sabato 30 marzo 2019

PAPA FRANCESCO E' ERETICO. MA DIO...

www.livesicilia.it
24.3.2019

PAPA FRANCESCO ERETICO. SANTITA’, TOCCHI FERRO !

Il 19 marzo, per la festa del papà, un vescovo cattolico del Kazakistan ha pensato bene – senza sottilizzare troppo sugli accenti – di fare un bel regalo al papa: una articolata e dotta trattazione sulla questione teologica se un pontefice possa essere deposto per eresia. Non appena diffuso dall’autore, monsignor Athanasius Schneider (vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Santa Maria ad Astana), il testo è stato prontamente rilanciato dai siti degli ambienti cattolici più conservatori (ad esempio lo si trova in www.corrispondenzaromana.it ). Leggerlo direttamente procura un godimento incomparabile; a riassumerlo si rischia di passare per matti. Comunque, grosso modo, il succo è questo.
Secondo questa erudita e documentata trattazione siamo in uno di quei tristissimi periodi della storia in cui sulla cattedra di san Pietro siede un eretico palese: permette che alcune chiese locali ammettano “alla Sacra Comunione in casi singolari e eccezionali adulteri sessualmente attivi (che convivono nelle cosiddette <>”; contesta la legittimità della pena di morte; arriva a scrivere (nella recentissima Dichiarazione di Abu Dhabi del 4 febbraio) che “la diversità delle religioni corrisponde alla sapiente volontà di Dio” (e non è opera del Diavolo).
Ciò posto, che fare con papa Francesco?
Il povero vescovo tedesco, missionario in Asia, è davanti a un bivio davvero imbarazzante. Da una parte sarebbe tentato di affermare che cardinali e vescovi lo potrebbero destituire; ma, se così avvenisse, dove andrebbero a finire il primato papale, la sua insindacabilità, la sua inamovibilità? Insomma, paradossalmente, se si rimandasse questo papa in Argentina si darebbe un segnale di eccessiva democrazia, laddove la santa Chiesa cattolica apostolica romana è verticistica e tale deve restare. Allora non resta che un’alternativa: tenersi questo papa, pregare per lui, fare manifestazioni pacifiche in tutto il mondo per riaffermare che la sacra dottrina non si deve toccare neppure per una virgola, aspettando che “un intervento della Divina Provvidenza” risolva la tragedia in cui siamo immersi. Spetterà poi al papa successivo, aggiunge monsignor Schneider, dichiarare eretico questo papa: come nel IX secolo fece papa Agatone con il suo deplorevole predecessore Onorio I (che, sia detto per inciso, aveva meritato la scomunica post mortem per aver addirittura osato affermare che Gesù avesse una sola volontà e non due distinte). In fondo, i papi passano e la Chiesa cattolica resta: “la croce di un papa eretico” va sopportata, anche perché – data l’età anagrafica media di un papa – è solitamente “di durata limitata”. “Nel caso di un padre criminale o mostruoso, i bambini devono ritirarsi da lui o evitarne il contatto. Tuttavia, non possono dire. <
>. Sarebbe contrario al buon senso e alla natura. Lo stesso principio dovrebbe essere applicabile quindi alla questione del deporre un papa eretico. Il papa non può essere deposto da nessuno; solo Dio può intervenire e lo farà a suo tempo”.
Per gli ammiratori di papa Bergoglio non resta che sperare che in Vaticano egli trovi facilmente qualche pezzo di ferro da toccare.

Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com

https://livesicilia.it/2019/03/24/papa-francesco-eretico-santita-tocchi-ferro_1045680/

