sabato 31 luglio 2010

Ci stanno rubando pure il profumo di questa città


“Repubblica – Palermo”
31 luglio 2010-07-25

Come sono cambiati gli odori della città

Solo pochi anni fa, anche un cieco capiva di camminare per le strade di Palermo. Non era solo la mitezza della temperatura (disturbata solo da qualche grado eccessivo di umidità percentuale) a rivelarglielo, ma soprattutto la danza dei profumi. Persino soggetti dall’olfatto mediocremente sviluppato (come nel mio caso) avvertivano il cocktail delizioso di pomelie e di gelsomini in estate , le carezze di pittosforo in primavera. Piante e fiori giocavano ad intrecciare le loro gradevoli esalazioni sullo sfondo dell’odore, ora intenso ora sommesso, sempre inconfondibile, del mare. Sì, perché mafia e cattiva amministrazione (ammesso che una distinzione dei due termini abbia significato) ci avevano già dal dopoguerra privato della vista del mare: ma l’odore, questo non ce l’avevano ancora potuto rubare.
Adesso non è più così. Non ci avevo pensato, ma l’altro ieri un’improvvisa zaffata mi ha strappato all’illusione: un tanfo di sudicio, di stantio, è penetrato per le narici - no, mi correggo: per tutti gli orifizi, anzi per tutti i pori, del mio corpo – e mi ha raggiunto in quel punto indefinibile dell’intimo dove cervello, cuore e viscere s’identificano. Mi sono guardato intorno con sguardo risentito, quasi a voler cogliere sul fatto un sacchetto di rifiuti abbandonato o un cassonetto scoperchiato o una carogna di animaletto; ma, purtroppo, non ho individuato qualche cosa di preciso. Mi sono dovuto arrendere. Palermo non puzza per questo o per quell’altra spazzatura. Ormai, Palermo puzza. E basta.
Mentre gli uffici trasbordano di vigili urbani affaccendati (affacendati ?) a dare informazioni (la scorsa settimana, in via Dogali, quattro addetti all’uopo: ma uno interloquiva con il pubblico in coda, gli altri tre contemplavano ammirati l’eloquio del collega) o a sbrigare pratiche burocratiche (che potrebbero essere benissimo affidate a LSU diplomati) o fanno i portieri di lusso ai Palazzi del potere (non solo a piazza Pretoria, ma anche davanti alle sedi della Provincia, della Regione e – udite, udite ! – della Curia arcivescovile), i peggiori cittadini - in questo periodo spalleggiati dai peggiori turisti – continuano a imbrattare di cartacce, a inumidire di pipì d’ogni genere di animali (sé compresi), a disseminare cacche varie, a scaricare camion di relitti ingombranti. In alcune piazze (per esempio nella borgata marinara di Vergine Maria) il terreno sotto i cassonetti dell’immondizia, anche e soprattutto ‘umida’, non viene ripulito da nessuno per mesi, forse per anni. Neppure quando il camion con il sistema compattatore - salutato come una sorta di esercito liberatore in regime di occupazione straniera - passa a svuotare i contenitori ricolmi di rifiuti.
Così, settimana dopo settimana, mentre chi doveva gestire i servizi igienici urbani festeggiava - in alberghi extralussuosi di favolose località estere - la sponsorizzazione AMIA di barche a vela da competizione, Palermo è andata lentamente perdendo una delle sue ultime ricchezze: la sua gradevolezza olfattiva. Oggi, i ciechi possono ancora riconoscere senza difficoltà di deambulare per le strade del capoluogo dell’Isola della zagara: ma per ragioni esattamente opposte rispetto a pochi anni fa.
Augusto Cavadi

giovedì 29 luglio 2010

Don Pino Puglisi: sarà mai santo?


