla sottomissione dell’altro). Senza le guerre ci sarebbe stata un’altra storia, non  l’impossibilità radicale del configurarsi di una storia. Questa interpretazione non esclude che, a posteriori, si possa constatare che le guerre – in sé non necessarie né proficue – abbiano prodotto non “solo morti e distruzioni”, ma anche “forme di scambio commerciale e culturale”(ivi): si tratta, appunto, di “effetti di socializzazione secondaria” (ivi) che si sarebbero potuti ottenere, come si spera possa avvenire quando saremo progrediti a un livello più alto di civilizzazione, anche senza guerre.

Tra le lacune mi sembra evidente l’assenza di riferimenti a tesi che ormai sono ritenute fondamentali per qualsiasi delle possibili versioni della nonviolenza, quali ad esempio la dicitura satyagraha (“insistenza della verità”) in coppia, se non in sostituzione, di ahimsa (“non nocenza”). Infatti molti interrogativi che l’autore si pone non avrebbero, a mio sommesso avviso, ragion d’essere se si chiarisse che la proposta gandhiana (e non solo) non è soltanto “negativa” (astensione dall’esercizio della forza fisica e militare) ma anche, e soprattutto, “positiva” (tentativo di raggiungere la coscienza dell’avversario affinché accetti di gestire il conflitto senza ricorso alle armi). Questa mia osservazione specifica può valere, più ampiamente, per l’intero libro: da un neofita mi sarei aspettato almeno qualche riferimento alla letteratura primaria e secondaria della ormai sterminata bibliografia sulla nonviolenza dove molte “problematiche” che la concernono sono state tante volte focalizzate e (per quanto possibile in un campo così accidentato) risolte.

Tra i passaggi opinabili segnalerei, innanzitutto, le righe in cui – più volte – si contrappone l’opzione della Nonviolenza al “diritto di resistenza” (p. 47). Qui sarei molto più chiaro: la Nonviolenza o è un modo di praticare la resistenza o non serve a nulla. Dunque la vera contrapposizione è fra il “diritto alla resistenza, anche nelle sue forme estreme che possono prevedere l’uso della lotta armata” (ivi)  e il “diritto di resistenza” con tutte le molteplici tecniche elaborate e sperimentate sul campo dalla tradizione nonviolenta. Personalmente sono convinto (per quel che ne so in sintonia con i padri fondatori della Nonviolenza) che reagire con la violenza a una ingiustizia palese (ad esempio l’invasione del proprio territorio da parte di un esercito straniero) sia preferibile all’inerzia passiva; ma che molto preferibile alla reazione violenta sia la resistenza nonviolenta da parte di una popolazione preparata da anni a simili eventualità (e dunque allenata agli scioperi, i boicottaggi, la disobbedienza civile, la renitenza all’arruolamento forzato etc.: va in questa direzione la richiesta avanzata da anni dal Movimento Nonviolento dell’istituzione di un “Ministero della pace” che preveda l’addestramento di un vero e proprio ‘esercito’ per la “Difesa popolare nonviolenta”). Se questo non si afferma con chiarezza si può dare l’impressione che la Nonviolenza sia un’ottima soluzione nelle situazioni ‘moderate’, ma vada messa nell’armadio in attesa di tempi migliori quando il gioco si fa serio.

