sabato 29 febbraio 2020

CALENDARIO EVENTI CASA DELL'EQUITA' DI PALERMO

CASA DELL'EQUITA' E DELLA BELLEZZA
Via Nicolò Garzilli 43/a – Palermo

Care amiche e cari amici della Casa,
·      come molt* di voi sanno il 24 febbraio se ne è andato – riservatamente come viveva – il nostro amico Sergio Di Vita, fondatore e animatore di una delle associazioni (“Gruppo di formazione al Teatro dell’oppresso e alla nonviolenza attiva”) che rendono la nostra Casa ricca di energie positive[1]. Amiche e amici del suo Gruppo si propongono di mantenerne viva l’eredità culturale e politica: ci auguriamo di cuore che il proposito venga mantenuto, nonostante le indubbie difficoltà per l’assenza di Sergio. Intanto, il nostro “Centro di ricerca sperimentale di teologia laica” gli dedicherà il solito incontro mensile di spiritualità previsto per domenica 1 marzo (vedi calendario riassuntivo alla fine di questo messaggio).
·      A meno di novità ‘oggettive’ sconvolgenti, continueremo le nostre riunioni nonostante il can can mediatico sul coronavirus. Curare un po’ più del solito i contatti fisici e l’igiene personale ci sembra una misura sufficientemente ragionevole in un’epoca in cui, anche in Sicilia, si accettano passivamente e silenziosamente i decessi di migliaia di persone per malattie contratte a causa dell’inquinamento dell’aria, dell’acqua e dei terreni (per non parlare delle morti atroci sotto le bombe in Siria o nelle acque del Mediterraneo o nelle miniere di cobalto africane). Quindi, imperterriti, prevediamo le solite meditazioni condivise del mercoledì (iniziando, come al solito, dando voce a Dante Alighieri grazie alla mediazione di Maurizio Muraglia e di Laura Mollica): vedi calendario dettagliato più sotto.
·      Perdurano, inoltre, gli appuntamenti quindicinali (lunedì 9 e lunedì 23) del “Gruppo Noi uomini a Palermo contro la violenza sulle donne”. Molto lentamente il gruppo si va allargando, ma in misura insufficiente rispetto alle richieste che riceve un po’ da tutta la Sicilia. Come mi è capitato qualche altra volta, vorrei precisare a chi è destinato questo gruppo affinché qualcuno dei lettori uomini possa decidersi, almeno, di fare una capatina esplorativa e “vedere l’effetto che fa”. Il gruppo è costituito da uomini che vogliono interrogarsi sul sistema culturale-sociale, dominante anche in Occidente, di impronta “patriarcale-maschilista”, nella convinzione che tale sistema imprigiona e mortifica tanto le donne quanto i maschi (senza contare gli epifenomeni di violenza quotidiana che esso produce). Ai due appuntamenti quindicinali partecipano sia uomini sensibili alle problematiche etico-politiche sia uomini che avvertono il bisogno di essere sostenuti da altri uomini  per contrastare cattive abitudini, stili di vita, nel rapportarsi con le donne che li circondano dalla culla alla tomba. Per i dettagli cfr. il calendario più sotto.
·      Circa due mesi fa ho pubblicato sul mio blog la recensione del libro di un mio collega di Pisa sulle radici filosofiche di tanti disastri sociali attuali (cfr.https://www.augustocavadi.com/2020/01/come-abbiamo-fatto-ridurci-cosi.html ). Poiché avrò il piacere di ospitarlo a Palermo, con la moglie, per alcuni giorni, gli ho chiesto di dedicarci un’oretta e mezza per una conversazione sul tema: “La folle corsa dell’umanità verso il suicidio: avvertenze da Hegel”. Per chi desideri partecipare, l’appuntamento è giovedì 19 marzo: più sotto i dettagli.
·      Alcuni mesi fa abbiamo trascorso una serata speciale, di apprendimento e di divertimento, grazie a Cinzia Carraro e Ignazio Romeo che ci hanno recitato una serie di testi letterari ironici, caratterizzati dal “non senso”. La riuscita della serata ci ha indotti a una replica per la sera di domenica 22 marzo: sotto i dettagli.
·      Rosalba Leone avrebbe il desiderio di avviare un ciclo di letture formative (per insegnanti e non) sulle tematiche care alla Scuola di formazione etico-politica “G. Falcone”: in particolare vorrebbe iniziare con Capire la mafia (Di Girolamo, 2019) di Amelia Crisantino. Affinché anche questo appuntamento ‘fisso’ decolli (sarebbe ogni due giovedì dalle 18 alle 20) è però necessario che aderiscano al suo invito almeno 3 persone. Chi è interessato può dunque comunicarglielo all’indirizzo di posta elettronica roleone63@yahoo.it

                                                  ***

Eccovi dunque in sintesi il calendario per marzo del 2020:

·      Domenica 1  marzo dalle ore 11,00 alle ore 13,00: Incontro di spiritualità laica. Dopo la prima mezz’ora di accoglienza reciproca, dalle 11,30 alle 13,00 una meditazione condivisa sul tema della vita e della morte a partire dalla dipartita del nostro caro amico Sergio Di Vita. Alle 13,00 pranzo con ciò che ciascuno desidera offrire in tavola. (Chi non è già sostenitore mensile della Casa è invitato a versare, se può,  un contributo di 5,00 euro per le spese di gestione della stessa). 
·      Mercoledì 4 marzo  dalle ore 18,00 alle ore 19,20Meditazione filosofica dialogata con Maurizio Muraglia e Laura Mollica sul tema : “Quando l’etica pubblica si sfalda: il discorso di Marco Lombardo (Purgatorio, canto XVI). La Casa aprirà mezz’ora prima (alle ore 17,30) per accogliere i partecipanti: alle 18,00 in punto si spegneranno i citofoni. (Chi non è sostenitore mensile della Casa è cortesemente invitato a lasciare, se può, un contributo di euro 5,00).
·      Giovedì 5 marzo dalle ore 18,00 alle ore 20,00: Gruppo di lettura su Capire la mafia (Di Girolamo) di Amelia Crisantino. Verificare se si raggiunge il numero minimo di partecipanti scrivendo a Rosalba Leone: roleone63@yahoo.it
·      Lunedì 9 marzo  dalle 19,30 alle 22,30, incontro quindicinale del “Gruppo noi uomini a Palermo contro la violenza sulle donne”. Nel corso della serata  è previsto un momento conviviale autogestito.
·      Mercoledì 11 marzo dalle ore 18,00 alle ore 19,15Meditazione filosofica dialogata con Augusto Cavadi. La Casa aprirà mezz’ora prima (alle ore 17,30) per accogliere i partecipanti: alle 18,00 in punto si spegneranno i citofoni. (Chi non è sostenitore mensile della Casa è cortesemente invitato, se può, a lasciare un contributo di euro 5,00).
·      Mercoledì 18 marzo  dalle ore 18,00 alle ore 19,15Meditazione filosofica dialogata con Adriana Saieva . (Chi non è sostenitore mensile della Casa è cortesemente invitato a lasciare un contributo di euro 5,00). La Casa aprirà mezz’ora prima (alle ore 17,30) per accogliere i partecipanti: alle 18,00 in punto si spegneranno i citofoni.
·      Giovedì 19 marzo dalle ore 18,30 alle ore 20,00: Conversazione-seminario con Fabio Bentivoglio (Pisa) sul tema: “La folle corsa dell’umanità verso il suicidio: avvertenze da Hegel”. Organizza la Scuola di formazione etico-politica “G. Falcone”. Ingresso gratuito.
·      Domenica 22 marzo dalle ore 21:

BCsiciliaPer la salvaguardia e la valorizzazione
dei beni culturali e ambientali 
Letture: 
Cinzia Carraro Ignazio Romeo A cura di: Ignazio Romeo 
Presentazione: 
Fabrizio Giuffrè 
Presidente BCsicilia Sede di Palermo 
Caterina Giordano 
Segretaria regionale BCsicilia 
Per informazioni: Tel. 346.8241076 Email: segreteria@bcsicilia.it 
VI CANTO UNA CANZONE ALLA ROVESCIA 
Il Lonfo, Burchiello, il Giabbervocco e altri gioielli del nonsense 
Ingresso libero: se la serata sarà stata di vostro gradimento, potrete lasciare all’uscita un piccolo contributo per l’autofinanziamento della Casa dell’equità e della bellezza.
·      Lunedì 23  marzo  dalle 19,30 alle 22,30, incontro quindicinale del “Gruppo noi uomini a Palermo contro la violenza sulle donne”. Nel corso della serata  è previsto un momento conviviale autogestito. 
·      Mercoledì 25 marzo dalle ore 18,00 alle ore 19,15Meditazione filosofica dialogata con Augusto Cavadi. (Chi non è sostenitore mensile della Casa è cortesemente invitato, se non ha difficoltà economiche,  a lasciare un contributo di euro 5,00). La Casa aprirà mezz’ora prima (alle ore 17,30) per accogliere i partecipanti: alle 18,00 in punto si spegneranno i citofoni.
·      Giovedì 26 marzo dalle ore 18,00 alle ore 20,00: Gruppo di lettura su Capire la mafia (Di Girolamo) di Amelia Crisantino. Verificare se si raggiunge il numero minimo di partecipanti scrivendo a Rosalba Leone: roleone63@yahoo.it

  Augusto Cavadi 
                                                                               (a.cavadi@libero.it)

·      Abbiamo un blog della Casa: se desiderate ricevere solo informazioni sulle attività della Casa (non attraverso il generoso servizio di Salvo Menna che informa su molte altre attività a Palermo), o se comunque volete essere aggiornati sulle novità nel corso del mese in tempo reale,iscrivetevi con poche mosse:
    poi cliccate su “Iscriviti”, 
    compilate il brevissimo modulo
    e infine date la conferma quando vi arriverà l’avviso nella casella elettronica.