“Repubblica – Palermo”
23 luglio 2010

Il dilemma del papa su don Puglisi

In vista della prossima visita a Palermo (3 ottobre) di Benedetto XVI, un nutrito numero di associazioni cattoliche, di preti, di laici, di simpatizzanti gli ha inviato (mediante il Segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone) una lettera-appello affinché don Pino Puglisi sia, finalmente, proclamato martire e santo della Chiesa cattolica. Sappiamo già che la canonizzazione non sarebbe priva di rischi: se don Pino è stato un ‘santo’, gli altri preti sono quasi legittimati a comportarsi da pastori ‘normali’. Dunque a convivere, senza troppi problemi, con i padrini del quartiere che, quasi unanimemente, si proclamano ferventi fedeli.
Ma i firmatari della lettera al papa si concentrano sull’altro versante della questione: con un atto simile, la Chiesa cattolica uscirebbe definitivamente da una cultura dell’equidistanza fra Stato democratico e mafia; farebbe una chiara scelta di campo; proporrebbe a tutti i suoi ministri un modello di prete che include, tra i propri compiti di evangelizzazione, la difesa gelosa e la diffusione dei princìpi etici che la mafia calpesta quotidianamente.
Ma cosa c’è dietro questa sollecitazione ‘dal basso’? Come mai centinaia di cattolici palermitani hanno avvertito la necessità di ricordare ai vertici ecclesiastici ciò che dovrebbe risultare di per sé evidente?
Ciò che non è noto all’opinione pubblica è che la causa di beatificazione di don Puglisi ha incontrato delle difficoltà e rischia, tuttora, di ristagnare in una impasse: perché definire martire cristiano uno che è stato ucciso non “in odio alla fede cristiana” (come prevede la normativa) bensì a causa del suo impegno sociale? La obiezione ha un senso: se fosse stato ‘solo’ un buon parroco di quartiere, interamente dedito al catechismo dei bambini e alla celebrazione dei sacramenti, don Puglisi sarebbe morto a tarda età sul suo letto. Come la stragrande maggioranza dei parroci palermitani nell’ultimo secolo e mezzo.
La questione teologica che si pone è dunque: come dev’essere il prete secondo lo spirito del Vangelo? Ha ragione chi pensa (e questa sembrerebbe la posizione oggi dominante in Vaticano) che il prete ‘vero’ è un funzionario della liturgia, impegnato a difendere l’istituzione ecclesiastica da urti e tensioni e a moltiplicare adepti soprattutto fra le nuove generazioni, o non è piuttosto un apostolo della parola e dell’azione che deve dare voce alle esigenze di giustizia, di libertà, di fratellanza, di solidarietà della gente tra cui è inviato? E’ chiaro che qui sono in gioco due opposte visioni di chiesa: da una parte la chiesa autoreferenziale, corazzata inaffondabile nelle tempeste della storia, guidata da nocchieri che si autodefiniscono infallibili; dall’altra la chiesa come comunità di credenti, barchetta esposta ai quattro venti, costituita da persone che condividono i dolori e le gioie, la fatica e la ricerca degli altri uomini e delle altre donne. Senza atteggiamenti di superiorità.
Come andrà a finire? Nessuno oggi è in grado di fare ‘profezie’, Se si guarda alla logica complessiva di questo pontificato, non è lecito nutrire eccessive illusioni: come don Peppino Diana in Campania, anche don Pino Puglisi è morto, come è vissuto, in maniera troppo ‘laica’ per meritare il massimo riconoscimento ecclesiale sulla terra.
Unico appiglio: che il papa e la Congregazione romana che si occupa del culto dei santi rispolverino la tesi medievale di san Tommaso d’Aquino, “dottore comune” dell’intera chiesa cattolica. L’illustre teologo ‘ufficiale’ l’ha scritto chiaro e tondo: Dio è anche Giustizia e chi muore per la giustizia, muore - lo sappia o meno – per la causa di Dio. Ma allora eravamo nel Medioevo storico, fisiologico: niente di paragonabile con la ristrettezza mentale del Medioevo di ritorno, patologico, in cui la chiesa cattolica sta precipitando. Insieme al resto delle società nominalmente cattoliche.

Il carmelitano Gregorio Battaglia su “Il Dio dei mafiosi”


“Horeb. Tracce di spiritualità”
2010, 1 (anno XIX, n. 55)

Recensione di Gregorio Battaglia del libro di
A. Cavadi, Il Dio dei mafiosi, San Paolo, 2009.

Il libro nasce da un’urgenza tutta interiore di coinvolgere tante persone di buona volontà nei propri interrogativi, ma anche nel proprio cammino di discernimento. Nel ‘post-scriptum’ l’A. esprime la propria convinzione che “ogni riflessione intellettuale, se fondata su esperienze reali e se organizzata con logica, contribuisca alla trasformazione dei dati di fatto” (p. 220).
Tutto prende spunto da quel grande interrogativo, che non può lasciare nell’indifferenza ogni persona, che ama pensare, ma che, soprattutto, è aperta a un’esperienza di fede. L’interrogativo è questo: come è possibile che tutto il fenomeno mafioso del Sud e, quindi, Cosa Nostra, ‘Ndrangheta, Camorra, Sacra Corona arrivino a mischiare con molta naturalezza spietatezza criminale e atteggiamenti religiosi? Cosa spinge un mafioso a nutrirsi di segni religiosi, ad avere tra le mani ‘santini’, bibbie, crocifissi o come Filippo Marchese ad invocare la benedizione di Dio prima di torturare o di sciogliere una vittima nell’acido?
Questo interrogativo porta da sé a chiedersi se per caso il modo di vivere la religiosità al Sud non offra il terreno adatto perché il mafioso non trovi alcuna contraddizione tra atteggiamenti religiosi e scelte criminali. In tante feste patronali del Sud la presenza del ‘mafioso’ che comanda un territorio è accettata, rispettata, senza provocare nei fedeli e nello stesso parroco crisi di coscienza o, comunque, una certa inquietudine.
L’intento dell’A. è ben precisato a p. 13, dove egli si propone di “sottoporre a processo l’idea che i mafiosi - da una parte - e i cattolici – dall’altra – hanno di Dio, del Cristo, della Chiesa, della dogmatica”. Si tratta del tentativo di poter cogliere nella prassi e nelle dichiarazioni di alcuni pentiti elementi, che possano essere compresi come parte di una visione religiosa, anche se piegata ad un interesse di natura criminale.
L’A. ci tiene a precisare che “se cerchiamo una teologia consapevole e meditata, organicamente articolata, difficilmente la troveremo. (…) Se, al contrario, cerchiamo una teologia irriflessa e approssimativa, anche se interiorizzata e praticata, non dobbiamo faticare eccessivamente” (pp. 98 – 99). Così, dopo aver passato in rassegna i tratti salienti che formano il mondo culturale della mafia, egli passa ad analizzare quelli che possono costituire i punti essenziali del ‘dire religioso’ dei mafiosi: onnipotenza senza tenerezza; trascendenza senza immanenza; sovranità accessibile solo per mediazione; ortodossia tribale; una religiosità coloristica e senza Dio.
Quest’opera di riflessione sul mondo religioso dei ‘mafiosi’, se da una parte può aiutare a comprendere meglio l’apparente insensibilità di molti di essi, allo stesso tempo può servire da stimolo a specchiarsi in quel mondo, per meglio discernere pratiche e devozioni, che, invece di portare al Vangelo, possono offrire un terreno culturale per alimentare la schizofrenia mafiosa.
L’ultima parte del libro è tutta in chiave propositiva, cercando di delineare alcune piste, su cui impegnare la riflessione teologica e la vita stessa di chi vuol recuperare il vero senso del proprio credere nel Vangelo. Questi alcuni punti di questo lavoro di discernimento e di approfondimento teologico:
- recuperare il limite di ogni discorso su Dio, ben sapendo che il suo volto è sempre al di là di ogni nostro ‘dire’;
- riannunciare un Cristo come sorgente di liberazione, recuperando il senso della sua regalità così come viene proclamata nei vangeli: a cavallo di un’asina e nell’iscrizione sopra la croce!
- proporre una Chiesa che recuperi il valore della sinodalità e della diaconia.
- Per il nostro A. la teologia deve tradursi “in una spiritualità fedele al Vangelo (…): una spiritualità dell’incarnazione, della sobrietà, della sovversione e della nonviolenza” (pp. 188 – 189). Sono piste di riflessione che posono impegnare tante comunità cristiane alle prese con il fenomeno della mafia, ma soprattutto con una religiosità tradizionale, che in tante sue espressioni rituali sembra aver smarrito il suo contatto con la forza liberante del Vangelo”.

