lunedì 28 febbraio 2022

RUSSIA CONTRO UCRAINA: QUALCHE CONSIDERAZIONE UN PO' FUORI DAL CORO


 L'associazione di volontariato culturale "Scuola di formazione etico-politica G. Falcone" di Palermo ha organizzato l'altro ieri (sabato 26 febbraio 2022) un incontro di riflessione e di scambio sulla guerra in corso.  Abbiamo dato per scontata, nel nostro giro pacifista e nonviolento, la condanna dell'iniziativa di Putin. Però siamo stati stimolati da un testo di uno studioso liberale molto serio, Livio Ghersi, che - esecrando ovviamente l'iniziativa russa - ha cercato di capirne alcune motivazioni. Per discutere questo suo breve testo abbiamo invitato un nostro grande amico, Andrea Cozzo, che della nonviolenza è uno degli esponenti più qualificati nel panorama italiano: ci aspettavamo delle sue prese di distanza dal testo di Livio, ma con stupore abbiamo registrato una significativa convergenza. Nell'impossibilità di restituire l'ampiezza del dialogo con la ventina di presenti, abbiamo postato sul sito della "Casa dell'equità e della bellezza" il testo (scritto) di Livio e la video-registrazione del contributo di Andrea:

https://www.youtube.com/watch?v=jXXPivOfhwI

Come nel nostro stile, il confronto di opinioni non è mai chiuso e anche sotto questo stesso 'post' è possibile inserire commenti, obiezioni, riflessioni, approfondimenti. Possibilmente argomentati logicamente.

sabato 26 febbraio 2022

LA SCUOLA IN AFFANNO: I DOCENTI SONO TUTTI INNOCENTI ?


 DAL DISAGIO DELLA SCUOLA NON SI ESCE CON DOCENTI IMMATURI

 

La scuola è un tema-contenitore che non si finisce mai di esplorare. L’ampiezza delle problematiche spiega il proliferare delle pubblicazioni che le si dedicano; ma proprio questa abbondanza comporta che molte idee rimbalzano – quasi identiche – di volume in volume. Da qui l’opportunità – quando si hanno fra le mani saggi come Scuola ed educazione alla  democrazia (Solfanelli, Chieti 2022, pp. 173) di Piero Di Giorgi – di cercare gli spunti meno ovvii, incastonati in una trama discorsiva abbastanza nota. 

Tra queste considerazioni che non sono ancora entrate nel ‘senso comune’ degli insegnanti evidenzierei innanzitutto la precocità con cui avviene la differenza di opportunità culturali: Asquini e Sabelli, nel 2018, hanno affermato che già a tre anni di età il divario lessicale fra bimbi appartenenti a fasce socio-economiche diverse può arrivare a “circa 30 milioni di parole ascoltate !!! […] I bambini, all’ingresso a scuola, non sono tutti uguali, in termini di preparazione di base. E la diversità viene alimentata durante l’esperienza scolastica” (cfr. p. 41). Aggiungerei che i maestri bravi s’impegnano il doppio con gli alunni svantaggiati per colmare il gap; i meno bravi tacitano la cattiva coscienza certificando in pagella, falsamente, che questo gap è stato colmato. Con le conseguenze disastrose che si possono immaginare se, come sostiene Zagrebelsky, “il numero di parole conosciute e usate è direttamente proporzionale al grado di sviluppo della democrazia” (cfr. p. 114). 

L’ordinamento legislativo attuale non prevede alcuna differenza di trattamento fra insegnanti che mostrano la volontà e la capacità di intervenire efficacemente sugli alunni svantaggiati e insegnanti a cui difettano o la volontà o la capacità o entrambe le qualità. Risultato? Di Giorgi ha il coraggio di infrangere un tabù della cultura di ‘sinistra’: “le limitate prospettive di carriera [] rendono difficile attrarre i laureati più qualificati. Il sistema delle carriere dei docenti offre un unico percorso di carriera con incrementi salariali fissi basati esclusivamente sull’anzianità. In assenza di incentivi legati ai risultati [guai a parlare di valutazione differenziata dei singoli docenti, per principio tutti lavoratori preparati e coscienziosi!], la mobilità scolastica rimane l’unica possibilità di migliorare le condizioni di lavoro. Di conseguenza, le scuole delle zone svantaggiate tendono a essere private dei migliori insegnanti e ad esse vengono destinati insegnanti giovani e inesperti con contratti a tempo determinato” (p. 37). Come individuare e incentivare professionalmente quella “minoranza” (p. 152) di insegnanti che, “in ogni punto del sistema scolastico, possono determinare fluttuazioni e perturbazioni e dei cambiamenti a catena fino ad approdare a un’auto-organizzazione di livello superiore di tutto il sistema, rigenerando l’educazione” (p. 156) ?


PER COMPLETARE LA LETTURA, BASTA UN CLIC QUI :

https://www.zerozeronews.it/dal-disagio-della-scuola-non-si-esce-con-docenti-immaturi/



giovedì 24 febbraio 2022

ADDIO A DON CARLO MOLARI, UN TEOLOGO ONESTO CON GLI ESSERI UMANI E CON DIO

 

 


 

"A 90 anni posso vedere la mia vita

come l'aquila vede la valle dal suo volo,

e accorgermi che furono proprio 

le curve del sentiero della mia vita a condurmi qui.

Oggi, con Endō Shūsaku,

riconosco che Dio mi parla indirettamente, e non direttamente..."

