giovedì 29 giugno 2023

2025 ANNO GIUBILARE: LA CHIESA CHIEDERA' LA CONVERSIONE DEL MONDO. MA CHI CONVERTIRA' LA CHIESA?


 "ADISTA/NOTIZIE" 17.6.2023

CONVERTIRE LA CHIESA PER EVITARE IL NAUFRAGIO 

di Valerio Gigante

41500 ROMA-ADISTA. «I figli che osano rimproverare

la loro madre non l’amano meno di

quelli che per falsa pietà o per opportunismo

le celano i propri mali»: lo scriveva nel lontano

1975 p. Ortensio da Spinetoli nella conclusione

di un suo celebre libro, La conversione

della Chiesa. Con quel testo, il cappuccinoteologo

intendeva contribuire a un autentico

rinnovamento della Chiesa, che in quell’anno

celebrava il decimo anniversario dalla chiusura

del Concilio Vaticano II. Erano stati, i primi

anni successivi al Concilio, anni di grandi speranze

e di innovative esperienze liturgiche, pastorali,

teologiche. Ma anche anni in cui molti

avevano capito che l’istituzione, che si era

inizialmente lasciata permeare dal vento di

modernità, apertura, dialogo cui la società e

gli stessi fedeli l’avevano sollecitata, si stava

progressivamente richiudendo su se stessa,

guardando con malcelato sospetto, talvolta

con aperta ostilità, alle punte più avanzate del

dibattito ecclesiale e teologico.

A padre Orternsio il decennale dalla fine

del Concilio parve un’occasione da non perdere 

per offrire una visione di Chiesa che corrispondesse

alle grandi aspettative di tanta

parte del mondo cattolico e di quello laico.

Proprio in quel 1975, tra l’altro, si celebrava

il Giubileo, che Ortensio segnalava come un

evento la cui ideologia, così come la gerarchia

ecclesiastica la stava proponendo, si presentava

in aperto contrasto con la dirompenza

dei documenti conciliari. E che la parola

Giubileo – lo scriverà anche Giovanni Franzoni

nel suo celebre Farete riposare la terra,

qualche anno dopo (1996) – fa riferimento a

una realtà del tutto diversa da quella “trionfante”

con cui la Chiesa cattolica presenta se

stessa al mondo, perché nelle sue origini bibliche

il giubileo è legato alla necessità di liberare

l’uomo e il creato da tutte le forme di

sfruttamento e ingiustizia.

Oggi, a quasi cinquant’anni dalla pubblicazione

del libro, e con un Giubileo nuovamente

alle porte (quello del 2025, indetto da

papa Francesco), il gruppo degli “amici di Ortensio”,

che da anni operano per conservare

e divulgare il suo pensiero e la sua testimonianza,

ha pensato di ripubblicare La conversione

della Chiesa, rendendola di nuovo disponibile,

poiché l’edizione del 1975, della

Cittadella, è ormai da tempo fuori catalogo.

La nuova edizione, pubblicata dal Pozzo di Giacobbe

(pp. 180, euro 18; il libro può essere

richiesto anche a Adista, tel. 06/6868692;

email: abbonamenti@adista.it; o acquistato

presso la nostra libreria online, www.adista.it)

e corredata da un saggio introduttivo di don

Marcello Farina, prete e saggista trentino, studioso

di teologia e filosofia, non mostra affatto

i segni del tempo trascorso. Il libro resta davvero

di grande attualità. Ortensio, a partire dal

significato della parola “conversione” (ossia

“mutamento progressivo, ma radicale”) conduce

per mano il lettore attraverso sei capitoli:

il primo parla della conversione giubilare,

secondo il significato che quell’evento aveva

nella Bibbia; il secondo parla della conversione

al progetto di Dio a partire dalla conversione

delle strutture di potere e privilegio, anche

nella Chiesa; nel terzo si parla di “riconciliazione”

in un senso nuovo, non più legato

all’ottica della riparazione e del risarcimento

dell’offesa recata a Dio, ma sulla riscoperta

della sua straordinaria e unica benevolenza

verso l’umanità. Per questo «riconciliarsi non

è accettare, subire, tacere, ma ma cercafre le

condizioni più opportune e più favorevoli per

un rapporto paritario, fraterno tra i componenti

del popolo di Dio». Il successivo capitolo, il

quarto, è invece incentrato sul senso biblico

dell’evangelizzazione. Anche qui, Ortensio prima

sfata l’idea che evangelizzare sia proporre/

imporre una serie di verità precostituite e

inconfutabili; poi, attraverso la demitizzaone

e la deculturizzazione della predicazione evangelica,

il teologo propone l’annuncio non come

«un vademecum o un prontuario di risposte

», ma come concreta attuazione di ciò che

le parole di Gesù annunciano. E che ciascun

discepolo di Gesù incarna con la propria vita

spesa per il bene comune, con il Vangelo «che

ognuno scrive con la propria vita». Nel quinto

capitolo Ortensio riflette sulla funzione dei sacramenti.