venerdì 29 marzo 2019

DONNE INVISIBILI ALL'OMBRA DI UOMINI CELEBRI

DONNE ALL’OMBRA DI UOMINI CELEBRI

Ci sono libri che leggi per cortesia nei confronti dell’autore che te ne ha fatto omaggio e , in genere, ti lasciano indenni da emozioni (gradevoli o sgradevoli). Donne  in penombra. Storie semiserie di donne poco importanti (Kimerik, Patti 2019, pp. 97, euro 13,00), di Mariceta Gandolfo,  non rientra in questa categoria. L’ho iniziato a sfogliare per una sorta di dovere professionale, in vista di una presentazione pubblica; ma, sin dalle prime pagine, mi ha coinvolto a più livelli.
Intanto, già dal punto di vista letterario-stilistico, l’idea che nove donne della storia occidentale (da Penelope e Santippe sino alla moglie del tenente Colombo e all’eterna fidanzata del commissario Montalbano) si confessino secondo i registri linguistici degli autori che, originariamente, ne hanno parlato (da Omero a Camilleri) mi è sembrata davvero intrigante. Così, ad esempio, Santippe è inserita in un finto dialogo platonico e donna Stella Malvica Corbera, principessa di Salina, si esprime come se fosse ancora dentro Il Gattopardodi Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Davvero un godimento estetico per chi, tra una e-mail e un post su facebook,  ama ancora frequentare i libri
Ma questo agile libretto non fa solo divertire: fa anche riflettere su un dato storico-sociologico oggettivo. A chi come me è impegnato all’interno del movimento nazionale “Maschile plurale” non può sfuggire il filo rosso che collega le nove protagoniste: sono tutte figure femminili vissute all’ombra dei partner maschili, ora come silenziosi supporti ora come fastidiosi contraltari. Figure, insomma, che nel bene e nel male vivono comunque di luce riflessa. E’ già di per sé un dato eloquente che sarebbe a occhio e croce impossibile trovare nove casi di maschi che debbano la notorietà ad altrettante donne celebri!
Ma vediamo qualche tematica emergente.
Quando si riflette sul rapporto di coppia c’è la tendenza a vedere  imprevedibili svolte schizofreniche lungo placidi percorsi abitudinari. Mi riferisco alla consuetudine, davanti a violenze clamorose nei confronti di donne e a veri e propri femminicidi, di supporre che i maschi protagonisti di questi delitti siano soggetti “normali” che, in preda a raptus improvvisi, consumano gesti del tutto inspiegabili. Ma è davvero così? O, di solito, c’è invece una coerente, invisibile,  continuità fra il prima e il dopo?  Il gesto estremo non è, forse, l’epifenomeno di un ménage coniugale che, già da sempre, si era basato sulla disparità dei ruoli e soprattutto di diritti e di dignità? 
Mariceta Gandolfo è molto attenta a sottolineare in tutte le storie che racconta questa iniquità di fondo: Penelope accetta di mantenersi casta in attesa di un Ulisse perdonabile per le avventure erotico-sentimentali (“un uomo non può stare lontano da casa per venti anni, mantenendosi casto e fedele al ricordo della sposa perduta”); Santippe accetta di sbarcare il lunario per sé e i figlioletti chiedendo “un pugno di lenticchie” alla vicina e girovagando “per i campi a cercare erbe selvatiche per fare un po’ di zuppa”; Gemma Donati attende invano per tutta la vita almeno un sonetto da quel marito che dedica versi immortali a una Beatrice “incontrata in tutto tre o quattro volte (la prima a nove anni e quindi poco conta)”; la principessa Stelluccia  considera la “profonda ingiustizia” di constatare che il marito, coetaneo, “era considerato un uomo nel pieno vigore e da tutti gli veniva riconosciuto il diritto di amare ancora”, laddove “a lei non si riconosceva altra gioia che quella di vedere le figlie accasate e di poter stringere presto un nipotino fra le braccia”; l’anonima signora Maigret da anni rassegnata “ad aspettare davanti a una pietanza che le aveva richiesto ore di fatica e che si raffreddava e induriva nel piatto, finché una telefonata tardiva non le annunciava che per quel giorno era meglio che pranzasse da sola, il commissario era impegnato e non sapeva nemmeno se sarebbe tornato a cena”; Miss Moneypenny vive per mesi in attesa di rivedere, sia pure per un’ora soltanto, il suo idolo James Bond e di ascoltare “la sua ultima missione, con quello stile tutto suo, ironico e disincantato, con cui descriveva i pericoli più eclatanti, i paesaggi più incantevoli, le donne più seducenti, con l’aria di non prendere nulla troppo sul serio e, nello stesso tempo, colorandoli di un fascino irresistibile”; Livia Burlando, l’eterna “fidanzata” del Salvo Montalbano, a volte avverte “la tentazione fortissima di piantare questo commissario, ormai cinquantenne e amareggiato, che non mi pensa mai, si dimentica di telefonarmi e addirittura ha cominciato a tradirmi”.
Forse la rappresentazione della vita di coppia in qualche passaggio è un po’ più amara della realtà: veramente, ad esempio, tutti gli uomini, come suppone lo sceneggiatore del tenente Colombo, vorrebbero avere una moglie con cui fare l’amore “un giorno a settimana” e che “per gli altri sei giorni” svanisca, anzi non esista proprio? 
Ma, quale che sia la diagnosi, l’autrice suggerisce una sua terapia (mettendola sulle labbra di un’avvocatessa matrimonialista rampante che assiste una risvegliata Bella Addormentata nelle pratiche di divorzio da un Principe Azzurro invecchiato, “con le borse sotto gli occhi, i capelli incanutiti e diradati, lo stomaco dilatato, lo sguardo che tradisce lo scorrere del tempo e la perdita degli ideali e delle illusioni giovanili”): “Innanzitutto tenere gli occhi ben aperti e non lasciarci condizionare da tutti i falsi miti dell’amore eterno e del matrimonio perfetto, come unica condizione di benessere e felicità per noi donne. E soprattutto educare le nuove generazioni”.

Augusto Cavadi

martedì 26 marzo 2019

PER EDUCARE ALLA LEGALITA' OCCORRE ESSERE IN...DUE

“Le nuove frontiere della scuola”
Anno XVI, n. 49, febbraio 2019


   LA RECIPROCITA’ COMUNICATIVA IN OGNI INIZIATIVA DI EDUCAZIONE ALLA LEGALITA’