 

 

Nella rivista Rocca” (n. 22 del 15 novembre 2019) Carlo Molari, nell'ambito di una riflessione sull'agire di Dio, fa riferimento ad alcuni passaggi del libro Passi. Diario di un pellegrino. Vangelo e Zen, Edizioni Paoline, 2018, scritto da Padre Luciano Mazzocchi per oltre quarant'anni missionario saveriano in Giappone. Il libro racconta, tra l'altro, l'esperienza religiosa e la conversione al cristianesimo dello scrittore giapponese Endō Shūsaku, autore di Chinmoku, il romanzo storico da cui è tratta la trama del film Silence. Di seguito alcuni passaggi della riflessione di Carlo Molari:

"Ecco come lo scrittore giapponese (Endō Shūsaku), oggi defunto, esprime la sua esperienza religiosa: «Dio non è un ente che esiste a sé, ma è energia all’opera dentro di noi. Io ho raggiunto questa comprensione a una certa età quando fui in grado di osservare la traccia della mia vita come un uccello dall’alto vede la distensione della valle. Ho compreso che Dio non agisce in me direttamente, ma indirettamente. Il suo sguardo mi coglie attraverso gli occhi di un amico, di una persona che incontro, oppure da cui mi separo, persino attraverso gli occhi bagnati di un cane o quelli di un uccello che muore» Ancora: «L’uomo nel percorso della vita immancabilmente s’imbatte in situazioni che con la sola volontà umana non può né affrontare né superare. Ma proprio in questi frangenti in cui tutto gli appare fallimentare l’uomo sperimenta che alle spalle qualcosa persiste nel trattenerlo in piedi, nel dargli la spinta a superare e andare avanti. Qualcosa di invisibile ai suoi occhi, un’energia nascosta». 

Certamente, commenta Carlo Molari, si può esprimere questa esperienza anche in modo non corretto. Ciò avviene quando si considera la propria esperienza come assoluta e si giunge a negare altre modalità di tradurre la realtà di Dio.

È vero che resta il rischio di interpretare il termine energia o forza in senso imperfetto e non trascendente e di assumere un atteggiamento non corretto nei confronti dell’azione divina. Più volte ho ricordato in questa rubrica che non possiamo parlare di Dio e della sua azione come parliamo delle creature. Queste operano manipolando le realtà materiali. Dio non opera in tale modo ma offre alle creature la possibilità di agire e la alimenta lungo la loro storia.

L’azione creatrice non è propria delle creature per cui non possiamo illuderci di comprenderla ed esprimerla bene, ma solo in modo analogico, attribuendo a Dio le diverse modalità delle azioni create (materiale, formale, efficiente e finale) ma unificandole in una modalità trascendente che è la presenza creatrice continua di Dio".

(Carlo Molari, Carattere personale di Dio, in “Rocca” n. 22 del 15 novembre 2019).

 

Telefonata di Carlo Molari a padre Luciano

Carlo Molari, molto colpito dalle riflessioni di Endō Shūsaku telefona a padre Luciano per ringraziarlo. E padre Luciano così racconta la telefonata:

"La telefonata arrivava da uno dei teologi italiani più stimati da me e da tanti. "Sono don Carlo Molari e sto leggendo "Passi" a pagina 139, dove tu citi una frase di Endō Shūsaku. Quella frase mi ha molto colpito. Io vi ho impiegato 90 anni di ricerca teologica per arrivare a capire che Dio non ci viene incontro da davanti, ma ci spinge da dietro. A 90 anni posso vedere la mia vita come l'aquila vede la valle dal suo volo, e accorgermi che furono proprio le curve del sentiero della mia vita a condurmi qui. Oggi, con Endō Shūsaku, riconosco che Dio mi parla indirettamente, e non direttamente...".

 

La presenza di una Forza che alimenta il processo è uno dei temi centrali nella riflessione di Carlo Molari: "Se l’uomo è giunto all’esercizio della libertà e della consapevolezza e nel suo processo di crescita sviluppa la sua identità personale, a maggiore ragione si deve attribuire tale perfezione al principio che alimenta il processo creato".

"Quella di don Carlo, scrive il monaco Ivan Nicoletto, è stata davvero una espansione dell'energia creatrice nella sua vita: che egli possa godere in pienezza l'unione con quella sorgente che lo ha sostenuto e nutrito e noi possiamo continuare ad essere trasmettitori di quella Fiamma".

martedì 22 febbraio 2022

VI AVVERTO IN ANTICIPO: DAL 2 AL 5 GIUGNO LUNGO WEEK-END A GIBILROSSA (PALERMO)

 

                                                     Programma 

Giovedì 02/06

17                  Accoglienza e sistemazione    

18 - 19           Passeggiata filosofica con Augusto Cavadi

                      (Si parte dall'obelisco garibaldino) 

19,30             Cena sociale*

Venerdì 03/06

10-12             La 'mistica' come crocevia di sapienze

                        conversazione con Giorgio Gagliano

13                    Pranzo sociale vegetariano* 

16.30-18.30    Sessione teorico-pratica di yoga 

                       conduce Simone Cannatella

19,30                Cena sociale*

21.30                I Tarocchi ‘filosofici’:qualche esemplificazione 

                         conduce Giorgio Gagliano

Sabato 04/06

10-12                          Alle radici del ben-essere (e del malessere): 

                           le relazioni affettive col bambino 

                           sin dai primi mesi di vita 

                           conversazione con Mario Mulé 

13                                 Pranzo sociale vegetariano* 

16.30-18.30                  Effetti perversi della “pedagogia nera” 

                           conversazione con Adriana Saieva

19,30                             Cena sociale*
21.30.                           Concerto di musica classica 

                          piano Gabriele Catalanotto violino Giorgio Gagliano 

Domenica 05/06

10-12                Non ci resta che navigare a vista?

