sabato 31 luglio 2021

VACCINO ANTI-COVID ? UNA TESTIMONIANZA DA CITTADINO E DA FILOSOFO


 PERCHE’  MI SONO VACCINATO 

 E PERCHE’ LO COMUNICO PUBBLICAMENTE

 

La filosofia è stata la passione più forte della mia vita. Ma ognuno coltiva il suo orto con gli attrezzi che ha. Per esempio sono riuscito a capire qualcosa di Platone e di Aristotele, di Kant e di Wittgenstein, ma più in su non sono riuscito ad arrivare: per esempio non ho mai capito cosa avessero scritto davvero Cacciari e Agamben. 

A riprova che non tutto il male viene per nuocere, la pandemia e l’istituzione della “carta verde” hanno impietosito i due illustri colleghi, inducendoli – forse per la prima volta – ad esprimersi in maniera comprensibile perfino da me. Il compiacimento, però, è durato poco: ora che ho sciolto i dubbi su un loro pensiero, sono certo di non essere d’accordo. 

Per la verità non sono i primi – e temo che non saranno gli ultimi – fra gli studiosi di filosofia da me stimati che in questi due anni si sono pronunziati  contro tutti o contro alcuni dei successivi provvedimenti governativi: la quarantena, la mascherina, la vaccinazione, la certificazione verde. 

Devo confessare che queste autorevoli prese di posizione teoriche (è ovvio che siamo in un campo in cui nessuno può sindacare le emozioni, le paure, le idiosincrasie soggettive di altri: contestare le idee è legittimo, anzi doveroso; altrettanto doveroso rispettare la soggettività di chi quelle idee elabora ed esprime) mi hanno scoraggiato al punto da rendermi impossibile contro-argomentare. Ho avuto l’amara impressione di assistere ad una interpretazione del metodo filosofico di tipo puramente logico-deduttivo (in qualche passaggio retorico-dialettico: capovolgo il senso comune per stupire il borghese), senza nessun aggancio ai volti e alle storie effettive delle persone intorno a me.

Ma ci sono silenzi che, prolungati oltre un certo limite, diventano viltà.

Per questo ho deciso di infrangere il mio con una testimonianza da cittadino e da filosofo: pur non ignorando rischi e contro-indicazioni della vaccinazione (non mi risulta che, specialmente agli inizi di ogni cura, ci siano stati vaccini immuni da pericoli) ho chiesto e ottenuto la mia dose di Pfeitzer.

Se fosse stato in gioco solo la mia salute individuale, probabilmente avrei optato per il no, attendendo riscontri statistici più rassicuranti. Ma l’idea che la mia diserzione avrebbe potuto ritardare il progressivo indebolimento del virus e  facilitare la frequenza e la gravità dei contagi ai danni di altri (specialmente soggetti fragili per età, disabilità o patologie pregresse) mi è sembrata moralmente intollerabile e civicamente criminale. 

Mi sono passate in rassegna nella memoria le decine di parenti, amici e conoscenti – di 70, 60 e perfino 50 anni - che in questi due anni sono morti per il covid-19 (e non solo con il covid-19): persone che sono state contagiate come me dal virus ma che, a differenza di me, non sono state curate prontamente e saggiamente (o il cui fisico non ha saputo reagire adeguatamente alle cure).

Mi sono ricordato delle testimonianze dei miei amici e delle mie amiche che lavorano nell’ambito della sanità e che mi hanno raccontato degli sforzi enormi cui si sono sottoposti giorno e notte per tentare di strappare almeno qualcuno dei pazienti alla morte atroce di chi, in totale isolamento, si sente mancare il respiro di ora in ora.

E ho anche approfittato dell’amicizia di una vita con un coetaneo che ha insegnato scienze biologiche all’università di Palermo per decenni, dopo aver trascorso anni di specializzazione su queste tematiche alla Rockfeller University di New York, per chiedergli un parere motivato: mi ha risposto che pochi mesi fa, se gli avessero detto che si sarebbe potuto creare un vaccino contro questa epidemia, avrebbe riso d’incredulità. Ma – con sua sorpresa – ha constatato, esaminando nei dettagli il farmaco,  che la ricerca biologica ha compiuto un miracolo laico: e, cedendo all’evidenza, egli ha chiesto il vaccino per sé e per tutta la numerosa famiglia. 

Considerato l’insieme di questi elementi, la mia conclusione operativa è stata dunque meditata e ragionevole. 

Quanto alle tesi di Cacciari e Agamben ( Lettera di Cacciari e Agamben ) non saprei trovare contro-argomentazioni migliori di quelle sinora esposte da altri illustri colleghi filosofi (di cui tuttavia qualche volta non condivido il tono) e scienziati:

 

·      Risposta di Paolo Flores d'Arcais

·      Risposta di Maurizio Ferraris

·      Risposta di Giovanni Boniolo

·      Risposte di Enrico Bucci, davide D'Alessandro e Donatella Di Cesare

·      un intervento di Marco Revelli anteriore alla lettera di Cacciari e Agamben

un intervento di Teresa Simeone precedente la Lettera di Cacciari e Agamben 

 

Questa nota la dovevo ai miei amici, ma soprattutto alla filosofia: non posso contribuire, per reticenza, alla diffusione dell’opinione che essa sia sempre, ed essenzialmente, contestazione del potere politico (anche quando esercitato da cittadini democraticamente eletti che hanno sinora assunto, sul tema,  decisioni  migliori di altri politici – o di  me  stesso) e spregio sistematico del buon senso dell’uomo della strada (anche quando, pur con gravi errori di comunicazione, supportato dalla stragrande maggioranza degli scienziati). 

 

Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com

giovedì 29 luglio 2021

FILOSOFIA COME TERAPIA DEL DOLORE ? ULTIMA CHIAMATA (SI SONO LIBERATE DUE STANZE)


 FILOSOFIA COME TERAPIA DEL DOLORE?

Può la filosofia lenire il dolore che contrassegna, più o meno fortemente, la vita di tutti noi mortali? Per molti la riposta è negativa. Hanno conosciuto la filosofia a scuola o all’università, quasi esclusivamente sotto forma di storia della filosofia, come una disciplina astratta che – non diversamente dalla matematica o dalla chimica – scorre parallela rispetto alla vita effettiva. Altre persone, però, intendono e praticano la filosofia come esercizio critico del proprio pensiero e, anche se ignorano importanti  testi classici della tradizione occidentale e orientale, cercano nell’osservazione della realtà, nella meditazione silenziosa, nel dialogo con gli altri…delle indicazioni per vivere più consapevolmente. Dunque più intensamente.

A queste persone – professionalmente estranee alla filosofia istituzionale – è dedicata la XXIV “Settimana filosofica per …non filosofi”  programmata a  Celano (L’Aquila) dalla sera del 21 al pranzo del 27 agosto 2021 sul tema: Filosofia: terapia del male?

Vi si svolgeranno ogni giorno due seminari (dalle 9 alle 10,30 la mattina, dalle 18 alle 19,30 la sera) introdotti, a turno, dai filosofi Elio Rindone (Roma), Augusto Cavadi (Palermo) e Orlando Franceschelli (Roma) (per altre informazioni www.vacanze.filosofiche.it oppure contattare, anche per w’app, 338.4907853). 

