sabato 31 maggio 2014

Per il terzo anno consecutivo, Filofest: l'unico Festival della filosofia di strada nel mondo!

Sono lieto di comunicarvi in tempo il programma del Filofest 2014, programmato nelle Marche durante l'ultimo week-end di agosto (da giovedì 28 a domenica 31).
La tempestività dell'annuncio è in funzione delle eventuali prenotazioni aeree o ferroviarie che amiche ed amici più lontani dalle Marche (come me!) riterranno opportuno predisporre.
Ovviamente è possibile iniziare la propria partecipazione direttamente da Amandola (da venerdì 29 agosto) 'saltando' la tappa iniziale, pur significativa, della bellissima città di  Fermo ( il 28 agosto).

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FILOFEST 2014
Festival della Filosofia di strada
Incontri, dibattiti, interviste, colazioni filosofiche, laboratori esperienziali, pratiche di filosofia di strada

ABITARE LA PRECARIETÀ
fluidi scenari,  giusta distanza,  nuovi equilibri

28/29/30/31 agosto 2014

PROGRAMMA
Giovedì 28 agosto:  apertura del festival, laboratori esperienziali

18.30/20.00: Fermo, giardini Palazzo Vinci
                      laboratorio “emozioni precarie”
                      conduce Silvana Zechini
18.30/20.00: Fermo, giardini Palazzo Vinci
                     laboratorio pedagogico  per ragazzi da 8 a 12 anni “penso quindi… sono
                     conduce Paola Ascani
21.30/23.00 Fermo, Cappellina Villa Vitali
                    Apertura del festival  
                   “Abitare la precarietà”  conduce Luigi Alici

Venerdì 29 agosto: laboratori esperienziali, passeggiata filosofica, spettacolo

17.30/19.30: Amandola, Lago di San Ruffino, presso Osteria del lago: “Filo-so-fare…camminando”
-       “La filosofia di strada. La filosofia in pratica”.  Passeggiata filosofica lungo il lago di San Ruffino
conduce Augusto Cavadi

21.00/21.45: Amandola, Lago di San Ruffino, presso Osteria del lago
-       concerto jazz  “Rags, blues, spanish and other music”                    
al pianoforte Enrico Garlaschelli

22.00/23.00: Amandola, Lago di San Ruffino, presso Osteria del lago
-        laboratorio notturno in cammino di econarrazione     conduce Duccio Demetrio

Sabato 30 agosto : colazioni filosofiche, interviste a filosofi, confronti filosofici, laboratori esperienziali, spettacolo

9.00/10.30: Colazioni filosofiche
-       Amandola, Lago di San Ruffino, presso Osteria del lago: “L’ironia di Montaigne sulla precarietà umana”  conduce  Stefano Guerini
-       Amandola,  Hotel Paradiso,  “Precari si nasce e spesso ci si muore”  conduce Augusto Cavadi
-       Amandola, Gran Caffè Belli: “Gestire la precarietà nel tempo della crisi”  conducono Anna Colaiacova e Silva Fallavolita
-       Amandola,  Country house: “La Querceta”, Marnacchia: “Il sorriso di Buddha sull’impermanenza del cosmo”   conduce Francesco Dipalo

11.30/13.00: Amandola, ex chiesa Collegiata
-       Enrico Garlaschelli  intervista Salvatore Natoli
                          
15.30/17.30:laboratori esperienziali

-       Amandola, Lago di San Ruffino, presso Osteria del lago
 Philosophy for children: filosofia per i bambini
·      15,30 – 16,15: La Philosophy for children spiegata agli adulti
·      16,15 – 17,30: La Philosophy for children praticata con i bambini
                        conduce Stefano Guerini.
-       Montefortino, Vetice,  La Roccaccia:  philosophical afternoon tea “"Towards the unknown" 
      conduce Robert Haddok   (in lingua inglese)
-       Amandola, Auditorium Vittorio Virgili: “Il pensiero femminile”
                        conduce Patrizia Caporossi
-       Amandola, Auditorium Vittorio Virgili: “Confesso: ho vissuto la disabilità come risorsa”
                       conduce Massimo Toschi