                          Darsi un progetto per vivere con dignità 

                         conversazione di gruppo introdotta e moderata 

                        da Augusto Cavadi

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* su prenotazione

Note tecniche

Quota d’iscrizione : 10 euro per ogni giorno (30 euro il pacchetto completo di 4 gg.), gratis per gli under 30

Tranne diversa indicazione, tutte le attività si svolgeranno presso Casa Mantero, via dei Picciotti 8 (Gibilrossa)

DOVE DORMIRE
Soggiorno casa Mantero federica.mantero@gmail.com
I appartamento: 1 matrimoniale + 1 doppia con unico bagno condiviso (20 euro posto letto)
II appartamento: 1 matrimoniale (di passaggio) + 1 singola con unico bagno condiviso (20 euro posto letto)

Prima colazione (su prenotazione) 5 euro 

Pranzo vegetariano (su prenotazione) 15 euro

Soggiorno da Gloria “Gibilrossa BeeHill” beeclaireguesthouse@gmail.com

I appartamento: 1 matrimoniale (di passaggio) + 1 matrimoniale con unico bagno condiviso (120 euro per l’intero appartamento)
II appartamento: 1 singola (di passaggio) + 1 matrimoniale con unico bagno condiviso (70 euro per l’intero appartamento)

Per la prima colazione, prenotarsi eventualmente presso Casa Mantero (federica.mantero@gmail.com)

Hotel Miravalle (a 15 minuti in auto dal luogo delle riunioni)

Camera singola con prima colazione 50 euro
Camera matrimoniale o doppia con prima colazione 60 euro

 Camera doppia uso singola (in caso di singole esaurite) 60 euro

 Camera tripla 75 euro

VIABILITÁ

Poiché la strada da Palermo a Gibilrossa via Ciaculli è interrotta, bisogna passare da Misilmeri (da cui Gibilrossa dista circa 15 minuti di auto). Per raggiungere Casa Mantero, si consiglia di evitare di passare per la Via Segretaria; la strada è dissestata.

Augusto 338 490 7853                                           Federica 331 281 5442

sabato 19 febbraio 2022

VALERIO GIGANTE SU "O RELIGIONE O ATEISMO?" DI AUGUSTO CAVADI


 "ADISTA /NOTIZIE"

Roma 26.2.2022

Valerio Gigante

TRA RELIGIONE E ATEISMO, TERTIUM DATUR. UN LIBRO DI AUGUSTO CAVADI

La riflessione contenuta nell’ultimo libro di Augusto CavadiO religione o ateismo? La spiritualità «laica» come fondamento comune (Algra 2021, p. 136, 12€: il libro può essere richiesto anche ad Adista, tel. 06/6868692; e-mail: abbonamenti@adista.it; oppure acquistato online sul sito www.adista.it), si inserisce in una significativa produzione degli ultimi anni che si interroga su cosa avvenga a modelli, credenze, verità da credute, professate, ritenute incrollabili, ma ora «minate – lo scrive l’autore stesso nell’introduzione – dall’incrocio di saperi, ipotesi, scenari sempre più sconvolgenti che provengono dalle scienze naturali e umane». Insomma, «come l’essere umano, oggi, si possa legittimamente auto-interpretare nel contesto dell’universo in ebollizione».

Si tratta del filone che viene definito “paradigma post-religionale”, che Adista ha con- tribuito a indagare e diffondere, soprattutto attraverso la Collana “Oltre le religioni” (i cui ultimi volumi sono stati pubblicati dall’editore Gabrielli). Cavadi riflette a partire da queste acquisizioni, su un originale crinale tra le certezze dogmatiche dei credenti e quelle degli atei.

Una prima parte del volume discute i termini del dibattito in corso e il loro significato. Alla religione, i teologi, intellettuali, filosofi post-religionali preferiscono la categoria “spiritualità”. «Ma non è forse un cadere dalla padella alla brace?», si chiede Cavadi. 

«La “religione” non comporta una dimensione sociale, una presenza nella storia, una misurabilità oggettiva alle quali la “spiritualità” può sottrarsi, rintanandosi nella sfera dell’individualità, della passività e della irrilevanza?». 

Certo, non tutti danno lo stesso significato al termine religione. Il filosofo statunitense Ronald Dworkin, ad esempio, predilige il termine “religione” per esprimere ciò che altri definiscono “religiosità” o, meglio ancora, “spiritualità”. Con 'religione',

 «Dworkin parla infatti di “visione del mondo”, “convinzioni”, “emozioni”; insiste dunque sulla dimensione cognitivo-psicologica, sottovalutando almeno due aspetti costitutivi dell’atteggiamento religioso: la pratica e la socialità. Infatti la religione non è soltanto una teoria e non è soltanto un atteggiamento individuale». 

Per Cavadi la religione è come 

«il corpo di quell’organismo vivente la cui anima dovrebbe essere la fede: una religione senza fede amante sarebbe un sarcofago vuoto; ma una fede amante – incapace di costruirsi una tenda nel tempo per abitare, sia pur provvisoriamente, la terra degli uomini – sarebbe un fantasma impalpabile. L’esperienza quotidiana ci pone innanzi casi di fede intensa veicolata da nessuna religione (o quasi) e di religione vistosa animata da una fede (tendenzialmente) nulla».

 Per questo Cavadi preferisce rendere l’uso del termine religion in Dworkin  con “religiosità” (o “spiritualità”). Se infatti per Dworkin è possibile una religione senza Dio, Cavadi ritiene piuttosto che 

«senza Dio è possibile non una “religione”, semmai una “religiosità”. E, a maggior ragione, una “spiritualità” (non religiosa)».

 «Tutti gli esseri umani possono vivere una “spiritualità”»; «una porzione di quanti vivono una “spiritualità” possono declinarla in senso “religioso” (e sono quanti accettano – in cuor proprio e tendenzialmente nelle scelte concrete di ogni giorno – le leggi dell’universo e della vita, sia riconoscendo in esse una valenza divina di stampo panteistico sia ritenendo di non avere ragioni sufficienti per affermarlo)»; «una porzione, ancor più ristretta, di persone animate da “religiosità”, decidono di appartenere inoltre a una determinata “religione” (e dunque si riconoscono in testi sacri, in una dottrina teologica, in una liturgia canonica, in una morale ben articolata e così via)».

Inoltre, 

«ogni mortale che s’interroghi sulla propria vita, e sul cosmo nel quale è inserita, attesta – più o meno riflessivamente – una propria spiritualità. Forse egli “vede la totalità dell’universo” solamente “come un ammasso di gas ed energia di dimensioni non calcolabili”, ma ciò non lo priva dal “fare l’esperienza” del “misterioso” nel senso in cui ne parlava Einstein: “la fonte di tutta la vera arte e la vera scienza” che provoca in noi “l’emozione della meraviglia, del rapimento e del timore reverenziale” (sentimenti senza i quali il soggetto è “come se fosse morto: i suoi occhi sono chiusi”). Si tratta di “un’esperienza emotiva la cui origine e il cui contenuto possono essere spiegati dal vantaggio evolutivo o da un qualche bisogno psicologico profondo”? Forse sì, forse no. Ma – quale che sia l’interpretazione che ne diamo – il dato esperienziale è indubbio: chi lo registra nella propria biografia, chi non lo misconosce né reprime ma anzi lo coltiva sino a farne un habitus, assume gradualmente un’attitudine spirituale al cospetto dell’universo».