Che non vanno considerati «contenitori

e veicoli materiali del soprannaturale»,

e nemmeno solo riti che non hanno valore in

sé; le forme e i linguaggi possono (e devono)

cambiare secondo i tempi e i contesti. Quello

che resta è l’azione dell’impegno cristiano,

«che non è ritualistico e culturalistico, ma umano

e storico». Infine – e siamo al cap. 6 – Ortensio

riflette sul fatto che la Chiesa ha ormai

una incidenza sempre minore nella società

contemporanea. «È da secoli che la Chiesa

sembra far di tutto per non farsi capire, che

percorre una strada opposta a quella della società

». La Chiesa ha combattuto la Rivoluzione

francese e quella proletaria, l’Illuminismo

e il Protestantesimo, invece di consacrare con

il suo carisma questi eventi e accoglierne i significati

essenziali. «Ma il rifiuto di cambiare

è il rifiuto di crescere». E «il Vangelo non è un

messaggio chiuso, fermo, ma un fermento, un

germe, che si sviluppa, matura, cresce con

l’evolversi delle situazioni e condizioni dell’uomo.

È sempre un annuncio di Dio, ma cammina,

progredisce, avanza, “cambia” con l’essere

umano chiamato a viverlo». Solo se la

Chiesa smette di essere «un feudo di alcuni,

pochi privilegiati» e diventa realmente comunità

di fratelli potrà essere strumento credibile

ed efficace testimone del Vangelo dentro il

mondo che cambia.

Certo: chi oggi come 50 anni fa propone

una visione profetica della Chiesa e della fede

è spesso costretto a pagare prezzi alti, come

accadde anche a Ortensio, respinto ed

emarginato, come religioso e come teologo,

dalla Chiesa che amava. Ma, lo scrive lui

stesso: «L’amore alla Chiesa non si misura

dagli onori che si accumulano, ma dalle sofferenze

che si sopportano per il suo bene».


VALERIO GIGANTE

mercoledì 28 giugno 2023

LA NONVIOLENZA SECONDO MARIA ALBANESE (CO-RESPONSABILE PER L'ITALIA DELL' «ARCA»)


Vorrei partire, per questo mio breve intervento, da una frase del libro Le due potenze  di Lanza del Vasto: «il terrore è la radice delle follie più oscure».  

Dopo la seconda Guerra mondiale abbiamo fondato la nostra sicurezza sull'equilibrio del terrore, abbiamo vissuto un' epoca di pace fondata sul terrore. Abbiamo abdicato a favore della paura. Abbiamo pensato che la bomba potesse salvarci, nonostante l'evidenza del contrario:  l'evidenza non basta per capire, la ragione ci porta a elaborare concetti che giustificano le nostre scelte irrazionali, fondate sulla paura, e spesso è solo l'esperienza che svela il contenuto più profondo delle cose.

 Per parlare, quindi, di nonviolenza  - e capire quanto sia importante farne esperienza per poterla agire -  vorrei partire da una mia esperienza personale: la nascita del mio secondo figlio che oggi ha 34 anni. Ma questa esperienza è legata a doppio filo alla nascita del mio primo figlio. 

Infatti, l'esperienza della nascita del primo mi ha fatto concentrare completamente sulla sua cura. In quel periodo ho trovato dentro di me una forza potente, un amore smisurato per questa piccola creatura che oggi ha 37 anni. Quando ho saputo di aspettare il secondo figlio  sono entrata in crisi perché pensavo: «Come potrò amarlo se tutto il mio amore è per il primo? ». Questo perché avevo un concetto matematico dell'amore: se il mio 100% d'amore era per il mio primo figlio, come avrei potuto amare anche il secondo ? Mi dicevo però: «Siccome vorrei essere una buona madre, dividerò equamente il mio amore, al 50% per ognuno». Questo ragionamento filava perfettamente, ma il mio cuore soffriva perché sapevo che avrei tolto un 50% al primo.  Tuttavia dentro di me, ero irremovibile:  dovevo assolutamente fare una divisione equa. 

Dopo la nascita del secondo figlio nel mio cervello è avvenuto  un click, che ha completamente rivoluzionato il mio pensiero: devo ringraziare la nascita di Riccardo, mio secondogenito, per avermi fatto capire una delle cose più belle ed importanti della vita e cioè che l'amore non si divide, ma si moltiplica. Quel piccolo bambino tra le mie braccia mi ha svelato un segreto evidente e chiaro, ma che non avrei mai capito se non dopo avere fatto esperienza: il mio amore ora poteva essere al 100% per il primo figlio e anche per il secondo, e ancora moltiplicato all'infinito. Potevo guardare la vita con altri occhi, con uno sguardo nuovo con cui la matematica non c'entrava molto.

Così posso dire  è per la nonviolenza:  fino a quando non ne facciamo esperienza, non la facciamo diventare pratica nella nostra vita,  non potremmo capire la sua forza, la sua potenza. Fino a quando non scatterà nella nostra testa quel click, resterà solo un concetto (bello magari, ma privo di efficacia). 