18.15/18.30: Amandola, ex chiesa Collegiata:  video su “Abitare la precarietà” del fotografo  Giorgio Tassi

18.30/20.30: Amandola, ex chiesa Collegiata:  “Affrontare la contingenza: le vie della saggezza solidale”
Confronto fra Roberto Mancini e Telmo Pievani, moderatore Sergio Labate

22.00/23.00: Amandola, teatro “La Fenice”:  spettacolo teatro di strada


Domenica 31 agosto  - colazioni filosofiche, interviste, agorà conclusiva - 

9.00/10.30:  colazioni filosofiche
-       Amandola, Bar Risorgimento: “L’ironia di Montaigne sulla precarietà umana”   conduce Stefano Guerini
-       Amandola,  Hotel Paradiso :  La fragile felicità possibile”  conduce Augusto Cavadi
-       Amandola, Gran Caffè Belli: “Il sorriso di Buddha sull’impermanenza del cosmo”  conduce Francesco Dipalo
-       Amandola,  Castel Leone, presso giardino via Castel Leone, n°16 : “La forza della fragilità”  conduce Patrizia Caporossi

11.15/12.30: Amandola, ex chiesa Collegiata: “La precarietà del credere”. Dialogo teologico tra Vito Mancuso e Paolo Trianni

12.45/14.00: Amandola, ex chiesa Collegiata: Agorà conclusiva   conduce Augusto Cavadi

mercoledì 28 maggio 2014

Corsi di formazione pre-matrimoniale e cultura antimafia


Repubblica – Palermo”
 24.5.2014

SE L’ANTIMAFIA NASCESSE NELLE PARROCCHIE
   Karina vive a Palermo, Ninni  - il fidanzato – a Roma. Perciò, volendo celebrare il matrimonio in chiesa, seguono i corsi prematrimoniali nelle rispettive città. Entrambi sono abbastanza lontani dalle frequentazioni ecclesiali, sin dai tempi della prima (e ultima !) comunione. Ninni, nella sua parrocchia romana, ha trovato un prete accogliente, un clima  simpatico: gli incontri cominciano con esercizi di respirazione e giochi di autopresentazione al gruppo. Poi si passa ad alcune tematiche etiche: il prete, o chi di volta in volta lo sostituisce, espone la dottrina ufficiale, ascolta le obiezioni, provoca la discussione franca e aperta fra i presenti. Il corso si conclude con una giornata comunitaria ad Ariccia per rassodare una circolarità di amicizie appena germogliate: e Ninni confida a Karina di voler riavvicinarsi, anche dopo il matrimonio, a un’esperienza comunitaria che gli sembra tanto in sintonia con il nuovo corso di papa Francesco.
    Ma Karina, a Palermo,  sta vivendo un’esperienza assai differente. Frequenta il corso prematrimoniale in un quartiere molto popolare del centro storico dove i fidanzati, mediamente meno istruiti di lei, vengono trattati come scolaretti. Il parroco, o un professore universitario di discipline scientifiche (“Una brava persona, ma non certo elastico mentalmente”), sta un’ora adi seguito a fare lezione dalla cattedra. Non è previsto alcun dibattito: chi vuole celebrare il matrimonio in chiesa deve accettare il pacchetto catechistico per intero. Non è prevista nessuna strategia di conduzione di gruppi per far sì che le coppie si conoscano, almeno sommariamente, fra di loro. Anzi, si vincola il certificato finale alla frequentazione della messa domenicale, dove per altro il numero degli assenti  (molti di loro lavorano come commessi nei grandi magazzini o come camerieri nei ristoranti) prevale sulla quota dei presenti. Affinché i futuri sposi facciano i salti mortali per non disertare l’appuntamento domenicale si opta per l’intimidazione teologica: “Se non trovate il modo di visitare Gesù almeno una volta la settimana, non dovrete  stupirvi qualora da sposati non avrete da Lui il sostegno desiderato. Potrete pregarlo quanto vorrete, ma Egli vi risponderà: non ho avuto il piacere di conoscervi!”.
      Il racconto di Karina  - “Sto vedendo cose che andrebbero scritte sui giornali!” – si presta ad almeno due considerazioni. La prima è che la vicenda sua e del fidanzato non può essere generalizzata: so per certo che a Roma ci sono parrocchie antiquate così come a Palermo ce ne sono di teologicamente aggiornate. Centinaia, anzi migliaia di coppie, si sono preparate in  corsi matrimoniali all’Albergheria dove non hanno incontrato solo il prete (per altro disponibile a ogni genere di confronto), ma anche la psicologa e l’avvocato, la ginecologa e  il bioetico.
        Inoltre – ed è la seconda considerazione – in questi corsi si invita molto spesso anche qualche sociologo per riflettere sul ruolo che la pedagogia familiare potrebbe giocare a Palermo per sradicare la mentalità mafiosa e le varie  pratiche corruttive. Se esperimenti del genere non restassero casi isolati, per quanto benemeriti, si registrerebbero sicuramente meno frequentemente casi di esponenti della vita parrocchiale indagati, o addirittura arrestati e processati e condannati, per gravi reati mafiosi. Se, come è stato rilevato anche recentemente su queste colonne, uno dei limiti più palesi dell’antimafia è l’incapacità di raggiungere le coscienze degli strati popolari,  è veramente grave che le chiese  (a cominciare dalla chiesa cattolica) non giochino sino in fondo il proprio ruolo etico-politico: sono infatti tra le poche agenzie educative che avrebbero il prestigio, il linguaggio e  le occasioni per raggiungere anche generazioni nuove e cerchie sociali esterne alla ristretta borghesia illuminata.
Se questo impegno tarderà, sarà poco utile un papa venuto dalla “fine del mondo”: vescovi e preti, diaconi e catechisti, resteranno incapaci di cambiare in meglio  le periferie del  pianeta.