Essa, spiega Cavadi, è accessibile a tutti, necessaria e basilare; ma per molti non è sufficiente:

 «Può evolvere (o degradare: a seconda dei nostri criteri di giudizio) in atteggiamento religioso, tipico di chi vede “la totalità dell’universo” come “un ordine complesso e profondo che risplende di bellezza”». 

«L’atteggiamento del religioso (che pur non aderisca a una religione specifica, dottrinariamente e liturgicamente organizzata) di fronte al Pluriverso è analogo a quanto Diogene Laerzio racconta di Socrate a proposito degli scritti di Eraclito: ciò che ne capiva era eccellente, dunque presumeva che lo fosse anche tutto il resto che non capiva».

Per l’autore esiste quindi oggi

 «una vasta terra-di-nessuno, ma potenzialmente per ciò stesso di tutti, tra la sfera delle religioni tradizionali, istituzionali, storiche e il loro rifiuto netto, inesorabile. È la terra della ricerca, del dubbio, delle domande, delle esperienze, della spiritualità filosofica, della mistica laica o come altrimenti la si voglia nominare. Ho scritto “tra”, ma non è esatto: questo terreno è, in realtà, “prima” e “alla base” di ogni ulteriore opzione “religiosa” o “a-religiosa”. Non in linea di fatto, ma in linea di diritto, costi- tuisce l’humus originario, la matrice, senza cui ogni altra opzione di pensiero e di vita rischia l’inautenticità. Ci è toccato di vivere un’epoca di incertezza intellettuale, di in- quietudine etica, di disorientamento politico: è solo un’epoca di segno negativo? O non piuttosto l’occasione storica per ripartire da un terreno più solido e più fertile, dalla sintassi elementare, da ciò che di meglio l’humanitas – nella sua tragica ambivalenza – ha saputo maturare in millenni di evoluzione?».

D’altra parte, incalza l’autore, 

«miliardi di persone nel mondo decidono di accedere a (o, per lo meno, di non retrocedere da) una religione determinata, dai confini ben misurabili che segnino con chiarezza la differenza fra chi è ‘dentro’ (per ortodossia e per coerenza ai dettami morali) e chi è ‘fuori’ (per eresia e per insubordinazione alle norme ecclesiali)».

 Si tratta di persone che hanno dato un apporto spesso determinante al pensiero filosofico e alle acquisizioni cui è giunta la società contemporanea. Del resto,

 «come ci sono molti modi di vivere la spiritualità e la religiosità, ce ne sono altrettanti di vivere la religione. E chi vive uno di questi ambiti con consapevolezza critica e senso del limite riconosce, a fiuto, il proprio omologo in un altro». 

Anche chi è religioso può accettare di 

« “re-immaginare” il divino cento e cento volte, sino al punto da intuire che Esso/Egli/Ella è esattamente al di là di ogni immagine possibile; anzi, di ogni concetto. Ma se la dimensione divina è inattingibile alla nostra mente non significa che la teologia sia un’attività superflua. Essa, tra molti compiti, ne ha due: liberarci dagli idoli che produciamo nella storia identificandoli con l’Assoluto; predisporci, così,  a quella felice povertà che favorisce l’esperienza concreta dell’amore. La teologia che ci spoglia delle false certezze è la medesima che ci espone alla consapevolezza che assaporare il divino è possibile solo volendo bene e lasciandosi voler bene».

                                                                                   Valerio Gigante


giovedì 17 febbraio 2022

ORTENSIO DA SPINETOLI: QUEL PO' CHE SO DI LUI...


 “Viottoli”

2022 / 2

 

L’EREDITA’ DI UN CAPPUCCINO UN PO’…ORIGINALE

 

Ogni tanto mi capita di essere invitato a tratteggiare, in incontri pubblici,  la figura e l’opera di Ortensio da Spinetoli ( 1925 – 2015). Lo faccio volentieri anche senza vantarmi - come si è tentati di fare con personaggi illustri che ormai non possono più smentirci – di essere stato un suo amico in senso proprio.  Ci siamo stimati e voluti bene: ho in libreria molti suoi libri  che mi inviava in dono come io gli inviavo, volentieri, i miei.  Molti anni fa lo intervistai per una rivista della mia città e, successivamente, volli riportare quel nostro colloquio in una raccolta di dialoghi (Gente bella. Volti e storie da non dimenticare) edita nel 2004 dall’editrice trapanese “Il pozzo di Giacobbe”. Tuttavia al nostro rapporto è mancato un fattore importante dell’amicizia: la consuetudine di vita.

La ragione principale di tale limitata frequentazione è stata la distanza geografica: Recanati e Palermo non stanno certo a un tiro di schioppo ! Inoltre, egli non  aveva un gruppo, una comunità, a cui invitarmi per qualche incontro pubblico; ed io, che invece ho un giro di amici interessati a conoscere personaggi interessanti, gli preferivo colleghi con un eloquio più nitido. Già, questo limite della sua persona è evidente anche nei pochi filmati reperibili su internet: parlava velocemente e non scandiva bene i vocaboli decisivi.  Ciò lo rendeva più adatto al dialogo con pochi intimi che alla conferenza affollata. Come scrittore era invece molto più efficace: i suoi scritti non hanno certo perduto di attualità né di incisività. 