La nonviolenza quindi non è una parola astratta, ma esperienza umana possibile, da praticare intanto nelle nostre situazioni di conflitto interpersonali, familiari, lavorative, prima ancora che applicarlo alle grandi questioni, perché se non ne facciamo esperienza non possiamo capirla, crederci, volerla, agirla. La nonviolenza  deve essere quel click che deve scattare nel nostro cervello e che ci fa decidere, dentro la situazione di conflitto, di deporre le armi e di non fare la guerra. 

Infatti, in una situazione di conflitto personale, io posso scegliere di fare la guerra, affilare le armi, preparare la difesa, cercare le fragilità dell'avversario, preparare l'imboscata, aspettare il momento giusto per attaccare strategicamente, covare la mia vendetta, cercare alleati, distruggere socialmente l'altro con la menzogna, covare il risentimento, tendere un agguato e così via. Questo è agire la guerra e in qualche modo tutti ne abbiamo fatto esperienza nella nostra vita. Ci sarà capitato infatti,  a volte, di essere stati offesi,  derisi, umiliati ingiustamente e di conseguenza di avere agito preparando la nostra difesa e poi la guerra. 

Ecco, la nonviolenza è l'esperienza che possiamo fare quando invece decidiamo di non entrare in guerra: che non significa soccombere, ma scegliere un'altra via. Se scelgo questa via non vedo il mio nemico, ma il mio avversario: decido di incontrarlo non stando in difesa, ma superando i confini, perché il confine non è un tabù inattraversabile.  Il confine sta nella nostra testa e, per gli Stati, è una convenzione.

Posso andare verso l'altro disarmata, per incontrarlo, disposta anche a perdere. Quello che mi interessa è incontrare la sua coscienza, la sua umanità. Il gesto di deporre le armi mi apre a mille altre possibilità, accende la mia creatività, la mia voglia di accordo, di resistenza, di umanità fragile, disposta a provare, a metterci tutta me stessa, non solo la mia rabbia e la mia vendetta. Tante volte  in un conflitto interpersonale ho scelto di fare la guerra:  quelle  sono state relazioni perse, non più recuperate. Ho vinto, magari, ma mi è sempre rimasta l'amarezza, un rancore che non si scioglie, che rimane sepolto, ma cova. 

Quando invece ho scelto la nonviolenza, magari ho preso bastonate, ho sofferto, ho imparato e  spesso ho trovato un altro uomo, un'altra donna e qualche volta un amico.

La razionalità è lo sguardo sull'esistente, l'amore è la visione sulla realtà possibile che travolge l'impossibile - come diceva Baden Powell fondatore della scoutismo - facendolo diventare possibile. L'amore trasforma la visione della nostra realtà e le dà un orizzonte:  l'uomo può finalmente guardare lontano.  Non più uno sguardo corto che ci fa vedere solo i confini, ma una visione che ci apre all'infinito. Per i credenti potremmo dire che ci apre a Dio e alla provvidenza. Non più divisione ma moltiplicazione:  il divisore nella Bibbia è Lucifero, il moltiplicatore nel Nuovo testamento è Gesù che moltiplica i pani, che porta una nuova legge, un nuovo ordine. La legge dell'amore e della nonviolenza . 

Gandhi, Martin Luther King , come sapete, partendo da tradizioni religiose diverse approdano allo stesso risultato. Niente è più potente della nonviolenza che mira alla coscienza dell'altro: a quella parte di noi che ci fa essere umani, che ci apre alla vita. 

La nonviolenza è quel fondo comune di tutte le tradizioni umane e religiose di cui parla Lanza del Vasto, quella forza antica come le montagne, come diceva Gandhi, che con la lotta nonviolenta del popolo indiano, senza armi, mette in ginocchio la più potente delle nazioni del mondo; così come Martin Luther King porta avanti la vincente lotta dei diritti civili degli afroamericani e così tante altre esperienze in tutto il mondo, in cui l'uomo è stato capace di sperimentare la nonviolenza in conflitti sociali difficili e complessi.

Maria Albanese 

(co-responsabile, con il marito Enzo Sanfilippo, della sezione Italiana del movimento internazionale de "L'Arca" di Lanza del Vasto): 

testimonianza alla presentazione del libro di 

Lanza del Vasto, Le due potenze. L'atomica e la nonviolenza

 (La Meridiana, Molfetta 2022) 

presso la "Casa dell'uquità e della bellezza" di Palermo.

sabato 24 giugno 2023

ALCHEMICI E MASSONI A PALERMO, "CAPITALE DELLA MASSONERIA"


“Il Gattopardo/Sicilia”

Aprile 2023


ALCHIMIA E MASSONERIA A PALERMO

 

Giuseppe Garibaldi - impressionato dalla messe di simboli esoterici sparsi per Palermo – la elesse a capitale ideale della Massoneria. Nulla di strano: moltissimi aristocratici (committenti di palazzi, giardini e chiese) erano affiliati all’associazione di origine anglosassone e non pochi ecclesiastici erano cadetti di famiglie nobiliari. Ma di quali simboli si tratta? Squadre da disegno, compassi, fornaci, piramidi, occhi di Dio…Lucia Vincenti ha raccolto una serie di servizi, pubblicati sul “Giornale di Sicilia”, in un volume intitolato Palermo occultata. Il titolo, più che all’occultismo, allude allo strano fenomeno culturale per cui tale abbondanza di richiami simbolici (criptici per paura delle condanne da parte delle gerarchie cattoliche, ma non tanto da risultare invisibili) è come nascosta da un velo di ignoranza agli occhi dei visitatori. 