[1] Con qualche piccolo taglio redazionale, “Repubblica – Palermo” del 27. 2. 20 ha ospitato questo mio breve necrologio (un suo profilo più ampio è uscito il giorno dopo e lo abbiamo ospitato sul sito della Casa: https://casadellaequitaebellezza.blogspot.com/).
Sergio Di Vita
Una figura storica della società civile palermitana 
Già dagli anni Ottanta è stato presente in molte organizzazioni orientate a una cittadinanza responsabile, a cominciare dal Co.c.i.pa (Coordinamento cittadino informazione e partecipazione) e dal movimento per i “senza-casa”.   Altrettanto attivo  a favore degli immigrati: ha fondato “Congosol” (un’agenzia d’informazione di prima mano sul Congo) e sostenuto il gruppo delle donne di  Benin City . Tanto impegno sociale si basava su una formazione solida e continua: cultore di antroposofia (conduceva un gruppo settimanale), esperto di shiatsu, ha fondato e diretto, sino alle ultime ore di vita, presso la “Casa dell’equità e della bellezza”, il “Gruppo di formazione al Teatro degli oppressi (secondo l’insegnamento di Augusto Boal) e alla nonviolenza attiva”. Amava documentarsi incessantemente, leggendo e facendo conoscere - anche con i suoi scritti - autori di ogni parte del mondo.  Il suo tratto -  autorevole ma mite – e la sua rara capacità di ascolto  gli hanno attirato la stima e l’affetto di tantissime persone che hanno affollato la chiesa di san Saverio all’Albergheria per l’estremo saluto e che lo hanno considerato in vita un saggio fratello maggiore cui rivolgersi nelle svolte importanti dell’esistenza.  Si è spento il 24 febbraio a 71 anni. 



venerdì 28 febbraio 2020

ADDIO A SERGIO DI VITA,MILITE IGNOTO DEL CIVISMO

“Repubblica- Palermo”
28.2.2020

ADDIO A SERGIO DI VITA MILITE IGNOTO DEL CIVISMO

Quando si sfogliano i quotidiani si resta impressionati dalla marea di cattiverie, di crudeltà, di ingiustizie, di imbrogli, di tradimenti, di falsità, di corruzione, di stupidità, di violenza, di volgarità che ci assedia da ogni lato. Non so a voi, ma a me ogni tanto ritorna una domanda: com’è che ancora reggiamo? Com’è che Palermo, la Sicilia, l’Italia…non sono state ancora sommerse da questo fango tracimante, dilagante, asfissiante? A forza di parassiti che ne succhiano la linfa, l’albero non dovrebbe essere ormai essiccato e abbattuto?
Poi un giorno, così, all’improvviso, ti muore un amico. Per esempio Sergio Di Vita. E allora hai come un’intuizione: come racconta il mito di Colapesce, qualcuno – sommerso sotto la superficie delle onde schiumose – regge una delle colonne su cui galleggia l’isola. In silenzio, quasi nell’anonimato, del tutto ignorato dai riflettori dei media, questo qualcuno c’è. Al risveglio, la mattina, dedica qualche ora alla lettura di Gandhi o di Martin Luther King. Oppure all’ascolto di Bach o di Mozart. Ma non è un orso solitario. Un giorno accoglie un’amica che cerca ascolto attento, paziente. Un altro giorno un amico che soffre di dolori reumatici e vuole provare un po’ di shiatsu praticato con competenza. Una volta a settimana guida un gruppo di amici che vogliono approfondire insieme a lui l’antroposofia di Rudolf Steiner
E, quando necessario, esce anche da casa. Perché – siamo negli anni Ottanta – ogni giovedì sera ci si riunisce al Palazzo del Comune come Co.c.i.pa (Coordinamento cittadino informazione e partecipazione) per studiare i bilanci preventivi e discuterli con gli assessori dei vari settori. Perché – siamo negli anni Novanta – c’è da affiancare i diseredati concittadini del movimento dei “senza-casa” che chiedono l’assegnazione degli appartamenti sequestrati ai mafiosi.   Perché – siamo all’alba del Terzo millennio – c’è da sostenere il gruppo delle donne di  Benin City, desiderose di riscatto sociale e di inserimento lavorativo nella nuova patria. Già: gli africani. Prima gli italiani o prima gli stranieri? Prima chi soffre di più. Come far udire, da Palermo a Bruxelles, la voce di chi non ha voce? Sergio fonda e gestisce, gratuitamente e quasi da solo,  “Congosol”, un’agenzia d’informazione di prima mano sul Congo.
      Tanto impegno sociale non era frutto tanto di emotività, di coinvolgimento sentimentale, ma si basava ancor più su una formazione solida e continua: amava documentarsi incessantemente, leggendo e facendo conoscere - con i suoi seminari, i suoi laboratori e i suoi scritti - autori di ogni parte del mondo. Accademico di nessuna accademia, riteneva che nessuna tematica gli dovesse restare del tutto estranea. Ha attivato e diretto, sino alle ultime ore di vita, presso la “Casa dell’equità e della bellezza”, il “Gruppo di formazione al Teatro degli oppressi (secondo l’insegnamento di Augusto Boal) e alla nonviolenza attiva”, a cui hanno preso parte – in tempi e modi differenti – centinaia di persone. Soprattutto negli ultimi anni evitava di lasciarsi coinvolgere in altre organizzazioni e in altri progetti: “Preferisco fare poche cose, ma con la maggiore serietà di cui sono capace”.  
      Con lui se ne va uno dei tanti “militi ignoti” della militanza civica di cui non parleranno i libri di storia, a cui forse verrà intestata una stradina di periferia, ma senza i quali sarebbe inspiegabile come mai una città regga al logorio continuo dei furbi, degli approfittatori, degli egoisti perbene. Se ne va uno dei cittadini che, per rievocare la celebre frase di Kennedy, non si chiedono soltanto cosa la società possa fare per loro, ma anche cosa essi possano fare per la società. 

Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com

mercoledì 26 febbraio 2020

CHIESE E MAFIE: "ADISTA" INTERVISTA AUGUSTO

Chiesa e mafia: 40 anni di fatti e documenti in un libro curato da Augusto Cavadi 

Tratto da: Adista Notizie n° 4 del 01/02/2020

40113 ROMA-ADISTA (Luca Kocci). Il Vangelo e la lupara: il primo, la «buona notizia» di liberazione annunciata da Gesù di Nazareth; la seconda, strumento di morte e simbolo di Cosa nostra. Antitetici per natura, talvolta però, nel corso della secolare storia dei rapporti fra Chiesa cattolica e mafie, anche posti uno accanto all’altra sui tavoli degli «uomini d’onore» che si professano cattolici mentre ordinano o commettono omicidi e sulle scrivanie dei parroci che preferiscono il silenzio alla denuncia.



Il Vangelo e la lupara. Documenti e studi su Chiese e mafie è il titolo del libro curato da Augusto Cavadi (teologo critico e filosofo «di strada», cofondatore della scuola di formazione eticopolitica “Giovanni Falcone”, autore di numerosi saggi:www.augustocavadi.com) che, dopo la prima edizione del 1994 in due volumi andati esauriti e mai più ristampati dalle Edizione Dehoniane, viene ora ripubblicato in una versione più agile e completamente aggiornata dall’editore trapanese Di Girolamo (pp. 236, euro 20; il libro può essere acquistato anche presso Adista: tel. 066868692; email: abbonamenti@ adista.it; sito web: www.adista.it)



«La finalità – si legge nella prefazione – resta la medesima di 25 anni fa: sollecitare tutti i cittadini, in particolare coloro che si dichiarano seguaci del Vangelo di Gesù di Nazareth, a uscire dall’ingenua e pericolosa illusione di poter mantenersi equidistanti tra il sistema di dominio mafioso e la lotta per una legalità democratica effettiva».



Il volume analizza e documenta la complessa storia delle relazioni fra Chiese e mafie, con saggi storici di p. Francesco Michele Stabile (La Chiesa cattolica e la mafia: uno sguardo d’insiemeDa papa Giovanni XXIII all’inizio del Concilio Vaticano II: 1958-1963Dal dopo-Concilio alla fine degli anni Ottanta: 1966-1989) e mons. Cataldo Naro (Dal ventennio fascista al secondo dopoguerra: 1924-1956); documenti ecclesiali (La camorra oggi è una forma di terrorismo: 1991, dei preti della Foranìa di Casal di Principe di don Peppe DianaCredere e resistere a Palermo: 1992, della Chiesa valdese di Palermo; Per una corretta prassi ecclesiale: 1994, del Consiglio pastorale della diocesi di Palermo); interventi pontifici (La mafia è una strada di morte: 2010di papa Benedetto XVILa ‘ndrangheta è adorazione del male e disprezzo del bene comune: 2014 Non si può credere in Dio ed essere mafiosi: 2018, di papa Francesco); contributi vari di Cavadi (Dalla prima alla seconda visita di Giovanni Paolo II in Sicilia: 1981-1993), Delia Parrinello (l’ultima intervista a don Pino Puglisi), mons. Raffaele Nogaro (Don Peppino Diana martire per la giustizia); e un ampio saggio introduttivo di Cavadi che del fenomeno Chiese e mafie offre «una chiave di lettura complessiva», senza grossolane generalizzazioni (“la Chiesa e la mafia sono identificabili”, oppure, si segno opposto, “la Chiesa e la mafia sono due realtà irriducibilmente opposte, come l’acqua santa e il diavolo”), ma con lo sguardo attento, critico e profondo di chi legge e interpreta fatti e documenti da almeno quattro decenni.