 

Il filo rosso della sua vita intellettuale

E’ proprio seguendo la successione dei suoi testi che possiamo ricostruire l’evoluzione del suo pensiero che, come in tutti i pensatori autentici, è inscindibilmente l’evoluzione della sua esistenza, del suo modo di stare al mondo. Pur nella varietà dei temi trattati, i suoi scritti sono come perle infilzate da un unico filo rosso: lo studio delle Scritture. Ortensio si è occupato  di molte tematiche – cristologia, mariologia, ecclesiologia, morale…- ma sempre da un punto di vista privilegiato, unitario: dall’angolazione del biblista.

Questa linea di continuità non si può considerare una sua prerogativa esclusiva: di ogni biblista si può affermare che tende ad affrontare i grandi interrogativi della vita dal punto di vista della sua specializzazione disciplinare. Ma non di ogni biblista si può affermare che lo faccia con altrettanta libertà intellettuale. Poiché, a mio sommesso parere, è questa testimonianza di libertà rivoluzionaria la sua più preziosa eredità, vorrei soffermarmici un poco.

Uno dei vescovi italiani oggi più noti, quando era solo un parroco di provincia, mi spiegò che nella Chiesa cattolica (erano i tempi di Giovanni Paolo II) la libertà concessa ai teologi avesse la forma di un imbuto: larghissima per i biblisti, più stretta per i ‘dogmatici’ (o sistematici), strettissima (quasi nulla) per i moralisti. I biblisti ne hanno certamente, e lodevolmente, approfittato, ma senza mettere in discussione alcuni presupposti: per esempio che la Bibbia sia parola di Dio, parola divina rivelata miracolosamente ad alcuni agiografi. (Con questa cautela sui fondamenti, alcuni di loro hanno potuto ascendere per le varie tappe del cursus honorum, sino alle soglie della cattedra episcopale di Roma). Ortensio ha avuto il coraggio, assai raro, di interrogarsi intorno al ramo su cui era appollaiato, ben sapendo che rischiava – tagliandolo – di cadere giù e di dover trovare altre basi. E, interrogandosi, è passato dalla tesi che la Bibbia fosse “parola di Dio” alla tesi che fosse “parola di uomini”: le Scritture come un veicolo imperfetto, caduco, attraverso il quale arriva un messaggio prezioso di origine divina in senso ampio, lato, come possiamo affermarlo per tutti i grandi messaggi sapienziali dell’umanità (dalla mitologia babilonese alla filosofia greca, dal buddhismo a Leopardi). E’ stato un atto di detronizzazione epistemologica motivato da nessun altro interesse che la fedeltà alla verità. In un libro,  significativamente intitolato Bibbia parola di uomo (La Meridiana, Molfetta 2009), scrive: 

 

         «si può sempre continuare a ripetere, nel corso della liturgia, al termine

         di una lettura biblica, ‘parola di Dio’, ma sapendo che si tratta di un’affermazione

         impropria e persino indebita. L’aver identificato la ‘parola di Dio’ semplicemente 

         con la Bibbia ebraica o cristiana è stato causa di molteplici fraintendimenti, tutti 

         a discapito della santità, bontà, sapienza divina. […] Occorre certo essere sempre 

         pronti ad accogliere eventuali messaggi del cielo, ma non è richiesto di farsi 

         confondere dalle chiacchiere del primo o dell’ultimo ciarlatano che può ritrovarsi 

         nascosto nelle pagine della Bibbia, Nuovo Testamento compreso».

 

Il magistero “sotto” le Scritture

Un secondo sintomo della straordinaria libertà intellettuale di Ortensio, rispetto ad altri pur esperti biblisti, riguarda il nesso fra esegesi biblica e dottrina teologica. Prima del Concilio Vaticano II la Bibbia era come una miniera cui attingere per cercare citazioni – più o meno correttamente interpretate – che potessero suffragare le formulazioni dogmatiche ecclesiastiche.  Il Vaticano II invertì la sequenza logica: la Bibbia va studiata non per suffragare i dogmi, ma per capire bene che cosa essa sostiene davvero (indipendentemente dall’uso apologetico rispetto ai pronunciamenti del magistero). Con questo metodo, però, ci si accorse che Bibbia e Magistero scorrono su binari paralleli: la Bibbia, scientificamente studiata, non legittima la stragrande maggioranza dei dogmi. Né quelli in un certo senso ‘periferici’ (per riprendere una proposta di distinzione rahneriana) come, per limitarci a un esempio,  la verginità della Madonna “prima, durante e dopo il parto” (infatti quando Isaia preannunzia: “Una vergine darà alla luce un figlio e sarà chiamato l’Emanuele”, il termine ‘vergine’ significa molto semplicemente una ragazza in età da marito) né in quelli in un certo senso ‘centrali’ (come il dogma del peccato originale che non è insegnato nella Bibbia, ma inventato dal IV secolo in poi). La maggior parte dei biblisti si è adagiato su questa duplicità di binari paralleli: noi vi diciamo cosa insegna davvero la Bibbia, poi voi teologi ‘dogmatici’ discuterete con il papa e con i vescovi su che cosa insegnare ai fedeli. Ortensio non si è accontentato di questa divisione del lavoro (che era comunque un passo avanti rispetto alla consuetudine tridentina): ha preso sul serio il criterio – enunciato da alcuni teologi conciliari, fra cui il giovane Ratzinger – secondo cui anche il magistero deve considerarsi sottoposto alle Scritture.  Cade la dottrina delle due fonti della Rivelazione (la Bibbia e la Tradizione): esiste una sola fonte - l’insegnamento biblico autentico – che giunge a noi attraverso una Tradizione da verificare, emendare, purificare continuamente con l’approfondimento spirituale e la ricerca intellettuale sempre più raffinata. La distanza fra cattolici e protestanti si accorcia straordinariamente, ma così uno dei dogmi più recenti (l’infallibilità papale del 1870) rischia di andare a gambe in aria: per dirla con Luigi Lombardi Vallauri, si scopre che i papi sono stati infallibili nell’…errare, nel senso che ogni volta che si sono espressi in maniera solenne hanno quasi infallibilmente sbagliato. 