PER COMPLETARE LA LETTURA DEL BREVE POST, BASTA UN CLICK:

Filosofia come terapia del dolore?

martedì 27 luglio 2021

SENZA SPIRITUALITA’ (LAICA) NESSUNA DECRESCITA (FELICE)


 SENZA SPIRITUALITA’ (LAICA) NESSUNA DECRESCITA (FELICE)

 

Sulle teorie che propugnano una qualche forma di  “decrescita” – ve ne sono diverse versioni – si moltiplicano equivoci e fraintendimenti. Solo per limitarmi ad un pregiudizio: che si tratti di un invito a ritornare al Medioevo, se non ancor più indietro, rinunziando alle conquiste scientifiche e tecnologiche degli ultimi tre secoli. Dunque di una teoria regressiva, depressiva, da accogliere nella migliore delle ipotesi con rassegnazione. Basta però leggere uno qualsiasi degli scritti di Maurizio Pallante, il maggiore esponente italiano di questa proposta politico-economica, per rendersi conto che si tratta invece di un progetto di miglioramento della qualità della vita individuale e collettiva, da praticare con convinzione e allegria.

Nella sua più recente pubblicazione – Spiritualità, dono del tempo, contemplazione. Un approccio laico, Messaggero, Padova 2021, pp. 125, euro 10,00 – Pallante ribadisce la finalità che si prefigge (“non è il meno in quanto tale, ma il meno quando è meglio”, p. 107) ed esplicita un presupposto antropologico di rilievo: nessun cambiamento economico è possibile senza un cambiamento politico, ma nessun cambiamento politico è possibile senza una conversione culturale ed etica che egli denomina qui “spiritualità”. L’autore si affretta a precisare che non si riferisce a una “spiritualità” in senso religioso né tanto meno confessionale, bensì a una prospettiva “laica” (cita Carlo Michelstaedter e Pier Paolo Pasolini) fondata sulla “consapevolezza che il benessere materiale non è tutto e, se diventa tutto, si trasforma in malessere” (p. 29).

Proprio perché ‘laico’, lo sguardo di Pallante può rivolgersi a trecentosessanta gradi, senza escludere nessuno: dunque può evocare anche “l’insegnamento profetico insito nelle scelte esistenziali di Francesco d’Assisi” (p. 43). Il santo d’Assisi ha testimoniato che se si sperimenta una grande ricchezza interiore, se si fruisce della bellezza naturale e dell’autenticità delle relazioni fraterne e sororali, liberarsi dalla tirannia dell’accumulazione di denaro diventa facile, addirittura spontaneo. Invertendo l’intuizione di Kierkegaard (non siamo infelici perché peccatori, ma peccatori perché infelici), Francesco può indicarci una strada inedita: non felici perché virtuosi, ma virtuosi perché felici. Chi vive la pienezza di senso nella quotidianità e nella semplicità dei costumi, dei consumi, degli atteggiamenti…per quale motivo dovrebbe affaticarsi nella ricerca del lusso, del superfluo?


PER COMPLETARE LA LETTURA BASTA UN CLIK QUI:

https://www.zerozeronews.it del 26.7.2021


domenica 25 luglio 2021

LA MAFIA SPIEGATA AI RAGAZZINI (10 - 15 ANNI): OGGI FESTEGGIAMO IL LIBRO DI ADRIANA SAIEVA


 A GENITORI, INSEGNANTI, EDUCATORI 

raccomando il libro - davvero accattivante e istruttivo - che mia moglie Adriana Saieva ha dedicato ai ragazzini dai 10 ai 15 anni circa:

Cos'è la mafia? Tre giovani in cerca di risposte (Buk Buk, Trapani 2020, pp. 109, euro 12,90).

Chi si trova a Palermo, è invitato a una festa di presentazione del libretto: 

PER LA SERA DI DOMENICA 25 LUGLIO 2021

Ti proponiamo un cocktail di musica e cultura all’aria aperta

 

 

Alle ore 20,00 ci vediamo davanti al Laboratorio “Andrea Ballarò”

(Largo Rodrigo Pantaleone– si accede da via Filippo Cordova davanti all’OVS)

 

Musica e canti del Trìo Pì Prìu

 (Laura Mollica, fisarmonica; Daniela Mollica, percussioni, chitarra  e voce; Germana Salone)


Aperitivo rinforzato


Presentazione da parte di Adriana Saieva del suo ultimo libro: 

Cos’è la mafia? Tre giovani in cerca di risposte, Buk Buk, Trapani 2020, pp. 109, euro 12,90.

 

 

La partecipazione alla serata sarà garantita a chi avrà prenotato 

(scrivendo a a.cavadi@libero.it oppure w’app a 338.4907853)

 

La quota (euro 20,00) comprende:

 

·      Aperitivo                                                                           

·      Libro di Adriana

·      Tessera ARCI  2021 

 

(Ovviamente la coppia, che non voglia due copie del libro, contribuisce con 20 + 10 euro)

 

L’EVENTO è CO-ORGANIZZATO 

DALLA SCUOLA DI FORMAZIONE ETICO-POLITICA “G. FALCONE” 

DAL LABORATORIO “ANDREA BALLARO’ ” DI PALERMO


venerdì 23 luglio 2021

SENZA FORMAZIONE DEGLI AGENTI PENITENZIARI, LA SITUAZIONE DELLE CARCERI NON MUTERA’




20.7.2021

 

LASCIATE CHE LA COSTITUZIONE SCACCI GLI ORRORI DALLE CARCERI

 

E’ importante che un Presidente del consiglio dei ministri, affiancato dalla Ministra della giustizia, dica chiaro e tondo che gli episodi di violenza sui detenuti non sono incidenti imprevedibili, ma esito logico di un sistema difettoso sin dall’impostazione.

Ancora più importante, però, sarà che da queste dichiarazioni si passi ad interventi legislativi e amministrativi concreti.

I principi costituzionali ci sono già, a partire dal terzo comma dell’articolo 27 (“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”), ma – come sappiamo – le norme restano inefficaci sino a quando non entrano nella mentalità e nella prassi dei cittadini.  Anche in questo ambito, invece, la cultura dominante è vistosamente arretrata e stenta a recepire gli insegnamenti dell’Illuminismo e delle democrazie liberali. 

Decine di associazioni di volontariato, in Italia, lavorano da anni per recuperare questo ritardo, ma devono affrontare resistenze e diffidenze di vario genere: i dirigenti degli istituti di reclusione e gli agenti di polizia penitenziaria, infatti, non amano sguardi estranei dentro le mura di cinta (dove, per altro, troppo spesso le leggi dello Stato vengono disattese proprio dai suoi rappresentanti). Preferiscono che il cerchio tradizionalmente chiuso – costituito da vigilanti e vigilati – non subisca interferenze da parte di potenziali testimoni ‘terzi’. 

Invece è proprio questo circolo vizioso che va spezzato, potenziando e integrando la presenza della società davvero civile, a beneficio dei detenuti e dei loro custodi.

Dei detenuti perché, se non gli si offre qualche occasione di ripensamento e di impegno riabilitativo, usciranno dal carcere incattiviti: nel libretto Filosofare in carcere. Un’esperienza di filosofia-in-pratica all’Ucciardone di Palermo (Diogene Multimedia, Bologna 2016) ho raccontato alcune di queste iniziative di confronto dialogico su basi di pari dignità.