      Pochi ambiti d’intervento pedagogico-didattico si prestano a (noiosa) retorica  più dell’educazione alla legalità[1]. Le attività che si svolgono in questo campo risultano inutili nei casi migliori, dannose negli altri. Infatti l’overdose di omelie civili cui vengono sottoposti gli alunni – tranne lodevoli eccezioni – sin dalla scuola primaria,  li rende insofferenti a ogni proposta del genere anche nelle scuole secondarie.[2]E’ dunque urgente ipotizzare e sperimentare forme alternative di coinvolgimento degli allievi. Nessuno ha ricette miracolose in tasca, ma almeno un criterio metodologico e pedagogico di fondo andrebbe adottato con rigore inflessibile: la reciprocità comunicativa.  Già nelle attività “istruttive” la trasmissione unilaterale dei contenuti disciplinari si rivela claudicante: una cosa è dettare la traduzione di un testo latino, o la soluzione di un’equazione,  alla classe e tutta un’altra cosa è guidarla nel processo di traduzione, o di soluzione algebrica, a partire dalle ipotesi (ovviamente spesso errate) suggerite di volta in volta dai ragazzi. Questo metodo inventivo e costruttivo, che parte dalle opinioni degli alunni e le sottopone – in clima di serena ricerca collaborativa – al vaglio della critica argomentata (sia da parte dei compagni che degli insegnanti) mi pare non solo preferibile, ma irrinunciabile, quando si ardisce passare dal piano dell’istruzione al piano dell’educazione. Se non si vogliono formare né ribelli seriali né ovini passivi, i princìpi valoriali e comportamentali in una comunità devono essere “scoperti” (o – in altra prospettiva – “concordati”) in assetto di riconoscimento reciproco della dignità di esseri umani pensanti, prescindendo dunque da altri ruoli istituzionali che possono , e devono, pesare in altri momenti del processo educativo (per esempio quando si tratta di penalizzare quanti, giovani o adulti, mostrano con i fatti di non rispettare le norme negoziate).
  In concreto, direi che le iniziative di educazione alla legalità democratica, più che su conferenze ex cathedra, dovrebbe incentrarsi su laboratori di pratica filosofica intorno al tema[3]; su giochi di ruolo; su spettacoli teatrali con sceneggiature, poesie, canzoni e danze  preparate dai ragazzi; sulla costruzione di ipertesti informatici da mettere a disposizione di altre scuole… Senza contare innumerevoli altre metodologie come quelle elaborate all’interno  del Teatro dell’oppresso (di Augusto Boal) o i dialoghi maieutici (di Danilo Dolci). 
  In questa ricerca di nuovi percorsi di comunicazione non può mancare un elemento tradizionale, anche se opportunamente integrato: l’incontro con un protagonista storico della lotta per la legalità democratica. Da quando la scuola si è aperta maggiormente alla contemporaneità questa modalità comunicativa è stata praticata sia con personaggi in carne e ossa (i più anziani ricordiamo gli incontri con magistrati come Borsellino o con prefetti come Dalla Chiesa o con parenti di vittime di mafia come Rita Bartoli Costa o Michela Buscemi) sia con personaggi storici rappresentati sullo schermo (con risultati talora deludenti, talaltra efficaci come nei casi de Il giudice ragazzino di Alessandro Di Robilant,  I cento passi di Marco Tullio Giordana e Alla luce del sole di Roberto Faenza). 
    In che senso questo registro narrativo – di per sé adatto più di altri ad attrarre l’attenzione [4]- va però rivisto e integrato? Perché la storia pura e semplice – raccontata dal vivo o mediante un prodotto audiovisivo – è “materia” preziosa di apprendimento, ma solo “materia” appunto. Essa va “letta”, anzi intus-lecta: va inquadrata in un contesto epocale, va decifrata nei suoi significati riposti, va interpretata criticamente, va applicata creativamente alla propria situazione esistenziale, sociale e politica. Senza un lavoro preparatorio, accompagnatorio e consecutivo, la testimonianza rischia di restare un episodio emotivamente toccante (se a renderla è un protagonista o un congiunto di protagonisti) o, meno ancora, la consumazione banale di un ennesimo prodotto cinematografico[5].
   In concreto: l’esperienza di interventi formativi con dirigenti scolastici, docenti e alunni di vari ordini mi attesta che il modulo narrativo va preceduto da un approccio informativo almeno sommario e va seguito, poi, da una libera discussione ermeneutica. Ma così l’occasione formativa non diventa troppo impegnativa per chi la gestisce e soprattutto per chi ne fruisce? Qui bisogna essere chiari: se dei soggetti (adulti o adolescenti) non sono disponibili a questo genere di “complicazioni” è preferibile che si esonerino dalla partecipazione a momenti di educazione alla legalità. La tattica degli interventi a pioggia  – “Parliamo, proiettiamo, discutiamo…anche in presenza di maggioranze poco motivate, e ancor meno silenziose: qualche cosa resterà!” – si è dimostrata ampiamente fallimentare quando non controproducente. Se affermiamo nei libri di pedagogia la necessità ineliminabile della libertà nella relazione educativa dobbiamo essere conseguenti: al diritto di apprendere non può non corrispondere il diritto all’ignoranza. E anche nell’ipotesi di alunni motivati bisognerebbe rassegnarsi a lavorare in gruppi non più numerosi di una classe scolastica: le adunate oceaniche, in enormi palestre brulicanti di alunni eccitati dall’idea di evitare qualche ora di lezione curriculare, sono fisiologicamente inconciliabili con qualsiasi processo minimamente serio di apprendimento.
    Nella letteratura sull’argomento esiste un lunghissimo elenco di testi adatti a preparare un gruppetto di persone all’incontro con un volto preciso - una storia effettiva - di protagonista dell’impegno per la crescita civile e contro la corruzione. A questa lista benemerita ho voluto dare, con la collaborazione decisiva di alcune amiche e di alcuni amici che stimo, un piccolo contributo. In vista dell’anno in corso (2018), in cui ricorre il 40° anniversario dell’assassinio di Giuseppe Impastato e il 25° anniversario dell’assassinio di don Pino Puglisi, abbiamo preparato degli strumenti bibliografici che fossero utilizzabili da varie fasce d’età. Così per i bambini più piccoli (7 – 11 anni)  è uscito un libretto, illustrato da Mirella Mariani e Tiziana Longo, con testi scritti da me insieme a Lilli Genco: Padre Pino Puglisi (Edizioni Il pozzo di Giacobbe). Alla stessa fascia di età Melania Federico e Adriana Saieva, con le illustrazioni di Letizia Algeri,  hanno dedicato il loro Tutti in campo. E tu, conosci Peppino Impastato?(Edizioni Navarra). Ancora in collaborazione con Lilli Genco abbiamo edito un testo per i ragazzini (11 – 14 anni), illustrato da Carla Manea: Il mio parroco non è come gli altri! Docu-racconto su don Pino Puglisi (Edizioni Di Girolamo). Per gli studenti delle scuole medie superiori e per gli insegnanti ho pubblicato Peppino Impastato martire civile. Contro la mafia e contro i mafiosi (Edizioni Di Girolamo), arricchito da una lettera “postuma”, Caro Peppino, di Maria D’Asaro. Agli stessi lettori, giovani e adulti, è destinato il libro a sei mani (scritto con la collaborazione di Francesco Palazzo e Rosaria Cascio, entrambi - da giovani - amici e collaboratori del parroco di Brancaccio) Beato fra i mafiosi. Don Puglisi: storia, metodo, teologia(Edizioni Di Girolamo), impreziosito dalle testimonianze di due amici del presbitero palermitano: don Francesco Michele Stabile e Salvo Palazzolo. Alcuni di questi testi – soprattutto il libretto concepito per i ragazzini della scuola media di primo grado -  sono forniti di un apparato didattico che induca l’adolescente ad allargare lo sguardo dalla biografia circoscritta del protagonista (presentato senza concessioni all’agiografia più o meno leggendaria) alle tematiche più generali: che cos’è davvero il sistema di dominio mafioso, cosa può fare il cittadino “comune” per contrastarlo, quali gesti quotidiani possono “allenare” alla resistenza morale, quali organizzazioni della società civile impegnate statutariamente contro la mafia si possono contattare direttamente o attraverso internet [6].
   Sarebbe sciocco presumere che questi strumenti didattici posseggano capacità taumaturgiche:  come ogni altro, essi funzionano se chi li adotta è per primo egli stesso convinto della valenza politica del suo ruolo pedagogico[7]. Gli alunni di ogni età intuiscono agevolmente se chi narra una storia lo fa con distacco interiore, per dovere professionale o per curiosità intellettuale, oppure con sincera partecipazione esistenziale: come nel caso di quel rabbino paralitico che (si tramanda), commentando una pagina biblica riguardante una danza gioiosa del popolo ebraico, si infervorò al punto da alzarsi e da mettersi a ballare egli stesso. Racconta veramente solo chi rivive.
  Tanto trasporto, per quanto necessario, sarebbe comunque insufficiente. L’educazione alla legalità costituzionale esige, per completezza, un ultimo – più arduo – passaggio: da narratori appassionati di testimonianze farsi testimoni credibili in prima persona. Il mondo della scuola troppo spesso prepara al mondo della vita, ma  nel senso deteriore del termine: prepara a subire ingiustizie, ad assistere a favoritismi, a rassegnarsi alle sperequazioni delle opportunità di partenza, a constatare che la furbizia (anche sleale) viene premiata più della saggezza e della lealtà. Quando si danno contesti del genere – e il docente sa di non essere disposto né alla coerenza dei propri comportamenti né ancor meno alla contestazione dell’andazzo complessivo – è meglio rinunziare all’ipocrisia delle liturgie laiche in nome di  princìpi etici altisonanti. Senza maestri si cresce molto meglio che con maestri double face
A scanso di fraintendimenti: nessuno è perfetto né può, dunque, aspettare di diventarlo prima di educare alla cittadinanza consapevole e attiva. Ma una cosa è accettare le proprie fragilità, ammettere i propri difetti, riconoscere i propri errori – senza trincerarsi nella insindacabilità del proprio ruolo di insegnante o di dirigente scolastico o di sindaco o di parroco – e tutta un’altra cosa è stabilizzarsi nella mediocrità, fare del compromesso morale la bussola della propria vita per non rinunziare né ai soldi né al potere, e però anche pretendere dalle nuove generazioni ciò che non si è stati in grado di raggiungere.  
  Non ci sono scorciatoie. L’etica s’insegna incarnandola, la democrazia s’insegna praticandola, la bellezza della legalità s’insegna facendola sperimentare nel sistema quotidiano delle relazioni educative. 