Ortensio avrebbe potuto limitarsi ad affermare il primato della Bibbia (sia pur scremata dalle inaccettabili incrostazioni culturali dei sei o sette secoli in cui è stata redatta) senza esplicitare le conseguenze dello studio esegetico ‘scientifico’ sulla storia della dogmatica ecclesiale (non solo cattolica): ciò gli avrebbe consentito di vivere tranquillo all’interno del  suo ordine religioso – i Frati Cappuccini – e, probabilmente, come altri biblisti del suo livello, di diventare vescovo o cardinale. Invece ha voluto percorrere la parabola sino alla fine, spiegando puntualmente perché la Bibbia non può essere invocata come base della catechesi ‘ufficiale’ se non a prezzo di gravi forzature. E ha testimoniato tanta  parresìa  disposto a pagarne le conseguenze, in spirito di povertà evangelica, con l’esclusione dalle cattedre universitarie e l’emarginazione dai circoli cattolici più potenti e più danarosi. Con sincera umiltà ripeteva – secondo la testimonianza di Gianfranco Cortinovis, la persona cui ha affidato la cura anche postuma delle sue opere – che le sue idee più innovative non erano frutto del suo sacco: le trovava nei volumi  dell’Istituto Biblico di Roma - in tedesco, francese, inglese… - che pochi leggevano e che, comunque, si guardavano bene dal divulgare oltre la cerchia ristretta degli specialisti. Inoltre aggiungeva che, per quanto molte sue tesi risultassero pericolosamente ‘progressiste’, presto sarebbero state metabolizzate dalla cultura cattolica ‘ufficiale’. Così che egli stesso – nei decenni futuri - sarebbe stato annoverato fra i ‘conservatori’ considerati irrimediabilmente superati. 

 

L’apertura di nuovi orizzonti entusiasmanti

Sino a dove può arrivare la sfrontatezza di un biblista nel contestare la dogmatica tradizionale in nome dell’esegesi bilica più accurata? Per rispondere basterebbe sfogliare uno dei libri a mio avviso cruciali dell’eredità ortensiana, Bibbia e catechismo. Il credo, i sacramenti, i comandamenti (edito dalla Paideia nel 1999) in cui egli passa al vaglio critico l’intero Catechismo della Chiesa cattolica del 1992 mettendo, spietatamente, in evidenza le discrepanze fra messaggio biblico e insegnamento ufficiale della Chiesa cattolica.  Non riprendo i contenuti del volume, di cui ho dato un dettagliato resoconto in un articolo (facilmente e gratuitamente rintracciabile in rete) del bimestrale “Dialoghi mediterranei” (n. 47 del 1 gennaio 2021). Preferisco limitarmi a evocare alcuni passaggi che esemplificano, in maniera convincente, come un approccio intellettualmente più libero alle Scritture ebraiche e cristiane risulti spiritualmente più liberante per i credenti in senso adulto, maturo: come, insomma, a ogni picconata contro il ‘vecchio’ edificio corrisponda l’apertura di ‘nuovi’ , entusiasmanti, orizzonti  (che non di rado coincidono con gli stessi orizzonti biblici  originari, ormai seppelliti da secoli di superfetazioni teologiche). 

 

* La profezia come potenzialità universale: 

 

           «i profeti s’incontrano nella storia di tutti i popoli e hanno tutti pari diritto di ascolto. 

           Se per i cristiani il profeta è Gesù di Nazaret, ciò non può impedire che nel corso dei 

          secoli, nell’immensa latitudine e longitudine del globo, non siano sorti e non sorgano 

          altri portaparola dell’Altissimo per i popoli e gli uomini che vivono loro accanto. 

          Iddio, se esiste, è sempre al di sopra dei settarismi dei suoi reali o sedicenti fiduciari. 

           Perché è Dio e non un uomo, egli dona tutto a tutti e a nessuno nega i suoi favori. 

          I cristiani pensano di avere un rapporto privilegiato con Dio, ma più verosimilmente 

          è un’illusione».

 

Il paradiso terrestre come progetto: 

 

             «La Bibbia offre una versione incantevole dello stato originario dell’uomo. Uscito 

             dalle mani di Dio egli è libero, onnisciente, saggio, equilibrato, impassibile, immortale, 

             ma la visione che la paleontologia offre dello stato primordiale è ben diversa. La storia 

             umana si confonde alle origini con quella dei bruti; l’uomo è semiselvaggio come la terra 

            che lo ospita; ignora l’arte del vivere, il linguaggio, le altre agevolazioni che riuscirà 

            pian piano e faticosamente a scoprire. Per la scienza i “progenitori” o i primi uomini sono

            da cercare tra il pitecantropo, il sinantropo o il neanderthalense. Per qualsiasi esemplare 

            si opti si è ben lontani dall’Adamo biblico. Questi infatti non è l’uomo quando esce dalle

            mani di Dio, ma come il creatore vuole che egli in definitiva sia, ovvero diventi».

* Gesù di Nazaret “figlio di Dio” in quanto sua icona: Gesù è “figlio di Dio” non in senso ‘ontologico’ ma in senso ‘funzionale’; 

       «più che nel piano dell’essere è tale nell’operare (Gv. 10, 32)». 

A lui, infatti, spetta questo titolo onorifico (diffuso nella tradizione biblica per indicare la tensione di profeti o di sovrani o – nei periodi più felici – dell’intero popolo ebraico ad operare in sintonia con i voleri divini) in quanto 

        «colui che meglio di ogni altro ha espresso davanti agli uomini 

        la sua carità, la comprensione, la misericordia verso i bisognosi,

       gli afflitti, i poveri, i malati, gli oppressi».

 

·     La ‘fede’ come ortoprassi: dalla identità di Gesù detto il Cristo di Dio – dunque il Consacrato, il Servo, l’Inviato di Dio – consegue che la fede in lui non è

 

«una adesione ad un sistema dottrinale o l’accettazione di particolari formule teologiche, bensì un modo pratico di comportarsi che ricalchi il suo. Gesù non è un maestro di pensiero, ma di vita. I veri cristiani, ossia i veri credenti, non sono quelli che parlano come Cristo, ma che sono impegnati a vivere come lui». 