-       Il Vangelo e la lupara dovrebbero essere incompatibili, l’uno la negazione dell’altro. Eppure scrivi che «la stragrande maggioranza dei mafiosi si professa cattolica, tiene molto a sposarsi secondo il rito cattolico, a battezzare e cresimare i figli, a lasciare il mondo con un solenne funerale in chiesa…».Quali sono le ragioni di questo volersi dire, e soprattutto volere apparire, cattolici?
·      Se adottiamo come sinonimi il messaggio evangelico e la professione cattolica non sciogliamo la contraddizione. Il mio punto di vista è che l’appartenenza a Cosa nostra (come a qualsiasi altra organizzazione criminale in Occidente) è incompatibile con il vangelo, ma non con quella versione edulcorata, burocratizzata, del vangelo che è diventata nei secoli la pratica cattolica. Con il linguaggio di Karl Barth, ma anche di teologi cattolici dei nostri giorni come Alberto Maggi, si potrebbe dire che la mafia è incompatibile con la fede ma compatibilissima con la religione. Quando un mafioso dice di essere cattolico, spesso non mente: nessuno, al catechismo o nelle omelie domenicali, gli ha spiegato che il guscio delle tradizioni, dei riti, delle norme non è il gheriglio della sequela di Gesù, predicatore povero e compassionevole verso i disgraziati. Come la maggior parte dei cattolici (almeno in Italia) è sinceramente convinto che accettare dei dogmi, per quanto astrusi, e frequentare abitualmente le liturgie, per quanto noiose, sia l’essenziale; mentre cercare nel silenzio la comunione col Mistero e servire gli impoveriti della storia sia un optional per chi avverte vocazioni straordinarie.
-       Forse all’aspetto propriamente teologico si accompagna un problema ecclesiologico: il cattolico medio, dunque anche il mafioso, vede che l’atteggiamento più diffuso tra vescovi e preti non è stato, e non è, di rifiuto netto e clamoroso delle organizzazioni mafiose… 
·      Come la maggior parte degli italiani, anche meridionali, i cattolici non sono né con la mafia né contro la mafia. Sono – o per meglio dire: si illudono di essere – neutrali. C’è un valenza militare, terroristica, della mafia che suscita facilmente ripugnanza e condanna. Ma sappiamo che la mafia è anche, e soprattutto, un soggetto politico e economico: da questo punto di vista il mondo cattolico è molto meno allergico. Secondo i periodi storici ritiene che essa non sia il male assoluto e che anzi possa servire da argine a mali peggiori: per esempio da diga contro il comunismo, durante la guerra fredda del XX secolo, o contro le nuove etiche ritenute permissive e eversive dei costumi tradizionali, oggi. Se un partito, o un intero schieramento politico, promette di difendere “Dio, Patria, Famiglia”, pur di fargli vincere le elezioni gli si perdonano tante pecche: a cominciare dai rapporti ambigui con la criminalità organizzata. Lo si è visto per un cinquantennio con la Democrazia Cristiana, poi per un ventennio con il berlusconismo e già i segnali ci sono tutti perché si rinunzi ad esigere dalla Lega di Salvini  un atteggiamento di netto rifiuto delle connivenze mafiose.  
-        E’ vero, ma non ti sembra che dal cardinal Ruffini a papa Bergoglio sia comunque cambiato qualcosa a livello strutturale?
·      In un certo senso è cambiato tutto, in un altro senso non è cambiato nulla. Certo, che i papi (da Giovanni Paolo II a Francesco, passando per lo stesso Benedetto XV) urlino la propria condanna della logica mafiosa e delle sue organizzazioni è una vera e propria rivoluzione. Ma affinché queste dichiarazioni solenni si traducano in atteggiamenti pratici, scelte pastorali, gesti concreti nei quartieri difficili delle città e nei piccoli comuni di provincia sarebbe necessario un grande movimento di rinnovamento culturale e etico di cui, onestamente, non vedo tracce. Già la curia romana, anche in esponenti di primo piano, prova a bloccare ogni minimo tentativo del papa di andare alla sostanza spirituale delle questioni: come si può sperare che questi tentativi si moltiplichino con successo nelle “periferie del mondo” dove il contrasto non è fra Chiesa e mafia in astratto, ma fra preti e laici impegnati nel territorio, da un lato, e mafiosi e para-mafiosi radicati nello stesso territorio, dall’altra?
-       Sei dunque piuttosto pessimista sul futuro immediato in questo ambito
·      Direi che, dal punto di vista puramente umano, non prevedo svolte significative nei prossimi decenni. Ma la storia insegna che talvolta l’improbabile accade. A proposito del nostro tema, l’improbabile sarebbe lo zampillare dal basso della piramide ecclesiale – direi meglio: dalla sua base – di una primavera mistica talmente autentica da abbracciare anche l’impegno politico. Solo questa rinascita spirituale profonda potrebbe dare a tanti battezzati, laici e preti, il coraggio di rischiare il martirio. Polo Borsellino, Rosario Livatino, Giuseppe Puglisi, Giuseppe Diana – mi limito ai nomi di alcuni cattolici notoriamente praticanti – hanno dato l’esempio: ma senza una vita di studio, di riflessione, di serietà professionale e pastorale, di rigore etico…non avrebbero certo resistito sino alla morte, e alla morte in croce. Qui a Palermo, invece di sperimentare modalità di imitazione creativa dell’esistenza di presbiteri come don Puglisi, si sono portate in giro per le parrocchie le sue reliquie: non c’è da essere tentati dallo scoraggiamento?
-       Perché, secondo te, la connivenza fra pezzi di clero e laicato cattolico, da un lato, e frange consistenti di cosche mafiose, dall’altro, ha funzionato e continua a funzionare?

·      .Semplificando direi perché la mafia chiede favori alla Chiesa e la Chiesa favori alla mafia. La mafia ha bisogno della Chiesa per darsi un apparato simbolico-ideologico di cui è priva e per darsi un prestigio sociale che potrebbe scemare. Ciò non mi scandalizza: è il mestiere del mafioso rubare ciò che gli serve, strumentalizzare parassitariamente le ricchezze non solo economiche ma anche culturali che gli servono. A scandalizzarmi è la tiepidezza con cui la Chiesa – diciamo adesso, per fortuna, alcuni pezzi di Chiesa – non reagisce e non si ribella. Ho già notato, prima,  come la Chiesa chieda alla mafia e agli amici dei mafiosi schierati nelle istituzioni un sostegno per difendere il “gregge” dai nemici ideologici, veri o presunti. Se poi, oltre a difendere i “valori non negoziabili” cari al cardinal Ruini, il sistema politico-mafioso garantisce privilegi fiscali, sovvenzioni, canali clientelari di assunzione nelle strutture statali, meglio ancora ! A livello più quotidiano, mi risulta che ancor oggi ci sono preti che ricorrono ai boss per farsi restituire la cassetta delle elemosine o i gioielli della Madonna trafugati. Insomma, forse più per ignoranza che per malafede, ancora troppi cattolici vedono nelle cosche mafiose una garanzia di “ordine” che lo Stato in alcuni casi non vuole offrire perché democratico e in altri casi non sa offrire perché disorganizzato.      