mercoledì 28 luglio 2010

A. Cangemi sul mio “I siciliani spiegati ai turisti”


“Sicilia informazioni”
Quotidiano telematico
28 luglio 2010

Cosa pensano di noi siciliani i turisti?

di Antonino Cangemi

Cosa pensano di noi siciliani i turisti? Con che spirito vivono la loro breve permanenza in Sicilia? Forse non ce lo siamo mai chiesti o non ci siamo mai curati di affrontare il tema. Di sicuro sono un po’ spiazzati dalle contraddizioni di uno stile di vita che, seppure lontano dal loro, in qualche modo li attrae. E alla fine del loro soggiorno ritornano nelle loro terre più confusi di prima: tante dicerie sono sfatate, altre confermate, ma con sfumature non sempre facili da cogliere. Augusto Cavadi, poligrafo palermitano dai mille interessi, con “I siciliani spiegati ai turisti”, da poco in libreria, prova a offrire a chi visita la Sicilia alcune chiavi di lettura del modo di essere dei siciliani. Impresa non facile: occorrerebbero tomi voluminosi corredati di una sterminata bibliografia per spiegare, a chi non vive ogni giorno nell’Isola, come sono fatti i siciliani.

Ma Cavadi se la cava egregiamente con un gustoso pamphlet di appena 79 pagine, dal prezzo modesto (5,90 euro), tradotto in più lingue. In verità Cavadi non è nuovo a simili iniziative, per certi aspetti sbalorditive: nel 2008 aveva pubblicato “La mafia spiegata ai turisti”, in diverse versioni linguistiche. Sempre con lo stesso editore: Di Girolamo. Un piccolo editore trapanese che è riuscito a raccogliere nel suo ambito alcune delle migliori intelligenze della Sicilia e che, con coerenza e coraggio, segue una linea ispirata dall’impegno etico, specie sul versante dell’antimafia, e da un cattolicesimo “maturo” (“Il pozzo di Giacobbe” il marchio delle pubblicazioni religiose). Come supera i mille ostacoli Cavadi? Ricorrendo al dono della semplicità, accompagnata dalla modestia. Le sue riflessioni, mai banali, si rivelano un’autentica guida per i turisti che vogliono capire i siciliani.

Certi argomenti –Cavadi ne è consapevole- richiederebbero cospicui trattati, ma possono anche essere espressi in modo discorsivo e sintetico e con una punta di dosata ironia, che non guasta mai. I siciliani sono accoglienti e di una generosità non rinvenibili in altre parti della Penisola e, probabilmente, dell’Europa, eppure i turisti, per quanto beneficiari di tanta cordialità, sono esposti alle insidie, peraltro presenti in ogni longitudine dell’universo, di malandrinate e furberie. Un’antinomia palese, come tante altre, che Cavadi cerca di spiegare con riferimenti storici e geografici, senza tuttavia farsi deviare da elucubrazioni dotte quanto noiose. I siciliani spesso tendono alla pigrizia, ma si rivelano assai alacri in quei lavori “clandestini”con cui arrotondano i magri salari pubblici. Sono dotati di scarso senso civico e, di contro, curano con grande dovizia ciò che rientra nella loro proprietà privata. La loro è una solidarietà “corta”, limitata cioè agli ambiti familiari: così poco hanno a cuore il bene comune, della collettività intesa nella sua interezza, da premiare col voto chi amministra in modo disastroso ma promette favori personali.