 

Un’ osservazione ‘critica’

Come tutte persone sagge, Ortensio sorriderebbe all’idea che si possano evocare la sua persona, la sua testimonianza e i suoi insegnamenti con una devozione totale, senza neppure qualche riserva. Personalmente sono stato colpito da espressioni come:

 «si crede […] persino contro la ragionevolezza umana».

Forse le frequenti dichiarazioni di sfiducia nelle potenzialità razionali dell’essere umano, quando esse affrontano le grandi domande della vita come la domanda su Dio, sono un’eco in Ortensio dei testi di matrice ‘protestante’ (più liberi nella ricerca biblica e dunque anche più avanzati), da Lutero a Kierkegaard e Barth  diffidenti verso la dimensione filosofica (da loro tendenzialmente identificata con la Scolastica aristotelica). Ma è anche possibile interpretare queste espressioni di Ortensio in maniera accettabile anche da quanti – come me – ritengono ancora irrinunciabile il vaglio della ragion metafisica, pur nella consapevolezza che la fede (soprattutto se intesa non come accettazione di enunciati soprannaturali, ma come affidamento al Mistero Tutto-abbracciante e pro-attività solidale nei confronti dei viventi) sia comunque un andare “oltre” la mera razionalità. Può darsi, infatti, che Ortensio si riferisse con “ragionevolezza” a ciò che – statisticamente – viene ritenuto “ragionevole”: il “buon senso” moderato piccolo-borghese. Rispetto a questo modo cauto, timoroso, un po’ tirchio di concepire e di vivere l’esistenza, la ‘fede’ _ come l’eros, la passione artistica, la dedizione agapica - ha sempre qualcosa di folle. Di divinamente folle. 

Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com

 

martedì 15 febbraio 2022

I DUE GEMELLI ALL'OMBRA DELL'OPUS DEI


 “Adista Segni Nuovi” 27.11.2021

“Viottoli”                   Dicembre 2021

 

I GEMELLI RUBATI E L’OPUS DEI




Durante la dittatura franchista in Spagna – come in tante altre dittature di Destra – per togliere agli oppositori ‘rivoluzionari’ il possibile ricambio generazionale si ricorreva a vari espedienti. Tra questi la sottrazione di neonati ai genitori biologici che venivano dati in adozione a famiglie ‘sicure’ dal punto di vista della fede politica e dell’ortodossia cattolica: come ad esempio le famiglie vicine all’Opus Dei.  Da queste vicende storiche trae ispirazione lo ‘strano’ testo  I gemelli rubati e l’Opus Dei (Ducale, Milano 2021) di Cesare Bianco . Perché ‘strano’ ? La trama, si presenta come invenzione letteraria, ma l’ordito è fitto di documenti storici, di cui in bibliografia si citano puntualmente le fonti. E’ dunque, inscindibilmente, un romanzo e un articolato cahier de doléances sulle vicende interne di tanti movimenti cattolici contemporanei. Questa duplicità di registro risulta, insieme, un vantaggio e un difetto: un vantaggio perché il genere narrativo attrae il lettore più di quanto avvenga, abitualmente, ai saggi monografici; un difetto perché può indurre a supporre che – come recita anche la dicitura sul retro del frontespizio -  “ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale” (dicitura stampata o per distrazione o per evitare fastidi giudiziari da parte delle potenti organizzazioni  ecclesiali citate, Opus Dei in primis). 

Non rubo al lettore il gusto di seguire, passo dopo passo, la trama romanzesca, raccontata  in maniera piana e accessibile, senza pretese di originalità stilistica.  

L’aspetto più interessante, comunque, mi pare sia nei contenuti, attinti da libri scritti o autobiograficamente da membri dell’Opus Dei fuggiti dalla gabbia dell’istituzione (a partire da Oltre la soglia. Una vita nell’Opus Dei di Maria del Carmen Tapia, pubblicato in Italia da Baldini & Castoldi) o  storiograficamente da studiosi esterni (come Opus Dei segreta di Ferruccio Pinotti, edito dalla Rizzoli). Il quadro che emerge  non è, dunque, del tutto inedito, ma non per questo meno sconcertante: l’Opus Dei, per le relazioni simbiotiche con il fascismo di Francisco Franco, è riuscito a realizzare in maniera integrale – si direbbe paradigmatica – l’idea di una struttura religiosa verticistica, imperniata sul culto della personalità del “padre” fondatore (Josemarìa Escrivá de Balaguer) e sul primato dell’obbedienza ai superiori nella catena gerarchica, ossessionata dalla fedeltà alla Tradizione (ovviamente solo recente, dal Concilio di Trento al Concilio Vaticano II escluso) e dalla diffidenza verso ogni anelito teologico e/o politico e/o culturale alla libertà, all’uguaglianza dei diritti (anche tra maschi e femmine) e alla fraternità (effettiva, non solo retoricamente proclamata). 

Indubbiamente chi ha avuto esperienze dirette di organizzazioni come l’Opus Dei o Comunione e liberazione (cfr. http://www.brunovergani.it/item/3330-memorie-di-un-ex-monaco-testo-completo.html - .YYuHdy9aZQI) sa che nessuna di esse avrebbe coinvolto migliaia di persone in mezzo mondo se fosse stata priva di aspetti positivi: sia pur in misura – mi pare – decrescente, esse continuano ad attrarre soprattutto giovani a cui offrono, in società sempre più frammentate, non solo degli ideali ‘forti’, ma anche dei riferimenti comunitari cui aggrapparsi per sfuggire l’angoscia dell’isolamento individualistico. (Non siamo lontani dalle motivazioni psico-sociali che, in alcune aree, spingono giovani uomini e donne a entrare  in associazioni di stampo mafioso o in formazioni fondamentalistiche in cui sacrificano le vite reali nell’illusione di trovarvi un senso assoluto: cfr.http://www.digirolamoeditore.com/pocket/psicologia-mafiosa/ ). 

Se questa analisi è, almeno approssimativamente, corretta, il superamento di tali aggregazioni perverse (un tradimento del vangelo di Gesù) non può avvenire mediante provvedimenti legislativi e giudiziari repressivi a posteriori : o si taglia la radice o l’albero continuerà a riprodurre frutti tossici. E la radice è, prima di tutto, l’assenza ( o almeno la progressiva scarsità) di alternative valide.