PER CONCLUDERE LA LETTURA DEL POST, BASTA UN CLICK QUI:

COSTITUZIONE E CARCERI IN ITALIA


mercoledì 21 luglio 2021

GIOVEDI' 22 LUGLIO 2021: "STATI GENERALI" DEL CENTRO-SINISTRA IN SICILIA. QUALCHE AVVERTENZA PRELIMINARE...


 SUGLI STATI GENERALI DEL CENTRO- SINISTRA IN SICILIA

 

Difficile non condividere la proposta di convocare gli “Stati generali della sinistra” in Sicilia, ma almeno altrettanto difficile confidare sull’efficacia dei risultati. Si può essere tendenzialmente ottimisti o pessimisti, ma anche in questo caso la lezione della storia recente è inesorabile. Quante volte, negli ultimi trent’anni, soprattutto in vista di elezioni comunali e regionali, si sono tentate - con le denominazioni più fantasiose – aggregazioni e liste ‘progressiste’ dagli esiti fallimentari? L’elenco sarebbe troppo lungo per lo spazio di un articolo.  Mi limito dunque a segnalare due o tre questioni nodali.

La prima è di metodo. Se ci si incontra per discutere e programmare non si può evitare il riconoscimento reciproco di pari dignità. Sinora, invece, è invalsa (più o meno esplicitamente) la demarcazione fra ‘politici’ ed esponenti della ‘società civile’ : con i primi convinti di essere gli esperti rispetto agli ingenui ed i secondi convinti di essere i puri rispetto ai marci. E’ un pregiudizio falso perché, nella realtà effettiva, ci sono al di fuori delle organizzazioni partitiche dei cittadini che da sempre svolgono ruoli decisivi per la funzionalità delle istituzioni a vantaggio della qualità della vita della ‘polis’; così come, tra i quadri dei partiti, troviamo non solo arrivisti opportunisti ma anche ‘volontari’ che da sempre hanno investito energie, competenze e tempo senza chiedere in cambio poltrone. Se alleanza strategica si deve tentare è dunque fra cittadini protagonisti della politica di strada e politici che hanno dato prova durevole di disponibilità gratuita, sì da isolare i carrieristi e i tromboni presenti all’interno tanto dei partiti quanto dell’associazionismo civico. 

Un secondo nodo riguarda la dialettica fra leadership e logica di squadra. Sappiamo che la preminenza di figure-simbolo nelle formazioni elettorali è un fenomeno disastroso sempre più diffuso nel panorama contemporaneo. D’altra parte, però, l’elettore-medio ha bisogno non solo di contare all’interno dell’aggregazione di riferimento, ma anche di identificarsi con un ‘capo’ almeno discretamente carismatico. Si tratta di leggi psico-sociologiche che non possiamo cancellare con un colpo di spugna. Il futuro dello schieramento progressista in Sicilia esige, perciò, l’individuazione di qualche figura di riferimento simbolico (una, ma anche due o tre) che rassicuri dal punto di vista comunicativo e soprattutto dal punto di vista della correttezza morale. Insomma, qualche nuova versione di  Leoluca Orlando, ma sfrondato da  patologici complessi di superiorità e da  conseguenti ossessioni autocratiche. (Un suo maestro, Piersanti Mattarella, ha dato prova di saper favorire il confronto e le sinergie tra i giovani della sua scuola).

Ci sarebbe almeno una terza questione da segnalare, ma è talmente essenziale da riuscire difficilmente esprimibile. Al mondo ‘progressista’ appartengono storie individuali e collettive di differente ispirazione ideale: dal comunismo al socialismo democratico, dal liberalismo di ‘sinistra’ al cattolicesimo popolare. Queste diverse tradizioni culturali possono costituire la base per un progetto politico credibile? Non di certo se affastellate come in un’insalata improvvisata. Né ancor meno  se  omologate in un pastone indistinto. Dagli Stati generali ci si aspettano idee interessanti su temi specifici,  proposte settoriali istruttive, racconti di esperienze socio-economiche o tecno-imprenditoriali riuscite. Bene. Ma le tessere di un mosaico necessitano di un disegno complessivo in cui essere inserite, in un modello globale di società e di Stato: necessitano di una elaborazione intellettuale ed etico-politica che non si improvvisa da un semestre all’altro. A simile impresa teorica, dai risvolti immediatamente pratici, sono pochi a dedicarsi stabilmente del corso dell’esistenza e, per giunta, gli ultimi ad essere ascoltati. Ammesso che qualche volta li si voglia ascoltare.

 

Augusto Cavadi 

www.augustocavadi.com

lunedì 19 luglio 2021

ANCHE A POLIZZI GENEROSA (PALERMO) TRE GIORNI DI FELICITA'

 

Sono stati, a giudizio unanime della quarantina almeno di partecipanti (nel corso dei tre giorni), dei momenti intensi, illuminanti, divertenti, commoventi. Già alla passeggiata filosofica iniziale, da me condotta sul tema "La montagna come metafora della filosofia", quasi tutti i presenti hanno contribuito con una propria riflessione (spesso in "concordia discorde" con le riflessioni altrui). Poi Maurizio Pallante, sia nella plenaria dello stesso giorno che nella "colazione al bar" della mattina successiva, è stato sobrio ma convincente nello spiegare che la "decrescita felice" da lui teorizzata e promossa 'politicamente' si propone  di diminuire i consumi (e soprattutto gli sprechi) SENZA rinunziare a nessuno dei benefici tecnologici attualmente goduti dalle fasce privilegiate dell'umanità (ed anzi estendendoli alle fasce attualmente indigenti).
Nelle altre due contemporanee "colazioni al bar" Giorgio Gagliano ha sinteticamente, ma efficacemente, illustrato le linee essenziali del Taoismo, evidenziandone la portata universale confermata dalle analogie con altre tradizioni sapienziali; mentre io ho conversato con amiche e amici sulle dibattute questioni attuali legate alla distinzione fra il 'sesso' (biologico) e il 'genere' (sia percepito soggettivamente che agito socialmente). 
Dopo il pranzo di sabato è toccato a Maurizio Muraglia incantare il gruppo, riunito nuovamente in plenaria, rinarrando il viaggio esistenziale di Dante attraverso l'inferno delle nostre 'anime', ma in vista di una 'ascesa' verso la saggezza e l'armonia cosmica.
La sera, dopo cena, Giorgio Gagliano -  questa volta in veste di maestro di violino - ha eseguito brani difficili di Bach e di Paganini, riscuotenendo la stupita ammirazione dei presenti (questa volta anche cittadini di Polizzi, più sensibili ai richiami delle note che dei concetti filosofici😊)  non solo per la perizia tecnica, ma anche per l'autentica passione musicale.
Dulcis in fundo, domenica mattina Maria D'Asaro ha presentato alcuni nuclei della proposta di Foer su come "salvare il mondo prima di cena": come fare, senza fanatismi ideologici, delle proprie scelte alimentari un modo per alleggerire l'impronta ecologica che ciascuno di noi imprime su una Terra ormai ridotta allo stremo. 

