sabato 26 febbraio 2011

Ci vediamo mercoledì 2 marzo a Palermo con don Farinella?


Molti di voi hanno incontrato, in giro per la rete telematica o sulla carta stampata, gli interventi di don Paolo Farinella (un prete nato in Sicilia che a moti anni anima la parrocchia di san Torpete a Genova). Sono scritti densi di spiritualità e di dottrina teologica, ma anche di senso civico che - sempre più spesso - diventa indignazione etica verso il regime berlusconiano.
Mercoledì 2 marzo ho organizzato a Palermo una conversazione pubblica con don Paolo, a partire da alcuni suoi recenti libri, sui temi che i presenti vorranno toccare: l’appuntamento è nella Chiesa di San Francesco Saverio all’Albergheria e inizieremo alle 21 in punto per poter chiudere, altrettanto puntualmente, alle 22 e trenta.

giovedì 24 febbraio 2011

Vacanze filosofiche estate 2011 (luglio - agosto)


INVITO

Il sito internet “www.ilgiardinodeipensieri.eu” di Bologna
Il gruppo editoriale “Il pozzo di Giacobbe”-“Di Girolamo” di Trapani
organizzano le

XIV - XV
SETTIMANE FILOSOFICHE
PER… NON FILOSOFI

* Per chi:

Destinatari della proposta non sono professionisti della filosofia ma tutti coloro che desiderano coniugare i propri interessi intellettuali con una rilassante permanenza in due luoghi tra i più gradevoli del Bel Paese, cogliendo l’occasione di riflettere criticamente su alcuni temi di grande rilevanza teorica ed esistenziale.

* Dove e quando:

Cisternino (Brindisi), Valle Itria a m 400, dal 22 luglio al 28 luglio 2011
Camerata Cornello (Bergamo), a 570 metri, dal 19 agosto al 25 agosto 2011

* Su che tema:
In Puglia a luglio:
Eros o agape? L’amore nel tempo delle ‘passioni tristi’
In Lombardia ad agosto:
La felicità: sogno folle o meta perseguibile?

Le “vacanze filosofiche per…non filosofi”, avviate sperimentalmente sin dal 1983, si sono svolte regolarmente dal 1998. Per saperne di più si possono leggere: A. Cavadi, Quando ha problemi chi è sano di mente. Breve introduzione al philosophical counseling (Rubbettino, Soveria Mannelli 2002) oppure Autori vari, Filosofia praticata. Su consulenza filosofica e dintorni (Di Girolamo, Trapani 2008) oppure, A. Cavadi, Filosofia di strada. La filosofia-in-pratica e le sue pratiche (Di Girolamo, Trapani 2010). È attivo anche il sito www.vacanzefilosofiche.it curato da Salvatore Fricano (Bagheria).

Programma orientativo dell’edizione di luglio in Puglia

Arrivo nel pomeriggio (possibilmente entro le 19) di venerdì 22 luglio.

Primo incontro alle ore 21 presso Agriturismo “Il portico” di Contrada Lama Pellegrino 27, Cisternino.

Sono previsti due seminari giornalieri, dalle 9.00 alle 10.30 e dalle 18.00 alle 19.30, sui seguenti temi:

* L’amore nel mondo greco, biblico e medievale
* L’amore secondo Hegel, Feuerbach e Fromm
* L’amore secondo noi: esercizi di filosofia pratica

I seminari saranno introdotti a turno da Elio Rindone (Roma), Augusto Cavadi (Palermo), Davide Miccione (Catania).

È possibile chiedere di anticipare e/o posticipare di qualche giorno il soggiorno in albergo.

Partenza dopo il pranzo di giovedì 28 luglio.

Costo

L’iscrizione al corso (comprensiva dei materiali didattici) è di euro 100 a persona.
Chi si iscrive entro il 10 giugno ha diritto a uno sconto di 20 euro.
Eccezionalmente si può partecipare a uno dei 12 incontri (euro 10).

Ognuno è libero di trovare il genere di sistemazione (albergo, camping o altro) che preferisce.

Chi vuole può usufruire di alcune convenzioni:
a) In agriturismo (www.agriturismoilportico.it; per contatti az.agricola@agriturismoilportico.it) tel. 080 4449653 – 360736014
(dove si svolgeranno gli incontri quotidiani):
1 singola (bagno esterno e in comune): mezza pensione 45 euro
che può essere comodamente adibita a doppia;
1 trullo appartamento con quattro posti (2 letti singoli e 1 matrimoniale), un bagno e angolo cucina: mezza pensione (a persona) 60 euro al giorno

b) In un ‘trullo’ (gestito direttamente dagli ospiti) con 1 bagno
(http://www.holiday-rentals.co.uk/p610836): 2 camere da letto con 2 letti ciascuna +
cucina: 75 euro a persona per l’intero periodo (ovviamente solo per dormire)

c) In un appartamento (gestito direttamente dagli ospiti) con 1 bagno
(rivolgersi a Fabio Pacini, tel. 0831 308447):
4 persone: 60 euro a persona per l’intero periodo (ovviamente solo dormire)

Avvertenze integrative

* Chi risiede nell’agriturismo “Il Portico” può integrare la mezza pensione (vegetariana) con un pranzo vegetariano ‘leggerissimo’ (verdura, formaggio, frutta, pane; bevande escluse) a 5 euro.
* Chi risiede negli altri alloggiamenti (a circa 8 km dall’agriturismo dove avranno luogo i seminari) può chiedere di consumare o il pranzo vegetariano ‘leggerissimo’ (sempre a 5 euro) o una cena (vegetariana, ma abbondantissima) a 15 euro (bevande escluse).

Programma orientativo dell’edizione di agosto in Lombardia

Arrivo nel pomeriggio (possibilmente entro le 19) di venerdì 19 agosto.

Primo incontro alle ore 21 presso Ostello dei Tasso 2010

Sono previsti due seminari giornalieri, dalle 9.00 alle 10.30 e dalle 18.00 alle 19.30, sui seguenti temi:

* La felicità nel mondo greco, biblico e medievale
* La felicità secondo Spinoza, Nietzsche e Fromm
* La felicità secondo noi: esercizi di filosofia pratica

I seminari saranno introdotti a turno da Elio Rindone (Roma), Augusto Cavadi (Palermo), Simona Landolfi (Roma).