   Augusto Cavadi                                                                  www.augustocavadi.com


[1]Cfr. A. Cavadi, Legalità, Educazione alla in Dizionario enciclopedico di mafie e antimafia, a cura di M. Mareso e L. Pepino,Edizioni Gruppo Abele, Torino 2013, pp. 326 – 328.
[2]Cfr. A. Cavadi, Strappare una generazione alla mafia. Lineamenti di pedagogia alternativa, Di Girolamo, Trapani 2005, soprattutto le pp. 91 – 93.
[3]Cfr. A. Cavadi, Legalità, Di Girolamo, Trapani 2013: il testo, originariamente preparato per incontri di formazione con artigiani e manovali della Filca – Cisl, è stato successivamente sperimentato anche in contesti scolastici.
[4]Una conferma dell’attrattiva esercitata dalla narrazione di storie – vere o inventate – l’ho sperimentata anche nel lavoro con i detenuti: cfr. il mio Filosofare in carcere. Un’esperienza di filosofia-in-pratica all’Ucciardone di Palermo, Diogene Multiemdia, Bologna 2016, specialmente le pp. 17 – 22 e 28 – 40.
[5]Cfr. A. Cavadi ( cura di), A scuola di antimafia, Di Girolamo, Trapani 2006, soprattutto le pp. 287 – 289.
[6]Insomma riprendo, in forma sintetica ed elementare, nozioni e informazioni più ampiamente fornite nei miei precedenti Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa può fare ciascuno di noi qui e subito(Dehoniane, Bologna 2002) e La mafia spiegata ai turisti (Di Girolamo, Trapani 2005).
[7]Sul nesso etica-politica-pedagogia, in una prospettiva di narrazione esperienziale, cfr. A. Cavadi, La mafia desnuda. L’esperienza della Scuola di formazione etico-politica “Giovanni Falcone”, Di Girolamo, Trapani 2017.

domenica 24 marzo 2019

ANCORA SU PRETI E MAFIOSI: UNA CONVERSAZIONE CON SPRAYNEWS

https://www.spraynews.it/blog-1/messa-al-boss-il-teologo-cavadi-il-tono-del-frate-è-mafioso-per-lui-dio-è-il-padrino

Pur con qualche inesattezza (ad esempio, non più 60 anni da almeno 8...) 
il resoconto sintetizza abbastanza bene una conversazione al telefono 
molto più lunga con Fabio Di Chio.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