Sono allergici alle regole, che disattendono frequentemente, e i turisti, specie quelli provenienti dal Nord, così ligi alle norme, quando si trovano in Sicilia, quasi contagiati da questa “anarchia”, si divertono a violare i codici di comportamento che, nei loro Paesi, rispetterebbero pedissequamente. Particolarmente interessanti sono poi le considerazioni di Cavadi sulla religiosità dei siciliani. Né potrebbe essere diversamente: Cavadi è un fine teologo e il suo recente “Il Dio dei mafiosi” (San Paolo, 2010) ha riscosso successo, non solo di critica, nel nostro Paese. Il cattolicesimo di tanta parte dei siciliani è folcloristico e di facciata e potrebbe condensarsi nell’espressione, da lui felicemente coniata, “con il rispetto per Dio, sono ateo”.

Nell’illustrare ai turisti difetti, vizi, ma anche pregi dei siciliani, Cavadi deve giocoforza misurarsi con i luoghi comuni, per confutarli tante volte, ma anche per riconoscere ciò che di vero essi contengono. Il ricorso a citazioni è sobrio ed essenziale: appesantirebbe un discorso che si pone a metà strada tra l’intrattenimento e l’analisi sociologica, volutamente appena accennata. Prevalgono, piuttosto, gli aneddoti, i riferimenti a esperienze personali indicativi del modus vivendi dei siciliani. L’agile volumetto, scorrevole e denso, rapisce il lettore, non solo turista. Anche i siciliani possono, sfogliandolo, rispecchiarsi e riflettere su certi difetti che sarebbe bene correggere o, comunque, ridimensionare.

sabato 24 luglio 2010

Ore per chiedere un passaporto in questura...


“Repubblica – Palermo”
21 luglio 2010

UNA GIORNATA IN FILA PER OTTENERE IL PASSAPORTO

Luogo: ufficio passaporti della questura di Palermo. Data: mattina di lunedì 19 luglio (ma potrebbe essere una qualsiasi mattina da giugno a settembre di ogni anno). Coda lunghissima già nelle prime ore (avanti a me 74 persone). Cerco di capire perché e, pezzo dopo pezzo, ricostruisco il puzzle. Primo fattore (dichiarazione di una poliziotta che, ogni tanto, viene a dare una mano all’unico impiegato che si fa in quattro con gesti precisi e decisi): sono assenti tre colleghi (uno in ferie, due in malattia). Secondo fattore: molto tempo si perde a chiedere e ricevere informazioni sui documenti necessari nelle varie ipotesi (richiesta da scapolo o da coniugato; da coniugato con figli minorenni o senza figli minorenni etc.). Alla sacrosanta domanda di una signora in coda (“Perché non scrivete al computer un foglio con le istruzioni e lo appendete alla parete?”), risposta della medesima poliziotta: “Sarebbe inutile. Tanto non lo leggereste”. Terzo fattore di disservizi: quando viene chiamato un numero, chi si presenta allo sportello non è invitato a esibire il relativo scontrino. Così intercetto la prima faccia furba che mi pare di individuare e, davanti a poliziotti silenti, pretendo che mostri al resto degli astanti lo scontrino. Alla fine si arrende: aveva il 90, cioè avrebbe dovuto attendere - grosso modo – un’ora e mezza ancora. Mi getta un’occhiata di odio e balbetta la scusa più scema: “Ma è da questa mattina che c’è gente che s’infila a sbafo e proprio con me Lei doveva cominciare a protestare?”. Quarto fattore di lentezza del turno: l’unico addetto che non si schioda per ore dalla sedia, cercando di fronteggiare da solo la marea montante degli utenti, chiede sottovoce a un collega in piedi (che, per la verità, era sempre molto cortese nel dare ogni tanto informazioni a chi gli si rivolgeva) di sedersi accanto a lui per sbrigare pratiche. Ma riceve un cortese rifiuto: “Non potrei firmarle”. “Non ti preoccupare” – insiste il primo – “tu le predisponi, io le controllo e le firmo”. Niente da fare. Quando si tratta di evitare fatica, le norme sono norme! Quinto fattore di ritardo: il poliziotto che-non-poteva-preparare-pratiche riceve una chiamata al cellulare, risponde gentilmente, si sposta per accogliere un signore in borghese, gli predispone la pratica e la sottopone alla firma del collega autorizzato, con una dichiarazione a mezza voce: “E’ un carabiniere con la moglie e la figlia, non mi pare il caso di fargli fare il turno”.
Sono davvero desolato. Il mio sguardo si incontra con lo sguardo di un anziano utente e mi pare di veder scoccare una scintilla di complicità: “Almeno in questura, almeno per l’anniversario della strage di via D’Amelio, uno si aspetterebbe un minimo di legalità, di trasparenza e di efficienza” – gli confido in nome del comune grigiore dei capelli. Lui mi squadra attento e, quasi a fatica, replica: “Ma cosa si aspetta da una categoria di statali che è entrata quasi sempre per raccomandazione? Di solito i poliziotti non vincono il concorso senza spinte clientelari. Non sanno neppure che cosa siano le regole uguali per tutti i cittadini. So quel che dico, ma non posso dire che funzione ho svolto nei miei quaranta anni di lavoro”. “Dove? ” “Al Ministero degli Interni”.

