LA FLUIDITA' COME VIRTU': INCURSIONI TEOLOGICHE DA UNA PROSPETTIVA QUEER
Di solito usiamo “sesso” e “genere” come sinonimi. Ma le scienze umane, negli ultimi decenni, ci suggeriscono di distinguere il sesso(dato biologico) dal genere (come ruolo socio-culturale), sulla scia della fulminante asserzione di Simone de Beauvoir: “Femmina si nasce, donna si diventa”. Già: femmina o maschio ci si ritrova ad essere sulla base dei propri cromosomi, mentre il ruolo sociale, il modo di vestire, la postura verso gli altri...da donna o da uomo si apprendono nel proprio ambiente familiare e si possono ereditare passivamente o modificare anche profondamente. Un maschio mediterraneo, ad esempio, può accettare a-problematicamente il modello di “uomo” incarnato dal padre e dal nonno (un modello generalmente patriarcale e maschilista, anaffettivo e autoritario) oppure scegliere modelli di “uomo” alternativi (nei quali abbiano posto le emozioni, la gentilezza, la tenerezza, la cura dei piccoli e dei malati...)[1].
Non esistono solo due, ma innumerevoli “generi”
Negli ultimi decenni si è imposta una domanda impertinente: quanti “generi” di uomini e quanti “generi” di donne esistono? Bisogna essere davvero ciechi per non vedere che, sia diacronicamente (lungo la storia) sia sincronicamente (nelle diverse aree socio-culturali della Terra), esistono molti modi di vivere la maschilità e altrettanti di vivere la femminilità. Tranne le persone stupide che si consegnano alla schiavitù delle mode, ognuno/a di noi è uomo/donna a modo suo. E' la considerazione che ha suggerito al mio amico don Cosimo Scordato di affermare, nel corso di un incontro su queste tematiche, che esistono tanti “generi” quanti siamo gli individui.
Ma consentiamoci un passo ulteriore di approfondimento. Se ognuno/a di noi è uomo/donna in modo originale, lo è in maniera stabile dall'adolescenza alla senilità? O lo è in maniera cangiante, elastica, liquida, fluida? L'aggettivo inglese queer viene adoperato, anche[2], per indicare questo dato di fatto e questo diritto di principio: di non essere ingabbiati in un solo “genere” e di non esserlo dalla culla alla tomba secondo le tradizioni, le aspettative, le sanzioni della società in cui capita di nascere e crescere. Un uomo in gonnella non crea scandalo in Scozia, ma in Sicilia? Probabilmente provocherebbe la stessa reazione scandalizzata alle prime ragazze in pantaloni negli anni Sessanta del secolo scorso[3].
Un Dio queer ?
Questa brevissima premessa terminologica serve per rendere intelligibile una domanda apparentemente insensata: a che genere (sessuale) appartiene Dio? Insensata risuona questa domanda alle orecchie di chi, avendo appreso gli elementi basici del catechismo, sa che Dio (se esiste) trascende non solo ogni differenza di sesso, ma anche di genere. Dobbiamo dunque riformularla in maniera meno imprecisa: a che genere sessuale appartiene la rappresentazionedi Dio nelle tre grandi religioni monoteistiche (ebraismo, cristianesimo e islamismo) ?
A una domanda simile non possiamo evitare di rispondere che l'immagine(non il concetto, l'idea) di Dio, nella tradizione culturale di matrice medio-orientale, sia di genere maschile.
Limitiamoci al solo cristianesimo (così come si è andato configurando dal secondo secolo ai nostri giorni): Dio è il Principio originario dell'universo costituito, intrinsecamente, dalla comunione tri-personale di un Padre, di un Figlio e di uno Spirito Santo. Di unPadre: qua e là nelle Scritture ebraiche vi sono dei versetti che avvicinano i sentimenti di Jahvé a ciò che prova una madre per i figli, ma nel complesso Egli è adorato come Anziano (“Antico di giorni”), Pastore, Condottiero, Giudice...Di un Figlio: nel maschio Gesù si è incarnato un Logos, un Verbo, che avrebbe potuto essere designato con termini femminili (Sofia, Sapienza), ma che di fatto è declinato al maschile. Di uno Spirito Santo: nonostante in ebraico la parola che significa Spirito sia di genere femminile (ruah) e in greco di genere neutro (pneuma), nella lingua ufficiale della Chiesa cattolica è diventata di genere maschile (spiritus).