Augusto Cavadi

sabato 24 maggio 2014

EQUIVOCI E RISCHI DEL VOLONTARIATO


“Centonove” 23.5.2014
IL VOLONTARIATO COME PROFESSIONE
A Palermo si sono svolti in questi giorni gli “stati generali” del volontariato con la partecipazione di più di mille organizzazioni da tutta la Sicilia, regione nella quale opera circa un decimo di quei cinque milioni di italiani impegnati gratuitamente in questo settore. Che si tratti di un ambito di attività significativo lo si è sempre saputo e la crisi recessiva in cui siamo immersi contribuisce a evidenziarlo; ma proprio perché si tratta di una fetta importante del tessuto sociale bisognerebbe intensificare gli sforzi mirati a evitarne la degenerazione.
Maneggioni della società civile e del ceto politico sono riusciti, infatti, in questi due decenni a inquinare il “welfare dei poveri” strumentalizzando l’etichetta “volontariato” e utilizzandolo come anticamera di assunzioni clientelari in rami dell’amministrazione pubblica (famigerato il caso degli operatori sanitari del 118). Ma anche al di fuori delle falsificazioni ciniche intenzionali, nelle organizzazioni sostanzialmente oneste, si registrano equivoci e rischi.
    Innanzitutto nella sfera delle motivazioni : perché ci si decide a intraprendere un’attività di volontariato? L’esperienza attesta, implacabilmente, che troppo spesso lo si decide per aiutare sé stessi a uscire da una fase di noia o di depressione o di insoddisfazione esistenziale o di solitudine. Nulla di scandaloso, ovviamente, se si tratta di motivazioni iniziali; ma molto di disastroso se restano le uniche. Si potrebbero adattare in proposito le parole che don Lorenzo Milani formulava riferendosi ai politici: bisogna servire i poveri, non servirsi di essi.  Se non radico l’opzione di dedicarmi al volontariato in una prospettiva mentale più ampia, dove troverò le energie per resistere al logorio della quotidianità, delle delusioni, dell’ingratitudine?
    Ma non basta, ammesso che ci sia, una solida motivazione etica. Occorre che il volontariato abbia anche una visione politica. Che senso avrebbe lavorare per mettere le toppe a un vestito sdrucito senza progettarne uno nuovo? Che senso avrebbe correre qua e là per soccorrere feriti senza chiedersi perché ci sia una guerra in atto? Il rapporto con le istituzioni, locali e internazionali, non può ridursi né a mera contestazione permanente né tanto meno a querula richiesta di sovvenzioni: deve piuttosto intrecciare la critica con la proposta in modo da ipotizzare, e contribuire ad attuare, effettivi e duraturi miglioramenti strutturali. Eppure la consapevolezza politica dei volontari non è più elevata rispetto alla (molto bassa) media nazionale. Né questa ingenuità disturba qualcuno. Anzi, è proprio ciò che rende digeribile a tutti il mondo del volontariato perché, come ripeteva il vescovo brasiliano don Helder Camara, “se do una mano ai poveri, mi lodano come un buon prete; se mi chiedo come mai il sistema produca tanti poveri, mi bollano come comunista”.
      Solidità delle motivazioni etiche e lucidità del progetto politico non si improvvisano: occorre una formazione culturale.  Ecco perché venti anni fu attivata al Centro “Pedro Arrupe” di Palermo una “Università della strada” con il contributo di operatori di varia estrazione e di vario orientamento  ideologico. Ma fu un’esperienza relativamente breve: dopo  alcuni anni il numero degli iscritti calò sino a rendere illogica la continuazione dell’iniziativa. Chi fa volontariato troppo spesso “va dove lo porta il cuore”, senza chiedersi se possiede gli strumenti culturali per capire sé stesso e gli altri; per gestire le dinamiche di gruppo; per promuovere una cittadinanza adulta e attiva che, al di là dell’emozione per le emergenze, sappia e voglia costruire una città migliore nella quale, finalmente, il volontariato risulti…superfluo.