Augusto Cavadi

venerdì 16 luglio 2010

Filosofare in terra di mafia
(su una nuova rivista gratuita)


“Vita pensata”
Rivista telematica GRATUITA
www.vitapensata.eu
Fondata e diretta da
Alberto G. Biuso e G. Randazzo

Direttore responsabile: Augusto Cavadi
N° 1

FILOSOFARE IN TERRA DI MAFIA

Molti professionisti della filosofia sembrano confermare, con la propria vita, ciò che l’immaginario collettivo suppone: che si possa filosofare in Afghanistan come in Danimarca, nel V secolo a. C. come nel X secolo d. C., protetti in una campana di vetro dai fastidi della cronaca. Una simile filosofia è senz’altro possibile: nulla di stupefacente, però, se essa - dimentica del contesto sociale – venga altrettanto solennemente ignorata dalle donne e dagli uomini immersi nella quotidianità della storia.
Cosa significa, in concreto, filosofare nel Meridione italiano a cavallo fra il XX e il XXI secolo?
Per comodità di sintesi, risponderei che ad attendere il filosofo è un duplice, inestricabile, compito: ‘diagnostico’ e ‘terapeutico’.
Innanzitutto egli può mettere a frutto la sua competenza nel decifrare i ‘testi’, nel decodificare le visioni-del-mondo implicite nei discorsi (e nella prassi) dei concittadini che aderiscono - formalmente , a titolo di militanti, o informalmente a titolo di simpatizzanti e sostenitori – alle varie organizzazioni mafiose. Egli, insomma, può individuare, tematizzare e problematizzare la filosofia della mafia (dove il genitivo è grammaticalmente ‘soggettivo’): la concezione dell’uomo, della società, dello Stato, della morale, della religione, dell’educazione, dell’economia….che i mafiosi solitamente (con tutte le eccezioni del caso) condividono, più irriflessivamente che consapevolmente. Se esiste, come ho tentato di sostenere altrove, una “teologia mafiosa” , a fortiori esiste una “filosofia mafiosa”: un modo di intendere e di spendere la vita all’interno di un quadro più ampio di riferimenti cosmologici e, in qualche misura, ontologici.
Conoscere la prospettiva mafiosa sul mondo è, già di per sé, un passo importante. Ma, per quanto rilevante, resterebbe insoddisfacente se non costituisse il presupposto per un secondo passo: la destrutturazione critica della filosofia messa a fuoco. Una cosa è fare storia delle idee, un’altra cosa è fare filosofia: l’analisi delle idee altrui è momento necessario, ma insufficiente, nell’itinerario propriamente filosofico di chi è chiamato, per fedeltà alla propria mission, a mettere in dubbio ogni posizione e a chiedere ragione di ogni convincimento.
Non ritengo superfluo soffermarmi, sia pur brevemente, su questo aspetto critico-teoretico del filosofare ‘incarnato’ in un ‘qui-ed-ora’. Sulla base di alcune significative esperienze personali, distinguerei contesti e finalità differenti (anche se è più facile distinguerli sulla carta che non nel concreto esercizio della propria pratica professionale).

Una prima topologia comprende i casi - davvero rari – in cui un soggetto (portatore di mentalità mafiosa) chieda un confronto ‘filosofico’ con un pensatore di mestiere nonché i casi, un po’ meno rari, in cui un piccolo gruppo di soggetti (portatori di mentalità mafiosa) accettino un confronto ‘filosofico’ con un pensatore di mestiere (per esempio su proposta di un ufficio del Ministero della Giustizia). In contesti del genere il rischio più immediato è di scivolare dalla filosofia all’edificazione morale (o, peggio, moralistica). Chi accetta di fare filosofia in queste condizioni deve essere sinceramente disposto a ‘pensare-con’ i propri interlocutori, nella presupposizione che suo compito primario non è ‘convertire’ o ‘salvare’ bensì accompagnare l’altro in un processo di consapevolezza e di dialogo, il cui esito non può essere surrettiziamente prefissato a priori. Ridetto in soldoni: se il filosofo è in veste di filosofo-consulente , non può escludere che - ragionando con un mafioso o con un gruppo di individui dalla mentalità mafiosa - possa arrivare ad ammettere che la filosofia mafiosa sia più coerente logicamente e più aderente al reale della sua propria filosofia a-mafiosa o anti-mafiosa.
Una seconda tipologia d’interlocuzione filosofica si configura nel caso in cui il pensatore di mestiere sia invitato a incontrare persone – soprattutto giovani - che, presumibilmente, non sono né membri di organizzazioni criminali né stabilmente influenzati da questi. Qui il rischio preminente non è più costituito dall’edificazione moralistica bensì dalla riduzione dell’esercizio filosofico a formazione ideologica. Lo dico subito per evitare equivoci: la produzione di ideologie (intese, con Karl Mannheim , quali apparati di idee in funzione operativa) non è un’attività disdicevole. Privare la lotta politica di qualsiasi dimensione ideologica - o, se si preferisce, ideale – equivale a relegarla sul piano dello scontro puramente fisico o comunque materiale. Con la stessa chiarezza, però, va detto che il filosofo in quanto tale non può trasformarsi in ideologo: neppure al servizio delle cause più nobili, dei partiti più progressisti, delle chiese più raccomandabili. Perciò egli, incontrando cittadini (soprattutto del Meridione italiano) in assetto di formazione etico-politica, può senz’altro manifestare apertamente le proprie critiche alla weltanschauung mafiosa e, altrettanto apertamente, evidenziare la fondatezza ontologica e la fecondità operativa di filosofie alternative, ma senza perdere due caratteristiche irrinunciabili della sua specificità professionale: l’intima, sincera, convinzione che le sue idee - per quanto meditate a lungo – non sono per principio irrevocabili ; e la conseguente intenzione di sottoporre queste sue idee ad un confronto schietto a 360° senza prefiggersi, come obiettivo strategico, di persuadere ad ogni costo (per esempio ricorrendo ad artifici retorici e avvocateschi) i non-filosofi di professione della validità di una visione dell’uomo e del mondo alternativa alla prospettiva mafiosa.
So bene che queste due esemplificazioni tipologiche, qui solamente accennate, non sono esenti da obiezioni. Alla più ovvia delle quali (“Ma così non si rinuncia alla valenza civile della filosofia? Non si rischia di fare il gioco delle organizzazioni criminali mafiose?”) potrei rispondere che, se si colloca la riflessione su un piano metodologicamente critico, il mafioso – attuale o potenziale – è già spostato ai margini della logica mafiosa. Se egli accetta le regole del confronto filosofico, si allontana per ciò stesso dalle regole della mentalità mafiosa. La filosofia, infatti, non ha bisogno di trasformarsi (degenerando) in strategia comunicativa di tipo moralistico o ideologico. Anzi, è proprio nella misura in cui supera ogni tentazione di dogmatismo, di autoritarismo, di tradizionalismo, di conformismo mentale, di paternalismo pedagogico…che si costituisce come antidoto ad ogni cultura – come quella mafiosa - imperniata sulla conservazione dello status quo, del privilegio e della sistematica violazione della dignità umana.