Dunque il Dio trinitario è costituito dalla comunione di tre Persone a-sessuate, ma di genere 'maschile'.
L'ipotesi di ricerca di un numero crescente di teologi e di teologhe è almeno duplice: può darsi che questo modo di rappresentare la Divinità sia stato causato dalla preponderanza quasi assoluta di maschi/uomini nelle fila degli autori dei testi biblici (così come nelle assemblee dei dirigenti delle Chiese cristiane che hanno selezionato come 'canonici' gli attuali libri della Bibbia e ne hanno stabilito l'interpretazione normativa sin dalle origini)?
E – seconda ipotesi di ricerca – può darsi che questo modo di rappresentare la Divinità, forse effettodi una mentalità maschilista e patriarcale, sia stato a sua volta causa, o con-causa, del radicarsi e diffondersi nelle società cristiane di una mentalità maschilista e patriarcale?
Sulla prima ipotesi, ormai il consenso degli esegeti è pressoché unanime: «Dio non ha sesso, perché è puro spirito (Gv 4, 24). […]Quando Dio viene detto però entra nei limiti del linguaggio umano. A parlare e a tramandare la fede sono stati principalmente uomini maschi e sarebbe insensato ritenere che essi non abbiano parlato dal loro punto di vista, dal quale la donna è considerata l’altro (come ricordava S. De Beauvoir), subordinata e funzionale, secondo lo schema patriarcale, e quindi a partire dalla loro esperienza limitata e in una grammatica declinata al maschile» [4].
Sulla seconda ipotesi la pastora protestante Judith van Osdol è stata icastica: «le Chiese che immaginano o rappresentano Dio come un maschio devono farsi carico di questa immagine come un'eresia. Poiché là dove Dio è maschio, il maschio è Dio...»[5].
Un Dio queer?
Per uscire dall'impasseteologica patriarcale-maschilista mi pare di vedere solo due vie.
La prima è la mistica apofatica di chi sa che Dio non è in nessun modo pensabile nella sua essenza e tanto meno rappresentabile con immagini tratte dalla nostra esperienza antropologica. In questa direzione vanno espressioni come le righe di Simone Weil su «un Dio al contempo personale e impersonale, e né l'uno né l'altro» [6]che potrebbero agevolmente parafrasarsi: «un Dio al contempo maschile e femminile, e né l'uno né l'altro».
Ma questa via, almeno nella fase attuale dell'evoluzione umana, è praticabile dalla stragrande maggioranza dell'umanità o – tranne casi privilegiati – abbiamo bisogno di appoggiarci a simboli, metafore, categorie? Propenderei per questa seconda affermazione e dunque, dal punto di vista operativo, per una pluralità dei nomi con cui parlare di Dio e conDio: nella consapevolezza che nessuno di tali nomi lo coglie nella sua intimità.
E' la direzione testimoniata da molte teologhe, come ad esempio la suora benedettina Teresa Forcades che, in un libro-intervista, racconta: «A volte, come fanno ad esempio le Suore Trinitarie di Suesa, scelgo alcuni passi biblici che declinano Dio al maschile, li traduco al femminile e dentro di me accadono delle cose, da un punto di vista emotivo. Se, per esempio, invece di dire: “Signore, tu sei al di sopra di tutto”, dico “Signora”, avverto un'emozione totalmente differente. Il gioco di questa esplorazione è il riconoscimento del limite del linguaggio umano. Senz'altro non è la stessa cosa usare “Signore” o “Signora”, la cosa migliore sarebbe dire a volte l'uno e a volte l'altra, in modo da non assolutizzare Dio e non idolatrarlo. Questo è anche il senso del tetragramma ebraico. L'importante è esplorare il nome di Dio in modo personale, secondo la relazione che vai costruendo passo dopo passo con Lui (o con Lei)» [7].
Insomma, il modo meno inadeguato di rivolgere a Dio il proprio pensiero è di concepirlo in maniera sempre parziale, sempre provvisoria, sempre fluida: in maniera queer.
Un Gesù queer?