È possibile chiedere di anticipare e/o posticipare di qualche giorno il soggiorno in albergo.

Partenza dopo il pranzo di giovedì 25 agosto.

Costo

L’iscrizione al corso (comprensiva dei materiali didattici) è di euro 180 a persona.
Chi si iscrive entro il 25 giugno ha diritto ad uno sconto di 50 euro.

Ognuno è libero di trovare il genere di sistemazione (albergo, camping o altro) che preferisce.

Chi vuole può usufruire di una speciale convenzione che il comitato organizzatore ha stipulato con:

Ostello dei Tasso - Via Orbrembo 20, 24010 Camerata Cornello (BG), www.ostellodeitasso.it Tel 0345.41869, Fax 0345.1772001,
mail: info@ostellodeitasso.it (cui ci si può rivolgere per la prenotazione delle camere e il versamento del relativo acconto).

Si consiglia di chiedere l’iscrizione per tempo, poiché il numero delle camere è limitato, facendo riferimento alla convenzione particolare col gruppo di filosofia. In questo Ostello si terranno i seminari ed è dunque consigliabile per chi non sarà munito di automobile.

La pensione completa (comprensiva di bevande) costa:

• in camera doppia o tripla o quadrupla (con bagno) € 45 al giorno

POICHE’ NON CI SONO CAMERE SINGOLE, abbiamo stipulato una convenzione per chi desideri la singola – o un alloggio accanto alle celebri terme di San Pellegrino – con l’Hotel Bigio - Via Papa Giovanni XXIII 60, 24016 San Pellegrino Terme (BG) tel: 0345.21038, 0345.21058, 0345.21687 (www.bigio.info).
La convenzione l’abbiamo stipulata solo per il bed and breakfast supponendo che, a pranzo e soprattutto a cena, si vogliano consumare i pasti insieme al gruppo residente all’Ostello del Tasso.

La camera singola (con bagno), prima colazione inclusa, è € 55 al giorno.
La camera doppia (con bagno), prima colazione inclusa, è € 80 al giorno.

Avvertenze tecniche per entrambe le settimane filosofiche

• Per l’iscrizione ai seminari, dopo aver risolto la questione logistica, inviare l’acclusa scheda d’iscrizione e la copia (anche mediante scanner) del versamento di € 50,00 a persona, a titolo di anticipo sulla quota complessiva, a: prof. Elio Rindone (tel 065835765 - cell. 331.4206991- fax 0623313760 - e-mail: eliorindone@tiscali.it oppure acavadi@alice.it). In caso di mancata partecipazione alla vacanza-studio, detta somma non verrà restituita. La prenotazione al seminario non è valida finché non è stato effettuato il bonifico!

• Il saldo della quota di partecipazione sarà versato all’arrivo in albergo.

Scheda di iscrizione

Nome_______________________

Cognome____________________

Via o piazza_________________

N. civico____________________

c.a.p. e Città_________________

Prov._______________________

tf.__________________________

e-mail______________________

fax_________________________

Ho spedito € 50 a persona
mediante bonifico bancario*
intestato a:
Elio Rindone
conto cor. n° 1071306
presso Monte dei Paschi,
agenzia 96, Roma

Codice IBAN del conto corrente:
IT43L0103003278000001071306

Anticipo per Cisternino

Firma______________________

* I versamenti possono essere
unificati per due o più iscrizioni
Scheda di iscrizione

Nome_______________________

Cognome____________________

Via o piazza_________________

N. civico____________________

c.a.p. e Città_________________

Prov._______________________

tf.__________________________

e-mail______________________

fax_________________________

Ho spedito € 50 a persona
mediante bonifico bancario*
intestato a:
Elio Rindone
conto cor. n° 1071306
presso Monte dei Paschi,
agenzia 96, Roma

Codice IBAN del conto corrente:
IT43L0103003278000001071306

Anticipo per Camerata Cornello

Firma_______________________

* I versamenti possono essere
unificati per due o più iscrizioni

lunedì 21 febbraio 2011

Ci vediamo mercoledì 23 febbraio a Milano?


SEMINARIO
“A SCUOLA DI ANTIMAFIA”

Sede: ITC ‘G. Zappa’, viale Marche 71, Milano (MM3 ZARA)

Ore 8.30 – Registrazione partecipanti

Ore 9.15-11.30
* Le mafie nella storia d’Italia: Nicola Tranfaglia, prof. emerito dell’Università di Torino
* Le mafie al Nord : Enzo Ciconte, docente alla Università La Sapienza di Roma

Dibattito - Coordina Umberto Ursetta, autore di “Mafia e potere alla sbarra”, Pellegrini 2010

11.30-11.45 Break

11,45-13.30
* Regole e democrazia contro le organizzazioni criminali : Gherardo Colombo, già magistrato alla Corte di Cassazione
*Contro la mafia: Nando Dalla Chiesa, docente all’Università di Milano e saggista

Dibattito - Coordina Vincenzo Viola, coordinatore de “L’indice della scuola”

13.30-14.30 Break

14.30 Proiezione slides sulle mafie preparate da Umberto Rollino, autore di “Il rumore del male”, Cento Autori 2009

15.00-15.45
*La pedagogia mafiosa come ‘modello’ per costruirne una antimafiosa – Augusto Cavadi, docente di filosofia al liceo classico di Palermo e autore di “Strappare una generazione alla mafia. Lineamenti di pedagogia alternativa, Di Girolamo 2005” e “A scuola di antimafia, Di Girolamo 2006”, nonché “Il dio dei mafiosi, San Paolo 2009”.
Dibattito – Coordinano Jole Garuti e Umberto Rollino

15.45-16.00 Break

16.00-18.00
Gruppi di lavoro: i docenti sono pregati al momento dell’iscrizione di segnalare due gruppi di lavoro, uno prioritario e uno secondario, ai quali desiderano partecipare. Saranno organizzati i gruppi che riscuoteranno un adeguato numero di partecipanti.
Oltre a quelli già indicati, i conduttori dei gruppi saranno definiti in collaborazione con l’Università di Milano Bicocca, Scienze della Formazione e con le altre associazioni che collaborano al seminario.