domenica 23 febbraio 2020

DAVIDE MICCIONE SU "MOSAICI DI SAGGEZZE"

Sull'ultimo numero della rivista on line "Phronesis" (accessibile gratuitamente per intero), Davide Miccione mi ha regalato una bella recensione del mio testamento spirituale ("a babbo vivo", come a suo tempo si è affrettato a precisare Bruno Vergani): 

Con gratitudine la riproduco sul mio blog (che ormai è anche il mio archivio):
Phronesis”, n. 2, seconda serie, febbraio 2020

Recensione di Davide Miccione
del volume:

Augusto Cavadi, Mosaici di Saggezze. Filosofia come nuova antichissima spiritualità, Diogene Multimedia, Bologna 2015, pp. 367. 

A vent’anni dal suo arrivo in Italia e pur consapevole del suo momentaneo letargo, continuo a pensare che la consulenza filosofica rappresenti la “via regia” per la consapevolezza della avvenuta Svolta pratica. La trasformazione achenbachiana del filosofo da “grossista” a “dettagliante”, l’incontro con il singolo e non più con il pubblico, con l’interlocutore che adesso mi parla e non con la massa dei lettori, il ritorno a movenze socratiche da lungo tempo dimenticate, ci portano di necessità in altri luoghi da cui la filosofia “tradizionale” in cui tutti noi siamo cresciuti finalmente ci appare visibile. Ma accanto alla via regia, centrata con tutta evidenza sul colloquio individuale e su quel vero e proprio trauma (più rimosso che elaborato o riassorbito in verità) di pensare il filosofo come professionista, esistono altre strade, viottoli, sentieri. Alcuni larghi e comodi ma che non portano da nessuna parte, altri che consentono al viaggiatore solo sguardi banali, su piazzole di sosta e autogrill di catena tutti uguali; altri ancora invece tortuosi, stretti, accidentati, che aprono però panorami inaspettati e non altrimenti osservabili. Ognuno di questi itinerari ha un suo cartografo, sterratore, asfaltatore e persino esattore di pedaggio che esplora e propone (partendo da essa e giungendo a essa) una propria idea di ragione: quella di Sautet è conversevole, colta, pienamente “continentale” nel suo storicizzare le questioni; quella di Lipman è logica, pubblica, pragmatica; quella di Pollastri sembra invece dialettica, radicale e con aspirazioni alla totalità e così via. Ma in Italia, contemporaneamente all’entrata in campo di Achenbach, si muoveva già uno sherpa che tutti questi sentieri li stava battendo o spesso perfino tracciando, battezzando e disboscando: Augusto Cavadi. Prima che le pratiche filosofiche avessero un termine in grado di unirle concettualmente Cavadi si era già dato da fare per esplorarne un buon numero. L’idea di ragione che guida Cavadi nella sua esplorazione è insieme politica e spirituale. Alla perenne ricerca di un senso (non a caso l’interesse ritornante per la logoterapia di Frankl e il tentativo di mettere in evidenza eventuali affinità tra questa e la Pratica filosofica), sembra evidente per Cavadi che questo non si possa trovarlo sottraendoci al mondo, inseguendo quello stato di sospensione/eccezione che traspare da certe pagine della ultima Arendt o nelle “morti apparenti” di Sloterdijk. Il senso in Cavadi passa sempre da un immergersi nel mondo e non da un allontanarsi da esso, è sempre un senso da trovare insieme, nel dialogo. Un dialogo che tenta di stringere di più i dialoganti ad un sentire comune, ad una verità minima trasversale, che ha a cuore i dialoganti almeno tanto quanto la verità che si origina dal dialogo; è dunque, quella cavadiana, una ragione che necessita una attenta vigilanza contro la tentazione del sincretismo e dell’irenismo come altre dovrebbero guardarsi invece dall’astrattezza o dalla deriva eristica. In questo orizzonte, Mosaici di saggezze assume una posizione centrale e non aggirabile in quella imponente mole e varietà di scritti dell’autore che rischia, con il solo peso del numero, di rendere difficile al critico la delineazione di una traiettoria di sviluppo teorico. Mosaici appare come la presentazione del retroterra teorico da cui Cavadi muove e al contempo della terra promessa verso cui si dirige. La chiave sta non tanto nel titolo quanto nel sottotitolo che, come spesso accade, è meno ad effetto ma decisamente più esplicativo: Filosofia come nuova antichissima spiritualità. Il tema sembrerebbe dunque la spiritualità come nesso. Nesso tra che cosa? Qui la questione si fa più difficile. Forse tra filosofia e religione, in fondo i due temi principali presenti nella produzione di Cavadi? In alcune pagine Cavadi sembra portarci a pensarlo pur negandolo (ad esempio si pensi alla costruzione, a ricalco di quelle religiose, di cerimonie comunitarie filosofiche presentata nell’appendice del libro). Tendo però a pensare che il vero nesso si collochi piuttosto tra teoria e pratica giacché la spiritualità non può certo essere solo una teoria o una forma di cultura o un genere letterario ma una pratica: «essa non è una mera teoria né tanto meno ideologia, ma praxis nel senso plenario del termine, inseparabilmente interiore ed esteriore» (Mosaici p. 63, da ora in poi indicato con il solo numero di pagina) e la