Queste incertezze nell’esposizione di Minaldi riflettono, probabilmente, un’impostazione di fondo per lo meno problematica: la dicotomia fra “etica” e “politica” e l’attribuzione della scelta nonviolenta essenzialmente alla prima sfera. In tale scenario, infatti, è inevitabile che certi principi etici – in sé intoccabili – vadano poi declinati nella prassi storica concreta con elasticità. Ma è una prospettiva corretta? Personalmente ritengo che l’adozione della Nonviolenza debba essere, prima di tutto ed essenzialmente, una scelta pratica, strategica, conveniente utilitaristicamente: non possiamo agganciare a una determinata visione etica perché l’agganceremmo a un gancio su cui è arduo trovare consenso lungo i secoli e alle varie latitudini del pianeta. Non c’è dubbio – e qui valorizzerei il discorso di Minaldi e dei tanti che sul punto la pensano come lui  - che la fedeltà al metodo nonviolento può essere incoraggiata da certe etiche e scoraggiata da altre: come non essere d’accordo con l’autore quando inserisce la nonviolenza come prassi politica in una più ampia prospettiva di rifiuto della violenza nei confronti della natura (ecocidio), delle donne (patriarcato), delle fasce sociali sfruttate (capitalismo attuale)  e degli altri animali (consumo delle carni)? Personalmente mi ritrovo in pieno in questa fondazione etica a trecentosessanta gradi, ma mi guarderei bene dal presentarla come l’unica accettabile. Il rapporto della nonviolenza con una certa etica è a mio avviso analogo al rapporto della nonviolenza con una certa religione: in Gandhi, ad esempio, con il suo induismo. Che è una fede altamente nobile, se vogliamo particolarmente consona con una postura nonviolenta nel mondo, ma non certo ad essa legata a doppio filo: si può essere nonviolenti senza essere induisti (o gianisti o cristiani) e si può essere induisti  (o gianisti o cristiani)  senza essere nonviolenti.

Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com

Per la versione originaria illustrata cliccare qui:

https://www.zerozeronews.it/per-una-elaborazione-esistenziale-e-politica-del-sessantotto/

sabato 8 novembre 2025

MERCOLEDI' 12 NOVEMBRE AL "GRAMSCI" DI PALERMO DISCUTIAMO DI GIORNALISMO IN TEMPO DI GUERRA

L’ultimo libro di Andrea Cozzo, Media di guerra e media di pace sulla guerra in Ucraina. Promemoria e istruzioni per il futuro (Mimesis, Milano-Udine 2025, pp. 190, euro 17,00) è dedicato innanzitutto ai professionisti della comunicazione, ma, più ampiamente, a tutti noi lettori, ascoltatori e spettatori. L’autore, professore di Lingua e letteratura greca all’Università di Palermo, è impegnato da decenni nello studio della nonviolenza, da cui ha tratto molteplici frutti: sia volumi (Conflittualità nonviolenta. Filosofia e pratiche di lotta comunicativa con Mimesis, sintetizzato nel più recente  La nonviolenza oltre i pregiudizi. Cose da sapere prima di condividerla o rifiutarla con le edizioni Di Girolamo); sia Laboratori universitari con crediti formativi riconosciuti e Corsi di formazione dedicati a Forze dell’Ordine; sia con azioni dirette in varie situazioni di conflitto  (talora non poco dolorose).

Il volume è distinto in tre parti.

La fotografia della situazione

La prima fotografa la situazione in corso: “il racconto mediatico della guerra in Ucraina, fin dal 24 febbraio 2022, è stato l’apogeo della violenza culturale perpetrata quotidianamente e senza mezze misure, sulla base del triplice principio (enunciato da Johan Galtung) D- M – A:  Dicotomizzazione («Noi» vs. «Loro»), Manicheismo (il Bene – il Male), Armageddon (la Vittoria militare è l’unica soluzione)” (p.19). Vengono diffuse notizie false, a cui – se inevitabili – seguono mezze smentite: “ciò che in tempi di pace sarebbe immediatamente percepito come un’ovvia sciocchezza, in tempi di guerra, sotto il fuoco compatto del giornalismo di fazione, diventa la semplice normalità” (pp. 49 – 50). In prossimità di una guerra i legami fra potere politico e organi di informazione si fanno più stretti. Karl Kraus ha sintetizzato il fenomeno con la sua proverbiale icasticità: “Come viene governato il mondo e com’è che viene condotto in guerra? Dei diplomatici ingannano dei giornalisti e, quando poi leggono il giornale, finiscono col credere alle proprie menzogne”. Una volta che la guerra sia dichiarata, il connubio non si scioglie, anzi si rafforza in un condizionamento reciproco che si travasa in condizionamento dell’opinione pubblica: chi osi criticare le scelte del governo – a partire dalla scelta di entrare in conflitto armato – è accusato di tradimento e, dunque, la maggior parte degli addetti ai lavori o alza il tono della voce per guadagnare medaglie come difensore dell’onor di Patria o (se nutre dei dubbi sull’entusiasmo bellicistico) previene la condanna con l’autocensura. Risultato: “I media si costituiscono come monolitici «media di guerra»” (p. 10), i giornalisti si considerano e vengono considerati “militari senza divisa”(p. 48)  e  “l’informazione” – parafrasando Carl von Clausewitz  – diventa “guerra combattuta con altri mezzi”.

