QUANTO E' IMBROGLIONE RENZI ? DISCUTIAMO SU ALCUNE TESI DI ELIO RINDONE
(PARTE II)
Dopo aver ospitato la
prima parte di questo intervento di Elio Rindone (su http://cronachelaiche.globalist.it/ del 4
maggio 2016) ne completo adesso la pubblicazione. Come per la prima parte,
auspico anche per questa seconda una partecipazione argomentata da parte di chi
abbia qualcosa di documentato da dire (a sostegno o in opposizione alle tesi di
Rindone). Chi mi legge in FB è invitato a copiare e incollare il proprio
intervento anche nella zona “Commenti” sotto l’articolo di Elio Rindone
pubblicato sul mio blog ( www.augustocavadi.com ).
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Ma l'accecamento di massa può riguardare, oltre
che i partiti, anche i singoli politici. Capita, infatti, che siano scambiati
per autentici statisti dei volgari illusionisti che riescono a conquistare la
fiducia di milioni di elettori e addirittura a imporsi per anni, con notevoli
danni per i cittadini. I casi più clamorosi, in Italia, sono quelli di Silvio
Berlusconi e Matteo Renzi, che hanno mostrato un'eccezionale abilità
nell'assicurarsi un vasto consenso popolare, anche se i loro governi sono stati
tra i peggiori della storia repubblicana: il primo, tra alti e bassi, ha
regnato per un ventennio, il secondo ancora non sappiamo per quanto tempo, ma
se il buon giorno si vede dal mattino...
Anche se si presentano l'uno come leader del centro-destra e l'altro del centro-sinistra, hanno in realtà molto in comune: sono considerati uomini carismatici, grandi comunicatori, padroni del mezzo televisivo, che garantisce milioni di voti a chi sa usarlo. Entrambi accentratori, decisionisti, insofferenti alle critiche e, soprattutto, privi di ogni radicamento ideologico. Infatti, Berlusconi si proclama liberista mentre è titolare di un impero televisivo inaccettabile in qualunque Paese liberale e Renzi si dice rappresentante di una sinistra riformista mentre, riuscendo là dove Berlusconi aveva fallito, abolisce di fatto l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, e impone una riforma della scuola che mette a rischio la libertà d'insegnamento, affidando ai presidi il potere di assumere per chiamata diretta e con contratti triennali i docenti: e pensare che nel 2008 il centro-destra non era riuscito neanche a far approvare il disegno di legge Aprea che prevedeva soltanto la loro assunzione mediante concorsi banditi dalle singole istituzioni scolastiche! In effetti, non c'è soluzione di continuità nella politica dei loro governi, accomunati dalla fedeltà ai poteri forti, e infatti Berlusconi ha più volte ripetuto che il suo partito non poteva non votare le leggi volute da Renzi perché erano esattamente quelle care a Forza Italia. Del resto Renzi, appena siglato il patto del Nazareno, non ha nascosto di sentirsi in piena sintonia con Berlusconi, e anche dopo la rottura (definitiva o solo temporanea?) del patto ha sempre potuto contare, in caso di bisogno, sui voti di un buon numero di parlamentari berlusconiani. I due hanno pure in comune l'avversione per una magistratura indipendente, e infatti Renzi fa approvare una legge sulla responsabilità civile dei giudici, mostrandosi anche in questo caso più bravo del suo maestro. Entrambi vogliono un sistema elettorale che, alterando il responso delle urne grazie al premio di maggioranza, consenta di governare senza una forte opposizione, ed entrambi hanno un chiodo fisso: cambiare la Costituzione in modo da rafforzare il governo e indebolire il parlamento. E, più spregiudicato di Berlusconi - per quanto possa sembrare incredibile! - Renzi per raggiungere i suoi obiettivi non si preoccupa del fatto che l'attuale parlamento è moralmente delegittimato, perché eletto con una legge bocciata dalla Consulta, che le riforme elettorali sono materia del parlamento e non del governo e che devono essere approvate rispettando le normali procedure, e cioè senza ricorrere a canguri, sedute fiume e fiducie, e senza minacciare lo scioglimento delle Camere. Entrambi, inoltre, si presentano come innovatori, che si oppongono al vecchio e screditato ceto politico. Berlusconi è l'uomo del fare, l'imprenditore di successo prestato alla politica, che però si circonderà proprio di quanti nella Democrazia cristiana e nel Partito socialista sono fortunosamente sopravvissuti alla bufera di Mani Pulite. Renzi è il rottamatore dei dirigenti del Partito Democratico, ma solo di quelli che non si affrettano a salire sul suo carro. Da avversari della casta, invisa ai cittadini, si trasformano presto nei suoi più accaniti difensori, dichiarandosi d'accordo sul fatto che le condanne, sino a sentenza definitiva, non sono un ostacolo per occupare cariche pubbliche. Del resto, questa è una delle più radicate tradizioni italiche come notava un secolo fa Antonio Gramsci: «L'Italia è il paese dove si è sempre verificato questo fenomeno curioso: gli uomini politici, arrivando al potere, hanno immediatamente rinnegato le idee e i programmi d'azione propugnati da semplici cittadini» (luglio 1918).