In qualsiasi modo s'interpreti la “figliolanza” divina di Gesù, non c'è dubbio che il cristianesimo si basi sulla convinzione che il Cristo sia la concretizzazione plastica, nella storia, della presenza dell'invisibile. Alla domanda se Gesù fosse un uomo, suor Forcades risponde: «Sì, ma un uomo queerprobabilmente. Come fosse Gesù cromosomicamente non lo sappiamo»[8]. Francamente la risposta mi pare tautologica: se ci poniamo dal punto di vista genetico-sessuale di nessun personaggio storico abbiamo notizie attendibili, anche perché ormai le scienze bio-mediche hanno appurato che fra il sesso maschile e il sesso femminile si squaderna una varietà di posizioni intermedie (alcune delle quali risolte subito dopo la nascita per mano dei chirurghi).
Molto più interessante è invece interrogarsi sul “genere” di Gesù, almeno del Gesù attingibile attraverso i vangeli canonici e apocrifi. E, da quest'ottica, mi sembrano illuminanti le pagine di Hanna Wolff, a giudizio della quale Gesù era decisamente “uomo”, ma ha vissuto in maniera innovativa la sua “identità di genere”: non il “maschio” autoritario della tradizione patriarcale ebraica (prima di lui) né il “maschio” monopolista del sacro della tradizione cristiana (dopo di lui), ma un maschio comprensivo, accogliente, tenero[9]. Junghianamente si direbbe che Gesù ha sintetizzato dentro la propria psiche l' animus(maschile) e l'anima (femminile): si è rivelato come «un maschio integrato»[10] o, per dirla con le parole del riformatore indiano Keshab Candra Sen, «l'unione della perfezione maschile e femminile» [11].
Una Chiesa queer
Se - pur senza sposare integralmente le tesi dell' Indecent Theology (ammesso che qualcuno, oltre l'Autrice, sia in grado di decifrarla compiutamennte) – se ne condivide l'operazione di «liberare non solo l'umanità ma anche Dio dagli angusti confini sessuali e ideologici nei quali Dio stesso è stato collocato»[12], sarà conseguenziale (almeno dal punto di vista logico) progettare una Chiesa meno monolitica, meno androcentrica, meno machista, meno dualista di tante confessioni cristiane[13] , tra le quali occupa un posto paradigmatico la cattolico-romana.
Secondo la filosofa Judith Butler a fondamento del soggetto moderno ci sarebbe una “melanconia” causata dalla necessità intrinseca di escludere alcune forme del desiderio. Con un entusiasmo forse eccessivo, per il quale si vede già attuato nel presente ciò che potrebbe realizzarsi solo in futuro[14], qualche teologa è arrivata a sostenere che la Chiesa cristiana – in cui l'unica identità che conta è l'essere battezzati/e e, dunque, le altre forme di identità si rivelano secondarie e inadeguate – è «l'unica comunità che vive sotto il mandato di essere queer, ed è solo all'interno della Chiesa che la teoria queer raggiunge il suo telos, essendo la melanconia del genere rimpiazzata dalla gioia che nasce dalla morte e dalla resurrezione di Cristo»[15].
Effetti di liberazione, non solo dal punto di vista religioso
Queste considerazioni possono essere lette, riduttivamente, come cedimenti alle mode culturali, ma nelle intenzioni dei teologi e delle teologhe che si sono occupati/e di aprire simili orizzonti palpita il desiderio di liberare la teologia tradizionale da paramenti sacri che la riducano a reperto archeologico; la rappresentazione del Divino da categorie patriarcali-occidentali che la rendono incomprensibile a miliardi di contemporanei; il cristianesimo dall'abbraccio mortale con una tradizione colonialista e imperialista che ne pregiudica irrimediabilmente l'originaria vocazione universale (“cattolica”); le comunità cristiane indisponibili alla conversione continua dall'auto-esclusione rispetto alle numerose categorie di “irregolari” (specie fra le generazioni giovanili di ogni epoca) che più avrebbero giovamento dall'incontro con l'essenza agapica del vangelo.