Augusto Cavadi

venerdì 23 maggio 2014

Giorgio Calderoni su "Legalità" (Di Girolamo, Trapani 2013, euro 7,00) di Augusto Cavadi


Giorgio Calderoni sul mio libretto Legalità


Ricevo dall’amico Giorgio Calderoni, magistrato del TAR, delle acute e puntuali osservazioni sul mio libretto Legalità (Di Girolamo, Trapani 2013). Esse integrano, e in qualche misura fanno da contrappeso, alle considerazioni  - già ospitate in questo blog  - a firma del Gip Lorenzo Jannelli.

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Questi i miei schematici (e dunque necessariamente “forzati”) punti di vista sul tuo Legalità (Di Girolamo, Trapani 2013) e che hanno cercato, in ogni caso di tener conto della natura e della finalità del tuo scritto, primo di una collana programmaticamente intitolata “sindacalario”.

Così sintetizzo i tuoi argomenti:
a)    mi è parso di individuare il filo conduttore del tuo discorso sulla “legalità” nel dualismo (tu la chiami distinzione, ma in più di un tuo passo mi pare contrapposizione) tra legalità e giustizia;
b)   esemplare da questo punto di vista la figura di Antigone;
c)   il criterio per misurare in concreto questa distinzione è il discernimento “paolino”;
d)   i “fari orientativi” che indichi sono:
-       la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo;
-       la Convenzione europea dei diritti dell’uomo;
-       la Costituzione italiana
e)    il discernimento non basta, e dopo di esso occorrono:
-       la fedeltà (id est: la legalità democratica interiorizzata)
-       la resistenza, che si differenzia dal ribellismo: i naturali riferimenti sono Gandhi e la sua disubbidienza civile, anche se citati nel capitoletto sulla “fedeltà”
-       la creatività (elaborazione di una controproposta pubblica: id est, la politica)