Ci si potrebbe interrogare sul nesso fra l’antica cultura alchemica (egizia e greca) e la recente Massoneria (nata a cavallo fra i secoli XVII e XVIII). Pare che un nesso vada individuato nella figura dell’inglese Elias Ashmole, autore dell’opera Simbolismo alchemico-eretico, al quale fu affidato il compito di redigere i primi rituali massonici.

Ma qual è la presenza attuale delle ‘logge’ massoniche in Sicilia? La legislazione vieta da alcuni decenni ogni genere di associazione segreta e ciò ha comportato una significativa spaccatura fra la maggioranza dei circoli (che si limitano a custodire con una certa riservatezza i nomi degli adepti) e sparute minoranze di ‘logge’ che, anche per rapporti ambigui con le cosche mafiose, vivono nella clandestinità illegale.

A noi profani il dovere di non fare di tutte le erbe un fascio. E  di non affibbiare alla sola Massoneria una condanna generica e indiscriminata che, giustamente, evitiamo  nei confronti di tutte le associazioni professionali, culturali, assistenziali, religiose…che propongono fra i soci legami di ‘fratellanza’ ulteriori, più stretti, rispetto  ai vincoli di concittadinanza democratica cui si riferiva la fraternité della Rivoluzione francese.  I rischi che tra massoni si creino rapporti di solidarietà poco trasparenti, ai danni degli esterni, ci sono sicuramente. Ma come in tutte le altre consorterie che pretendono di aggregare adepti in nome di caratteristiche elitarie.

 

Augusto Cavadi 

www.augustocavadi.com

mercoledì 21 giugno 2023

FUNERALI RELIGIOSI A WELBY NO, A BERLUSCONI SI': DUE PESI E DUE MISURE ?


 “ADISTA/NOTIZIE”      24.6.2023

 

Funerali religiosi: a Welby no, a “”Berlusconi sì. E poi ci stupiamo che le chiese si svuotino?

 

Sulla personalità di Berlusconi, e sulla sua azione politica pluridecennale, sono possibili (possibili di diritto oltre che di fatto) i giudizi più disparati. Su un aspetto della sua poliedrica figura non dovrebbero esserci dubbi: nonostante occasionali dichiarazioni verbali, la sua vicenda esistenziale si è snodata in totale contraddizione con le norme (sensate o insensate che siano) della Chiesa cattolica. Senza scomodare il (recente) passato in cui la gerarchia ecclesiastica ha rifiutato i funerali religiosi a chi aveva avuto la tessera del Partito comunista italiano o a chi aveva convissuto more uxorio con un partner (un eventuale matrimonio “civile” in Municipio non modificava e non modifica di una virgola lo stato di “pubblici peccatori” cui viene vietato l’accesso ai sacramenti), è ancora vivo nella memoria di chi era adulto nel 2006 il ricordo della decisione del cardinal vicario di Roma, Ruini, di negare i funerali religiosi a Piergiorgio Welby che, dopo anni di sofferenze inenarrabili, aveva chiesto e ottenuto lo spegnimento delle macchine che lo tenevano in vita artificialmente e la somministrazione di medicinali sedativi.

Ebbene, questa stessa Chiesa oggi celebra solenni funerali religiosi a un cittadino italiano che è stato sposato una prima volta con Carla Elvira Lucia Dall’Oglio, poi divorziato, poi risposato “civilmente” una seconda volta con Veronica Lario, poi divorziato di nuovo e ha convissuto pubblicamente prima con Francesca Pascale e poi con Marta Fascina (con la quale ha celebrato la parodia sfarzosa di un matrimonio). Ovviamente mi limito ai dati oggettivi e indiscussi, tacendo sugli scandali a sfondo sessuale che hanno suscitato la pena di tante donne e l’invidia di tanti maschi. 

In una lettera spedita oggi ai suoi lettori, in cui segnala un suo pezzo sull’edizione on line de Il Fatto quotidiano, il prete e giornalista don Paolo Farinella riferisce che il cardinale Bagnasco, alla domanda del perché come presidente dei vescovi italiani non criticasse i comportamenti immorali dell’allora Cavaliere, ebbe a rispondergli confidenzialmente che «doveva rispettare il protocollo» (https://www.augustocavadi.com/2023/06/una-nazione-in-lutto-per-un.html).