Tematiche dei Gruppi di lavoro e conduttori:
1. Donne e mafia – La pedagogia nella famiglia mafiosa (Ombretta Ingrascì, “Donne d’onore”, Mondadori 2007)
2. Mentalità e comportamenti premafiosi – bullismo, omertà e altro (Jole Garuti, “Il piacere della legalità”, Scheiwiller 2002)
3. Essere cittadini attivi: valori costituzionali e regole. I valori della Costituzione nella
didattica (Vincenzo Viola, Simone Campanozzi)
4. L’antimafia nella scuola e nella società: uso sociale dei beni confiscati, Giornata della memoria e dell’impegno, Educazione alla Legalità (Lorenzo Frigerio, coordinatore regionale di Libera, Giuseppe Teri, Libera Formazione)
5. Difendere il territorio e l’ambiente contrastando la corruzione e le mafie (Sergio Cannavò Vicepresidente Legambiente Lombardia e Giuseppe Deiana,”L’etica dell’insegnante”Aìsara 2008)
6. Come creare e usare uno spot (Rosario Duonno del Marano Spot Festival e Antonio Risoluto del Timeline di CarateBrianza)
7. Le chiese cristiane e l’educazione antimafia (Augusto Cavadi, e Giuseppe La Pietra)
8. Mafia e letteratura (Umberto Rollino)

La partecipazione è gratuita e al termine verrà rilasciato un ATTESTATO

venerdì 11 febbraio 2011

La proposta di legge sul registro delle coppie di fatto


“Repubblica - Palermo”
11.2.2010

LE COPPIE DI FATTO E I DILEMMI DELLA CHIESA

Se il progetto di legge trasversale sul registro delle coppie di fatto arrivasse all’approvazione finale, la Sicilia - una volta tanto - potrebbe segnalarsi per una decisione pionieristica e anticipatrice. Ma si arriverà in porto? Dipenderà dal livello di informazione che i consiglieri regionali avranno maturato sull’argomento. In maniera brutale, e del tutto superficiale, infatti, molti suppongono che la questione si possa dirimere con un colpo di spada netto: contrari i cristiani, favorevoli i ‘laici’. Se così fosse, l’unica variabile sarebbe il grado di elasticità morale dei deputati: in concreto, quanta coerenza con i propri principi religiosi ed etici ciascuno di loro è disposto a sacrificare sull’altare del consenso elettorale (ovviamente nei due sensi: cristiani che votano sì, senza convinzione, solo per attrarre voti da elettori laici; e laici che votano no, senza convinzione, solo per attrarre voti dall’elettorato credente). Ma, se esaminiamo la questione con un minimo di attenzione, non risulta così rozzamente schematica. Per almeno tre ragioni.
La prima è che l’elettorato cristiano siciliano è molto più variegato di quanto non lo fosse solo trenta o quaranta anni fa: cattolici obbedienti alle direttive della gerarchia, ma anche cattolici dissenzienti; poi cristiani di varie confessioni (i cui vertici - come nel caso di valdesi, metodisti, battisti etc. - hanno da tempo assunto posizioni opposte rispetto ai vescovi cattolici); infine ‘cani sciolti’ che si riconoscono nel messaggio evangelico come progetto di vita ma non aderiscono ad alcuna ‘ortodossia’ ecclesiale e che dunque, nelle questioni eticamente sensibili, si riservano di giudicare di volta in volta secondo coscienza. Di fronte a questo panorama screziato, ogni tatticismo da ‘atei devoti’, tendente a catturare il consenso cristiano, sarebbe immancabilmente deficitario.
La seconda ragione è che – quand’anche questo pluralismo fosse sociologicamente irrilevante e si dovesse tenere in conto esclusivamente la grossa fetta cattolica dell’elettorato - non varrebbe comunque la supposizione che un cattolico praticante debba condividere come unico e indiscutibile l’attuale modello matrimoniale. Vescovi, preti e teologi di tutto il mondo cattolico, infatti, si chiedono: se per i primi mille anni della Chiesa il matrimonio non è stato considerato un sacramento e se, per tutto quel lungo periodo storico, ogni battezzato celebrava il matrimonio secondo l’uso civile dell’etnia di appartenenza, perché dobbiamo escludere a priori che, oggi, possano essere benedette forme di vita coniugale e familiare diverse dalla formula monogamica eterosessuale indissolubile (come quelle, ad esempio, in vigore in molte popolazioni poligamiche africane)? La configurazione giuridico-istituzionale del rapporto di coppia fa parte del nucleo del vangelo di Cristo o non si tratta, invece, di una veste storica, opinabile, la cui valenza è data dalla permeabilità all’amore come essenza della spiritualità?
Ma - e qui passo alla terza, decisiva ragione - anche se tutti i cristiani fossero, in Sicilia, cattolici e anche se tutti i cattolici fossero allineati e coperti sulle posizioni dell’attuale teologia magisteriale romana in tema di matrimonio, che ci azzeccherebbe questo con il disegno di legge regionale? Nessuno, infatti, sta proponendo l’equiparazione fra matrimonio e riconoscimento di rapporti di fatto. Molto più riduttivamente, si sta proponendo che - a determinate condizioni – delle relazioni stabili fra conviventi possano configurarsi come analoghe alle relazioni sancite dal patto matrimoniale. Ora: se qualcuno propone di fare una copia, sia pur parziale e imperfetta, di un originale, sta deprezzando l’originale o, al contrario, ne sta sottolineando il valore? Se si riconosce una qualche somiglianza fra relazioni di fatto e relazioni coniugali, a chi si sta togliendo il diritto - e soprattutto il gusto – di optare per le relazioni coniugali? Se mai, si sta costruendo un ponte fra la sponda dell’anomia, dello spontaneismo arbitrario, dell’improvvisazione caotica e la sponda della legalità statuale, delle tradizioni e delle regole. Un ponte che ogni coppia di fatto avrebbe il diritto di attraversare una volta che se ne avvertisse in grado. Che poi il passaggio da una convivenza di fatto, riconosciuta, a un matrimonio in senso classico possa essere un diritto - e non un’imposizione per mancanza di alternative – non può che valorizzare il matrimonio stesso.