martedì 19 marzo 2019

SE IL PARROCO MINACCIA IL GIORNALISTA

16.3.2019

LE INTIMIDAZIONI TEOLOGICHE DEL PARROCO DELLA KALSA

Quando ho letto della minaccia del frate carmelitano della Kalsa, Mario Frittitta, al mio amico Salvo Palazzolo di “Repubblica”, che era andato a intervistarlo su una messa in suffragio del boss Tommaso Spataro, sono rimasto incredulo. La frase riportata come titolo della notizia era esplicita (“Stia attento a come parla, perché altrimenti Lei la paga! ”): molto esplicita, anzi troppo. E, proprio per questo, sospetta. Un prete che, come lui, ha frequentato certi ambienti (sino a incorrere in una condanna di primo grado per favoreggiamento del latitante Pietro Aglieri, poi annullata in appello) conosce  le regole: dunque sa, dovrebbe sapere bene, che le intimidazioni efficaci non sono mai così sboccate. Bisogna dire e non dire, alludere: mica siamo in un film western ! 
Ho voluto dunque ascoltare la registrazione audiovisiva dell’intervista pubblicata sul sito on line dell’edizione palermitana di “Repubblica” e, in effetti, la versione integrale restituiva l’inconfondibile ambiguità  del codice mafioso: “Stia attento a come parla, perché altrimenti Lei la paga…perché il Signore fa pagare queste cose”.
Ah, ora mi oriento meglio.
Il buon “padre” non si era abbassato a livello di delinquenti comuni, non si era ridotto a parlare come un ragazzaccio di borgata in lite con il coetaneo per questioni di soldi o di donne. No: in perfetto stile mafioso ha dato generosamente un consiglio per il bene dell’interlocutore. Per il bene terreno e, in omaggio al proprio ministero, per il bene ultraterreno. 
Apparentemente questa formulazione – per altro scaturita all’impronta, spontaneamente, sulle labbra del parroco – ridimensiona la gravità della minaccia; ma, nella sostanza, rivela una profondità teologica spaventosa. Qui, infatti, non si suppone che a difendere l’onore di un padrino defunto da un mese esatto possano essere altri padrini, o i familiari, o gli eredi della cosca. Qui si afferma, come fosse una verità evidente, che a difesa del buon nome di Tommaso Spataro, dei suoi congiunti, della comunità raccolta in preghiera per la sua anima, sarà Dio stesso in prima persona. Un Dio che, dispostissimo ad accogliere fra le sue braccia un pluriassassino, sarà invece inesorabile nei confronti di un giornalista nell’esercizio delle sue funzioni. Insomma: padre Frittitta, cappellano di padrini, ha fede incondizionata in un Dio padre-padrino (padre comprensivo con chi passa la vita a schiavizzare gli altri, padrino inflessibile con chi passa la vita a fare il proprio dovere civico e professionale). L’arcivescovo Corrado Lorefice, che nel discorso di presentazione alla città citò il vangelo e la costituzione repubblicana, don Puglisi e Peppino Impastato, ha prontamente stigmatizzato le parole del parroco. Ma – anche se, in quanto appartenente a un Ordine religioso,  Frittitta non dipende direttamente dall’arcivescovo di Palermo - non sarebbe il caso che questi esercitasse una pressione morale sui Superiori carmelitani affinché il reverendo padre venga trasferito altrove, per eccesso di “compatibilità” ambientale?
Sappiamo tutti che a Palermo ci sono preti, suore, catechisti distanti mille metri dalla mentalità e dal linguaggio di frate Frittitta: ma lo sono davvero tutti, tutte? O, anche in buona fede, permane in molti contesti un’immagine del Divino contrassegnata da quei caratteri aggressivi, vendicativi, di cui la Bibbia è zeppa (anche se non priva di quelle valenze di misericordia e di compassione su cui tanto insiste l’attuale papa Francesco)?

Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com

domenica 17 marzo 2019

ANCHE PER I RAGAZZINI CHE NON VIVONO A PALERMO...

...è possibile che qualche adulto organizzi un incontro simile a questo per far conoscere la storia di Peppino.


Libreria Feltrinelli, v. Cavour, Palermo.

venerdì 15 marzo 2019

LO "SCIOPERO" DI OGGI PER IL CLIMA: PERPLESSITA' E TIMORI

15.3.2019

IL RISCHIO D’IPOCRISIA DI UNO “SCIOPERO” ECOLOGICO

La notizia del giorno: sciopero generale degli studenti di tutto il mondo per il clima. Che i media rischino la retorica è inevitabile. Evitabile, però, sarebbe l’uso distorto di alcuni termini come “sciopero”: adatto a operai che rinunziano a un giorno di paga pur di danneggiare il datore di lavoro e non a studenti che rinunziano a un servizio cui hanno diritto. Come nel caso di malati che per un giorno decidessero di rinunziare alle cure mediche, si dovrebbe piuttosto parlare di “astensione per protesta”, “manifestazione”, “dimostrazione di piazza”…
Ma, al netto dell’ eccesso di retorica e dell’approssimazione linguistica, le questioni centrali sono due.
La prima:  se, come è probabile, le autorità governative non si lasceranno commuovere dai cortei e dagli striscioni, quanti di questi giovani useranno  - sapranno usare e vorranno usare – l’arma del voto alla prossima occasione? In Italia abbiamo constatato che, quando un’organizzazione politica come i Verdi chiede i suffragi senza promettere benefici individuali, gli elettori  - giovani e meno giovani – si fanno sordi. Una cosa è affrontare il grave sacrificio di saltare le lezioni di greco o di matematica, un’altra cosa è rinunziare alla logica del voto di scambio (o anche solo del voto su promessa di uno scambio futuro). Sarà interessante, ad esempio, capire quanti fra i giovani statunitensi oggi in piazza hanno votato e voteranno alle prossime elezioni per uno come Trump che irride apertamente gli allarmi degli scienziati sul futuro del clima. 
Seconda questione: quanti giovani, da oggi, cambieranno le proprie abitudini in ambito ecologico? Spero in tanti. Ma, onestamente, temo che non avverrà. Spero che le spiagge della Penisola non saranno più seppellite da bottiglie di birra e sacchetti di plastica abbandonati da cittadini di ogni età. Spero che i marciapiedi antistanti le scuole – soprattutto le scuole superiori – cesseranno di essere invasi da lattine di coca-cola e da fazzolettini di carta unti. 
Da più di mezzo secolo ormai giro per le scuole del Paese – soprattutto, ma non esclusivamente, meridionali – da insegnante o da formatore. L’esperienza mi attesta – quanto vorrei, sinceramente, che qualche collega mi smentisse! – che non tutti i dirigenti scolastici predispongono la raccolta differenziata dei rifiuti. Là dove esistono i contenitori, non tutti i docenti e gli alunni li utilizzano con attenzione. E là dove si verifica una miracolosa convergenza di civismi  (tra dirigenti, insegnanti e studenti) ecco che – dopo il suono della campanella che svuota gli edifici – il benefico flusso ecologico trova, non sempre per fortuna, l’ultima strozzatura: la schiera dei bidelli. Molti, o alcuni, di loro – secondo variabili imprevedibili – ritengono troppo faticoso smaltire i rifiuti in maniera differenziata: così precipitano in enormi sacchi scuri dove, direbbe Hegel, “regna una notte nera in cui tutte le vacche sono nere”.
 Non mi credete?  Vi capisco: neanch’io avrei creduto, se non l’avessi visto con i miei occhi, che una bidella del liceo in cui ho insegnato negli ultimi vent’anni prima della quiescenza, una volta concluse le pulizie di ogni aula, gettava tutto dalla finestra nel cortile sottostante. Quando le ho fatto notare, più stupito che incavolato, l’assurdità de gesto, mi ha fissato come fossi stato un marziano che parlava di asteroidi. D’altra parte, la sua spazzatura non imbrattava un vialetto immacolato, ma si aggiungeva a tutto quello che, nella mattinata, vi avevano gettato dalle finestre i ragazzi. 
 Erano i fratelli maggiori di quegli stessi ragazzi che oggi sono in strada a gridare con i cartelloni contro l’inquinamento globale. Certo, dal punto di vista quantitativo, un politico alla Trump può danneggiare il pianeta molto più di un liceale di Palermo: ma dal punto di vista qualitativo siamo sicuri che non siano collegati da un filo rosso più grave quanto meno consapevole?