In queste stesse ore il cardinal Ruini dichiara all’Avvenire che Berlusconi «Era persona di grande intelligenza e generosità. Ha avuto meriti storici per l’Italia, soprattutto avendo impedito al partito ex comunista di andare al potere nel 1994. E anche per l’instaurazione del bipolarismo. Inoltre - ha aggiunto Ruini - ha operato molto bene in politica estera». Il cardinale non ha nascosto i suoi sentimenti: «Sono stato uno dei suoi amici. Domani (oggi per chi legge) celebrerò la santa Messa per lui, perché il Signore nella sua misericordia lo accolga nella sua eterna pienezza di vita» (https://www.avvenire.it/attualita/pagine/ruini-intelligente-e-generoso-ha-meriti-storici-per-litalia).

Quando si trattò di negare i funerali religiosi a Welby, Ruini chiarì che sarebbe stato come legittimare l’eutanasia: perché oggi, celebrarli per Berlusconi, non sarebbe come legittimare il concubinato?

Ma non è una novità nella storia bimillenaria della Chiesa cattolica: un peso e una misura per i potenti, un altro peso e un’altra misura per i fedeli “comuni”. La novità sta altrove: che per i primi duemila anni la maggior parte dei fedeli sono rimasti “fedeli” pur vedendone di tutti i colori (tranne, ovviamente, i tanti scismi che hanno sottratto milioni di persone alla Chiesa di Roma), mentre adesso le chiese si vanno svuotando a ritmo crescente. La gente “comune” può anche ammirare la coerenza di un Cavaliere che gioca, dall’esordio alla morte, il ruolo di illusionista; ma non quel clero che gli riserva gli onori dei santi e dei martiri.

Augusto Cavadi 

www.augustocavadi.com

PS: La foto riproduce un'installazione di Adriana Saieva della collezione privata Casa Dam'Arte (Palermo).

mercoledì 14 giugno 2023

UNA NAZIONE IN LUTTO PER UN PLURICONDANNATO: C'E' DAVVERO DA PIANGERE...

SONO TRISTE PER IL DUOMO 
DI MILANO TRASFORMATO 
IN UNA TRAGICA PASSERELLA DI VANITÀ NARCISISTICA  

......

   Anche l’ultima promessa è stata una beffa che, però, lo ha beffato. Diceva di essere sicuro  di arrivare a 120 anni e anche oltre (modesto, esso), ma aveva qualche problema, non di salute, ma di contorno: i capelli di mucca trapiantati senza attecchire, la pompetta prostatica per simulare, le scarpe col rialzo consistente. Il suo problema fu sempre il «cm».

Ognuno sta solo sul cuore della terra, / trafitto da melma e bugie: /ed è subito sera e speriamo che passi presto e finisca questo scialo di osanna e grandezze, cui nessuno crede, nemmeno i più accaniti «laudatores temporis acti» (Orazio Ars P., 173). Lo rimpiangono perché li aveva sistemati tutti, facendogli fare le comparse sue, ma a spese dello Stato. 
   La sua genialità fu quella di estendere il suo sistema di corruzione il più possibile per dare corpo al proverbio latino: «simul stabunt, simul cadent – o stanno insieme o rotolano insieme». Diffuse la corruttela a ogni livello, trasformò le istituzioni in luoghi di amena oscenità. Non rispettò nemmeno le minorenni, assetato di carne fresca come un satrapo banale. Il popolo, le vestali dai sogni perduti e i loro genitori, veri lenoni d’occasione, si ubriacarono di lui, sognando l’eldorado che arrivò non per amore, ma perché mentissero ai giudici.
   Il punto più basso degli ultimi 30 anni fu in Parlamento quando la sua maggioranza votò, giurando sulla testa dell’Italia, che Mubarak era lo zio di una ragazzina, violentemente trasformata in merce da mezzane, con mezzane vere, come le igieniste dentarie travestite da suore per il gusto del brivido erotico, esotico, similpelle-religioso. Anche lui, come oggi sora Giorgia, si definì sempre cristiano e nessuno, in quel covo di miscredenti, gli diede un calcio nel sedere, mandandolo a bagno nel fiume della redenzione. Il cardinale Bagnasco, nei suoi 10 anni di presidenza della Cei, non lo nominò mai, nemmeno quando bestemmiò e assurse all’apice dell’immoralità, con la scusa – come mi confidò personalmente – che lui doveva rispettare il protocollo. Ah! Il protocollo, il vangelo, no, eh?

   L’uomo «unfit» ("inadatto"), per definizione estera, meritava la scomunica pubblica perché pubblici furono i suoi delitti, dalla maggioranza dei quali si salvò comprando giudici, facendosi leggi su misura (il parlamento una sartoria come un Al Capone qualsiasi), e inventando malattie con la complicità di medici compiacenti e amici di bisbocce: non poté andare in tribunale perché aveva «l’uveite»: obbligo di occhiali scuri.     Fece solo gli affari suoi e lo chiamano «uomo di Stato»; frodò lo Stato e il governo della sora Giorgia gli tributa i funerali di Stato, cioè noi dobbiamo pagargli i funerali?      
   Facciamo anche questo, se serve a chiudere per sempre il capitolo e possa l’Italia tirare un sospiro di sollievo per la fine di un inganno, durato quasi 30 anni, sempre a spese nostre e a favore dei corrotti che con lui ebbero successo, fortuna e condoni a non finire.