Augusto Cavadi

mercoledì 9 febbraio 2011

PICCOLI MIGRANTI


“Repubblica – Palermo” 19.12.2010

I ragazzi trasferitisi da poco in Italia, o nati da genitori immigrati, sono particolarmente esposti a questo genere di rischi? Il Distretto Sanitario di Piazza Armerina ha voluto vederci un po’ più a fondo sulla questione, ha ingaggiato una squadra di specialisti (psicologi, assistenti sociali, medici, sociologi, operatori del volontariato cattolico e laico, ma anche filosofi e pedagogisti) e ha dato alle stampe la raccolta dei risultati maturati. Una volta tanto, i segnali che si registrano in Lasciateci l’ombra! Immigrazione, sanità e scuola. Ricerche e percorsi di integrazione (a cura di V. Romano, M. L. Anzaldi e A. Tigano) risultano più incoraggianti rispetto ad analoghe analisi nell’Italia settentrionale: l’83% degli immigrati, di ogni etnia e professione, intervistati considera “buono” o “ottimo” il rapporto di integrazione con la popolazione locale. Altrettanto incoraggianti i propositi (se tali non resteranno) dell’attuale sindaco: “Politiche di attenzione, d’inclusione, di integrazione sono l’unico strumento per governare la complessità dei processi del fenomeno immigratorio e il fatto che si realizzino in una città, Piazza Armerina, nata nove secoli fa con una pulizia etnica totale è una vittoria della storia”.
Ma vediamo un po’ più da vicino alcune risultanze. Dal punto di vista sociologico-sanitario, la previsione iniziale è rimasta confermata: “il campione esaminato mette in luce come il fenomeno dell’immigrazione nel nostro territorio sia un fenomeno recente e non ancora emergente e preoccupante. Nel territorio sono presenti numerose donne badanti (rumene e polacche in gran parte)”. Il dato statistico ha indotto gli operatori di questo team (che ha adottato “come metodologia di lavoro la Ricerca – Intervento”) a realizzare, in un’ottica di integrazione fra conoscere e agire, interessanti iniziative di formazione professionale che potrebbero servire da paradigma per altre realtà siciliane: “una serie di incontri volti a fornire conoscenze tecniche e sanitarie sulle attività di assistenza e cura della persona anziana”. Un’altra interessante esperienza-pilota ha coinvolto i bambini di alcune immigrate: poiché essi, nel periodo estivo di chiusura delle scuole, sono destinati a trascorrere le vacanze “a casa, con la sola compagnia di persone anziane ammalate e con le difficoltà cognitive e relazionali che un tale isolamento comporta”, si è inserito un congruo numero di minori stranieri in “attività ludico-ricreative e nel laboratorio teatrale mettendo in rete non solo le risorse umane, ma anche quelle strutturali ed economiche”. Particolarmente significativo – e dunque da citare – il Musical preparato “con la partecipazione dei bambini diversamente abili, immigrati e autoctoni”: in un clima di festa, “anche lo scambio tra tradizioni culinarie diverse è stato vissuto come esperienza di accettazione e inclusione tra immigrati e comunità ospite”.
Non meno interessanti esperienze e riflessioni teoriche avanzate sul versante pedagogico-didattico. Maestre e insegnanti hanno raccontato di laboratori in cui bambine albanesi o rumene offrivano ai coetanei siciliani i rudimenti della propria lingua d’origine, le storie della tradizione e le danze tipiche (“E’ bello vedere i ragazzi che cantano tutti le stesse canzoni un po’ in italiano, in albanese e in rumeno; ma, per noi docenti, è stato ancora più bello vederli gioire mentre lo facevano!”). Non sono mancati, ovviamente, i momenti di creazione artistica in comune, a partire da una più attenta valutazione dei colori (quali ogni nazione li espone, a esempio, nella bandiera): “Per i Celti il verde era simbolo di fertilità ma lo ritroviamo anche nell’antico Egitto e nei mussulmani di oggi. In Iran il blu simboleggia la religione e la spiritualità. In India, in Cina e in Russia, il rosso è il colore della purezza e del buon auspicio, da noi simboleggiati nel bianco che negli stessi paesi simboleggia il lutto. In Egitto il colore del lutto è il giallo. Per i coreani il bianco è il colore più importante, rappresenta il sole, la vita e la morte, l’innocenza e la purezza”.
Ma queste esperienze concrete, locali, sollevano interrogativi molto più ampi e radicali: questo sistema scolastico italiano , rigidamente parcellizzato in materie poco o per nulla comunicanti, è adeguato a raccogliere la sfida pedagogica che ci arriva dal meticciato etnico? L’insegnamento abituale della lingua ‘straniera’ e della lingua ‘seconda’ è abbastanza consapevole di sé da richiedere, come presupposto e come conseguenza, un contesto di comunicazione privo di pregiudizi e ricco di curiosità (insomma, un contesto laico e democratico)? Oppure tutto di riduce alla banalità strumentale di imparare una lingua che consenta all’immigrato di apprendere a lavorare in Italia e all’italiano di vendere all’estero il made in Italy? E, ancor più radicalmente, i nostri concittadini hanno maturato una prospettiva filosofica diffusa e condivisa davanti al “volto della differenza”? Una prospettiva che, dribblando “la paura” integralistica dell’altro, “mette in discussione le sue verità e affronta le insidie del viaggiare nel mare della differenza”?