Se qualcuno ritiene irrilevanti le ripercussioni nell'ambito religioso, può per lo meno considerare gli effetti etici e sociali di queste concezioni teologiche che, ben lungi «dal portare al nichilismo», hanno proposto «alternative di pensiero che sono anche sessuali e politiche»[16]. Esse, infatti, prima che come invenzioni originali, si presentano quali scoperte di valenze profetiche sepolte nei testi biblici (in particolare del Secondo Testamento): “profetiche” in quanto prefigurano una società in cui in nome della religione non si potranno più mortificare e strumentalizzare le donne. Anzi, più ampiamente, in cui il sesso, l'orientamento affettivo e il genere non costituiscano più gabbie nelle quali rinchiudere, etichettandole, le persone (neppure le etero-sessuali!), la cui dignità trascende tanto i dettagli anatomici quanto gli orientamenti affettivi e i comportamenti sociali cristallizzati da tradizioni umane, troppo umane. Modificando leggermente un antico motto teologico, si potrebbe asserire: in necessariis unitas, in dubiis fluiditas (vel queer), in omnibus caritas.
Augusto Cavadi
[1] Ancora differenti da “sesso” e “genere” (come ruolo sociale) sono le categorie di “identità di genere” (come auto-percezione psicologica) e di “orientamento sessuale” (nella quale rientrano gli omo-sessuali, i bi-sessuali e gli etero-sessuali). Anche ciascuna di queste due dimensioni, nell'immaginario poco istruito, viene sovrapposta a una delle altre tre, o a tutte e tre. Per intento di chiarezza, in queste pagine le lascio fuori campo e mi limito alle prime due evocate nel testo.
[2] “Anche” perché il termine queer copre uno spettro semantico ampio e mutevole: qui preciso, per quanto possibile, il significato in cui l'adotto in queste pagine.
[3] L'esempio mi è suggerito dal romanzo di Lara Cardella, Volevo i pantaloni, Mondadori, Milano 1989, da cui è stato tratto il film omonimo diretto da Maurizio Ponzi (1990).
[4] S. Zorzi,Viva la teologia femminista, “Rocca”, 16/17 2022.
[5] La citazione, debitamente contestualizzata, nel mio L'arte di essere maschi libera/mente. La gabbia del patriarcato, Di Girolamo, Trapani 2020, pp. 64 – 65.
[6] Cit. in V. Surian (a cura di), La città salvata. Omaggio a Simon Weil, εϊδος, Palermo 2014, p. 82.
[7] T. Forcades, Siamo tutti diversi! Per una teologia queer, a cura di Cristina Guarnieri e Roberta Trucco, Castelvecchi, Roma 2019, p. 159.
[8] Ivi, p. 158.
[9] Cfr. H. Wolff, Gesù, la maschilità esemplare. La figura di Gesù secondo la psicologia del profondo, Queriniana, Brescia 1979, da me sintetizzato e inserito nel complesso delle opere della Wolff in A. Cavadi, Tenerezza. Hanna Wolff e la rivoluzione (incompresa) di Gesù, Diogene Multimedia, Bologna 2016.
[10] H. Wolff, Gesù, cit., p. 35.
[11] Cit. ivi, p. 30.
[12]M. Althaus-Reid, From Feminist Theology to Indecent Theology: Readings on Poverty, Sexual Identity and God, SCM Press, London 2004,p. 4, cit. in G. Gugliermetto, Perché un Dio queer? Dalla teologia della liberazione alla sovversione sessuale. Prefazione a M. Althaus-Reid, Il Dio queer, Claudiana, Torino 2014, p. 11.
[13] Come ho precisato all'inizio, in queste pagine non sono esaminate altre religioni.
[14]Bisogna però riconoscere che in alcune Chiese cristiane più avanzate (ad esempio le Chiese valdesi, battiste e metodiste) già oggi l'identità sessuale e di genere è stata fortemente relativizzata rispetto all'identità religiosa e ecclesiale: ci sono pastori gay e pastore lesbiche che convivono con i propri partnersenza dover rinunziare per questo al proprio ministero pastorale.
[15]E. Stuart, Sacramental Fleshin H. Loughlin (a cura di), Queer Theology: Rethinking the Western Body, Blackwell, Oxford 2007, p. 75, cit. in G. Gugliermetto, Perché un Dio queer? ,cit., p. 37.
[16]M. Althaus-Reid, Il Dio queer, cit., p. 47.