   La Chiesa ha perso, ancora una volta, l’occasione della profezia, perché doveva vietare i funerali solenni nel Duomo di Milano, il secondo per importanza, dopo San Pietro, e in qualsiasi altra chiesa. Poteva ammettere i funerali privati con la sola famiglia, nella parrocchia di residenza: un funerale sobrio, senza codazzo di preti e frati, senza apoteosi, ma un funerale penitenziale, per le immondezze di cui fu autore, per i delitti e il cattivissimo esempio che è stato per la nazione, per avere frodato lo Stato, per avere rubato denaro della sanità, della scuola pubblica, dei poveri.

   Ha impoverito l’Italia, portandola sull’orlo del fallimento, presa per i capelli dall’Europa nel 2011, quando letteralmente lo cacciarono dal governo per incompetenza e fallimento: pagammo e stiamo pagando ancora noi. L’uomo, vero populista antesignano, che si fece da sé? Con i soldi della mafia. 
   Tutto il resto lo taccio per amore di patria: ma non quello meloniano, ma quello della dignità che lui calpestò, abituato com’era a muoversi nella melma più torbida, «senza vergogna» (copyright Daniela Santanché). Ah, se la legge fosse uguale per tutti! Oggi il governo italiano si comporterebbe con «disciplina e onore», ma costoro non sanno cosa siano né la disciplina né l’onore. A loro basta essere di una «razza» propria. Sicuramente io non sono né sarò mai della loro, perversa e puttaniera.

Un abbraccio a tutte e a tutti con amicizia e affetto.

   Genova 13-06-2023

   Paolo Farinella, prete

   San Torpete GE

PS (di Augusto Cavadi): Ricevo sistematicamente le "lettere" di don Paolo Farinella che trovo spesso dal tono un tantino sopra le righe, anche quando i contenuti mi sembrano condivisibili. Ma in questo testo il registro linguistico è del tutto adeguato all'indignazione sostanziale: dunque, per la prima volta in tanti anni, rilancio dal mio blog uno scritto del coraggioso amico siciliano trapiantato sin da giovane a Genova.

Con una sola precisazione: i funerali di Stato a un ex presidente del Consiglio dei ministri sarebbero, secondo alcune autorevoli fonti, dovuti per legge. Non così né il lutto nazionale né la sospensione delle attività parlamentari per un'intera settimana.

 

domenica 11 giugno 2023

SECONDO RESOCONTO DEL FESTIVAL FILOSOFICO DI GIBILROSSA (QUESTA VOLTA DI MARIA D'ASARO)


A Gibilrossa Filosofia fa rima con Filìa

   