Augusto Cavadi

lunedì 11 marzo 2019

VIA FRANCESCO CRISPI, TORNI ANTONIO MALUSARDI

10.3.19

UNA TOPONOMASTICA STRADALE DA RISCRIVERE

Già circola sui social media la saggia proposta di dedicare una via o una piazza di Palermo a Pino Caruso che come artista – ma anche come ideatore e organizzatore di eventi artistici – seppe confortare i palermitani onesti e culturalmente sensibili dopo le orribili stragi mafiose del Novantadue. 
L’occasione potrebbe essere propizia per una “purificazione” della toponomastica cittadina, caratterizzata da eccessi di omaggi e da silenzi imperdonabili. Faccio due esempi quasi a caso.
Gli storici di tutte le tendenze concordano nel giudizio sempre più pesante su Francesco Crispi che, non contento di tradire gli ideali repubblicani e socialisti che lo avevano sollecitato ad appoggiare l’operazione garibaldina, ha contribuito in maniera determinante – da ministro dell’Interno – a stilare quel patto di complicità fra Stato centrale e mafia siciliana aristocratica e alto-borghese che avrebbe condizionato dolorosamente la storia italiana sino ai nostri giorni. In coerenza  con questa strategia di lungo periodo, lo stesso Crispi alla fine del XIX secolo capeggiò la repressione armata dei “Fasci siciliani”, una delle più significative rivoluzioni europee dell’epoca, provocando nelle organizzazioni popolari e progressiste uno sconforto morale e politico che avrebbe pesato almeno sino alla fine della Seconda guerra mondiale. A questo personaggio ambiguo e trasformista sono dedicate sia una via importante che costeggia il porto di Palermo sia una piazza centrale (la stessa dove, tanto per restare in tema, i mafiosi distrussero in una notte Villa Deliella per poterci speculare immobiliarmente): non è troppo? Non basterebbe – se proprio non si può cancellare la memoria di questo ministro arrivista – o la piazza o la via?
In sostituzione si potrebbe rimediare a un’omissione a mio parere assai grave. Proprio negli stessi anni di Crispi venne mandato a Palermo, come prefetto, il piemontese Antonio Malusardi con il compito di debellare il brigantaggio. La mafia “alta” glielo concesse e, in meno di un anno, il funzionario poté dichiarare, con legittimo orgoglio, che il brigantaggio era stato “spento in tutta la Sicilia e con la sua totale sconfitta la vittoria restò alla Legge, all’Autorità, alla Forza pubblica”. Ma appena egli, come farà qualche decennio dopo il prefetto Mori, passa a indagare “gli organizzatori dei reati” (“coloro, per dirla in una sola parola, che costituiscono la mafia”), Crispi scatena una campagna di stampa denigratoria contro l’integerrimo (forse talora disinvolto nei metodi come d’uso all’epoca) prefetto piemontese, raggiungendo l’obiettivo di delegittimarlo e di indurlo alle dimissioni. Come scrive Giuseppe Carlo Marino nella sua documentata Storia della mafia, “in Sicilia nessuno lo avrebbe rimpianto e sarebbe stato presto dimenticato. Del resto, nel compimento della sua missione nell’isola, era stato sottilmente gestito dalle stesse forze del sistema mafioso al quale avrebbe voluto infliggere un colpo decisivo. Se ne era accorto a tratti, tra sospetti e verifiche inquietanti e, alla fine, come si è visto, con un suo personale e irreparabile danno. Lo spazio d’azione che gli si era aperto con successo contro i briganti era stato, in concreto, lo stesso spazio che un ceto politico ormai entrato in simbiosi con gli interessi della mafia aveva deciso di consentirgli”. 

Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com 

sabato 9 marzo 2019

AL DI LA' DI MOLTI LIMITI, IL MERITO CENTRALE DI PAPA FRANCESCO

Articolo pubblicato il 13.11.2016 nel Blog dell’Autore in Religión Digital  www.religiondigital.com .