 Può darsi che, sino a una certa età, ci si accontenti del benessere economico, del consumismo, del ‘divertimento’ eretto a sistema, della pedissequa adesione alle mode, dell’arrivismo carrieristico…; ma può capitare che ci si chieda – nei pochi momenti liberi dagli impegni scolastici, dalla palestra, dal corso di inglese per futuri manager, dagli aperitivi serali e dalle feste notturne – se tutto questo può bastare a giustificare l’esistenza (con le sue potenzialità entusiasmanti e con le sue sofferenze ineliminabili). E’ a questo punto che il giovane si guarda intorno e cerca, invano, uno spazio davvero libero per confrontare con altri – coetanei o più adulti – le proprie idee senza timore di giudizi censori; associazioni politiche o sindacali i cui leader non siano concentrati nel mantenimento del proprio potere personale; circoli artistici dove la ricerca della bellezza prevalga davvero, e tangibilmente, sul narcisismo e sull’esibizionismo; comunità di matrice religiosa (occidentale o orientale) in cui si persegua primariamente l’esercizio meditativo e la sintonia compassionevole per i viventi…In questo deserto di proposte autentiche, manifestate da persone autentiche, il ripiegamento verso atteggiamenti rinunciatari e depressivi può essere contrastato solo da appelli altisonanti, super-ominici,  a uscire dal “gregge”, farsi “santi” e combattere la “buona battaglia” (più o meno armata), diventare “salvatori del mondo” nella certezza che qualsiasi fallimento terreno sarà solo l’anticamera del paradiso celeste. Per ragioni più o meno genetiche, gli esseri umani abbiamo sete di senso: o lo troviamo in spazi di “spiritualità” critica, adulta, aperta, cooperativa, nonviolenta, pro-attiva o saremo tentati di tapparci occhi e mente per affidarci ad abili manipolatori (talora talmente abili da manipolare, per primi, se stessi) che ci daranno “una pietra al posto del pane” o “una serpe al posto di un pesce”. 

 

Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com

sabato 12 febbraio 2022

IL FEMMINISMO OGGI : DALLA CARICATURA ALL' ORIGINALE


 FEMMINISMO OGGI: DALLA CARICATURA ALL’ORIGINALE

Per sessismo intendiamo la convinzione che un sesso sia migliore di un altro ed abbia dunque diritto di predominare. Se questo sesso è il sesso maschile, il sessismo si declina come maschilismo. Nell’immaginario collettivo, il femminismo sarebbe la versione opposta: il sessismo al femminile. Se così fosse, maschilismo e femminismo starebbero – sia pur in opposizione reciproca – sullo stesso piano. Ma è davvero così? Per alcune donne è stato, o forse continua ad essere, così. Per altre, invece, il femminismo, lungi dal voler affermare il dominio di un sesso sull’altro, vuole sradicare ogni forma di dominio: è il movimento che mira a liberare la società (dunque tutte e tutti) da ogni forma di sessismo.  Così inteso, esso “non è anti-uomini”: poiché “tutti noi, femmine e maschi, siamo stati addestrati fin dalla nascita ad accettare pensieri e azioni sessiste” (quasi sempre si tratta di sessismo maschilista o patriarcale), “le donne possono essere sessiste tanto quanto gli uomini”. E gli uomini possono avere l’interesse, il desiderio, di liberare la società dal patriarcato esattamente come le donne. Questa l’idea centrale (che ne spiega anche titolo e sottotitolo) dell’agile volumetto Il femminismo è per tutti. Una politica appassionata (Tamu Edizioni, Napoli 2021) scritto, nel 2000, dalla pensatrice afro-americana bell hooks (la scelta di evitare le iniziali maiuscole dello pseudonimo è della stessa autrice). 

Nell’impossibilità di restituire la ricchezza di spunti contenuta in queste duecento paginette, mi limito a qualche sottolineatura arbitraria.

La prima: la causa del femminismo non esaurisce lo spettro di cause per cui vale la pena impegnare l’esistenza. Per vivere “in un mondo dove non esiste dominio, in cui donne e uomini non sono simili o neppure sempre uguali, ma dove l’idea della reciprocità è l’ethos che modella la nostra interazione”, “la rivoluzione femminista” è necessaria e, tuttavia, insufficiente: va coniugata con il superamento del “razzismo”, del “classismo” e dell’ “imperialismo”. Di fatto ogni soggetto potrà concentrare su un fronte di battaglia soltanto le proprie energie, ma nella consapevolezza che la guerra verso le ingiustizie è molto più ampia e articolata. Da qui il rispetto, anzi la solidarietà attiva, verso ogni altra persona che si impegna per altre cause sociali (anche non citate dall’autrice, come ad esempio la questione ecologica). 

Una seconda sottolineatura: il femminismo è una pratica politica, ma non priva di radici spirituali. Attenzione, però! Spiritualità non è sinonimo di religiosità né ancor meno di appartenenza ad una chiesa.  In tutte le religioni storiche il maschio ha avuto la preminenza sulla femmina. Il femminismo si è dunque impegnato in due tempi: innanzitutto a criticare l’impianto maschilista e patriarcale delle religioni di appartenenza (anche, ma non solo, la religione ebraico-cristiana) delle donne credenti; poi – e qui sono state coinvolte anche le donne estranee alle grandi tradizioni religiose storiche – a esplorare quei campi ‘spirituali’ che si trovano al di là dei recinti delle istituzioni confessionali (dal momento che vi sono molte maniere di vivere una propria spiritualità autentica). Per le donne e gli uomini che vogliono informarsi e aggiornarsi è ormai evidente che “la liberazione da ogni forma di dominio e di oppressione è in sostanza una ricerca spirituale”: sia perché non c’è lotta politica efficace senza una qualche forma di spiritualità sia perché, all’inverso, non c’è spiritualità autentica che non si traduca operativamente in liberazione da ogni forma di oppressione.

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