Ai diari di bordo, 
appassionati e competenti, 
di Federica Mantero (qui) e di 
Augusto Cavadi (qui) sul festival della filosofia organizzato a Gibilrossa dall’1 
al 4 giugno scorso, c’è davvero poco da aggiungere. Anche perché a chi
 non c’era è difficile comunicare non tanto temi e contenuti, quanto
 il particolare stato di grazia che ha accompagnato le/i partecipanti 
durante lo svolgimento delle varie attività. Forse uno dei segreti 
della condizione di Ben-essere sperimentata da tutte/i le/i partecipanti 
è stata la Musica, intesa nelle sue molteplici accezioni di ritmo, 
ascolto di sonorità esterne, percezione di  risonanze interiori, canto:
 dalle campane tibetane fatte vibrare con sapienza da Stefano Maltese, 
alle riflessioni e alle danze guidate da Barbara Crescimanno, al violino
 suonato con eccellente virtù da Giorgio Gagliano, al suono allegro 
della chitarra di Luigi (e di Roberto!), alla voce calda e avvolgente
 di Federica, alla quale si sono unite quelle di Caterina, di Camillo 
e via via tutte le voci liete dell’allegra brigata. 
     E sicuramente è stato motivo di armonia prendere i pasti in comune, preparati da Federica e Paola con assoluto rispetto dei fratellini animali; nonché, grazie al gruppo dell’ORSA (Organizzazione Ricerche e Studi di Astronomia), immergersi nella vastità del cielo e contemplare le stelle, della cui materia siamo fatti anche noi.
      La filosofia, la riflessione comunitaria sui pensieri fondativi dell’esistenza umana, c’è stata eccome. Non si sottolineerà mai abbastanza lo spessore speculativo e la chiarezza espressiva con cui Giorgio Gagliano ci ha fatto riflettere sulla “contraddizione come condizione dell’esistenza” (nonostante una certa logica dica che non sia possibile) e ci abbia permesso di scoprire invece come non sia fondato  l’apparente contrasto tra approccio occidentale, che esclude la contraddizione come ‘falla’ logica, e approccio orientale, più complesso ed esistenziale…
Abbiamo così rivisitato il terzo principio aristotelico di non contraddizione (ma Aristotele non lo aveva chiamato così!), riscoprendone un’accezione più profonda e convincente: È impossibile che una cosa sia e non sia, nello stesso momento e dallo stesso punto di vista (È impossibile che Giorgio stia parlando e non stia parlando, ma attenzione: nello stesso momento e dallo stesso punto di vista). 
Grazie a Giorgio abbiamo scoperto (o riscoperto) un Aristotele che ci dà una regola aurea per analizzare rapporti e movimenti tra gli opposti.
   Piano piano, condotti dalla sua conversazione argomentata e appassionata, abbiamo intuito che le affermazioni del Taoismo (o Daoismo) -  «Il Tao che può essere detto non è l'eterno Tao, il nome che può essere nominato non è l'eterno nome. Senza nome è il principio del Cielo e della Terra...» 
    “Agisci senza agire… sai senza sapere” -  hanno un fondamento: la realtà funziona per et… et e non per out-out.
   E, allora, se riuscissimo a guardare agli accadimenti e alle cose come a una danza, intuiremmo la possibilità di armonizzare i momenti e i colori diversi che la vita presenta. 
    Perché, ricorda Giorgio: “Né la caduta è una caduta, né l’errore sbaglia”. E quindi,: “più abbiamo orecchio per le contraddizioni, più il sistema-vita trova un suo misterioso equilibrio… se diamo spazio agli ‘ospiti inquietanti’ forse riusciremo ad accoglierli e magari a smorzarli…
     Impossibile poi riportare l’invito all’interiorità e le suggestioni ‘di cura’ donate da Pippo La Face, psicologo e psicoterapeuta, e la grazia sapiente con cui ha condotto le meditazioni e le riflessioni nutrienti sul vissuto: “Meditare è far emergere quello che c’è qui e adesso dentro di me… è l’onesta di stare con quello che accade in quel momento… è la capacità di ‘stare’ con quello che ci tocca senza farcene assoggettare”, perché come dice il poeta Neruda “la parola è un’ala del silenzio, il fuoco ha una metà di freddo”…
   E, infine, Augusto Cavadi ha volato alto avviando una sessione di ‘filosofia in pratica’ sul tema controverso della felicità (riporto anche qui il link della sua introduzione). Riflessione alla quale hanno donato il proprio contributo tutti i presenti:
     Caterina ha sottolineato di essere d’accordo con la Costituzione Usa che sancisce il diritto dei singoli alla felicità, in quanto lo Stato ha il dovere di creare le condizioni per una felicità possibile; mentre Pietro è infastidito da questa sorta di diktat giuridico e ritiene che, comunque, il coinvolgimento verso il dolore altrui ci renda più ricettivi ed empatici; anche Anna pensa che il diritto sancito nella Costituzione statunitense sia una sorta di ‘obbligo’ e ritiene che la Felicità è essere in una certa condizione, magari  diversa per ognuno.
       Gabriella ha condiviso una sua esperienza durante un viaggio nel Mar Rosso, sottolineando che il rapporto pieno con la Natura può renderci felici e che chi ha figli ha il dovere di creare le condizioni per la loro felicità; per Giulia la felicità è accontentarsi delle piccole cose, affrontare – quasi stando a galla – la vita con saggezza e leggerezza; Paola ha detto che è importante sentire armonicamente i confini propri e degli altri e ha legato la percezione della Felicità alla capacità di provare emozioni, anche dolorose, sentirsi comunque ‘vivi’…
      Samuela ha poi sottolineato quanto il proprio carattere possa essere condizionante: ci sono persone ‘naturalmente’ felici in condizioni difficili e altre ‘naturalmente’ infelici in situazioni ottimali; ha poi affermato quanto trovare il proprio ‘daimon’, la propria ispirazione, la propria vocazione e passione di vita possa influire nell’abitare la Felicità.
     Per Maurilio spesso confondiamo la Felicità con gli eventi, con il ruolo dell’Eroe e del Vincente a tutti i costi, mentre, a suo parere, la Felicità è diluita nel percorso della vita, quasi a prescindere dai risultati: raggiungere un traguardo ci rende contenti, non felici.
    Valentina riflette sul fatto che forse solo la perdita di un figlio è l’unica esperienza umana incompatibile con la Felicità… per il resto la Felicità è compatibile con qualsiasi altra esperienza, anche dura, anche difficile, se attingiamo alla resilienza, al nocciolo duro che c’è in ognuno di noi. Lo Stato sociale è poi indispensabile ma non deve assolutamente legare Felicità e merito.
    Anche per M. lo Stato dovrebbe garantire condizioni di vita equa per tutti. La Felicità per lei è sentirsi presenti, vivi, qui e ora con tutto quello che c’è e inglobarlo dentro di sé. Felicità: sprazzi che arrivano se siamo in condizione di percepirli, specie se ci si sente “in connessione e al sicuro”.
   D’accordo con lei Giovanna, che sottolinea come Madre Teresa o i Medici senza Frontiere siano sereni pur operando in mezzo a tragedie.
     Federica ricorda l’etimologia del termine Felicità, che deriva da fertile: come un terreno è fertile se accoglie ciò che vi viene seminato, permettendo anche la crescita di erbacce magari necessarie all’ecosistema, così ciascuno dovrebbe fare spazio a tutto ciò che la natura semina in lui/lei: idee, persone, gesti… senza l’ansia di creare il giardino più bello, non escludendo a priori il dolore.
     Luisa ci ha donato una bella affermazione di Giaime Pintor: “Felicità è aiutare qualcuno a sollevarsi…”
     Per Giorgio la questione della Felicità somiglia ai dibattiti sulla Grazia divina: il volere di Dio serve, ma se non c’è disponibilità personale ad accoglierla il dono è sterile… La Felicità è dunque un movimento duplice, qualcosa che accade, ma che ci dobbiamo anche conquistare… Allora, citando anche Scoto Eriugena “un bravo pittore fa gioco di chiaroscuro” – la Felicità è dialettica di luce e ombra e si costruisce insieme…
    E poi sono intervenuti: Roberto, che richiama l’attenzione alla distorta definizione di Felicità data da Google, e manifesta gratitudine verso le riflessioni del buddismo che mettono in guardia da attaccamento, avversione e ignoranza; Camillo, che sottolinea quanto sia difficile parlare di qualcosa così difficile da definire… e azzarda comunque un’idea di Felicità legata al soddisfacimento di bisogni anche complessi; Gigi, secondo cui comunque lo Stato deve garantire le condizioni di base della Felicità; Maria, che afferma come la cosa peggiore sia chiudersi alla Vita e ricorda il nostro detto siculo “Buon tempo e malu tempo non dura tutto il tempo”, Claudia, che sottolinea come la Felicità sia legata ai desideri…
(Mi scuso se non ho riportato in modo esauriente e corretto il pensiero di ciascuno/a)
Felicità:
Connessione feconda
Grembo di Cura
Sprazzi di Luce nel buio…
Grazie
NOTA: Riporto questo post dal blog, di Maria D'Asaro, www.maridasolcare.blogspot.com  Approfitto dell'occasione per consigliare di iscriversi, gratuitamente, agli aggiornamenti sui post che la nostra bravissima amica pubblica sul suo blog. 

