mercoledì 14 maggio 2025

DIFENDERE LA PATRIA, MA NON NECESSARIAMENTE CON LE ARMI

 La cinquantina di guerre attualmente in corso sulla faccia della Terra possono provocare o assuefazione (ed è ciò che avviene nella maggioranza degli esseri umani non coinvolti direttamente) o sconforto emotivo (ed è ciò che avviene in sparute minoranze di persone più sensibili). Ma è possibile un terzo tipo di reazione, combinato disposto di lucidità mentale e di sincera compassione per la sofferenza dei viventi: attrezzarsi per una gestione nonviolenta dei conflitti in atto e, soprattutto, per prevenire gli imminenti.

Cosa significa davvero gestione nonviolenta di un conflitto? E’ una via praticabile o un sogno irrealizzabile? Ci sono precedenti storici convincenti? Cosa può fare il cittadino “comune” per condizionare le scelte politiche dei governi nazionali?

A queste e altre domande risponde l’ultimo, corposo, dei quaderni “Satyāgraha” (pubblicati da anni dal Centro Gandhi di Pisa) intitolato La coscienza dice no alla guerra. Per un rilancio dell’obiezione di coscienza e per una nuova idea di difesa, a cura di E. Sanfilippo e A. C. Raineri, pp. 190, euro 20,00) che verrà presentato nei prossimi giorni a Napoli il 19 maggio, a Veroli (FR) il 20 maggio, a Roma il 21 maggio, a Trento il  23 maggio, a Bolzano il 26 maggio, a San Gimignano (SI) il  28 maggio, a Pisa il 30 maggio, a Ivrea (TO) il 3 giugno, a Castellazzo Novarese (NO) il 4 giugno, a Torino il 5 giugno e a Busca (CN) il 6 Giugno (per i dettagli sui luoghi delle presentazioni e per l'acquisto del libro: com.arcadishantidas@libero.it) . Come indicato da titolo e sottotitolo, la chiave di lettura del volume monografico è l’obiezione di coscienza al servizio militare che ha (come ricorda già nella Prefazione Alex Zanotelli) una storia antica almeno duemila anni: “Noi cristiani abbiamo tradito il vangelo di Gesù. Eppure, le prime comunità cristiane per ben tre secoli praticarono la nonviolenza di Gesù, pagando con la morte il loro rifiuto di entrare nelle legioni romane. Ed hanno messo in profonda crisi l’Impero Romano” (p. 8). Dall’imperatore Costantino in poi, invece, le Chiese (con poche eccezioni) hanno benedetto gli eserciti perfino di cristiani contro cristiani, come sta avvenendo in Russia ed Ucraina.

La battaglia per il diritto a difendere la Patria con mezzi nonviolenti, trascurata dalla quasi totalità dei sedicenti “credenti”, è stata ripetutamente rilanciata da personaggi, movimenti e organizzazioni di altra matrice religiosa (pensiamo all’induismo di Gandhi) o di nessun orientamento religioso (come nel caso di Danilo Dolci).

Il tema specifico dell’obiezione di coscienza è intelligibile solo all’interno dell’ottica più generale della nonviolenza che – come ben chiariscono nel saggio di apertura i due curatori del volume- è una strategia mirata “alla coscienza” di ciascuno (pp. 9 – 14). Ed è una strategia con una lunga storia alle spalle che da Giampiero Girardi, Antonino Drago, Ermete Ferraro, Alfonso Navarra, Rossano Salvatore e Rosario Greco rievocano dai tempi della guerra in Algeria a oggi (pp. 19 – 92, 127 - 134). Un “oggi” in cui si moltiplicano non solo le idee, ma anche le esperienze di alternative alle armi, con un ruolo di primo piano delle donne (cfr. i racconti di Maria Albanese, Mariella Pasinati, Nella Restivo e Giuliana Martirani, pp. 95 – 116): dagli obiettori di coscienza in guerre in corso (cfr. Maria D’Asaro, pp. 119 – 125 e la testimonianza di “Operazione Colomba – Comunità Papa Giovanni XXIII, pp. 135 - 144) agli “interventi civili di pace” (pp. 145 – 151).

Ma perché il dibattito politico e più in generale il dibattito pubblico non si occupano  quasi mai, neppure per contestarla con argomenti, della nonviolenza attiva e organizzata come alternativa al dilemma dominante o resa inerte o reazione armata? Una responsabilità immensa è anche del sistema scolastico che, tradizionalmente ignorante rispetto alla teoria e alle pratiche della nonviolenza, in questi ultimi anni si va attivando sempre più per coltivare una mentalità bellicista nei giovani (come documenta l’ “Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università”  (pp. 153 – 159).