filosofia, nell’interpretazione cavadiana, certamente lo è altrettanto. Questa centralità della comunità dialogante (ci si concentri sul sostantivo e si noterà come negli scritti di Pollastri o nei miei è quasi sempre l’individuo e non la comunità ad essere in dialogo) già alcuni passi di Mosaici di saggezze, dove la lingua chiara e piana di Cavadi sembra salire di tono e di ispirazione, bastano per mostrarla nel suo essere qui già e non ancora. Ad esempio, si legga dove si descrive il rapporto tra le scienze umane e la comunità scientifica: «risultato di queste specializzazioni è l’immenso cantiere della cultura planetaria: una sorta di alveare da cui – senza interruzione – miriadi di api sciamano in cerca dei fiori più svariati e ne succhiano il nettare per tornare, infine, nella casa comune a produrre ogni tipo di miele» (p. 22), o ancora: «in questa apertura di orizzonti [...] si realizza l’unica globalizzazione che può rendere sensata l’internazionalizzazione delle transazioni economiche: il meticciato degli spiriti, lo scambio delle intuizioni, l’emendazione reciproca e l’integrazione delle tradizioni sapienziali» (p. 46).
    Non stupirà, dopo queste righe, la scelta di far iniziare il volume con un protrettico, genere alla cui frequentazione Cavadi non è nuovo avendogli già dedicato un sentito volume (E, per passione, la filosofia, Di Girolamo 2006). Procedendo in questa esortazione al filosofare, che pur risalendo fino al padre del “genere” – Aristotele -  prende nuova linfa dallo sguardo consulenziale e da una diversa conseguente pensabilità del ruolo sociale della filosofia, Mosaici procede poi a dichiarare l’intento del volume con una circospezione insolita per l’autore, solitamente più diretto nel presentare la tesi portante dei suoi lavori e che fa pensare che Cavadi abbia ben colto la notevole ambizione della sua impresa, da lui descritta come l’azione di «recuperare, e valorizzare, alcuni filoni spirituali contenuti nella storia della filosofia occidentale. Filoni rilevanti né più né meno di altri, ma che [...] rischiano di precipitare nell’oblio» (p. 47), lavorando però «non in concorrenza con le spiritualità attuali, ma per ampliarne la gamma, recuperare gli elementi costitutivi di una spiritualità filosofica» (p. 49).L’ambizione e la difficoltà, e dunque anche il pregio di quest’opera (di testi che dissodano il già dissodato sono pieni i dipartimenti, soprattutto dopo l’apocalisse bibliometrica e citazionale di questo decennio), sono costituiti dall’estrema difficoltà a fissare il significato e i limiti del concetto di spiritualità (ben più dei suoi “vicini”: mistica, religione, etica ecc.) e dalla scivolosità dell’oggetto spiritualità, di cui l’autore del resto non fa alcun mistero, e infine dalla conseguente difficoltà a rintracciarla nella storia della filosofia, isolarla, renderla percorribile tracciandone passerelle e camminamenti e lavorare ad ipotesi di riabilitazione e rivitalizzazione. Un compito estremamente difficile minacciato perennemente dal pericolo di sovra-estendere o sotto-estendere semanticamente la spiritualità, un pericolo che incombe su tutte le parole ma che diventa certezza per alcune. La ricerca di Cavadi sembrerebbe dunque essere storica e induttiva, paziente e graduale, ma ogni ricerca (è una vecchia storia che ci portiamo dietro da Platone) parte pur sempre, diciamo così, da un identikit del ricercato. Per tratteggiarlo Cavadi mette in campo, da filosofo formato teologicamente, una via negationis, asserendo che la spiritualità non è fede (o più precisamente che la fede non ne è un elemento costituente e necessario), che non ha a che fare con lo spirito (nel senso che nella spiritualità non è implicita una adesione a una antropologia filosofica dualista che distingue il corpo da un principio immateriale) e che non è necessaria neppure la presenza di Dio. Cavadi inoltre, coerentemente con la ragione comunitaria e dialogante cui accennavamo prima, ci tiene a eliminare l’idea di una spiritualità come fuga dal mondo, come condizione solitaria, nonché l’idea di una spiritualità come lusso per ricchi, posteriore al primum vivere o, ancora, come condizione apolitica. Questa via negationis, che fa da preambolo all’indagine più propriamente storico-filosofica, pur fornendo annotazioni perlopiù ragionevoli e condivisibili, procede non stringendo ma semmai ampliando ulteriormente l’estensione semantica dell’oggetto del libro. 