NELLA FOTO DI MARGHERITA GANCI: foto di gruppo con i coraggiosi che sono rimasti sino agli ultimi minuti della sessione domenicale conclusiva.


martedì 13 luglio 2021

LA LEZIONE ETICA DI ABELARDO SECONDO ROBERTO DI BACCO

 

LA RIVOLUZIONE ETICA DEL MONACO ABELARDO


Quelle poche persone che hanno sentito qualche volta il nome di Abelardo (XII secolo) lo associano alla sua Historia calamitatum e, in particolare, alla sua vicenda amorosa con l’alunna, tanto bella quanto intelligente, Eloisa. Infatti la più celebre delle sue calamità è stata la reazione non proprio cortese dei parenti che ne vendicarono l’onore di ragazza sedotta ma non maritata evirando il maturo professore universitario. Queste vicende, tra il romantico e il boccaccesco, hanno distratto l’attenzione dell’opinione pubblica colta dalle opere filosofiche e teologiche di questo “genio rivoluzionario e cartesiano” (V. Cousin), soprattutto dalla sua Etica (per secoli boicottata dalle autorità ecclesiastiche cattoliche, scandalizzate, secondo il domenicano Chenu,  dallo “choc sovversivo” da essa provocato).  

Proprio a quest’opera (socraticamente intitolata anche Scito te ipsum: infatti, secondo E. Gilson, “non potendo paganizzare il Cristianesimo, egli cristianizza il paganesimo), il filosofo-in-pratica torinese Roberto Di Bacco ha dedicato un’agile, leggibile, ma rigorosa monografia: L’etica di Abelardo(Segno, Feletto Umberto – Tavagnacco 2020, pp. 150, euro 14,00). 

Di questo “eccentrico intellettuale antitradizionalista in odore di eresia” l’autore sottolinea dei temi che, contestati ai suoi tempi, sono diventati oggi di patrimonio comune tra i pensanti evoluti: a cominciare dal primato dell’intenzione rispetto alla materialità delle azioni per cui un determinato gesto va valutato non tanto nella sua ‘oggettività’ quanto alla luce delle ragioni e dei fini del ‘soggetto’ che lo compie. Un esempio clamoroso suggerito da Abelardo: un crocifissore di Cristo che agisce, prigioniero di ignoranza “invincibile”,  per difendere l’onore di Dio è moralmente migliore  di un ebreo che, indifferente a ogni problematica etica, non partecipa alla condanna a morte del sedicente Messia solo per menefreghismo e amor di quieto vivere. 


PER COMPLETARE QUESTO BREVE TESTO, BASTA UN CLIC QUI:

https://www.zerozeronews.it/abelardo-e-il-rapporto-fra-ragione-etica-e-giustizialismo/


venerdì 9 luglio 2021

QUANTI TIPI DI SICILIANI ESISTONO? CIRCA CINQUE MILIONI...


 “Il Gattopardo”

Aprile 2018

 

SFUMATURE SICILIANE

 

   Da lontano i siciliani sono una folla omogenea, da vicino – come in ogni parte del mondo – non ci sono due soggetti uguali. Cinque milioni di sfumature di sicilianità non escludono, comunque, una certa qual “aria di famiglia” che il turista può avvertire spostandosi da una zona all’altra dell’isola. 

   A Palermo, come in genere nella zona occidentale della regione (comprendente Trapani e Agrigento), prevale qualcosa di arabo: tra l’africano e il medio-orientale. Volti assorti, se non proprio cupi; se interpellati, ti scrutano innanzitutto con un’espressione di diffidenza. Specie se entri in un bar, o in un negozio, gli occhi sembrano interrogarti (“E ora che vuole questo da me?”) senza presagire, a priori, nulla di gradevole. Quando cominci a parlare, però, sono pronti a capire che non chiedi né elemosina né pizzo: e allora il viso si distende, la corazza abituale si squarcia, la comunicazione scorre agevolmente. 

    Anche nella Sicilia centrale (Caltanissetta, Enna) il primo contatto con i locali non è immediato. Solo che, di solito, leggo più curiosità velata da apprensione per l’altro, lo straniero, che non vera e propria diffidenza. Non peserà forse il fatto che solo negli ultimi decenni – e solo in alcuni siti privilegiati come Piazza Armerina – è arrivato il turismo che, tradizionalmente, lambiva le coste dell’isola?

   L’impatto è differente nella Sicilia orientale (Messina, Catania, Ragusa). Trovo la gente meno prevenuta verso il visitatore, più accogliente. L’impronta greca prevale di gran lunga sull’araba. Frequentemente, in un albergo o in una trattoria, ti accoglie un sorriso disarmato e disarmante, accompagnato presto da una battuta umoristica che non scalfisce irrispettosamente l’ospite ma lo induce a rilassarsi. A sentirsi a casa. L’analogia più spontanea è con l’atmosfera scanzonata che si respira nel napoletano. A questo atteggiamento di maggiore, serena, talora perfino allegra, disponibilità non è estranea la storia degli ultimi due secoli che ha visto prosperare le cosche mafiose molto più tardi, e molto meno, in quest’area orientale che nella Sicilia occidentale. Un’area chiamata  Sicilia babba, cioè ingenua e stupidotta, dai corregionali maliziosi che, se non proprio mafiosi, imparavano comunque a “convivere” con i mafiosi. Poi anche in questa zona dell’isola sono sorte cosche mafiose (le stidde) in concorrenza con Cosa nostra e il clima delle relazioni sociali si è inquinato. Ma, in compenso, la Sicilia occidentale ha deciso di liberarsi dalla dittatura della mafia e  - anche se la guerra non è stata conclusa – si sono vinte numerose e importanti battaglie. Il futuro è una Sicilia purificata dal sangue di tanti martiri civili dove, da un capo all’altro dell’isola, si possa re-imparare il sorriso, smaliziato ma bonario,  dell’Ignoto marinaio di Antonello da Messina.

 

Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com

mercoledì 7 luglio 2021

NUCCIO VARA SPIEGA A SE STESSO (E UN PO' ANCHE AGLI ALTRI) PAPA FRANCESCO

 


L’ENIGMA FRANCESCO: UN PAPA INDECIFRABILE

 

In situazioni di pandemia è logico che certe ricorrenze passino in secondo piano. Così è avvenuto il 13 marzo 2021 per gli otto anni di pontificato di Francesco. Consapevole che certe trasformazioni all’interno del mondo cattolico hanno avuto spesso effetti – positivi o negativi secondo i casi – anche nella sfera civile, Nuccio Vara (per decenni giornalista della RAI e attualmente direttore responsabile del mensile dell’Arcidiocesi di Palermo “Poliedro”) ha provato a tracciare un suo bilancio critico nell’agile e godibilissimo Papa Francesco spiegato a me stesso (Intrasformazione, Palermo 2021, pp. 87).

In sintesi: Bergoglio ha trovato già una chiesa spaccata a metà come una mela e il suo stile diretto, sincero, scandalosamente ‘normale’ non ha dunque creato, se mai accentuato e costretto ad emergere, la contrapposizione fra i cattolici delle certezze dogmatico-istituzionali e i cattolici della ricerca inquieta. Papa Benedetto XVI aveva gettato il peso della sua dottrina sul primo piatto della bilancia; papa Francesco non compie l’operazione uguale e contraria di versare sull’altro piatto la Teologia della liberazione o altre teorie progressiste, ma sposta con una mossa sorpresa il livello del confronto. Più che opporre sistemi concettuali ad altri sistemi concettuali (su questo piano egli è sostanzialmente ‘conservatore’ e non ha in mente nessuna riforma intellettuale), egli, sin dalla visita a sorpresa a Lampedusa (a meno di quattro mesi dall’elezione), ricorda una verità elementare ma dimenticata: che la fede è l’adesione a un messaggio di vita, di atteggiamenti etici, di azioni concrete, non a questa o a quell’altra proposta dottrinaria. In termini tecnici: egli sospende le dispute sull’ortodossia per rilanciare l’impegno orto-pratico.   

