"ADISTA/NOTIZIE" 17.6.2023
CONVERTIRE LA CHIESA PER EVITARE IL NAUFRAGIO
di Valerio Gigante
41500 ROMA-ADISTA. «I figli che osano rimproverare
la loro madre non l’amano meno di
quelli che per falsa pietà o per opportunismo
le celano i propri mali»: lo scriveva nel lontano
1975 p. Ortensio da Spinetoli nella conclusione
di un suo celebre libro, La conversione
della Chiesa. Con quel testo, il cappuccinoteologo
intendeva contribuire a un autentico
rinnovamento della Chiesa, che in quell’anno
celebrava il decimo anniversario dalla chiusura
del Concilio Vaticano II. Erano stati, i primi
anni successivi al Concilio, anni di grandi speranze
e di innovative esperienze liturgiche, pastorali,
teologiche. Ma anche anni in cui molti
avevano capito che l’istituzione, che si era
inizialmente lasciata permeare dal vento di
modernità, apertura, dialogo cui la società e
gli stessi fedeli l’avevano sollecitata, si stava
progressivamente richiudendo su se stessa,
guardando con malcelato sospetto, talvolta
con aperta ostilità, alle punte più avanzate del
dibattito ecclesiale e teologico.
A padre Orternsio il decennale dalla fine
del Concilio parve un’occasione da non perdere
per offrire una visione di Chiesa che corrispondesse
alle grandi aspettative di tanta
parte del mondo cattolico e di quello laico.
Proprio in quel 1975, tra l’altro, si celebrava
il Giubileo, che Ortensio segnalava come un
evento la cui ideologia, così come la gerarchia
ecclesiastica la stava proponendo, si presentava
in aperto contrasto con la dirompenza
dei documenti conciliari. E che la parola
Giubileo – lo scriverà anche Giovanni Franzoni
nel suo celebre Farete riposare la terra,
qualche anno dopo (1996) – fa riferimento a
una realtà del tutto diversa da quella “trionfante”
con cui la Chiesa cattolica presenta se
stessa al mondo, perché nelle sue origini bibliche
il giubileo è legato alla necessità di liberare
l’uomo e il creato da tutte le forme di
sfruttamento e ingiustizia.
Oggi, a quasi cinquant’anni dalla pubblicazione
del libro, e con un Giubileo nuovamente
alle porte (quello del 2025, indetto da
papa Francesco), il gruppo degli “amici di Ortensio”,
che da anni operano per conservare
e divulgare il suo pensiero e la sua testimonianza,
ha pensato di ripubblicare La conversione
della Chiesa, rendendola di nuovo disponibile,
poiché l’edizione del 1975, della
Cittadella, è ormai da tempo fuori catalogo.
La nuova edizione, pubblicata dal Pozzo di Giacobbe
(pp. 180, euro 18; il libro può essere
richiesto anche a Adista, tel. 06/6868692;
email: abbonamenti@adista.it; o acquistato
presso la nostra libreria online, www.adista.it)
e corredata da un saggio introduttivo di don
Marcello Farina, prete e saggista trentino, studioso
di teologia e filosofia, non mostra affatto
i segni del tempo trascorso. Il libro resta davvero
di grande attualità. Ortensio, a partire dal
significato della parola “conversione” (ossia
“mutamento progressivo, ma radicale”) conduce
per mano il lettore attraverso sei capitoli:
il primo parla della conversione giubilare,
secondo il significato che quell’evento aveva
nella Bibbia; il secondo parla della conversione
al progetto di Dio a partire dalla conversione
delle strutture di potere e privilegio, anche
nella Chiesa; nel terzo si parla di “riconciliazione”
in un senso nuovo, non più legato
all’ottica della riparazione e del risarcimento
dell’offesa recata a Dio, ma sulla riscoperta
della sua straordinaria e unica benevolenza
verso l’umanità. Per questo «riconciliarsi non
è accettare, subire, tacere, ma ma cercafre le
condizioni più opportune e più favorevoli per
un rapporto paritario, fraterno tra i componenti
del popolo di Dio». Il successivo capitolo, il
quarto, è invece incentrato sul senso biblico
dell’evangelizzazione. Anche qui, Ortensio prima
sfata l’idea che evangelizzare sia proporre/
imporre una serie di verità precostituite e
inconfutabili; poi, attraverso la demitizzaone
e la deculturizzazione della predicazione evangelica,
il teologo propone l’annuncio non come
«un vademecum o un prontuario di risposte
», ma come concreta attuazione di ciò che
le parole di Gesù annunciano. E che ciascun
discepolo di Gesù incarna con la propria vita
spesa per il bene comune, con il Vangelo «che
ognuno scrive con la propria vita». Nel quinto
capitolo Ortensio riflette sulla funzione dei sacramenti.
Che non vanno considerati «contenitori
e veicoli materiali del soprannaturale»,
e nemmeno solo riti che non hanno valore in
sé; le forme e i linguaggi possono (e devono)
cambiare secondo i tempi e i contesti. Quello
che resta è l’azione dell’impegno cristiano,
«che non è ritualistico e culturalistico, ma umano
e storico». Infine – e siamo al cap. 6 – Ortensio
riflette sul fatto che la Chiesa ha ormai
una incidenza sempre minore nella società
contemporanea. «È da secoli che la Chiesa
sembra far di tutto per non farsi capire, che
percorre una strada opposta a quella della società
». La Chiesa ha combattuto la Rivoluzione
francese e quella proletaria, l’Illuminismo
e il Protestantesimo, invece di consacrare con
il suo carisma questi eventi e accoglierne i significati
essenziali. «Ma il rifiuto di cambiare
è il rifiuto di crescere». E «il Vangelo non è un
messaggio chiuso, fermo, ma un fermento, un
germe, che si sviluppa, matura, cresce con
l’evolversi delle situazioni e condizioni dell’uomo.
È sempre un annuncio di Dio, ma cammina,
progredisce, avanza, “cambia” con l’essere
umano chiamato a viverlo». Solo se la
Chiesa smette di essere «un feudo di alcuni,
pochi privilegiati» e diventa realmente comunità
di fratelli potrà essere strumento credibile
ed efficace testimone del Vangelo dentro il
mondo che cambia.
Certo: chi oggi come 50 anni fa propone
una visione profetica della Chiesa e della fede
è spesso costretto a pagare prezzi alti, come
accadde anche a Ortensio, respinto ed
emarginato, come religioso e come teologo,
dalla Chiesa che amava. Ma, lo scrive lui
stesso: «L’amore alla Chiesa non si misura
dagli onori che si accumulano, ma dalle sofferenze
che si sopportano per il suo bene».
VALERIO GIGANTE