   La questione fondamentale che dà senso al volume non è però l’indagine sulla spiritualità come costruzione di un modello teorico rigido e definitorio, bensì l’indagine sulla dimensione spirituale della filosofia nella storia e sulla possibilità di proporsi della filosofia come spiritualità filosofica. Sulla scorta di Hadot, Cavadi tratteggia le questioni storiche sottese al tema della spiritualità nella filosofia, descrivendo l’ingrottamento di tali questioni in una filosofia ormai nel medioevo degradata ad “ancilla”, riflette su “l’auto ridimensionamento della filosofia” acutamente definito come una decurtazione percepita come un guadagno e sulla catastrofica identificazione degli intellettuali come di coloro che si occupano d’altro: «la laicità è diventata, quasi senza che ce ne accorgessimo, sinonimo di “a-spiritualità”» (p. 75). Ne seguiranno tutti i corollari di questa trasformazione, dal linguaggio tecnico al rinserramento accademico. Un peggioramento rispetto a un’epoca in cui il cristianesimo pensava di essere la migliore filosofia (come del resto ogni filosofia ha sempre pensato di sé) ma non l’unico canale della spiritualità e l’unica guida dell’esistenza, una perdita rispetto ai primissimi secoli d. C. visti come stato di grazia della spiritualità e del pensiero in quanto periodo in cui le varie religioni e una filosofia non ancora amputata della sua capacità di farsi prassi, stile di vita, exemplum, comunità, convivevano in fruttuosa dialettica. 
Oggi questa riflessione di Cavadi appare tanto più preziosa quanto più il tempo presente ci riporta ad una situazione di pluralismo spirituale in cui pensare alla religione ancora come monopolista rischia di non cogliere la vacatio attuale e di lasciare scoperte parti fondamentali della vita umana. In questa cornice s’inserisce la chiamata alle armi (filosofiche) che questo volume senza dubbio rappresenta. Posta la cornice, resta a Cavadi il compito di preparare se non il dipinto almeno un cartone preparatorio di quello che la filosofia come spiritualità o la spiritualità filosofica che dir si voglia può diventare. Cavadi evita subito uno scoglio insidioso, quello di santificare il modello ellenistico e proporre la sua ripresa come ripresa della spiritualità filosofica tout court, passaggio su cui metteva in guardia già Mádera e, con più convinzione, i due autori richiamati in nota, Martha Nussbaum, con cui lungamente Cavadi dialoga, e Pollastri, che richiama l’attenzione del lettore sulla natura terapeutica e dogmatica delle scuole ellenistiche. Questo rifiuto di modellizzarsi sulla filosofia ellenistica non si traduce però, molto saggiamente, nella preferenza per un’altra epoca o un’altra tradizione filosofica. 
Nelle pagine seguenti Cavadi analizza a volo d’uccello e con scelte interessanti e personali alcuni filosofi moderni e contemporanei nel tentativo di metterne in evidenza gli aspetti utilizzabili nella costruzione della spiritualità filosofica o comunque attestanti questo aspetto della loro filosofia. Questa concessione alla tradizionale perlustrazione storica del problema, coerentemente agli intenti espliciti del libro, lascia però dopo poche pagine spazio ad un più interessante tentativo di costruire a partire dalla propria esperienza e dai passi e dagli autori che lo hanno colpito, una ipotesi di spiritualità filosofica. Questa è la parte più vitale del libro, quella in cui Cavadi ibrida la sua esperienza di vita con i suoi ampi interessi provando non tanto a descrivere quanto a raccontare cosa una spiritualità filosofica possa dire e dare ad un uomo che le si avvicini. Questa parte del volume è sorprendente per capacità di cogliere le sfumature dell’esistenza e per il coraggioso tentativo di riuscire a creare delle partizioni nella complessa e olistica realtà umana. Questo tentativo finisce con il configurarsi come un’antropologia filosofica del filosofo, cosa tanto utile nell’attuale confusione quanto foriere di grandi e piccole catastrofi sono state le antropologie filosofiche dell’uomo nella sua interezza proposte nei vari millenni.
 Passano così sotto gli occhi del lettore le proposte di Cavadi sui vari aspetti della vita del filosofo e sulla loro possibile esemplarità per gli altri uomini: l’attenzione per la conoscenza della realtà, per il rigore scientifico, l’equilibrio tra l’investimento meditativo su di sé e quello sugli altri, la modestia e la finitezza, il rapporto con il lavoro, con la vecchiaia, il silenzio e l’ascolto, e mille altre cose. Una varietà e una sincerità di scrittura che porta il lettore a partecipare al ragionamento e a prendere posizione sulle posizioni prese da Cavadi riguardo alle singole questioni. In fondo anche questa seconda parte, come in un certo senso tutta l’opera di Augusto Cavadi, è una esortazione ad un filosofare comunitario. Stavolta l’esortazione non si rivolge a un generico uomo dotato di mente e cuore ma ai filosofi non chiusi alla svolta pratica. Ad essi tocca rispondere alle numerose sollecitazioni che il libro mette in campo: toccherà decidere se adottare il concetto di spiritualità filosofica o sostituirlo, se lasciarlo nell’estensione che il suo autore propone o ridurne l’ampiezza, se farlo coincidere con la pratica filosofica o differenziarlo. I margini sono ampi, sia per la natura pioneristica della proposta sia per il carattere non paradigmatico o vincolante della stessa (più volte Cavadi annota come molte pagine del libro rappresentino ciò che lui testimonia per sé e la sua esperienza e non ciò che pensa valga per tutti), e ampio è il campo d’azione e di pensiero che si aprirebbe ai filosofi.
                                                        Davide Miccione