mercoledì 14 luglio 2010

Religioni: dalla tolleranza alla convivenza


“Repubblica - Palermo”
14 luglio 2010

COME RIUSCIRE A CONVIVERE CON CHI CREDE IN UN ALTRO DIO

Quali problemi pone, e quali proposte suggerisce, la coabitazione nel centro storico palermitano di cittadini appartenenti a differenti confessioni religiose (cattolici, ortodossi, protestanti, musulmani, induisti)? Un gruppo di consiglieri della I Circoscrizione ha voluto convocare esponenti di alcune di queste comunità per uno scambio di idee nello splendido giardino di Palazzo Jung, sede del Consiglio provinciale. L’iniziativa (svoltasi venerdì 9 luglio), introdotta da un concerto multietnico di musica mediterranea del coro dell’università, ha avuto l’indubbio merito di aprire per la prima volta una finestra ‘istituzionale’ su una problematica che, di anno in anno, si fa sempre più rilevante. Ovviamente, in quattro ore, non c’è stato modo di esaurire la tematica, ma alcuni punti nevralgici sono stati toccati e segnalati all’attenzione degli amministratori presenti.
Innanzitutto è emersa la tradizione storica, secolare, in cui si inserisce l’attuale convivenza in Sicilia: una tradizione ambivalente, che ha visto splendidi esempi di scambi pacifici ma anche orrende carneficine. Il Mediterraneo è stato un lago di pace, ma troppo spesso rigato di sangue: anche ai nostri giorni la ‘cattolicissima’ Italia, inserita nella ‘cristianissima’ Europa, riserva agli immigrati che non finiscono in pasto ai pesci un’accoglienza indecorosa. Senza contare la presenza di nodi esplosivi come il conflitto arabo-israeliano in Medioriente. Un dialogo costruttivo fra le diverse confessioni religiose non può che basarsi sulla domanda reciproca di perdono per le persecuzioni reciprocamente inflittesi dai tre grandi monoteismi (ebraico, cristiano e islamico).
Secondariamente si è sottolineata la radicale ignoranza teologica (dovuta anche a un sistema scolastico che non prevede nessuna seria trattazione della storia delle dottrine religiose) che costituisce il presupposto di ogni intolleranza: una ignoranza del ‘credo’ altrui che completa egregiamente l’ignoranza della propria stessa confessione di fede.
In terzo luogo è emersa la necessità di una piattaforma di ‘laicità‘ che possa garantire un ambito di incontro e di confronto: laicità intesa non come indifferentismo religioso, bensì come sincera attenzione alle intuizioni e alle tradizioni altrui. Se Dio esiste, è Egli ebreo, cristiano, musulmano o non piuttosto sé stesso, al di là delle categorie antropomorfiche ed etniche? Non è forse il Laico che accoglie con rispetto e tenerezza gli sforzi di ricerca degli uomini e delle donne di buona volontà, non esclusi gli eretici di ogni ortodossia?
In quarto luogo ci si è chiesti se la struttura urbanistica del centro storico, anche nella rivisitazione contemporanea del piano di recupero, non sia concettualmente etno-centrica: concepita per assicurare ai bianchi/siciliani/cattolici la centralità anche spaziale e simbolica, relegando immigrati di ogni colore e orientamento culturale in ghetti marginali. All’interno di questa problematica urbanistica (su cui si è registrata un’interessante convergenza di opinioni fra l’assessore comunale al centro storico Carta e padre Notari del centro “Arrupe”), un esponente delle comunità islamiche ha denunziato il ritardo, ormai più che decennale, dell’amministrazione nell’offrire ai diecimila fedeli presenti a Palermo dei locali di culto (dal momento che l’unica moschea a ciò deputata viene gestita in maniera contestata da un funzionario del consolato tunisino).
Come si evince da questi rapidi appunti, a Villa Jung si è appena avviato un cammino che, a mio parere, dovrebbe continuare con il metodo che da decenni viene sperimentato felicemente in città (ma solo per le diverse chiese cristiane) dal Segretariato per le attività ecumeniche: incontrarsi mensilmente e dare voce, per ogni incontro, ad una sola comunità religiosa affinché possa farsi conoscere e rispondere a domande e critiche. Solo se si esaminano analiticamente le posizioni e le proposte dei diversi gruppi (anche fortemente minoritari, come gli ebrei e i buddisti) ha senso che - ogni tanto - si programmino degli incontri a più voci. Altrimenti si rischia di sfiorare gli interrogativi cruciali e di rifugiarsi in dichiarazioni di principio che non sfondano la cortina della retorica d’occasione.