Indicazioni terapeutiche

Ma Cozzo non si limita alla diagnosi dei mali: la seconda parte del volume (inspirata al principio “Un altro giornalismo è possibile!”) è infatti dedicata alle indicazioni terapeutiche per transitare (qualora se ne veda la necessità e se ne abbia la volontà) “dal giornalismo di guerra al giornalismo di pace”). Di queste indicazioni l’autore offre un’elencazione più estesa in 17 “regole” (pp. 136 – 141) proposte da Jake Lynch  e Johan Galtung  nonché una lista più sintetica in 10 “regole” (pp. 141 – 142) predisposta dai due medesimi studiosi. Per brevità riporto qui un’elencazione ancora più sintetica di 5 punti fissati dal professore israeliano Dov Shinar:  “1. Esplorare le circostanze e i contesti in cui nasce un conflitto, e presentare cause e ipotesi da diversi punti di vista (…); 2. dare voce alle opinioni di tutte le parti coinvolte; 3. offrire soluzioni creative per la risoluzione dei conflitti (…); 4. smascherare le bugie (…) di tutte le parti, e rivelare gli eccessi commessi e le sofferenze subite da persone di ogni fazione; 5. dedicare più attenzione alle storie di pace e agli sviluppi post-bellici” (p. 120). 

Due questioni di fondo

Questo libro, nato chiaramente dal crogiuolo della drammatica cronaca dei nostri giorni, non è un instant-book con la data di scadenza ravvicinata. Esso infatti, con passo induttivo, risale dal “basso”  della scottante attualità all’  “alto” di tematiche di fondo e di lungo periodo, come dimostrano i due allegati che costituiscono la terza e ultima parte del volume: Prontuario di azione nonviolenta di fronte alla guerra e Democrazia, democratura e nonviolenza. Impossibile sintetizzare in poche righe la ricchezza delle informazioni e soprattutto delle argomentazioni offerte dall’Autore anche in questi due testi che completano opportunamente un libro che solo uno studioso di grande preparazione e di ancor più grande onestà intellettuale poteva approntare come contributo al dibattito pubblico. É vero che, nell’epoca del mordi-e-fuggi, non saranno molte le persone che si vorranno regalare qualche ora di riflessione critica sulle tragedie planetarie in atto, preferendo il ruolo di tele-tifosi davanti a uno schermo televisivo o di inter-nauti appollaiati su una tastiera da cui ‘sparare’ sentenze e slogan. Ma è altrettanto vero che quelle poche persone saranno grate a Cozzo perché, ancora una volta, nel frastuono delle urla da un fronte all’altro (e viceversa!), ha saputo interporre parole meditate, meritevoli di una pausa silenziosa d’ascolto.

Augusto Cavadi

Per la versione originaria illustrata cliccare qui:

https://www.pressenza.com/it/2025/11/media-di-guerra-e-media-di-pace/





venerdì 7 novembre 2025

ELIO RINDONE RILEGGE MARCO D'ERAMO: LA GUERRA INVISIBILE DEI POTENTI CONTRO I SUDDITI

E' on line (scaricabile gratuitamente) l'ultimo numero della bella rivista di alta divulgazione "Dialoghi Mediterrarnei" dell'Istituto euro-arabo di Mazzara del Vallo (TP). 