Augusto Cavadi

°°°°°°°°°°°°°°°°°
Autori Vari
LASCIATECI L’OMBRA!
Terresommerse
pagine 158
euro 15

L’incipit del libro:

“Secondo il Dossier Statistico 2007 sullo stato dell’immigrazione in Italia, redatto dalla Caritas italiana e dalla Fondazione Migrantes, gli stranieri residenti in Italia nel 2004 sono 2.786.340. Al 31 dicembre 2006 gli stranieri regolari presenti nel territorio italiano sono divenuti 2.938.922 (+ 10,1 %). In questi ultimi tempi il fenomeno immigratorio è cresciuto molto rapidamente e si è poi evoluto in modi abbastanza critici, anche in funzione di alternanze e scelte politiche, che hanno introdotto o modificato principi e norme, spesso in contrasto fra loro e con gli ideali di riferimento. Il dato, apparentemente freddo, dice che gli immigrati rappresentano una forza dinamica e produttiva e che è in corso una trasformazione demografica e culturale. Pertanto, alla luce di questo trend di crescita, destinato comunque ad aumentare negli anni a venire, i servizi sociali, i consultori, i centri aggregativi, i centri specialistici, le comunità educative, ma anche i servizi della giustizia, la scuola, gli ambulatori pediatrici, i servizi sanitari, sono chiamati ad affrontare nuove sfide transculturali: in particolare il lavoro con le famiglie e i minori immigrati. L’accoglienza è pensata e agita politicamente in modo restrittivo, ma, in contrapposizione, esiste un’accoglienza vissuta come processo costruttivo di arricchimento reciproco”.

martedì 8 febbraio 2011

Che significa morire?


Nel numero di febbraio 2011 della rivista on line (gratuita) www.vitapensata.eu
ho pubblicato la recensione di un libro che mi è sembrato particolarmente interessante.

“Vita pensata”
Febbraio 2011

R. Bodei – E. De Monticelli – V. Mancuso – G. Reale – A. Schiavone – E. Severino, “Che cosa vuol dire morire”, a cura di D. Monti, Einaudi, Torino 2010, pp. 171, euro 15,00.