Augusto Cavadi

domenica 11 luglio 2010

Ci vediamo da venerdì 16 a domenica 18 a Castelbuono?


ASSOCIAZIONE SCUOLA DI FORMAZIONE etico-politica “G. FALCONE”

LA POLITICA IN SICILIA: MODERNITA’ O PASSATO REMOTO?
Venerdì 16 – Domenica 18 Luglio
Castelbuono - Locali dell’ex Badia
Biblioteca Comunale
Via Roma

Venerdì 16 ore 10,30
Accoglienza e Iscrizioni
Presentazione del Seminario – Francesco Palazzo

Ore 11,30/13,30
Il punto di vista del mondo produttivo. La politica regionale dalle parole ai fatti
Moderatore Massimo Accolla
Ivan Lo Bello (Presidente Confindustria Sicilia) - Elio Sanfilippo (Presidente Legacoop Sicilia)

Venerdì 16 ore 17,30/19,30
L’analisi:le difficoltà nel raccontare questa fase politica
Moderatore Augusto Cavadi
Enrico Del Mercato (Caposervizio Politica La Repubblica Sicilia) - Roberto Puglisi (Coordinatore LiveSicilia)

Sabato 17 ore 11/13
Il punto di vista della cittadinanza: i Movimenti Civici per migliorare le città e la regione
Moderatrice Daniela Aquilino
Marcello Capetta (Muovi Palermo) - Liboria Di Baudo (Movimento Per Palermo)

Sabato 17 ore 17/19
La politica regionale vista dagli enti locali
Moderatore Francesco Palazzo
Mario Cicero (Sindaco di Castelbuono) - Santo Inguaggiato (Sindaco di Petralia Sottana)

Domenica 18 ore 11/13
La politica regionale e le scelte dei partiti
Moderatore Pietro Spalla
Giuseppe Lupo - Segretario Regionale del Partito Democratico
Leoluca Orlando – Portavoce Nazionale Italia dei Valori

La politica siciliana vive un momento di grandi incertezze. La maggioranza uscita dalle elezioni regionali del 2008 non c’è più. Al suo posto, nel parlamento regionale, a sostenere il governo, troviamo una compagine eterogenea. Coloro che appoggiano questa svolta affermano che si tratta di un momento positivo della politica regionale, fatto di modernità e di abbandono di logiche del passato. Quanti, invece, la pensano diversamente, sostengono che si è rimasti ancorati al passato, più o meno remoto, e che poco sta cambiando. Nel frattempo il mondo produttivo avanza legittime richieste, i sindaci si trovano a far bilanciare sempre più magri conti e nelle città sorgono movimenti animati dalla voglia di esserci. Abbiamo chiesto una lettura plurale di tutta questa situazione a diversi soggetti che operano in ambiti diversi della vita pubblica siciliana.
NOTE TECNICHE

Per la partecipazione al seminario è prevista la quota di € 25. Per un solo giorno o incontro la quota è di 10 €. La somma raccolta servirà a coprire le spese organizzative e di ospitalità per i relatori. Al seminario ci si può iscrivere chiamando i seguenti numeri 3386132301-3384907853-3297337883–3288135673 oppure agli indirizzi di posta elettronica francipalazzo@gmail.com – acavadi@lycos.com – pspalla@neomedia.it
COME ARRIVARE
In auto
Da Palermo: Autostrade A19 PA-CT, A20 PA-ME, uscita Castelbuono, proseguire su S.S.286 per Km. 12 (Km. 90 -1h CA); S.S. 113 direzione ME fino al bivio per Castelbuono, proseguire su S.S. 286 per Km.14;
Da Messina: Autostrada A20 Me-Pa S.S. 113 direzione PA fino al bivio per Castelbuono, proseguire su S.S. 286 per Km. 14 (Km.170)
Da Catania: Autostrada A19 CT-PA, uscita Scillato, proseguire su S.P. direzione Collesano, Isnello, Castelbuono (Km.185); Autostrade A19 CT-PA, A20 PA-ME, uscita Castelbuono, proseguire su S.S. 286 per Km.12 (Km 200)
In autobus
Da Palermo tramite gli autobus di linea si può raggiungere Castelbuono. Per maggiori informazioni consultare AST Tel. 0916208111 E SAIS Tel. 0916166028.
In treno
Arrivare alla stazione di Cefalù, Per Castelbuono prendere l’autobus che in 30 minuti vi porterà al centro del paese.