Certo, anche questo spostamento di accentuazione dalla teoria alla pratica è frutto di un cammino teorico - di cui Vara dà conto sulla scia del volume di Emilce Cuda, Leggere Francesco. Teologia, etica e politica (Bollati Boringhieri, Torino 2018) – evocabile come “teologia del popolo”: ma è proprio qua la forza e la debolezza della sua missione apostolica. La forza perché la centralità della nozione di “popolo-povero- lavoratore” è quanto si possa oggi concepire di più vicino alla predilezione gesuana per gli oppressi e gli sfruttati della storia; la debolezza perché sembra che Francesco non abbia intenzione di scardinare quella struttura gerarchico-clericale a causa della quale le fasce sociali meno istruite e meno abbienti sono tenute sotto controllo dentro e fuori la Chiesa cattolica. Si badi bene: questa non è una critica, ma un’analisi. Un papa non può, da solo o con la stringata area di consensi in Vaticano, rivoluzionare il ruolo del papato e degli episcopati del mondo: e proprio perché la sua opera ha dei limiti costitutivi, insuperabili, essa è destinata a non avere le conseguenze epocali e durature necessarie. I risultanti deludenti del sinodo sull’Amazzonia (topolini partoriti dalla montagna) lo attestano.  


PER COMPLETARE LA LETTURA DELL'ARTICOLO BASTA UN CLIC QUI:

https://www.zerozeronews.it/papa-francesco-piu-amato-fuori-che-dentro-la-chiesa/

lunedì 5 luglio 2021

DANTE NEL XXI SECOLO: ACCORDI E DISACCORDI SECONDO MAURIZIO MURAGLIA E LAURA MOLLICA


 WWW.ZEROZERONEWS.IT

5.7.2021

 

 

Dante Alighieri è vicinissimo, ma anche molto distante, dagli italiani del XXI secolo. Vicinissimo, anzi intimo: le sue opere, la Commedia in primis, sono come le radici della nostra lingua nazionale. Il suo sgomento per la litigiosità, l’egocentrismo e la corruzione dei dirigenti politici e dei vertici ecclesiastici è formulato con espressioni di stupefacente attualità. Né qualcuno di noi contemporanei può considerare ormai risolti – e archiviabili – gli interrogativi su come orientarsi nella “selva oscura” della vita (propria) e della storia (collettiva). 

Ma egli è anche molto distante dalla nostra mentalità. Il suo italiano è spesso incomprensibile per i cittadini d’oggi mediamente istruiti. Alla sua convincente capacità di analisi dei mali sociali affianca dei criteri di giudizio morale talmente intrisi della teologia cattolica dell’epoca da risultare estranei non solo ai lettori atei e agnostici, ma perfino a molti cristiani evoluti: si pensi agli adulteri Paolo e Francesca o al suicida Pier delle Vigne, raffigurati con sincera empatia umana, ma immaginati all’inferno (come se una delle grandi rivoluzioni del vangelo di Gesù non fosse consistita, invece, nel capovolgere il primato della Legge oggettiva sulla coscienza personale). 

Maurizio Muraglia e Laura Mollica, autori di Dante parla ancora? Il messaggio della Commedia alle donne e agli uomini del Terzo Millennio (Di Girolamo, Trapani 2021, pp. 190  , euro 20,00  ) hanno provato – riuscendoci efficacemente – ad offrire a un vasto pubblico (anche scolastico, ma non solo) un agile strumento per scoprire, o riscoprire, la Commedia senza ignorarne la distanza dalla nostra sensibilità e per agevolare una relazione dialettica (di consenso e di dissenso, di riconoscimento e di rifiuto)  con il testo ‘sacro’. Con quale strategia metodologica?

Hanno prescelto 24 parole-chiave (Smarrimento, Crudeltà, Autorevolezza, Coraggio, Intuizione etc.) che danno il titolo ad altrettanti capitoli. Ogni capitolo è, poi, distinto in sei sezioni: 

PER CONTINUARE BASTA UN CLIC:

https://www.zerozeronews.it/le-parole-chiave-dellintramontabilita-di-dante-alighieri/

sabato 3 luglio 2021

COS'E' IL CONSULENTE FILOSOFICO? INDICAZIONI DA DAVIDE MICCIONE

 

“Teorie pedagogiche e pratiche educative”

n. 1 – 2 Gennio – dicembre 2020

 

CHE COS’E’ DAVVERO IL  CONSULENTE FILOSOFICO?

 

Alla domanda sull’identità professionale – e prima ancora epistemologica – di un consulente filosofico si può rispondere in vari modi. Uno di questi è partire da una negazione: la consulenza filosofica non è il counseling filosofico . So che questo avvio può stupire non pochi dal momento che, nell’uso comune, le due denominazioni si equivalgono. Ma, dal momento che si tratta di due mestieri differenti, la loro identificazione nell’immaginario collettivo, e dunque anche nel vocabolario condiviso, non può che danneggiare entrambi. La distinzione è particolarmente urgente perché a obnubilarla sono non soltanto, direi legittimamente, i non-addetti-ai-lavori quanto alcuni esponenti stessi delle due professioni (in alcuni casi condizionati dall’anglofonia dilagante per cui si suppone che un servizio, un prodotto, un bene culturale debbano esercitare una più efficace attrazione se la sua denominazione viene tradotta in inglese: vuoi mettere sullo stesso piano “impresario di pompe funebri” e “funeral manager”?).

 

Che cosa non è un consulente filosofico

Per rendere un po’ più evidente la distinzione che propongo devo premettere un rapidissimo schizzo storico-sociologico su alcuni movimenti, o sommovimenti, registratisi nel mondo della filosofia contemporanea. Per varie ragioni e con vari intenti negli ultimi cinque decenni l’attività filosofica, senza rinunziare alla sua dimensione ‘teoretica’ (cioè conoscitiva, contemplativa, speculativa)  si è declinata in senso più accentuatamente ‘pratico’[1], dando vita a un variegato arcipelago di ‘pratiche filosofiche’ [2] ( dalla Philopsophy for children al Dialogo socratico, dai Caffè filosofici ai Ritiri meditativi filosofici [3]). In questo arcipelago si possono rintracciare due isolette vicine e, soprattutto se osservate da lontano, molto simili: la consulenza filosofica[4], appunto, e il counseling filosofico. Per chiarire che si tratta, nonostante l’apparenza, di due attività professionali nettamente differenti può risultare prezioso un recente, piccolo grande libro di Davide Miccione[5], a giudizio del quale il counselor è un professionista che offre “aiuto” utilizzando il patrimonio filosofico trimillenario (spesso e volentieri non solo occidentale) per fornire a chi gli si rivolge delle indicazioni di carattere esistenziale, etico o psicologico; laddove  il consulente (almeno nell’accezione adottata da Miccione sulla scia di Neri Pollastri) non promette nessun genere di ‘aiuto’ in senso terapeutico o pedagogico e si propone solo come interlocutore di un consultante che desideri filosofare sulla propria esistenza o su alcuni nodi in cui essa si imbatte. 