“Siamo così impreparati di fronte alla morte che l’unica risposta che la nostra cultura ipertecnologica sa offrirci è fingere che non esista. Ma è una scommessa: in pochi avranno la fortuna di varcare la porta a occhi chiusi, con passo leggero e svelto. E gli altri? Costruire una nuova cultura della morte, che non sia dominio esclusivo della medicina né rimozione di un evento inevitabile, è l’unica strada possibile. Di più: è un compito di cui essere all’altezza. Per questo è necessario che la filosofia scenda in campo e faccia la sua parte” (p. VIII). Sulla base di questa convinzione Daniela Monti ha avuto la buona idea di intervistare sul tema alcuni pensatori italiani contemporanei. Il quadro che si è andato delineando, per quanto ovviamente non esaustivo, costituisce indubbiamente una piattaforma preziosa per ulteriori indagini. Vi sono rappresentate, infatti, tre fra le posizioni più ricorrenti nella tradizione occidentale: lo scetticismo, lo spiritualismo, il panteismo.
Ovviamente le tre etichette (di cui mi assumo in esclusiva la responsabilità) sono approssimative come tutte le etichette. Con la prima mi riferisco a posizioni ‘scettiche’ nel significato etimologico originario di ricerca incessante, aperta, esposta strutturalmente alla critica: in questo senso mi permetto di includervi le tesi di Remo Bodei e di Roberta de Monticelli. Il primo, infatti, sostiene che “ogni volta che muore qualcuno, un intero mondo scompare e si perde per sempre. Io difendo quel mistero. Viviamo come ospiti grati che cercano di capire perché sono finiti in questo mondo e quanto durerà. Vivere con un margine di incertezza non toglie responsabilità alle nostre azioni, ma lascia aperta la porta al dubbio che le cose, alla fine, possano rivelarsi diverse da come le abbiamo pensate. E’ il contrario di fedi rigide, sia laiche che religiose, dentro le quali ci si mura per non avere paura” (p. 57). E ancora: “Quando si parla di ciò che accade dopo la morte, non si può dimostrare niente. Penso sia molto più probabile che tutto finisca qui: perché io dovrei avere dei privilegi rispetto a una rosa o a un cane? Ma dal lato sia intellettuale che emotivo, dal momento che io non so, lascio una porta aperta al mistero, non con l’idea di assicurarmi un posticino in Purgatorio, ma pensando che, in fondo, noi viviamo come degli automi miopi, nasciamo senza sapere perché, moriamo senza sapere perché, e nel breve arco della vita non riusciamo a farci delle convinzioni su queste cose perché sono troppo grandi per noi” (pp. 71 – 72). Non dissimili alcune affermazioni della de Monticelli: “Se proprio dovessi definirmi, mi dichiarerei in primo luogo costituzionalmente perplessa, professionalmente incapace di intrattenere credenze o opinioni per cui non abbia alcuna base di evidenza, e spiritualmente ‘non indifferente’ all’esperienza di valore di ciò che gli uomini chiamano il divino. In effetti, ho proposto di sostituire alla coppia credenti/non credenti che fa della spiritualità un insieme di credenze o opinioni, l’opposizione fra non-indifferenti e indifferenti: al valore che il divino rappresenta e all’esperienza di questo valore, qualunque sia il nome che ciascuno gli dà” (p. 88).
Non meno approssimativa dell’etichetta ‘scetticismo’ riesce la categoria ‘spiritualismo’ per indicare la posizione di Giovanni Reale e di Vito Mancuso. Il primo è un platonico che si riconosce pienamente cattolico; il secondo, un platonico che – pur restando nell’alveo della tradizione cattolica – ritiene irrinunciabili alcune revisioni della dottrina ‘ortodossa’. Scrive infatti Mancuso: “Noi siamo corpo, siamo psiche, siamo spirito. (…) Vuol dire che l’uomo non ha solo una dimensione e che non si sa quale prevarrà il giorno della sua morte. Questa incertezza vale per tutti, credenti e non credenti, santi e peccatori, atei incalliti e cardinali. Se nell’ultima ora la dimensione del pneuma, cioè dello spirito, prevarrà sulla psiché e sul bios, non ci sarà paura e la morte potrà essere serena. Se invece è la vita biologica a prendere il sopravvento, la morte diventa terrore perché fa parte del normale istinto di ogni uomo il non voler morire. Paura o non paura: non c’è dunque una risposta, dipende da quale sfera prevarrà in quel momento. Ma occorre ricordare che tutte le grandi tradizioni spirituali conoscono, come uno dei momenti più alti, proprio la dimensione dell’imparare a morire. (…) L’importante è comprendere una cosa: che la morte non è contrapposta alla vita. Averne una visione dualistica, come purtroppo è ancora molto spesso presente in ambito cristiano, è sbagliato. Quando io penso alla morte, la vedo come l’ultima pagina del libro della vita. (…) La morte è qualcosa che necessariamente è compresa fin dall’inizio della nostra vita: non c’è libro che, avendo una prima pagina, non abbia anche un’ultima pagina” (pp. 123 – 126). Molto più in sintonia con il magistero della chiesa cattolica le tesi di Giovanni Reale: “I cristiani hanno un pensiero che si differenzia notevolmente da quello dei Greci, perché credono ben più che all’immortalità dell’anima, alla resurrezione finale dell’uomo con il corpo. La spiegazione della morte si connette quindi strettamente con la ‘pasqua’, ossia con la resurrezione. Per capire bene questa differenza basta pensare al significato del termine ‘pasqua’. I Greci hanno connesso il termine con paschein che significa patire e hanno legato la pasqua con la passione. In ebraico, invece, pasqua significa ‘passaggio’ e si connette con il passaggio degli Ebrei attraverso il Mar Rosso, ossia con la liberazione del popolo ebraico dalla schiavitù degli Egizi; i cristiani intendono questo ‘passaggio’ come la liberazione attraverso la passione di Cristo (il sangue di Cristo simboleggiato dal rosso del Mar Rosso) dalla schiavitù del peccato. Ecco, nel cristianesimo i due significati si legano strettamente fra di loro: quello della morte di Cristo nella passione e quello della sua resurrezione. E dunque la morte viene a essere un passaggio, attraverso un non-essere-più-ciò-che-si-era, a una nuova forma di essere” (pp. 26 – 27).
Questo ‘passaggio’ è un divenire reale, ontologico, o soltanto un’apparenza, un’illusione? Per i panteisti di ogni tempo, la nascita e la morte sono poco meno che increspature dell’immensa superficie dell’essere: incidono ‘in assoluto’ - nell’Assoluto - quanto il formarsi e il disfarsi delle onde incide nella consistenza e nella permanenza dell’oceano. Di questa terza prospettiva è testimone-profeta Emanuele Severino: “la morte non è annientamento. Nell’eterno apparire del tutto, in cui l’uomo consiste, la morte è il passaggio da uno spettacolo dove gli eterni costituiscono ciò che noi chiamiamo ‘vita’ allo spettacolo degli eterni che oltrepassano l’alienazione del vivere. Ognuno di noi è l’apparire della verità. (…) Il senso autentico della morte è la negazione di quel gigantesco evento che apre la storia dell’Occidente e che consiste nella fede che le cose vadano nel nulla. Il senso autentico della verità, non il mio modo di pensare, è la negazione che una qualsiasi cosa - non solo le cose importanti ma anche il granello di polvere, il pelo della barba, questo nostro istante e quelli che lo hanno preceduto e quelli che seguiranno e qualsiasi nostra esperienza e qualsiasi stratificazione della storia – sia nulla. Non c’è alcunché che vada nel nulla. Pensare un tempo in cui gli enti non sono significa trovarsi nella contraddizione più radicale e radicata, più nascosta, e che tuttavia guida ormai l’intero Pianeta. Ciò che per l’Occidente è la suprema evidenza, è la suprema Follia. (…) Siamo re che si credono mendicanti – prede del nulla. Quindi mendichiamo la salvezza dal nulla presso un Dio, o presso la Tecnica. E non sappiamo di essere re. Essere re vuol dire: siamo l’eterno apparire dell’eternità di tute le cose. Ognuno di noi è questa dimensione che è più che esser Dio: ognuno di noi, che crede di essere mendicante, è (e in quanto mendicante non lo sa) l’eterno apparire dell’eternità di tutte le cose” (pp. 151 – 156).
Le cinque ‘interviste’ che abbiamo, a volo d’uccello, evocato sono precedute da una conversazione della curatrice del volume con Aldo Schiavone il quale, da buon storicista, sa schivare magistralmente le domande più dirette (“Che cosa vuol dire morire?” “Lei ha paura della morte? E, d’altro canto, l’immortalità è desiderabile?”) e preferisce indagare le trasformazioni epocali in cui siamo coinvolti: “l’uomo, grazie alla potenza della tecnica di cui dispone, sta prendendo il controllo della sua forma biologica. Quello che è stato sino a oggi un presupposto immutabile della storia umana (le sue basi ‘naturali’), si sta trasformando sempre di più in un risultato delle nostre azioni e delle nostre scelte. Noi saremo, biologicamente, sempre di più ‘come vorremmo essere’: sta finendo la nostra ‘preistoria’. L’umano si sta appropriando finalmente del suo destino” (p. 5). In questa prospettiva storico-sociale, Schiavone – che “non è credente” (p. 4) - si confronta con le posizioni di bioetica della chiesa cattolica. Da una parte sostiene che “l’affermazione che la vita sia un bene di cui non possiamo totalmente disporre può essere sostenuta anche nella prospettiva di un non credente. Si può pensare che essa esprima un valore e una potenzialità sociali di significato talmente alti, da non poter essere affidati, in particolari circostanze, unicamente a chi quella vita la vive” (pp. 13 – 14); dall’altra parte, egli non si mostra ottimista circa la possibilità di una convergenza con le gerarchie cattoliche: “la bandiera da difendere per i cattolici è adesso l’idea della sacralità della vita, nella forma data che è sotto i nostri occhi - un principio che mai la Chiesa aveva sostenuto con tanta intransigenza, visto che non aveva esitato in passato a far comminare la morte (dal proprio ‘braccio secolare’). Ma Dio non è a ridosso della forma attuale della specie, come non è in una particolare modalità dell’universo. La religione è altro: è amore. Tutto il resto è marginale. Dio è amore. Una religione che sappia riscoprire la forza del messaggio evangelico, la straordinaria potenza di questo annuncio, può rinunciare a esercitare il controllo esclusivo sull’ingresso e sull’uscita della vita - può rinunciare a esercitare questo potere, e tuttavia restare qualcosa di forte, di determinante. Ma per questa svolta ci vuole una nuova stagione di profetismo” (p. 12).
Indubbiamente il volume sarebbe stato più completo se fosse stato integrato da altri punti di vista (ad esempio quello schiettamente materialistico o quello ebraico di cui molti pensatori protestanti si fanno riproposi tori), ma così com’è si impone, mi pare, come un riferimento obbligatorio nel dibattito sull’argomento.