Al riguardo osservo altrettanto sinteticamente:
aa) colgo in filigrana il classico modello che accoppia la legge alla sua trasgressione: trasferito in psicanalisi, un autore che apprezzo lo definisce “un modello moralistico e classicamente edipico”, in quanto stabilisce il rapporto tra il desiderio e la legge nel senso che, nella misura in cui la legge definisce il limite normativo, il desiderio tende a oltrepassarlo trasgressivamente: e qui torna non per caso san Paolo, la cui formula “la legge fa il peccato” è stata ripresa più volte da Lacan (M. Recalcati, Il complesso di Telemaco, Feltrinelli, p. 70);
bb) tornando al piano etico/giuridico, di questo modello avverto più i pericoli che i vantaggi e, quale soluzione empirica, ad esso preferisco quello tradizionale giuspositivistico della coppia Kelsen-Bobbio (sul primo tu, invece, ti allinei comprensibilmente alla posizione critica di Lombardi Vallauri);
cc) ma al di là delle adesioni personali a questo o quello modello astratto, il vero punto di dissenso sta in ciò:
·      ulteriormente sintetizzando, mi sembra di poter dire (se così non è, faccio sin d’ora ammenda) che tu affidi sostanzialmente al foro interiore di ognuno (sintomatica, per me, da questo punto di vista la tua espressione “legalità democratica interiorizzata”) la sede in cui operare il discrimen tra legalità e giustizia (o, alla san Francesco, tra ciò che va accettato e ciò che va contrastato, secondo un’altra tua citazione), pur se utilizzando i principi scolpiti nelle 3 Magnae Chartae contemporanee di cui sopra; poi, naturalmente vengono le condotte conseguenti, private (la resistenza) e pubbliche (la politica), ma le figure di riferimento restano, per l’appunto, i campioni della disobbedienza civile, da Antigone a Gandhi (passando per Thoreau, aggiungo io): in definitiva, nel conflitto tra diritto e coscienza [uso intenzionalmente quest’ultimo termine, solo per evocare - e qui non è possibile fare altrimenti - il grande tema dell’obiezione di coscienza che, in fondo, anche tu hai lasciato per implicito, tanto (ancora se non erro) da non nominarlo neppure], il singolo è legittimato a seguire la propria coscienza e a infrangere le regole “formalmente” poste;
·      al contrario, io penso che la sedes in cui riconoscere ed eventualmente tentare di comporre l’eventuale dissidio tra legalità e giustizia (e dunque tra diritto e coscienza) possa essere solo una o più di quelle offerte dallo stesso sistema giuridico che ha prodotto la norma ritenuta ingiusta; per sintetizzare ancora la mia posizione, l’unico sentiero a mio avviso percorribile è quello che sta tra il motto “dura lex sed lex” da un lato e “il ci sarà pure un giudice a Berlino” del mugnaio di Sans Souci, dall’altro. Il campione/testimone/eroe di questo punto di vista non manca e non è meno degno e affascinante di Antigone o Gandhi o Thoreau o Luther King: è lo schiavo Pedro Carmona che, liberato assieme alla moglie - secondo le regole della schiavitù - dal testamento del suo padrone di Puerto Rico nella prima metà del ‘500, combattè a lungo dinanzi a tutte le Corti del regno spagnolo per vedere affermato il proprio diritto alla libertà, conculcato da esecutori testamentari ed eredi infedeli. La vicenda è emersa di recente dall’Archivio generale delle Indie a Siviglia e ne ha parlato Claudio Magris venti giorni fa sul Corriere della Sera dell’8 aprile. Fu anche affiancato, a un certo punto delle sue battaglie, dal vescovo Bartolomeo de Las Casas e, anche se non si conosce storicamente quale sia stato l’esito finale delle stesse, resta la testimonianza di chi – senza pensare di mettere radicalmente in discussione l’indubbiamente iniquo sistema schiavista di cui era vittima, non si sottomise alla sopraffazione scegliendo di brandire la legge del tempo, creata dai padroni degli schiavi, e di praticare uno dopo l’altro gli strumenti giuridici che questa offriva.