mercoledì 7 giugno 2023

FEDERICA MANTERO OFFRE UNA SUA SINTESI DI GIBILROSSA 2



‘Prendete la vita con leggerezza. Che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall'alto, non avere macigni sul cuore.’
Questa famosissima citazione di Calvino mi permette di descrivere accuratamente la seconda edizione del festival della filosofia a Gibilrossa.
Quando pensiamo ad un festival della filosofia a volte immaginiamo dibattiti complessi e argomenti difficili da comprendere o, ancora peggio, discussioni teoriche astratte che non hanno rilevanza pratica nella vita quotidiana.
Nulla di tutto ciò: questi giorni trascorsi insieme sono stati una celebrazione della conoscenza, della fratellanza e della leggerezza. Abbiamo avuto l'opportunità di ascoltare persone appassionate, partecipare a dibattiti interessanti e condividere le nostre idee senza limiti.
✨ Siamo grati a tutti i relatori (Augusto Cavadi, Trizzi Ri Donna, Giorgio Gagliano, Stefano Maltese Campane Tibetane, Jan Mariscalco, Giuseppe La Face) che hanno condiviso le loro conoscenze, la loro passione e la loro umanità e a tutti i partecipanti che hanno contribuito con le loro voci uniche. Questo festival è stato un tributo alla ricchezza delle idee e alla diversità di opinioni in un mondo che sembra prediligere il pensiero unico.
Siamo grati ai nostri amici Paola Tuzzolino, Luigi Benincasa, Adriana Saieva, Augusto Cavadi: senza il loro sostegno e il loro affetto, questo festival sarebbe ancora un’idea.
Siamo grati ai miei genitori Salvatore Mantero e Catia Marino che credono nella condivisione e permettono a questo luogo di sopravvivere così meravigliosamente.
🤝 Speriamo che le connessioni che si sono formate qui continueranno a crescere e a ispirare futuri dialoghi. Che queste discussioni si diffondano nella nostra quotidianità, portando consapevolezza e una maggiore comprensione reciproca.
🌟 Insieme, possiamo continuare a coltivare la filosofia come strumento per affrontare le sfide dell'umanità e promuovere un mondo più inclusivo e giusto.
Grazie ancora a tutti voi per aver reso questo festival indimenticabile!

Federica Mantero

(qui un po' di foto e di video):

https://www.facebook.com/manteffe/posts/pfbid02Tr4cRq761QArsnLn3h7sbr6aBRzPTBtt2nLwkYFg6mNghNJhLerN3A4moFQSJAHol?notif_id=1686147532861322&notif_t=feedback_reaction_generic&ref=notif