Il prezioso quaderno si chiude con una quarta parte dedicata alle indicazioni operative, concrete, per chi voglia – personalmente o informando giovani del proprio raggio d’azione – su come “dichiararsi obiettori oggi” (pp. 161 – 172): infatti l’obbligatorietà della leva militare non è stata abrogata (come comunemente si suppone) ma solo sospesa. In qualsiasi momento il Governo nazionale può interrompere la sospensione e chiamare alle armi i cittadini maschi fra i 18 e i 40 anni, i quali avrebbero a disposizione solo 15 giorni di tempo per avanzare formale dichiarazione di obiezione di coscienza: troppo pochi se, nel periodo anteriore, non si è diffusa una sufficiente informazione e se non si è radicata un’adeguata formazione etico-politica.

Augusto Cavadi

Per la versione originaria corredata da foto cliccare qui:

https://www.zerozeronews.it/difendere-la-pace-con-la-pace/

venerdì 9 maggio 2025

LE DISAVVENTURE TERRESTRI DI MR. CUPIDO

 Cupido è un angelo strano. Prima di far parte della corte celeste del Dio monoteista ha fatto a lungo parlare di sé anche come dio del pantheon latino e, con il nome originario di Eros, dell’Olimpo dei Greci. Annabella Di Vita, in un delizioso libretto fruibile dai 9 ai 99 anni (ma, se forniti di buoni occhiali, anche oltre), Cupido into the wild “ché la dritta via era smarrita” (Amazon Italia, pp. 102, euro 8), ne narra le disavventure incorsegli durante una movimentata missione sulla Terra.

Tutto inizia dopo il diploma a conclusione del “liceo degli angeli”: per non lasciarlo disoccupato, san Pietro lo spinge fuori dalla nuvola e lo lascia atterrare a Palermo, più precisamente sulla discarica di Bellolampo (dove “una montagna di sacchetti di plastica variopinti attutirono l’impatto col suolo”, pp. 10 – 11). Il primo incontro è con Virginia, una mantide religiosa affettuosamente chiamata Manty dagli amici: sarà la sua guida tra i vicoli di una città da cui spesso si allontanerà per sorvolare l’intera Sicilia (“Che isola splendida! Di quanto amore avrebbe bisogno? Ce ne vorrebbero mille, di Cupidi, per ripristinare un accettabile equilibrio”, p. 15).

Ma ad incuriosirlo è la situazione italiana in genere con le domande che suscita: ad esempio cosa sia “la politica che da noi in Paradiso non esiste” e che, probabilmente, è “un ristorante raccomandato dalla guida Michelin, perché si dice in giro che lì «ci mangiano in molti» o, forse, “una fabbrica di cuoio funzionante a pieno ritmo” dal momento che “dicono anche che lì «si fanno, continuamente, le scarpe l’uno con l’altro»” (p. 18).

A un certo punto della storia Cupido decide di aiutare l’umanità in crisi aprendo un consultorio per “astratti”. Al suo studio, in cerca di psicoterapia, passano la Morte, il Sogno, l’Idea (“una tipa interessante, alternativa e ribelle”, p. 58), gli Ideali (“un gruppetto di Cavalieri Astratti in abiti d’epoca”, p. 61), la Logica (che, per non essere licenziata, è costretta a diventare “l’Illogica aziendale”, p. 65), il Subconscio (ricettacolo di “brutti ricordi”, “traumi infantili”, “desideri ambigui”, p. 66), il Tempo (angosciato dall’impossibilità di conoscersi, dal momento che si percepisce “effimero, profugo in una fuga senza tregua, impegnato in una corsa senza traguardi”, p. 68).

Intanto anche la mantide affronta esperienze estreme come il ricovero in un ospedale per un check-up di routine: “Mentre presentavo le pratiche è arrivato un signore con la gola tagliata, perdeva fiumi di sangue. Si è presentato al pronto soccorso e gli hanno detto di sedersi e rispettare il turno. Dopo due ore di attesa, la testa gli pendeva completamente da un lato. Il medico di guardia era un ginecologo, non poteva intervenire…”(pp. 71- 72).

Inutile aggiungere che Cupido, terrorizzato dal transito mondano, chiede e ottiene da Gesù stesso di ricongiungersi con Amore e con Eros e di tornare in cielo: “Imbarcatevi tutti  e tre sul primo volo di Rainbow Universal Airlines in partenza dalla terra. Prenotate i posti in Paradise class, tanto paga papà con la master card Oro” (p. 83). Rimasta sola sul nostro mondo, Manty decide di diventare vegetariana e- probabilmente non per caso ! – fu dopo la sua saggia decisione di non divorare altri corpi  che “l’amichetto che lei amava da anni, Mantis Totuccio, si convinse che la mantide era l’unico insetto per il quale sarebbe valsa la pena di perdere la testa, e le propose di sposarla” (p. 92).