Ma vediamo di approfondire la questione (e, così facendo, di rispondere in positivo alla domanda iniziale sull’identità epistemico-professionale di un consulente filosofico). 

Miccione ricorda, in proposito, “la definizione di consulenza filosofica data dal suo principale protagonista italiano”: “un’attività professionale nella quale il filosofo, esclusivamente in quanto filosofo, si mette a disposizione delle donne e degli uomini che, individualmente o in gruppi ristrettissimi, sentano l’esigenza di affrontare con rigore, attenzione, spirito di ricerca e confronto dialogico problemi e questioni poste a essi dalla vita”[6]

Una simile interpretazione della consulenza filosofica (CF) comporta elementi di inattualità, contro-intuitività e a tratti paradossalità che l’autore della raccolta di saggi La svolta pratica non intende nascondere, ma se mai esplicitare e focalizzare. A cominciare dalla questione più spontanea: se il consulente filosofico promette non di ‘sostenere’ asimmetricamente un ‘cliente’, ma di co-pensare insieme a lui/lei, in assetto paritario, a partire dalle domande del visitatore, chi avrà voglia/tempo/soldi da investire in simile avventura? La domanda-obiezione è talmente fondata che spiega la tendenza, stigmatizzata in queste pagine, di molti consulenti a condire le proprie prestazioni professionali con tecniche svariate o, in non pochi casi, ad abbandonare la CF per adottare apertamente altre “relazioni d’aiuto”. Ma Miccione, con la testardaggine di un comandante disposto ad affondare piuttosto che ad abbandonare la nave, tiene il punto. E anzi contrattacca.   Qual è – si chiede - “la virtù massima” di un consulente filosofico? La “resistenza” alla tentazione di “prendere scorciatoie”: dare “risposte” invece di aiutare “a fare domande migliori”, smontare “pensieri comodi” se sospetti che non siano “veri”, scegliere “percorsi che procurino il plauso invece che una lieve irritazione come capita con la consulenza”[7]. Se le così stanno così, non possiamo stupirci che la “consulenza filosofica” (almeno sulla scia dell’interpretazione che ne ha dato Achenbach, ‘fondatore’ della Philosophische Praxis [8]) stenti a decollare sia come professionisti che l’abbracciano sia come fruitori che la cercano. Questo Miccione lo sa e lo ribadisce. Si potrebbe aggiungere. che di un libro scritto – come in questo caso - da un consulente filosofico, per così dire nella qualità di consulente filosofico,  non possiamo prevedere un largo successo editoriale: piuttosto inquieterà, a tratti infastidirà, il lettore, che perciò si guarderà bene dal consigliarlo agli amici più cari. Qualora diventasse un best-seller costituirebbe una paradossale falsificazione delle proprie analisi, lucide quanto amare, su una situazione socio-culturale nella quale la “Meditazione, un tempo lettura di sé e del mondo, sorella di religioni e mistiche”, ora invece “batte i viali dell’Occidente facendosi chiamare mindfullness, fattasi scelta alternativa alla cyclette per manager in pausa pranzo affinché riprendano il lavoro più ricaricati e con ancor meno domande”[9]; nella quale la Programmazione Neuro Linguistica (PNL)  - che  sta “alla consulenza filosofica come la tarda sofistica a Socrate” [10] – miete consensi entusiastici (ed economicamente vantaggiosi). 

 Pur nella previsione realistica di un successo commerciale solo parziale di questo aureo volumetto – e questa sorte sarebbe essa stessa significativa e eloquente – desidero consigliarlo perché chi sperimenta il privilegio di non condannarsi a scegliere le proprie letture in base alle classifiche dei “libri più venduti” (dove? da chi? per chi?) può gustarlo pagina dopo pagina, spesso perfino divertendosi, almeno se disposto a mettere in discussione le proprie certezze professionali e, più radicalmente, esistenziali. Infatti ogni professionista dovrebbe includersi – al primo posto – nell’elenco delle persone che hanno bisogno della sua professionalità. Ma se ciò è raccomandabile per tutti, forse è necessario solo per il filosofo disposto ad aprire le porte del proprio studio. Infatti mentre posso ascoltare con beneficio i suggerimenti contro il cancro da un medico che fuma come un turco, o i consigli sull’educazione dei figli da un pedagogista senza figli o (come potrebbe capitare a una versione contemporanea del buon Rousseau) con tutti i figli affidati alla moglie da cui ha divorziato, non avrebbe senso chiedere di co-filosofare ad un filosofo ipoteticamente convinto che certe “aree della nostra esistenza non hanno a che fare secondo noi con la filosofia”: ad esempio, “il denaro, la tecnologia, la pubblicità, la burocrazia, il lavoro, il sesso ecc.”. Tra le “persone che chiedono riconoscimenti di extraterritorialità filosofica per aspetti della propria esistenza”, alcune sono consulenti filosofici. “Nulla di male, è possibile che abbiano ragione loro a scorporare aspetti della vita umana contemporanea e a dirsi sottovoce: «non facciamo filosofia»” – ammette Miccione. Ma aggiunge subito dopo: “Quello che mi sfugge è il motivo per cui la gente che ha appunto problemi di denaro, tecnologia, pubblicità, burocrazia, lavoro, sesso ecc. dovrebbe venire a parlarne con loro”[11]

 

Spunti di auto-esame di un consulente filosofico

 Ecco perché io stesso, che da due decenni circa milito con Miccione nella stessa associazione professionale di consulenti filosofici (www.phronesis-cf.com), ho  voluto utilizzare  questo libro – che è di meta-pratica filosofica (se si preferisce, di filosofia della filosofia-in-pratica) -  come una sorta di voce consulenziale in un’ipotetica consulenza, in cui ho giocato il ruolo di consultante, sul mio modo di condurre le consulenze. Riporto qualcuna delle consapevolezze acquisite.

  Nel secondo capitolo della seconda parte l’autore propone i “lineamenti di una tassonomia possibile per la consulenza filosofica” [12] e propone 7 possibili aree in cui collocare i modi d’intendere e di condurre una consulenza filosofica “sulla  base  dello spazio e dell’importanza che conferiamo alla ragione nonché sulla base della forma che questa ragione, secondo noi, assumerebbe (per come diversamente si incarna) all’interno della relazione di consulenza” [13]. Schematizzando ulteriormente lo schema di Miccione si avrebbero (in ordine crescente di rilevanza della “dimensione concettuale” nella “relazione fra un consulente e un consultante”) questi 7 “quadranti”[14] :

1. il ruolo minimo della ragione fortemente integrato da “buon senso” e riferimenti più o meno vaghi alla psicologica (è il caso di alcune pagine della Schlomit Schuster[15]);

2. il ruolo più consistente della razionalità, ma a patto di segnalarne drasticamente i limiti ‘situazionali’ o ‘locali’ (vedi Lahav[16], Ruschmann[17] e Zampieri[18]);

3. la traduzione dei dilemmi esistenziali in questioni teoretiche ma senza dimenticarne l’originario humus biografico (Achenbach [19]);

 4. la rivendicazione ‘forte’ della ragione direttamente proporzionale alla diffidenza verso “campi assiologici che le sfuggano, siano essi la fede, il mistero, la natura dell’uomo, l’irriducibilità del carattere o dei sentimenti” (Pollastri[20]);

5. la concentrazione sulla dimensione razionale al limite di quella sorta di follia, di cui parlava Chesterton, consistente nel “perdere tutto tranne la ragione” (Brenifier[21]);

6. lo “scorporo di alcuni aspetti” della ragione “dalla biografia o dall’esistenza del consultante” (Luciana Regina[22] e, “a un livello di minore finezza e qualità”, Marinoff [23]);

7. la riduzione della ragione a “possesso degli strumenti formali della logica argomentativa” (Raabe [24]).  