Detto ciò, provo a esemplificare le differenze che colgo tra le nostre posizioni, con l’augurio di non incorrere in eccessivo tecnicismo:
1)   io penso che ciascuno di noi, cittadini di una società indubitabilmente democratica qual è quella italiana, debba utilizzare tra sé e sé (e/o nel confronto con un gruppo di sodali e/o nelle sedi del discorso pubblico) i principi delle tre Magnae Chartae citate per giungere a un primo scrutinio di accettabilità o meno di una determinata disposizione di legge: ma, una volta che si sia formato una convinzione (negativa) al riguardo, non può autonomamente optare per la sua individuale disapplicazione e/o inosservanza, bensì percorrere tutti i rimedi previsti dall’ordinamento giuridico per giungere a una eventuale pronuncia che sciolga la generalità dei consociati dall’obbligo di osservanza di quella norma ovvero accettare il diverso responso dell’organo preposto (Corte Costituzionale, Corte europea dei diritti dell’uomo);
2)   anche questa via va, in ogni caso, considerata come riservata ai casi-limite: per farti solo un esempio personale e per quello che può valere, in quasi 30 di attività professionale ho autonomamente investito la Corte Costituzionale una sola volta (ottenendone risposta, nel suo esito, sostanzialmente positiva) e mi sono rivolto una sola volta alla Corte europea di Giustizia (quella del Lussemburgo e non quella dei diritti dell’uomo di Strasburgo) per una questione interpretativa;
3)   naturalmente, può porsi il tema, come da più parti è stato fatto, di una riforma dei sistemi di accesso alla Corte Costituzionale, attualmente solo “indiretti” (cioè che necessitano dell’instaurazione di un previo processo presso uno dei tanti giudici del nostro sistema giudiziario), mediante la previsione di forme regolamentate anche di accesso diretto alla Corte stessa, come avviene in altri sistemi giuridici

Resta inteso che, nel caso di rottura del quadro democratico formale (anche questo aggettivo è intenzionale, e qui mi fermo a questa sottolineatura senza neppure accennare a quanto ne risulta implicato) tutto cambia e può e deve ammettersi il ricorso a forme di reazione non contemplate dalle norme positive sino all’ <<assassinio del tiranno>> negli stati d’eccezione.

La mia ti potrà sembrare una posizione “conservatrice” o che pecca di eccessiva “Realpolitik”: può essere, ma non ti nascondo che, ai miei occhi, non meno foriera di pericoli - specie in una realtà come quella italiana - può essere, in tema di legalità, la sottovalutazione del primato della legge in quanto legge.

Grazie per avermi dato l’opportunità, con l’ultima delle tue pubblicazioni, di riflettere con più calma sugli snodi di fondo del mio lavoro quotidiano, snodi che proprio la quotidianità e l’urgenza di risolvere il caso singolo finiscono per lasciare pericolosamente in disparte.

27 aprile 2014
                                                     Giorgio

mercoledì 21 maggio 2014

Ci vediamo giovedì 22 maggio alle 17,30 a Valderice (Trapani) ?

GIOVEDI' 22 MAGGIO ORE 17.30, AL MOLINO EXCELSIOR DI VALDERICE,
ALLE 17.30 parteciperò alla Tavola rotonda 
                                    "DENTRO LE PAROLE...
    (viaggio intorno alle parole da scegliere da amare, da difendere, da regalare)"

nell'ambito dell Festa del libro organizzata dalla Scuola elementare locale.

Il giorno dopo terrò, con Lilli Genco,  due laboratori per gli alunni delle quinte classi a partire dai volumetti che abbiamo scritto: 
Don Puglisi (Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2013)
Il mio parroco non è come gli altri (Di Girolamo, Trapani 2013).

Sostiene Rindone (su Grillo e il movimento 5 stelle)

Ospito volentieri lo scritto interessante di un amico che stimo, Elio Rindone, riguardante le imminenti elezioni europee. Pur non condividendo interamente le sue considerazioni  - per altro formulate in maniera ironica e paradossale - ritengo che esse offrano elementi di riflessione istruttivi. Per molte ragioni voterò la lista Tsipras, ma ritengo dignitosa ogni altra opzione (compreso, ovviamente, il voto dei concittadini che si riconoscono nelle ideologie conservatrici e reazionarie; tranne il voto per Forza Italia, aggregato di mascalzoni e ricettacolo di pluricondannati per i reati più odiosi che riesco a ipotizzare). 
***
 