Tra altri articoli degni di particolare interesse segnalo questa recensione, a firma di Elio Rindone, del volume di Marco D'Eramo, Dominio. La guerra invisibile dei potenti contro i sudditi, Feltrinelli, Milano 2020:

https://www.istitutoeuroarabo.it/DM/il-premio-nobel-per-leconomia-uninvenzione-neoliberista-che-ha-cambiato-il-mondo/

mercoledì 5 novembre 2025

PRESENTAZIONE ON LINE DEL VOLUME DI M. FOX "IN PRINCIPIO ERA LA GIOIA"

 Carissime/i,  l' Associazione Liberare l'Uomo di Treviso,  invita tutti a partecipare gratuitamente all'ultimo Incontro online  (su Zoom e su YouTube)  sui Temi del Convegno "OLTRE IL PECCATO, IL DONO DELL'IMPERFEZIONE" concluso da poco. 

 La sera di   Giovedì 6 novembre 2025,     dalle ore 21:00   alle ore 22:30    (collegamento su Zoom alle ore 20:45, avvio su YouTube alle ore 21:00)     si terrà il quinto ed ultimo Incontro online in programma, dal titolo:       

 In Principio era la Gioia: l'Original Blessing secondo Matthew Fox                                       

 con      Augusto Cavadi.

   Per iscriversi a questo incontro su Zoom, occorre compilare il format che trovate al seguente link: https://us02web.zoom.us/meeting/register/Sna5moeXRqWJP7EZklv6Dg#/registration  

La partecipazione è gratuita e sempre aperta a tutti.   E' tuttavia necessario - per motivi di sicurezza - che tutti coloro che desiderano partecipare via Zoom si siano prima iscritti alla video conferenza, possibilmente entro le ore 18:00 del giorno dell'incontro. Successivamente, entro il pomeriggio dello stesso giorno o anche poche ore prima dell'inizio dell'Incontro, gli iscritti riceveranno il link utile per il collegamento.  Per seguire gli incontri - che avranno effettivo inizio la sera alle ore 21:00 - vi raccomandiamo in ogni modo di collegarvi su Zoom sempre 15 minuti prima, alle ore 20:45.    Segnaliamo inoltre che al momento su Zoom  abbiamo il limite di 97/98 posti ( il sistema raggiunto questo numero non accetta più nessuno ), per cui in generale è importante che si iscriva a Zoom chi è sicuro di poter partecipare, altrimenti occupa posti che potrebbero essere utilizzati da altri.   E' comunque ugualmente possibile, senza iscrizione e senza limiti di numero, seguirci in diretta streaming sulla piattaforma YouTube, all'interno del 'canale' Youtube di Liberare l'Uomo.   Per eventuali domande da porre al relatore durante l'incontro è possibile utilizzare sia la chat di Zoom, sia la chat di YouTube.   Entro pochi giorni dall'evento (non appena sarà pubblicato) potrete poi sempre ritrovare liberamente la video-registrazione dell'avvenuto Incontro sul 'canale' Youtube di Liberare l'Uomo, all'indirizzo:     https://www.youtube.com/c/LiberareLuomo   

  Attraverso la condivisione di questo messaggio potete coinvolgere altre persone interessate.  

Vi aspettiamo in tanti all'incontro online di giovedì 6 novembre, che chiude gli approfondimenti sul tema del recente Convegno! Per noi, per voi - e per quanti altri vorranno partecipare - sarà ancora un'occasione di approfondimento e di crescita.  Grazie a tutti per l'attenzione, i nostri più cordiali saluti e arrivederci a presto! 

 Il Direttivo dell'Associazione Liberare L'Uomo   

Per informazioni: tel. cell.: 338 1104831  info.liberareluomo@gmail.com  org.liberare@gmail.com  https://liberareluomo.it/siteon/    https://www.youtube.com/c/LiberareLuomo