 Ebbene, in quali di questi sette  scenari mi riconosco? In un certo senso, in nessuno. La classificazione di Miccione ha sollecitato l’esplicitazione  a me stesso della distinzione, che dormiva nel mio retro-pensiero, fra ruolo di diritto (o essenziale o di principio) e ruolo effettivo (o  esistentivo o di fatto) della ragione nell’esperienza umana. Considerata come dote potenziale, la ragione (intesa però nella sua più ampia accezione, includente l’immaginazione e l’intuizione) giocherebbe un ruolo egemone nell’esperienza antropologica; ma, di fatto, allo stadio attuale dell’evoluzione della nostra specie (filogenesi) e di ciascuno di noi (ontogenesi), essa è fortemente limitata da condizionamenti interni ed esterni alla soggettività umana. La consulenza filosofica, come in genere tutte le pratiche della filosofia-in-pratica, costituisce il paziente tentativo (impossibile da realizzare al cento per cento) di ridurre il gap fra ciò che potremmo essere – e che dunque assumiamo come modello del nostro dover essere -   e ciò che siamo riusciti sinora a diventare effettivamente. 

Questa visione generale del ruolo della ragione nell’esperienza antropologica giustifica, sia pur parzialmente, una delle debolezze della mia attività consulenziale. Mi riferisco a quei casi in cui - pur sapendo che “faccio filosofia con le persone, non risolvo i loro problemi, non li curo, non solidarizzo con loro, non offro conforto”[25]  – non mi pongo subito, esclusivamente, in assetto canonico, ma attivo dispositivi di accoglienza verbale e non-verbale, di incoraggiamento, di rassicurazione. Devo riconoscere, insomma, di non saper gestire abbastanza l’ansia di prestazione: per non patire la “frustrazione” delle sessioni senza conclusioni condivise, cedo alla tentazione di “eliminare le aporie”, non “aspettare il passo altrui, spesso incerto e lento”, costringendo il visitatore a “uniformare” il suo passo al mio.  In parte ciò è dovuto (anche di questo ho preso maggiore consapevolezza grazie alle pagine di Miccione) alla paura – comprensibile anche se non accettabile -  che l’ospite, non trovando proprio nulla di ciò che mediamente si aspetta, abbandoni dopo la prima sessione ogni relazione professionale con me; ma, in parte, questa trasgressione rispetto alle regole è dovuta a motivi meno illegittimi, se non addirittura apprezzabili: che l’altro vada accompagnato con gradualità dalla condizione esistenziale di partenza (una vita dove le risorse intellettuali occhieggiano appena sotto la montagna della cenere delle abitudini, delle tradizioni, dei conformismi, delle angosce…) ad una condizione minima di animale pensante. Che sia un bene o un male, comunque è un dato irrecusabile che in consulenza non si incontrano mai due intelligenze angeliche, ma sempre due intelligenze incarnate o – meglio ancora – due intelligenze emergenti da corpi in evoluzione biologica e psicologica: perché un poeta o un musicista, prima di regalare a un amico la lettura di una poesia o l’esecuzione di un brano musicale, non potrebbe offrirgli, se lo accoglie in casa infreddolito e affamato, una minestra e un bicchiere di vino? L’essenziale è non scambiare la minestra con una bella poesia né il bicchiere di vino con un brano musicale (molti di noi conosciamo simpatiche signore in grado di organizzare accoglienti salotti letterari con l’illusione che la loro indubbia capacità di fare salotto venga spacciata come attitudine letteraria). Miccione fa benissimo ad avvertire il rischio che – uso una mia immagine - un chirurgo, dopo aver preparato un paziente per la sala operatoria e averne disposto l’anestesizzazione, se ne ritenesse soddisfatto e non procedesse all’intervento previsto dalla sua specifica qualifica professionale; ma non sarebbe tanto più allegra la posizione di chi venisse trasferito dalla poltrona di casa, in cui ha avvertito la prima fitta, al lettino della sala operatoria senza nessuna preparazione propedeutica intermedia. Forse alludeva a qualcosa di simile Gerd Achenbach scrivendo che “il dialogo filosofico” va concepito come “discorso che non esclude, anzi include, le comprensioni e gli interventi psicologici, che però riduce a semplici momenti” [26].  L’auto-analisi dei rischi (o forse dei limiti) della mia professionalità rimanda a una problematica generale: come intendere la formula (icastica ma anche pungente, forse addirittura respingente) di Achenbach sull’aiuto (“Solo una coscienza ottusa sa cos’è l’aiuto, solo la stupidità militante sa quando l’uomo è aiutato. Ma la filosofia mette in questione ciò che gli altri fanno passare per ovvio”[27])? Miccione la giustifica in maniera persuasiva: “l’aiuto è semplicemente la versione, all’interno della relazione intersoggettiva consulenziale, di quello che è l’utilità per la filosofia: il sistema di domesticazione e di guinzaglio. […] Quando l’utilità appare, scompare la filosofia; quando appare, rompe la realtà del dialogo perché lo rende simulato, inserisce in esso preoccupazioni che lo falsano” [28]. Questo è, dal punto di vista epistemologico, ineccepibile. Ma – se assunto sine glossa - spiega la pressoché totale impossibilità che la consulenza filosofica diventi una professione in grado di assicurare la sopravvivenza almeno ‘proletaria’ del consulente (in grado, intendo, di garantire la sopravvivenza economica del consulente e della sua prole). Infatti il 99% dell’umanità, per le ragioni più varie, non ha maturato l’apprezzamento dell’inutilità – o se preferiamo della gratuità – della ricerca filosofica e quell’1% che l’ha maturato può, presumibilmente, trovare nella cerchia dei propri conoscenti qualcuno disposto a dialogare ‘gratuitamente’ (in tutti i sensi) con lui.  Da qui una domanda: può darsi che in consulenza ci si debba predisporre ad ‘aiutare’ gli ospiti a non aver bisogno di ‘aiuto’? Che – in analogia a quanto sopra osservato sulla distanza fra il piano dei fatti e il piano dei principi a proposito del ruolo della ragione – il gusto della ricerca disinteressata della ‘verità’ (più o meno localizzata) debba assumersi non come presupposto antropologico quanto come ‘ideale’ (in senso kantiano)?  Nella mia biografia, all’origine della ‘vocazione’ filosofica trovo un groviglio di ‘bisogni’ psicologici o comunque di ‘vissuti’ psichici, sentimentali e emotivi: dal disagio adolescenziale per i conflitti perenni tra i miei familiari alla pena per le sofferenze dell’umanità e per i viventi in generale, dall’angoscia per l’ineluttabilità della morte al desiderio di incidere in maniera politicamente efficace nella storia. Senza queste motivazioni tutt’altro che ‘gratuite’ non mi sarei accostato con ‘interesse’ (parola felicemente o infelicemente, comunque eloquentemente, ambigua!) allo studio della filosofia. Poi con gli anni, anzi con i decenni, l’esercizio della filosofia mi ha ‘aiutato’ a comprendere che forse avrei trovato frammenti di ‘verità’ da proporre (a me e agli altri) per realizzare una convivenza più armoniosa, giusta, pacifica, serena, ma certamente questa stessa ricerca di ‘verità’ dava senso alla mia esistenza. Insomma: anche nella mia biografia devo riconoscere che solo la filosofia può ‘aiutare’ a trascendere il livello dell’interesse terapeutico o politico o religioso – il livello dell’ ‘aiuto’ in senso pedagogico/strumentale – per elevarsi al piano della contemplazione ‘inutile’. A due condizioni: che l’attività filosofica accetti di dispiegarsi come accompagnamento graduale dall’egocentrismo infantile (che può restare tale nonostante l’anagrafe) all’ontocentrismo adulto (poiché senza questa evoluzione etero-centrica la ricerca della teoresi rischia di diventare copertura ideologica dei propri privilegi socio-economici); che essa accetti di non essere l’ultimo traguardo dell’evoluzione antropologica (dal momento che, come ha scritto il teorico della teoreticità del filosofare nel Protreptico, “non siamo sani per il fatto di conoscere le cose che producono la salute, ma per il fatto di applicarle al corpo; non siamo ricchi per il fatto di conoscere la ricchezza, ma per il fatto di possedere molte sostanze; e, cosa più grande di tutte, non viviamo bene per il fatto di conoscere un certo tipo di enti, ma per il fatto che ci comportiamo bene: in questo infatti  consiste veramente la felicità”). 