Elio Rindone

Appello agli elettori

Care elettrici, cari elettori,

si avvicina la data del voto e noi sentiamo il dovere di lanciare l’allarme: c’è oggi in Italia una forza politica che mette in pericolo le istituzioni democratiche! Una forza populista che, sfruttando il malessere prodotto dalla crisi economica, appositamente enfatizzato, e godendo, nonostante le apparenze contrarie, dell’appoggio dei grandi mezzi d’informazione, non avanza mai proposte costruttive ma dice sempre e soltanto no a tutti i tentativi di dare un futuro al nostro Paese.
Non ne facciamo il nome, perché siamo sicuri che individuerete da soli questo movimento eversivo se leggerete con attenzione il seguente elenco di casi in cui i suoi rappresentanti, che purtroppo sono già in parlamento, hanno messo in atto un’opposizione cieca e puramente distruttiva.
Cominciamo con le elezioni politiche del 2013: avendo mancato la vittoria piena, per fare il nostro governo abbiamo bisogno al Senato di un po’ dei loro voti. Eravamo evidentemente pronti a ricompensare in qualche modo quelli dei loro senatori che si fossero mostrati più dialoganti e ragionevoli. Ebbene: alle nostre avances hanno risposto con un secco no! Si è mai vista una cosa simile?
Intanto bisogna eleggere il nuovo presidente della Repubblica, e noi facciamo la cosa più ovvia: scegliamo il candidato in un incontro fra i leader dei due principali partiti. Cosa fanno loro? Propongono un loro candidato designato per via telematica dai loro iscritti. Ecco la loro idea di democrazia: affidare scelte così delicate a degli incompetenti anziché a uomini di provata saggezza e di specchiata moralità! Ma noi abbiamo fatto ricorso alla nostra mossa segreta: il nuovo capo dello Stato è… quello vecchio! Vecchio anzitutto perché, per usare un eufemismo, è un po’ avanti con gli anni, e poi perché abbiamo rieletto quello di prima, anche se non era mai successa una cosa del genere: a mali estremi, estremi rimedi.
Variamo, quindi, il nuovo governo. Anche stavolta, nuovo si fa per dire, poiché già da tempo governiamo assieme con gli amici moderati che, pur sotto sigle partitiche differenti, condividono il nostro attaccamento ai valori democratici. E addirittura proponiamo una legge, che dovrebbe piacere anche agli estremisti, per abolire il finanziamento pubblico dei partiti. E invece, neanche questa va bene, perché sarà efficace solo dal 2017, mentre loro ai rimborsi elettorali rinunciano subito. E questo non è populismo allo stato puro? Che fa il paio con quell’altra stranezza di cambiare ogni tre mesi il capogruppo sia alla Camera che al Senato, per sottolineare che gli eletti sono soltanto rappresentanti dei cittadini e non longa manus dei segretari dei partiti.
Mentre noi siamo impegnati, applicando alla lettera una politica di austerità, a salvare l’Italia dal crollo economico, loro sanno solo farci perdere tempo, presentando i disegni di legge più strampalati. Per esempio: sospensione dell’acquisto di utilissimi cacciabombardieri F-35, limite di due mandati per i parlamentari e incandidabilità dei condannati, taglio delle pensioni d’oro di tanti nostri amici, reddito di cittadinanza per tutti, provvedimenti sul conflitto d’interessi e contro la corruzione... È evidente che si tratta di proposte eversive, o almeno provocatorie, che noi o non abbiamo preso in considerazione o abbiamo bocciato sonoramente. E, soprattutto, siamo riusciti a far passare l’idea che in parlamento la loro presenza sia del tutto irrilevante. Eppure, anche se non facciamo che evidenziare gli atteggiamenti intolleranti e antidemocratici dei loro leader, che paragoniamo ora a Hitler, ora a Stalin, ora contemporaneamente a entrambi, continuano a ostacolare il nostro lavoro e ad avere un seguito nel Paese.
Per contrastare la loro testarda opposizione, ci convinciamo quindi che è necessario rivedere la Costituzione, e per riuscirci proponiamo di accorciare i tempi, assolutamente irragionevoli, previsti dall’articolo 138. Non lo avessimo mai fatto: per fermarci, i più scalmanati tra i loro parlamentari arrivano a salire sul tetto di Montecitorio! Noi non faremmo mai una cosa del genere, perché anche le buone maniere sono indice di un animo sinceramente democratico.