Il racconto si snoda su questo registro umoristico, talora ironico, ma ciò non deve ingannare. Per molti versi, infatti, un po’ come Il piccolo principe di Saint-Exupery, si presta a differenti livelli di lettura: se nell’immediato suscita sorrisi intelligenti, ad una rilettura rivela acute critiche sociali e persino intuizioni filosofiche.

Augusto Cavadi

Per la versione originale illustrata:

https://www.zerozeronews.it/la-leggenda-di-cupido-e-gli-eterni-misteri-dellamore/

giovedì 8 maggio 2025

VACANZE FILOSOFICHE PER NON...FILOSOFI: ALTO MOLISE, 19 - 25 AGOSTO 2025

 

Il gruppo editoriale Il pozzo di Giacobbe-          Di Girolamo di Trapani organizza la

dal 19 al 25 agosto 2025, ad Agnone in provincia di Isernia.

Il tema di quest’anno è “Il riso filosofico, almeno in parte silenzioso“.

Per maggiori informazioni cliccare qui:

https://vacanze.filosofiche.it/2025/04/30/edizione-2025-agnone/


mercoledì 7 maggio 2025

QUANDO AD AFFOGARE TRA LE ONDE ERAVAMO GLI ITALIANI

“Sono fortemente contrario alla politica detta delle porte aperte. E’ arrivato il momento in cui chiunque abbia a cuore il futuro della nazione deve preoccuparsi di questa poderosa ondata d’immigrati. A meno di qualche seria iniziativa l’ondata avvelenerà le sorgenti stesse della nostra vita e del nostro progresso. Ospitiamo nelle nostre città più grandi un numero enorme di stranieri tra i quali proliferano il crimine e le malattie”. Quando, dove e da chi sono state scritte queste parole?

L’anno è il 1905. Il luogo sono gli Stati Uniti d’America. L’autore è Frank P. Sargent, Commissario del Governo federale all’Immigrazione. A chi si riferiva? Agli italiani che, tra mille peripezie, spesso perdendo la vita prima di raggiungere i porti di partenza o durante le traversate per le condizioni sanitarie intollerabili, sbarcavano a New York. Ma l’alto funzionario statunitense non faceva di ogni erba un unico fascio: sapeva distinguere, infatti, tra “siciliani e calabresi” (che, a suo parere, “sono i più pericolosi perché sono furbi”) e i veneti, “meno pericolosi perché un po’ stupidotti”.

Quattordici anni prima un piroscafo zeppo di questi delinquenti ammorbanti, e dal nome beneaugurante di “Utopia” (per i viaggiatori meno istruiti “Tobia”), era salpato da Palermo alla volta dell’America ma proprio allo Stretto di Gibilterra aveva fatto naufragio, involontariamente speronata da una nave da guerra britannica contro cui si era scontrata a causa di avverse condizioni atmosferiche: dei circa 870  tra passeggeri e membri dell’equipaggio solo circa 150 sopravvissero e poterono scegliere se tornare a casa o raggiungere la Terra Promessa. Non era certo il primo naufragio in quella rotta né sarebbe stato l’ultimo, ma - poiché erano coinvolte a vario titolo autorità italiane, spagnole e britanniche – i giornali dell’epoca ne parlarono a lungo, seguendo sia i processi giudiziari che i dibattiti parlamentari. Insomma, nonostante  i 700 e più naufraghi periti fossero poveri disgraziati, l’incidente ottenne più attenzione nell’opinione pubblica di quanto ne ricevano oggi vicende simili riguardanti emigranti africani o medio-orientali. Ma “la tragedia dell’Utopia”, proprio perché ha interessato esponenti delle  “classi subalterne” e non dei “ceti dirigenti”, “non è entrata nella memoria collettiva della nazione” (p.135). 

L’onestà intellettuale e la sensibilità morale di Roberto Lopes l’hanno dunque indotto a ripescare dall’oblio questa tragica pagina di storia nel suo intrigante volume  1891. Il naufragio del piroscafo Utopia (Istituto Poligrafico Europeo, Palermo 2023), impreziosito dalla meditata prefazione di Vincenzo Guarrasi. L’autore ha inserito l’episodio nel quadro complessivo delle ondate migratorie dalla Penisola (soprattutto dalle regioni meridionali e dalla Sicilia) formate da gente che non abbandonava beni e affetti in cerca di facili guadagni, ma perché costretta da condizioni di sfruttamento disumane nel silenzio complice di governi nazionali legati a doppio filo  agli industriali del Nord e ai latifondisti del Sud.