                                                               Augusto Cavadi

                                                       www.augustocavadi.com

                                                     091.6377018 / 338.4907853

                                                          Consulente filosofico 

            riconosciuto dall’Associazione Italiana per la Consulenza Filosofica “Phronesis”

 

BIBLIOGRAFIA

AA. VV., Il gruppo Deep Philosophy. Storia, teoria, tecniche, Loyev Books 2019

Achenbach G., La consulenza filosofica. La filosofia come opportunità per la vita, Apogeo, Milano 2004

Brenifier O., Filosofare come Socrate. Teoria e forme della pratica filosofica con i bambini e gli adulti, IPOC, Milano 2015

Cavadi A., Filosofia di strada. La filosofia-in-pratica e le sue pratiche, Di Girolamo, Trapani 2011

Lahav R., Comprendere la vita. La consulenza filosofica come ricerca della saggezza, Apogeo, Milano 2004

Marinoff L. , Platone è meglio del Prozac, Piemme, Casale Monferrato 2001

Miccione D., La consulenza filosofica, Xenia, Milano 2007

Miccione D., Ascetica da tavolo. La svolta pratica della filosofia e il bene comune, Diogene Multimedia, Bologna 2019

Miccione D., La svolta pratica. Presupposti, classificazioni e conseguenze, Algra, Viagrande 2020

Pollastri N., Il pensiero e la vita, Algra, Viagrande 2020

Pollastri N., Consulente filosofico cercasi. Il libro che ha definito le coordinate della Consulenza filosofica in Italia, Diogene Multimedia, Bologna 2020

Raabe P. B., Teoria e pratica della consulenza filosofica. Idee fondamentali, metodi e casi di studio, Apogeo, Milano 2006

Regina L., Consulenza filosofica come alleanza con i concetti in AA. VV., Filosofia praticata. Su consulenza filosofica e dintorni, Di Girolamo, Trapani 2008, pp. 69 – 79

Ruschmann E., Consulenza filosofica. Prima Parte, Armando Siciliano, Messina 2004

Sautet  M. , Socrate al caffè. Come la filosofia può insegnarci a capire il mondo d'oggi,  Ponte delle Grazie, Milano 2006

Schuster S. C., La pratica filosofica, Apogeo, Milano 2006

Zampieri S., Manuale della consulenza filosofica. Strutture, momenti, forme del dialogo, IPOC, Milano 2013

 



[1] Cfr. D. Miccione, Ascetica da tavolo. La svolta pratica della filosofia e il bene comune, Diogene Multimedia, Bologna 2019.

[2] Cfr. A. Cavadi, Filosofia di strada. La filosofia-in-pratica e le sue pratiche, Di Girolamo, Trapani 2011.

[3] Cfr. AA. VV., Il gruppo Deep Philosophy. Storia, teoria, tecniche, Loyev Books 2019.

[4] Un primo panorama è stato offerto, più di dieci anni fa, da D. Miccione, La consulenza filosofica, Xenia, Milano 2007.

[5] D. Miccione, La svolta pratica. Presupposti, classificazioni e conseguenze, Algra, Viagrande 2020, pp. 108.

[6] N. Pollastri, Il pensiero e la vita, Algra, Viagrande 2020, p. 49, qui citato alle pp. 33 – 34.

[7] D. Miccione, La svolta, cit., pp. 18 – 19.

[8] Di cui vedere, almeno, La consulenza filosofica. La filosofia come opportunità per la vita, Apogeo, Milano 2004.

[9] D. Miccione, La svolta, cit., p. 19.

[10] Ivi, p. 20. 

[11] Ivi, p. 19.

[12] Ivi, p. 39.

[13] Ivi, p. 45. 

[14] Ivi, pp. 44 – 59.

[15] S. C. Schuster, La pratica filosofica, Apogeo, Milano 2006.

[16] R. Lahav, Comprendere la vita. La consulenza filosofica come ricerca della saggezza, Apogeo, Milano 2004. 

[17] E. Ruschmann, Consulenza filosofica. Prima Parte, Armando Siciliano, Messina 2004.

[18] S. Zampieri, Manuale della consulenza filosofica. Strutture, momenti, forme del dialogo, IPOC, Milano 2013. 

[19] G. Achenbach, La consulenza, cit.

[20] Oltre al già citato N. Pollastri, Il pensiero, cfr. almeno N. Pollastri, Consulente filosofico cercasi. Il libro che ha definito le coordinate della Consulenza filosofica in Italia, Diogene Multiemedia, Bologna 2020.

[21] O. Brenifier, Filosofare come Socrate. Teoria e forme della pratica filosofica con i bambini e gli adulti, IPOC, Milano 2015.

[22] L. Regina, Consulenza filosofica come alleanza con i concetti in AA. VV., Filosofia praticata. Su consulenza filosofica e dintorni, Di Girolamo, Trapani 2008, pp. 69 – 79.

[23] L. Marinoff, Platone è meglio del Prozac, Piemme, Casale Monferrato 2001.

[24] P. B. Raabe, Teoria e pratica della consulenza filosofica. Idee fondamentali, metodi e casi di studio, Apogeo, Milano 2006.

[25] D. Miccione, La svolta, cit., p. 69.

 

[26] G. Achenbach, La consulenza, cit., p. 116.

[27] Ivi, p. 86.

[28] D. Miccione, La svolta, cit., p. 10.