Traduzione italiana a cura di Lorenzo TOMMASELLI


Abbiamo un Papa che crede nel Vangelo
 di
José María Castillo


È un fatto che nella Chiesa ci sia gente molto religiosa, soprattutto nel clero, che non è d’accordo con papa Francesco. Non penso di analizzare qui questa complicata questione. In questo breve scritto la mia intenzione è dire perché ogni giorno vedo sempre più chiaramente che – finalmente! – abbiamo nella Chiesa un papa che crede al Vangelo di Gesù. 
Non dico in alcun modo che i papi precedenti non abbiano creduto nel Vangelo. Certo che ci hanno creduto. Capita che, quando parliamo del Vangelo, non è la stessa cosa credere in lui che vivere come il Vangelo ci dice che dobbiamo vivereQui tocchiamo il cuore del problema. Ed in questo sta la chiave di tutta questa questione.
Ho letto – e riletto – il discorso che il papa ha pronunciato a Roma il 5 novembre scorso davanti a più di 3.000 partecipanti di 60 paesi, che rappresentavano i movimenti popolari di tutto il mondo. 
Ebbene, quello che ha richiamato la mia attenzione nel leggere questo discorso papale, è che in esso non si parla di Teologia, di Esegesi Biblica, di Dottrina Sociale della Chiesa, di Scienze Politiche o Sociali, degli insegnamenti del Magistero Ecclesiastico, di Soteriologia, di Escatologia, di Cristologia e di Ecclesiologia, della Modernità e della Post-modernità e di nessuna di quelle cose con le quali si rompono la testa ogni giorno i più intelligenti pensatori del sapere cristiano.

Nulla di tutto ciò, a quanto pare, interessa a papa Francesco.
Allora, cosa interessa a questo papa quando si vede davanti a coloro che rappresentano le persone più bisognose di questo mondo? 
Bene, o sono cieco (o mi acceca non so quale strana passione) o le preoccupazioni e le angosce del papa sono esattamente, né più né meno, le stesse preoccupazioni e passioni di Gesù di Nazareth.
Di cosa si tratta? Cos’è tutto ciò?
Se c’è qualcosa di chiaro nei vangeli, è che il centro delle preoccupazioni di Gesù sia stato Dio. Ma il problema posto dai vangeli non sta in questo. Il problema sta nel modo con cui dobbiamo cercare ed incontrare Dio.
Ebbene, se c’è qualcosa di chiaro nel Vangelo, non incontriamo primariamente Dio nella “osservanza della Religione”, ma nella “lotta contro la sofferenza umana”. 
Per questo il papa ha parlato con tanta forza non dei grandi temi teologici e morali dei quali continuavano a parlare i papi, a partire da Leone XIII fino a Benedetto XVI. 
Nulla di tutto questo. 
Quello che Francesco ha fatto nel suo discorso è stato andare direttamente alle stesse cose che ha fatto Gesù. 
Quando Gesù si è messo ad annunciare il Regno di Dio, cosa ha fatto? 
Mettersi a curare ammalati, alleviare pene, accogliere persone abbandonate, mangiare con gli affamati….senza considerare in alcun modo se quelle guarigioni e quei pranzi con persone di mala vita e cattiva fama fossero permesse o proibite dalla religione.
Senza alcun dubbio, la Chiesa deve cambiare. Ma siamo certi di cosa deve cambiare? 
Il problema non sta nel cambiare incarichi e dicasteri (uffici) della Curia Vaticana. E il problema non sta neanche nel fatto che il Vaticano affermi l’importanza fondamentale del Vangelo, cosa che ha già fatto tante volte. Tutto questo può limitarsi a semplici chiacchiere. 
Il problema centrale e decisivo della Chiesa sta nel mettere il motore della sua vita e della sua presenza nella società vivendo come è vissuto Gesù.
La formula decisiva è stata espressa da Francesco con brevità e precisione: “parliamo della necessità di un cambiamento perché la vita sia degna”. La “dignità della vita”. In questo sta il centro della religiosità per la quale la Chiesa deve darsi da fare e lottare. E su questo progetto si deve ri-fare la Teologia. 
Una Teologia meno interessata da problemi come il peccato o la salvezza eterna. E centrata soprattutto sul:
1.   Mettere l’economia al servizio dei popoli.
2.   Costruire la pace e la giustizia.
3.   Difendere la Madre Terra.

Solo così potremo avere vescovi meno preoccupati dai problemi legati alla sessualità ed all’omosessualità. Vescovi che, di fronte a tanti scandali di abusi di chierici su esseri innocenti, si mettono a guardare da un’altra parte. 
Ed avremo vescovi che si interessano di più e si danno da fare per opporsi, se è necessario, a governanti che favoriscono i ricchi, mentre questi governanti così “pii” fanno leggi che aumentano la distanza tra i potenti ed i deboli. 
E soprattutto, se questo si prende sul serio e con tutte le sue conseguenze, avremo una Chiesa non per il popolo, ma del popolo. Non per i poveri, ma dei poveri. Ed alla quale si uniranno i ricchi, se hanno il coraggio di condividere la loro vita con quella dei poveri.
Non dimenticando mai una questione che è decisiva. Sono una Chiesa così sarà in grado di comprendere la Cristologia e quindi chiedersi chi è Gesù, come si vive cristianamente e come si annuncia il Vangelo. Perché? 
Si risponde a questa domanda affrontando un’altra questione, che è quella che ci fa più paura: i primi discepoli come hanno conosciuto Gesù? 
Non lo hanno conosciuto studiando Cristologia, ma vivendo con LUI e come LUI. Di questo problema così decisivo, la Chiesa, i seminari, i teologi, i vescovi ed i papi non si sono resi conto.
Il giorno che questo si affronti seriamente, in questo giorno la Chiesa inizierà ad avere senso ed a dare senso alla vita della gente.E questo, proprio questo è quello che ha messo in moto papa Francesco con le sue “cosiddette” trovate originali.
Per questo possiamo dire che abbiamo un papa che crede al Vangelo.

giovedì 7 marzo 2019

FESTIVAL DELLA FILOSOFIA D'A-MARE NEL PONTE DI APRILE

CARE E CARI,

   dopo un primo avviso nel novembre dell'anno scorso, eccovi un secondo - e ULTIMO - avviso riguardante la prossima edizione del Festival della filosofia d'a-Mare, l'unico festival al mondo di "pratiche filosofiche" (e, dunque, destinato a chi non coltiva professionalmente la filosofia ma vuole avere occasioni per pensare criticamente e per confrontarsi con altre persone in clima di serena ricerca). 
     Dopo la data odierna sarà più difficile trovare posti nei due alberghi convenzionati e più costoso trovare aerei per gli aeroporti di Palermo ("Falcone e Borsellino") e di Trapani ("Birgi").