Le pagine che, sulla base dei report dell’epoca, descrivono la strage di uomini, donne, bambini sono davvero toccanti: in frangenti del genere noi umani diamo prova di generosità impensabile (“Vari naufraghi che si erano salvati, non vedendo i loro congiunti si gettarono nuovamente in mare, per salvarli, ma rimasero preda delle onde”, p. 52) e di altrettanto impensabile egoismo (“Le donne restarono abbandonate alla loro sorte perché gli uomini badavano solamente alla propria salvezza, in poche riuscirono a salvare la vita”, p. 50). Non mancano le osservazioni sulla illegalità sistemiche che resero il bilancio delle perdite più alto di quanto sarebbe stato se si fossero rispettate le normative: solo per citarne una, “a bordo dell’Utopia c’erano solo 160 salvagenti” e pertanto “erano violate le regole del Consiglio del Commercio, che richiedeva la presenza di un numero di salvagenti pari alle persone imbarcate” (p. 50). Come nella migliore tradizione italiana ai superstiti – cui per la verità non era mancata una generosa solidarietà della popolazione civile di Gibilterra e dintorni – toccarono le disavventure supplementari causate dalla burocrazia statale che prolungò a lungo l’effettiva consegna delle somme determinate in sede giudiziaria a titolo di risarcimento per i lutti e i danni subiti.

La lettura del libro, oltre a colmare una lacuna del passato, impone riflessioni anche sul “presente rimosso” (secondo la formula coniata da Guarrasi) in cui “l’Utopia di un mondo migliore” sembra affondata “nell’egoismo e nella indifferenza” (p. 137). Riflessioni non soltanto, direi ovviamente, riguardanti i flussi migratori verso l’Italia, ma anche – meno scontatamente – il fenomeno dei tanti giovani istruiti che emigrano dall’Italia verso nazioni in cui, pur tra mille difetti della popolazione e asperità del clima, c’è ancora la possibilità di veder riconosciute le proprie qualità professionali ed umane. In cui, a differenza che da noi, professori universitari o primari ospedalieri si diventa non per corredo genetico o per elasticità della schiena o per fantasiosità erotica , ma per meriti oggettivi. Anche per gli emigranti italiani di oggi ogni partenza è una spartenza (= una separazione) che cellulari e internet rendono meno dolorosa, ma non per questo meno irreversibile.  Unica (magra) consolazione: i nostri figli e i nostri alunni non rischiano di annegare fra i flutti, come quel ragazzino africano che pochi anni fa ha portato con sé nel regno dei morti la pagellina scolastica, a perenne vergogna di chi si ritrova un cuore talmente inaridito da non avvertire il bisogno di piangere quando gliene affiora il ricordo.

Augusto Cavadi

·       Il libro sarà presentato mercoledì 7 maggio alle 18.30 presso la “Casa dell’equità e della bellezza” di Palermo (v. N. Garzilli 43/a)

Qui la versione originale corredata da illustrazioni:

https://www.zerozeronews.it/quando-ad-affogare-fra-le-onde-erano-gli-italiani/

martedì 6 maggio 2025

QUALE CRISTIANESIMO MERITA DI ESSERE 'SALVATO'? UNA RISPOSTA A VINCENZO OLITA

 

Sul n. 563 (10 gennaio 2025) di “Società Libera online” ho letto, con consueto interesse e inconsueto disaccordo, l’articolo, a firma del Direttore Vincenzo Olita, Cultura Woke e Chiesa Anglicana, Futuro e Chiesa Cattolica. In esso vengono fedelmente rappresentate, sulla base di dati statistici, le attuali condizioni di crisi in cui versano le Chiese cristiane e, in particolare, l’Anglicana e la Cattolica: la prima “si avvia verso l’estinzione” (“Negli ultimi anni ancor più di 400 chiese hanno chiuso, in molte città esistono più moschee che chiese e i fedeli sono in netta diminuzione”); la seconda, la Chiesa di Roma, vive – “ all’infuori del clero sul continente africano” – un calo continuo di praticanti e di candidati al ministero presbiterale.

A quali cause bisogna risalire per spiegare questi sintomi di decadenza?

Olita non ha dubbi: la radice è “l’abbandono della tradizione cristiana in nome del politicamente corretto e dell’osanna per la cultura politica woke” (ad esempio la revisione dei testi liturgici e delle preghiere in generale in cui si trasmette una visione esclusivamente maschile di Dio) nonché  l’abbandono di una concezione sacrale del cristianesimo a favore di un impegno sociale in “strutture di beneficenza o enti come Amnesty International”.