Entrambi sono prodighi di promesse, quasi mai mantenute: creare milioni di posti di lavoro, abbassare le tasse, non mettere le mani nelle tasche degli italiani, cambiare l'Italia (in meglio o in peggio?), fare una riforma al mese... Specializzati nell'infondere ottimismo (mentre quello della paura è il territorio di caccia monopolizzato dalla Lega), far sognare gli italiani, spostare l'attenzione su sempre nuove questioni, in modo che ci si dimentichi che le precedenti non sono state risolte, accusando di gufismo - brillante aggiornamento del vecchio termine disfattismo - chi si permette di denunciare la nuova malattia dell'annuncite.
Sempre pronti a smentire quanto affermato per mesi, approfittano della scarsa memoria degli elettori. In rete è facile trovare un abbondante campionario delle loro giravolte: essendo più note quelle di Berlusconi, ci limitiamo a ricordarne qualcuna di Renzi. Da sindaco di Firenze chiedeva il dimezzamento del numero e delle indennità dei parlamentari e una legge elettorale che prevedesse le preferenze: oggi i fatti dimostrano che erano parole al vento. Dopo le Politiche del 2013 proponeva di "abolire e rinunciare al rimborso elettorale di queste elezioni, immediatamente, [...] finanziamento, che vale 45 milioni di euro per il Pd e 43 per Grillo". Il M5S ai milioni ha rinunciato, il Pd no, neanche dopo la conquista del partito da parte di Renzi.
L'ultima giravolta, per ora, è la decisione di eliminare dal 2016 la tassa sulla prima casa. Eppure l'uguale provvedimento del governo Letta era considerato un cedimento a Berlusconi da Renzi, che nel 2013 sosteneva che "Per creare lavoro dobbiamo dare una visione per i prossimi 20 anni. Il problema non è l'Imu" e intimava: "Parliamo di emergenza abitativa e di sfratti. Basta parlare di Imu". In effetti, tanti italiani sono proprio degli smemorati, perché altrimenti non continuerebbero a fidarsi di chi prometteva di ridurre le tasse per tutti mentre in realtà le aumentava per i meno abbienti, o di chi assicurava di sostenere il governo Letta mentre era già al lavoro per farlo cadere. Ma, si sa, i riflessi condizionati scattano nonostante le ripetute delusioni: come il cane di Pavlov aumenta la salivazione appena sente il suono del campanello, così un buon numero di elettori si eccita al semplice annuncio dell'eliminazione delle tasse più odiate.
Anche se si presentano l'uno come leader del centro-destra e l'altro del centro-sinistra, hanno in realtà molto in comune: sono considerati uomini carismatici, grandi comunicatori, padroni del mezzo televisivo, che garantisce milioni di voti a chi sa usarlo. Entrambi accentratori, decisionisti, insofferenti alle critiche e, soprattutto, privi di ogni radicamento ideologico. Infatti, Berlusconi si proclama liberista mentre è titolare di un impero televisivo inaccettabile in qualunque Paese liberale e Renzi si dice rappresentante di una sinistra riformista mentre, riuscendo là dove Berlusconi aveva fallito, abolisce di fatto l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, e impone una riforma della scuola che mette a rischio la libertà d'insegnamento, affidando ai presidi il potere di assumere per chiamata diretta e con contratti triennali i docenti: e pensare che nel 2008 il centro-destra non era riuscito neanche a far approvare il disegno di legge Aprea che prevedeva soltanto la loro assunzione mediante concorsi banditi dalle singole istituzioni scolastiche! In effetti, non c'è soluzione di continuità nella politica dei loro governi, accomunati dalla fedeltà ai poteri forti, e infatti Berlusconi ha più volte ripetuto che il suo partito non poteva non votare le leggi volute da Renzi perché erano esattamente quelle care a Forza Italia. Del resto Renzi, appena siglato il patto del Nazareno, non ha nascosto di sentirsi in piena sintonia con Berlusconi, e anche dopo la rottura (definitiva o solo temporanea?) del patto ha sempre potuto contare, in caso di bisogno, sui voti di un buon numero di parlamentari berlusconiani. I due hanno pure in comune l'avversione per una magistratura indipendente, e infatti Renzi fa approvare una legge sulla responsabilità civile dei giudici, mostrandosi anche in questo caso più