Augusto Cavadi

sabato 5 febbraio 2011

101 storie di mafia (Newton Compton) in libreria


Care amiche, cari amici,
sono lieto di comunicarvi che il mio volume “101 storie di mafia che non ti hanno mai raccontato” (pp. 215, euro 9,90) , edito a Roma dalla Newton Compton, è in libreria.
E’ un libro su commissione dell’editore, ma quando mi sono messo a scriverlo ha finito con il coinvolgermi come se fosse stata una mia idea.
Confesso che ho avuto qualche difficoltà sul titolo: è vero, infatti, che ci sono storie inedite che racconto per la prima volta, ma è altrettanto vero che la stragrande maggioranza sono invece storie note (almeno agli addetti ai lavori). Avevo proposto una soluzione di compromesso (”101 storie di mafia COME NON TE LE HANNO MAI RACCONTATO”), ma l’editore - che, come saprete, ha per legge l’ultima parola sul titolo di un’opera - è stato inflessibile perché l’ha inserito in tutta una Collana con questo tipologia di titoli.
Neanche il sottotitolo (”Da Buscetta a Provenzano, da Falcone a don Puglisi, stragi, delitti, processi e attentati: episodi misteriosi e insoliti di criminali ed eroi dentro e contro la Piovra”) mi entusiasma: come saprete, non uso mai la metafora della Piovra, per indicare Cosa nostra. Ma anche in questo caso le mie proposte alternative non hanno trovato accoglienza.
Sono felice, però, che sul contenuto dei 101 racconti la mia volontà, manifestata sin dall’inizio, sia stata rispettata fedelmente: sono storie in cui la mafia si intreccia con l’antimafia in modo che emerga con chiarezza un popolo siciliano tanto impelagato in sistemi criminali quanto, almeno in misura non minore, impegnato sino al sacrificio della vita nella lotta contro tali sistemi.

mercoledì 2 febbraio 2011

La filosofia in un indirizzo scientifico-teconologico


di Augusto Cavadi

da “Nuova Secondaria”, n. 4, 15 dicembre 1985

In un lucido intervento, la De Michelis Durand ha focalizzato <> degli obiettivi didattici che, a suo avviso, dovrebbero perseguirsi nell’ambito dell’insegnamento della filosofia in indirizzi di tipo scientifico-teconologico: la promozione di <> mediante <>, la sottolineatura della struttura logico-concettuale dei sistemi filosofici, la evidenziazione del << rigore logico-espressivo>> del linguaggio filosofico e l’esame delle problematiche epistemologiche principali. Alla focalizzazione di tale obiettivo, l’autrice ha fatto seguire delle indicazioni più dettagliate su alcuni nodi fondamentali della storia della filosofia antica e moderna concernenti la problematica in esame. La lettura dell’articolo è stata per me tanto stimolante da suggerirmi, a mò di prosecuzione di un discorso non certamente esauribile, la focalizzazione di un secondo obiettivo didattico che, per la verità, riterrei non solo coordinato ma complementare rispetto al primo. Se, infatti, è fuori discussione che, in un indirizzo scolastico orientato alla ricerca scientifica ed alla prassi tecnica, la filosofia debba in qualche modo illuminare il valore di tale ricerca e di tale prassi, mi sembrerebbe altrettanto certo ch’essa debba sollecitare il discente ad individuare, criticamente, i limiti. Pur restando un compito appassionatamente e per niente concluso, la fondazione dell’approccio scientifico-tecnico non è tutto ciò di cui la cultura contemporanea ha bisogno: in un clima di perdurante entusiasmo verso le scoperte teoriche ed ancor più verso le strabilianti realizzazioni tecniche della scienza, mi sembrerebbe urgente un’opera equilibrata, ma chiara, di relativizzazione critica delle potenzialità della scienza in ordine alle esigenze complessive dell’uomo come persona concreta e come comunità internazionale. Se volessimo condensare in poche righe questo obiettivo culturale e didattico potremmo prendere in prestito la formula, come spesso in Pascal sintetica ed efficace, con al quale egli spiega la conversione dall’impiego scientifico-tecnologico alla riflessione sull’uomo: << la scienza delle cose esteriori non mi consolerà dell’ignoranza morale, nel tempo dell’afflizione; ma la scienza dei costumi mi consolerà sempre dall’ignoranza delle cose esteriori>> (Pensieri, Brunschvicg 67). Dal momento, però, che la questione è di una certa gravità, preferirei articolare ulteriormente la mia proposta evidenziando almeno alcune istanze critiche della riflessione sull’attività scientifica e tecnica.

L’apertura alla dimensione esistenziale del soggetto che cerca.