Tra le righe di questa diagnosi s’intravede la terapia suggerita dall’autore: invertire la direzione di marcia degli attuali vertici delle Chiese Anglicana e Cattolica, avviati “sullo stesso cammino fallimentare di larghi strati del protestantesimo” tedesco, e rilanciare quel “patrimonio dottrinale” che “sbiadisce, giorno dopo giorno”.

Le questioni da approfondire sono almeno due.

La prima concerne l’interpretazione della crisi attraversata dalle Chiese cristiane: essa è dovuta a un aggiornamento eccessivo del patrimonio dottrinario, liturgico, morale tradizionale o a un ritardo del medesimo aggiornamento? La gente non va più a messa o non si sposa più in chiesa perché il linguaggio dei preti e dei teologi è mutato troppo negli ultimi cento anni (risultando spiazzante) o perché è mutato troppo poco (risultando obsoleto, scarsamente comprensibile, inconciliabile con la cultura del cittadino medio)? Personalmente non ho dubbi: il mezzo secolo di studi teologici che coltivo intrecciandoli agli studi filosofici mi hanno convinto sempre di più che non possiamo mutare la nostra concezione dell’uomo, della storia, della natura, del cosmo in tutti i campi del sapere e restare fermi a duemila anni fa quando parliamo con Dio (trattandolo come Imperatore dispotico) o quando parliamo tra noi di Bibbia o di dialogo fra le grandi religioni del mondo.

Ma, per comodità espositiva, ammettiamo che la risposta per cui propendo (ovviamente non da solo, bensì preceduto da giganti del pensiero teologico come Panikkar, Kueng, Drewermann, Sartori, Barbaglio, Molari, Ortensio da Spinetoli…) sia errata. Ammettiamo che una Chiesa ferma ai dogmi, ai precetti, ai divieti, alle formule di preghiera personale e comunitaria…di settanta o di ottanta anni fa (Olita evoca nostalgicamente addirittura la “essenza controriformista” di mezzo millennio fa!) fosse più appetibile, più seducente, più popolare di una Chiesa in autocritica, talora in vera e propria rifondazione: con che criterio dovremmo procedere? Dovremmo optare per una Chiesa in grado di raccogliere consensi o per una Chiesa che, spogliatasi di superfetazioni teologiche e istituzionali, prova a recuperare il vangelo originario, a sintonizzarsi con il progetto di Gesù e dei primi discepoli? Dovremmo, insomma, privilegiare la ricerca del successo o la fedeltà alla verità?

Anche su questa seconda questione non ho dubbi: se scopro che la mia Chiesa ha accumulato potere e denaro falsificando l’insegnamento dei profeti, del Maestro e dei suoi apostoli; seminando promesse illusorie e minacce infondate; imponendo in nome di Dio, sulle spalle della povera gente, dei pesi inventati da uomini…ho il dovere morale, prima ancora che il diritto intellettuale, di denunziare l’imbroglio secolare. Anche a costo che le Chiese storiche, con miliardi di fedeli più confusi che persuasi, chiudano i battenti e lascino terreno a piccole Chiese costituite da uomini e donne in sincera, continua, ricerca di ciò che veramente ha proposto (insieme a tante cose inaccettabili o comunque datate) il filone del profetismo ebraico-cristiano.

Se il criterio è condivisibile, allora il compito della teologia libera e liberante sarà di risalire, per quanto possibile alle scienze bibliche ma con serietà scientifica e spirituale, al messaggio cristiano dei primi secoli: prima che l’infausta alleanza con l’imperatore Costantino trasformasse in ideologia sociologicamente conveniente una rivoluzionaria proposta di vita più sobria, fraterna, solidale, compassionevole. Verso questo cristianesimo i privilegiati della Terra non potranno nutrire simpatia e, legittimamente, appoggeranno altre versioni ‘sacrali’, ottime come “oppio dei popoli”; ma perché stentano a riconoscerne la fondatezza storica e la valenza salvifica anche persone impegnate con dedizione nella costruzione di una “società libera”?

Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com

* Poiché, in maniera non esattamente 'liberale', il Direttore di "Società libera online" ha preferito non ospitare sulla Sua rivista questa mia 'replica', essa è stata pubblicata da Gianfranco D'Anna su:

https://www.zerozeronews.it/chiesa-senza-futuro-non-hanno-un-domani-solo-quanti-non-credono-nella-sua-valenza-salvifica/