Ma i guai da loro prodotti non si fermano qui: per evitare la loro propaganda populista siamo costretti a votare a scrutinio palese l’espulsione dal Senato di un nostro carissimo amico, che lascerà, come riconoscono anche i suoi detrattori, un’impronta indelebile nella storia del nostro Paese. Il motivo? L’accusa – da lui sempre respinta, anche se non gli si vuol credere e lo si tratta come un volgare bugiardo – di una frode fiscale che, anche se fosse stata realmente commessa, più che un reato sarebbe una simpatica prassi tipicamente italiana.
Indimenticabile, poi, l’indegna gazzarra da loro scatenata quando la presidente della Camera ha deciso – non era mai successo, ma c’è sempre una prima volta – di interrompere la discussione per passare all’approvazione del cosiddetto decreto Bankitalia. Con la loro reazione scomposta, vorrebbero far credere ai cittadini che, nascosto dietro la norma che abolisce la seconda rata dell’IMU, ci sia uno scandaloso regalo alle banche. Come se noi fossimo capaci di fare cose del genere! In realtà, è il loro linguaggio che è inappropriato e travisa il senso delle nostre iniziative: chiamano regalo scandaloso un’equa rivalutazione del capitale sociale della Banca d’Italia, licenziabilità la flessibilità giustamente richiesta dagli imprenditori, tagli alla spesa sociale una doverosa sforbiciata agli sprechi…
Ma veniamo ai fatti più recenti: poiché il nuovo governo, dopo neanche un anno, appariva già logoro, ne abbiamo formato uno ancora più nuovo, guidato da un giovane accusato di essere un dittatorello soltanto perché vuole con ferrea determinazione una legge elettorale che somiglia alla precedente – bocciata dalla Consulta, anche se non abbiamo capito perché: funzionava così bene! – e quella riforma costituzionale che ancora non siamo riusciti a fare.
Ci si poteva aspettare da loro non dico un minimo appoggio, ma almeno un ossequioso silenzio mentre noi lavoriamo per rinnovare le istituzioni? Evidentemente no: i soliti strepiti, perché la legge elettorale e la riforma della Costituzione le abbiamo concordate con quel nostro amico, che a causa di quella discutibile condanna ora chiamano pregiudicato anziché, più cortesemente, ex-senatore o meglio senatore emerito. Loro, come al solito, si sono fatta dettare dagli iscritti del loro movimento una proposta di legge elettorale, che è guarda caso opposta alla nostra, e, non contenti di ciò, hanno appoggiato anche l’appello di certi ‘professoroni’ che ci accusano di preparare una svolta autoritaria per l’Italia.
Una legge elettorale con un forte premio di maggioranza per l’unica Camera che può votare la fiducia al governo darebbe un potere eccessivo – dicono – a chi vince le elezioni. Ma è proprio questo che noi vogliamo: non una democrazia populista, in cui tutti, persino gli analfabeti di ritorno, possono pronunciarsi su qualunque questione, ma una democrazia governante, in cui finalmente qualcuno possa decidere senza preoccuparsi delle solite proteste degli intellettuali, sempre pronti a criticare; dei sindacati, ancora fermi alla lotta di classe; dei cittadini che, invece di limitarsi a mettere la scheda nell’urna, vorrebbero pure discutere le nostre scelte.
Ecco dunque, care elettrici e cari elettori, le ragioni dell’allarme che lanciamo col nostro appello. Non lasciatevi ingannare dalle apparenze: i veri autoritari sono loro. Date ancora una volta fiducia a noi e ai nostri progetti di riforma, liberandoci col vostro voto da questi signornò e mettendo così in sicurezza le nostre istituzioni democratiche. In questa gara tra l’amore e l’odio, la speranza e la rabbia, la moderazione e l’estremismo, fate prevalere le forze che vogliono costruire e non distruggere la nostra Italia!
Mentre di solito ci presentiamo alle elezioni con molteplici sigle, in modo da lasciare decidere a voi la quota di potere da assegnare a ciascun partito, abbiamo pensato di firmare invece il presente appello con un’unica sigla, per mostrare la nostra assoluta compattezza di fronte al pericolo

P.U.C.R.I.L.D.I.
Partito Unico per la Conservazione e il Rinnovamento delle Istituzioni Liberali e Democratiche in Italia