La prima funzione della coscienza filosofica in chi è orientato a dedicare la propria vita allo studio delle “scienze” mi pare consista nell’invito a non dimenticare mai che il soggetto di tale studio è sempre e comunque appaia a prima vista, l’uomo. Se è vero, infatti – l’hanno sottolineato di recente epistemologi anticonformisti come Thomas S. Kuhn e Paul K. Feyerabend - , che concretamente i modelli scientifici e le scoperte più rilevanti zampillano dall’inventiva, dalla creatività, dai sentimenti, dalle simpatie ed antipatie dei singoli scienziati, tutto ciò non esclude che, sul piano programmatico ed intenzionale questi ultimi mirino ad elaborare teorie quanto più <> possibile, mettendo tra parentesi, metodologicamente, i fattori individuali, contingenti, particolari. Probabilmente questa anomia, questa de-soggettivizzazione, è vitale per lo sviluppo della scienza in senso galileano; ma è, certamente legale per il futuro dell’umanità. << Nella miseria della nostra vita – si sente dire – questa scienza >> (novata Husserl alcuni decenni fa) << non ha niente da dirci. Essa esclude di principio proprio quei problemi che sono più scottanti per l’uomo, il quale, nei nostri tempi tormentati, se sente in balia del destino: i problemi del senso e del non-senso dell’esistenza umana nel suo complesso. (…) Che cos’ha da dire questa scienza sulla ragione e sulla non-ragione, che cos’ha da dire su noi uomini in quanto soggetti in questa libertà? Ovviamente la mera scienza dei fatti non ha nulla da dirci a questo proposito: essa astrae appunto da qualsiasi soggetto>> (E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Milano 1961, pp. 35-36). Proprio per evitare che << la mera scienza dei fatti>> produca << meri uomini di fatto>>, è essenziale sollecitare i giovani che intendono lavorare nel mondo della scienza ( e della tecnica) ad interrogarsi su quegli aspetti meta-scintifici che li riguardano non solo (come suggeriva Husserl) in quanto uomini ma, aggiungerei, proprio in quanto scienziati: che spazio della propria vita dedicare alla professione scientifica o al mestiere tecnico? Come dosare questo spazio con le esigenze familiari, sociali, politiche, religiose? Perché perseverare nella ricerca scientifica anche in situazioni storiche in cui si riveli poco gratificante dal punto di vista economico e non orientarsi ad attività d’altro genere, meno <> ma più remunerative? Ecco solo alcune delle domande che rischiano di restare dapprima senza risposte meditate, e infine soppresse del tutto; domande da cui la matematica o la filologia fanno bene ad astrarre, ma da cui è disastroso che facciano astrazione i matematici ed i filologi. Il rischio avvertito da Pascal all’alba del mondo moderno, di essere politici o fisici e, più in radice, essere uomini, mi pare incomba in tutta la sua gravità.

La focalizzazione della dimensione umana dei contenuti oggettivi della ricerca.

Ma la filosofia non deve soltanto evidenziare la figura del soggetto della ricerca scientifico-tecnica: ad essa spetta anche la tematizzazione della dimensione antropologica di molti, se non di tutti, gli oggetti di tale ricerca. È stato uno dei filosofi meno metafisici, David Hume, a sostenere che << non c’è questione di qualche importanza la cui soluzione non sia compresa nella scienza dell’uomo, e non c’è nessuna che possa essere risolta con certezza se prima non ci rendiamo padroni di quella scienza>> (Trattato sulla natura umana, Introduzione) : anche a non voler abbracciare in toto questa tesi un po’ eccessiva, resta vero che vi sono ambiti del sapere scientifico-tecinico nei quali l’eclissi della struttura specifica dell’uomo comporta deformazioni gravissime. Solo per limitarmi a due esemplificazioni, mi riferirei all’architettura e alla medicina. Un architetto che non si rassegni ad operare come rotella anonima di un’impresa edile anonima si troverà davanti a questioni che nessuna delle discipline inerenti alla sua formazione professionale è in grado di affrontare. Ogni progetto di edificio scolastico, di ospedale, di fabbrica, di istituto carcerario, di chiesa, va disegnato << a misura d’uomo>>: ma qual è, in realtà, la concezione antropologica più completa e più adeguata? Non è certo indifferente alle dimensioni degli ambienti, alla disponibilità dei locali, al rapporto con gli edifici e con gli spazi circostanti, la visione dell’uomo che sottende la creatività e l’inventiva di un architetto. Ancora più facile sarebbe dimostrare l’ineludibilità di una chiara prospettiva antropologica, in senso meta-scientifico, per chi intraprenda la ricerca biologica. Alcuni mesi fa Giorgio Celli, etologo all’Università di Bologna, dichiarava nell’ambito di un’inchiesta sulla situazione della biologia: << Diciamo pure che ora si riesce a selezionare l’uomo. Ma secondo quale modello? C’è sempre una filosofia che sta “prima” e che descrive il modello a cui rifarsi. Com’è noto, anche i nazisti, nella loro perversa visione del mondo, volevano selezionare la “razza pura”: alta, bionda, occhi azzurri, eccetera. Ma perfino all’interno del loro aberrante disegno c’era un dissenso “filosofico”: il poeta Gottfried Benn – nazista- osservò che genio e malattia andavano di pari passo e che dunque bisognava sezionarli insieme. È possibile che “prima” non ci siano un fine, un modello, insomma una filosofia>> (cfr. L. Lilli, Scalata al biopotere, << La Repubblica>>, 8-6-85, p. 20).

La consapevolezza della destinazione politica dei risultati della ricerca teorica e delle applicazioni della tecnica.

L’uomo non è soltanto << alle spalle >> e, in qualche modo, << dentro >>, lo spettro d’indagine scientifico-tecnico ma, per così dire, << davanti >> : esso è infatti, anche quando lo si dimentichi, il destinatario dei frutti della ricerca scientifica e tecnica. L’architettura in quanto tale, o la medicina in quanto tale, non si pongono neppure la domanda << a che giovi >>, in fin dei conti, il progresso delle tecniche di costruzione o dell’ingegneria genetica: ciò è normale, ma è inaccettabile che neppure l’architettura o il medico, in quanto persone umane, si chiedano (al di là delle competenze strettamente professionali) per quale modello di civiltà stiano investendo le proprie energie intellettuali. Lo studio della filosofia nella scuola secondaria dovrebbe proprio evitare il perpetuarsi di questa incoscienza. Non solo, ma appunto perché ogni modello di civiltà implica un modello di uomo, il futuro operatore nel mondo della scienza e della tecnica dev’essere indotto a cogliere non soltanto (e ciò sarebbe già molto) la dimensione politica in generale della sua prassi (apparentemente neutrale), ma anche quella problematica antropologica che, da Platone a Marx, ha costituito << il fondamento teorico>> di ogni << coerente pratica politca>> (L. Althusser, Per Marx, Roma 1969, p. 199)

Augusto Cavadi