bravo del suo maestro. Entrambi vogliono un sistema elettorale che, alterando il responso delle urne grazie al premio di maggioranza, consenta di governare senza una forte opposizione, ed entrambi hanno un chiodo fisso: cambiare la Costituzione in modo da rafforzare il governo e indebolire il parlamento. E, più spregiudicato di Berlusconi - per quanto possa sembrare incredibile! - Renzi per raggiungere i suoi obiettivi non si preoccupa del fatto che l'attuale parlamento è moralmente delegittimato, perché eletto con una legge bocciata dalla Consulta, che le riforme elettorali sono materia del parlamento e non del governo e che devono essere approvate rispettando le normali procedure, e cioè senza ricorrere a canguri, sedute fiume e fiducie, e senza minacciare lo scioglimento delle Camere. Entrambi, inoltre, si presentano come innovatori, che si oppongono al vecchio e screditato ceto politico. Berlusconi è l'uomo del fare, l'imprenditore di successo prestato alla politica, che però si circonderà proprio di quanti nella Democrazia cristiana e nel Partito socialista sono fortunosamente sopravvissuti alla bufera di Mani Pulite. Renzi è il rottamatore dei dirigenti del Partito Democratico, ma solo di quelli che non si affrettano a salire sul suo carro. Da avversari della casta, invisa ai cittadini, si trasformano presto nei suoi più accaniti difensori, dichiarandosi d'accordo sul fatto che le condanne, sino a sentenza definitiva, non sono un ostacolo per occupare cariche pubbliche. Del resto, questa è una delle più radicate tradizioni italiche come notava un secolo fa Antonio Gramsci: «L'Italia è il paese dove si è sempre verificato questo fenomeno curioso: gli uomini politici, arrivando al potere, hanno immediatamente rinnegato le idee e i programmi d'azione propugnati da semplici cittadini» (luglio 1918).
Entrambi sono prodighi di promesse, quasi mai mantenute: creare milioni di posti di lavoro, abbassare le tasse, non mettere le mani nelle tasche degli italiani, cambiare l'Italia (in meglio o in peggio?), fare una riforma al mese... Specializzati nell'infondere ottimismo (mentre quello della paura è il territorio di caccia monopolizzato dalla Lega), far sognare gli italiani, spostare l'attenzione su sempre nuove questioni, in modo che ci si dimentichi che le precedenti non sono state risolte, accusando di gufismo - brillante aggiornamento del vecchio termine disfattismo - chi si permette di denunciare la nuova malattia dell'annuncite.
Sempre pronti a smentire quanto affermato per mesi, approfittano della scarsa memoria degli elettori. In rete è facile trovare un abbondante campionario delle loro giravolte: essendo più note quelle di Berlusconi, ci limitiamo a ricordarne qualcuna di Renzi. Da sindaco di Firenze chiedeva il dimezzamento del numero e delle indennità dei parlamentari e una legge elettorale che prevedesse le preferenze: oggi i fatti dimostrano che erano parole al vento. Dopo le Politiche del 2013 proponeva di "abolire e rinunciare al rimborso elettorale di queste elezioni, immediatamente, [...] finanziamento, che vale 45 milioni di euro per il Pd e 43 per Grillo". Il M5S ai milioni ha rinunciato, il Pd no, neanche dopo la conquista del partito da parte di Renzi.
L'ultima giravolta, per ora, è la decisione di eliminare dal 2016 la tassa sulla prima casa. Eppure l'uguale provvedimento del governo Letta era considerato un cedimento a Berlusconi da Renzi, che nel 2013 sosteneva che "Per creare lavoro dobbiamo dare una visione per i prossimi 20 anni. Il problema non è l'Imu" e intimava: "Parliamo di emergenza abitativa e di sfratti. Basta parlare di Imu". In effetti, tanti italiani sono proprio degli smemorati, perché altrimenti non continuerebbero a fidarsi di chi prometteva di ridurre le tasse per tutti mentre in realtà le aumentava per i meno abbienti, o di chi assicurava di sostenere il governo Letta mentre era già al lavoro per farlo cadere. Ma, si sa, i riflessi condizionati scattano nonostante le ripetute delusioni: come il cane di Pavlov aumenta la salivazione appena sente il suono del campanello, così un buon numero di elettori si eccita al semplice annuncio dell'eliminazione delle tasse più odiate.
Elio Rindone