                                                   ***


                                  FESTIVAL DELLA FILOSOFIA D’A-MARE

                                                        VI EDIZIONE

                              CASTELLAMMARE DEL GOLFO  (TRAPANI) 2019

Organizzato da: Scuola di formazione etico-politica “G. Falcone” (Palermo)
 in collaborazione con
 Fattoria sociale “Martina e Sara” (Bruca) 
Gruppo editoriale “Il pozzo di Giacobbe” di Crispino Di Girolamo (Trapani).

Patrocinato dal Comune di Castellammare del Golfo.

Non è un convegno per filosofi di professione: 
sia perché non è un convegno, bensì un insieme di pratiche filosofiche (passeggiate, conferenze, laboratori, seminari…);
sia, soprattutto, perché non è destinato ai professionisti della filosofia, ma a tutte le persone che vogliono ritagliarsi un’occasione di conversare tra di loro e con  filosofi disposti a un dialogo sereno e costruttivo su alcune questioni scottanti.
 E’ dunque l’unico spazio di riflessione critica in cui la relazione maestro-discepolo cede il posto alla relazione fra con-filosofanti (nel senso originario e autentico del termine: amanti della saggezza).

Giovedì 25 aprile 2019
Ore 15 – 16,30 : Accoglienza, registrazione, sistemazione alberghiera presso Hotel Al-Madarig
Ore 16,30 – 17,30 : Passeggiata filosofica (Augusto Cavadi) a partire dall’Hotel Al-Madarig
Ore 17,30: partenza per la Fattoria sociale “Martina e Sara”
Ore 18 – 18,30: visita guidata della Fattoria sociale
Ore 18,30: ritorno a Castellammare del Golfo
Ore 21: Concerto presso il Teatro Comunale (Giorgio Gagliano)

Venerdì  26
Ore 9,30 – 11,00 : La passione amorosa(Alberto Giovanni Biuso) presso Castello a mare
Ore 11,30 – 13,30: Laboratori di con-filosofia (filosofi e non-filosofi di professione in ricerca) sul tema dell’amorecon Chiara Zanella, Marta Mancini, Augusto Cavadi. I laboratori si svolgeranno presso l’Hotel Al-Madarig
Ore 16,30 – 18,00:  I molti volti della sofferenza(Giorgio Gagliano) presso Castello a mare
Ore 18,30 – 20,30: Laboratori di con-filosofia (filosofi e non-filosofi di professione in ricerca) sul tema della sofferenza con Chiara Zanella, Marta Mancini, Augusto Cavadi. I laboratori si svolgeranno presso l’Hotel Al-Madarig

Sabato 27
Ore 9,30 – 11,00 :  Natura umana, biotecnologie e poteri economico-politici  (Orlando Franceschelli)
Presso il Castello a mare
Ore 11,30 – 13,30: Laboratori di con-filosofia (filosofi e non-filosofi di professione in ricerca) sul tema delle biotecnologie con Chiara Zanella, Marta Mancini, Augusto Cavadi. I laboratori si svolgeranno presso l’Hotel Al-Madarig.
Ore 16,30 – 18,30 : 
Agorà di confrontosu tutte le tematiche affrontate (i partecipanti al Festival interloquiscono con Alberto Giovanni Biuso, Augusto Cavadi, Orlando Franceschelli, Giorgio Gagliano, Marta Mancini, Chiara Zanella). Presso il Castello a mare.

Ore 21: Al Teatro comunale  : Lettura interpretata de “La commedia dei filosofi”, di Albert Camus (A cura di Manuela Pascolini e Antonio Carnicella)

Domenica 28
Ore 10,00 – 12,00: Laboratori di con-filosofia (filosofi e non-filosofi di professione in ricerca) su:
-      Mistica cristiana e mistica buddhista (Giorgio Gagliano con Augusto Cavadi)
-      Essere animali (AlbertoGiovanni Biuso con Marta Mancini)
-      Elogio della solidarietà samaritana (Orlando Franceschelli con Chiara Zanella) 



                                                             ***
Note tecniche

    *    Agli incontri si partecipa solo se muniti di pass: 20 euro(per i quattro giorni), 10 euro(per un singolo incontro). Per i cittadini di Castellammare del Golfo sconto del 50%.
·      Ingresso libero solo per le manifestazioni artistiche presso il Teatro comunale.
·      Si può dormire e mangiare dove si preferisce: Castellammare del Golfo offre ottime possibilità  per tutte le tasche e per tutti i gusti.
La nostra organizzazione ha stipulato una convenzione con i due splendidi Hotel "Al Madarig" e "Punta Nord Est" (nel primo dei quali si svolgeranno molti incontri).
Qui di seguito le condizioni economiche concordate per entrambe le strutture alberghiere.





·       
Di solito arriva una domanda ricorrente: ma sino a quando si può prenotare in questi due hotel?
La risposta è sempre la stessa: sino a quando ci saranno posti liberi. Perciò può darsi che tra pochi giorni ci sia tutto occupato, può darsi che ci siano camere libere anche la mattina del 25 aprile 2019.
Camera e colazione: € 40,00 
Supplemento singola: € 20,00 
Supplemento vista mare e balcone: € 10,00 a camera 
Modalità di prenotazione: Ogni partecipante dovrà contattare direttamente la struttura e garantire la prenotazione tramite i dati di una carta di credito (numero e scadenza) oppure un acconto pari all'importo della prima notte tramite bonifico. 
Cancellazione: le cancellazioni effettuate fino a 7  giorni prima della data prevista di arrivo non comportano alcun costo. Le cancellazioni tardive e la mancata presentazione comportano l'addebito del costo della prima notte.
  
I nostri Servizi: 
•        Bar 
•        Wi-fi gratuito  in tutta la struttura, 
•        Internet point gratuito 
•        Deposito bagagli gratuito 
•        Parcheggio libero davanti l'Hotel (fino ad esaurimento posti) 

Unico riferimento per le prenotazioni (specificando in quale dei due alberghi si intende sostare e facendo esplicito riferimento alla convenzione per il Festival di filosofia):
tel 0924 33533