DOVE DORMIRE
Alberghi:Paradiso delle Madonie - Via Dante Alighieri, 82 – Tel. 0921.676.197; Alle Querce - c/da Mandrazze snc – Tel. 0921 677020 - 338 7170385; Milocca - C.da Piano Castagna - Tel. 0921/671944; Rifugio F. Crispi - C/da Piano Sempria – Tel. 0921/672279 - 368 989 887; Ypsigro Palace Hotel - Via Cefalù 111 - Tel. 0921 676007. Bed & Breakfast: Panorama - Via Isnello s.n.(C.da Madonna del Palmento) – Tel. 0921672071-3383171223-3288952224; Villa Calagioli di Abbate Mario - Via R - C.da Calagioli – Tel. 0921676153 Cell. 3385884421- 3283181593; Abbate - Via Mariano Raimondi,14 – Tel. 0921 676153 cell 3385884421; Villa Letizia di Maria Letizia Fina - Via Isnello s.n. - Tel. 0921/673247 cell.3339083896; La Casa di Isi - C.da Pedagni Aquileia – Tel. 0921679035 – 3201150612; La Tannura di Anna Maria Sferruzza - C/da Pedagni – Tel. 0921 676595 - 333 6955690; Agriturismi: A Rametta - C.da Rametta – Tel. 333.41.29.141 – 333.91.73.950; Azienda agrituristica biologica ortofrutticola Bergi – Tel. 0921/672045; Villa Levante – C/daVignicella – Tel. 0921/671914 Cell 3356394574; Masseria Rocca di Gonato - Contrada Gonato – Tel. 0921 672616 - 0921 676650 – 368481624.

DOVE MANGIARE
Ranch San Guglielmo - C.da San Guglielmo – Tel. Cell.338/7593939; Ristorante Donjon - Via Sant’Anna, 42 – Tel. 0921.671.154; Ristorante Ristor bar - Via Vittorio Emanuele, 132; Ristorante Nangalarruni - Via delle Confraternite, 5 – Tel. 0921/671428; Ristorante La Corte del Conte - Via Cefalù, 111 – Tel. 0921.676007; Ristorante La Lanterna - Salita al monumento, 11 – Tel. 0921/671371; Ristorante Palazzaccio - Via Umberto I, 23 – Tel. 0921.676289; Ristorante Hostaria Cycas - Via Di Stefano,9 bis – Tel. 0921/677080; Ristorante La Tavernetta - Via Garibaldi,7 – Tel. 3285790642; Panineria - Bistrot - Via S. Anna,42; Pizzeria - A Rua Fera - Via Roma,71 - Tel. 0921/676723; Pizzeria La Pergola - C/da Vinzeria – Tel. 0921/676047; Pizzeria Al Castello – P.zza Castello - Tel. 0921.673664; Pizzeria Vecchio Palmento - Via Failla, 2 – 0921/672099; Pizzeria Antico Baglio - P.zza Schicchi, 3 – Tel. 0921.679512; Romitaggio S.Guglielmo - C.da S. Guglielmo – Tel. 0921/671323; Pizzeria Quattru Cannola - C.so Umberto I, 40 – Tel. 0921.679.028; Pizzeria U Trappitu - Via S. Anna – Tel. 0921/671764; Pizzeria S. Paolo - Piazza S. Paolo

giovedì 8 luglio 2010

P. Arena e M. Graziotti intervistano Augusto su “TNINC”


TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 245 dell’8 luglio 2010
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Sommario di questo numero:
1. Paolo Arena e Marco Graziotti intervistano Norma Bertullacelli
2. Paolo Arena e Marco Graziotti intervistano Augusto Cavadi
3. Franca Guana: Nonviolenza
4. Si e’ svolto il trentunesimo incontro del percorso di formazione e informazione nonviolenta al centro sociale “Valle Faul” a Viterbo
5. Si e’ svolto il 6 luglio un incontro di riflessione a Viterbo
6. Il cinque per mille al Movimento Nonviolento
7. “Azione nonviolenta”
8. Segnalazioni librarie
9. La “Carta” del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu’

(…)

2. LA NONVIOLENZA OGGI IN ITALIA. PAOLO ARENA E MARCO GRAZIOTTI INTERVISTANO AUGUSTO CAVADI

[Ringraziamo Paolo Arena (per contatti: paoloarena@fastwebnet.it) e Marco Graziotti (per contatti: graziottimarco@gmail.com) per averci messo a disposizione questa intervista ad Augusto Cavadi.

Augusto Cavadi, prestigioso intellettuale ed educatore, collaboratore del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo, e' impegnato nel movimento antimafia e nelle esperienze di risanamento a Palermo, collabora a varie qualificate riviste che si occupano di problematiche educative e che partecipano dell'impegno contro la mafia. Opere di Augusto Cavadi: Per meditare. Itinerari alla ricerca della consapevolezza, Gribaudi, Torino 1988; Con occhi nuovi. Risposte possibili a questioni inevitabili, Augustinus, Palermo 1989; Fare teologia a Palermo, Augustinus, Palermo 1990; Pregare senza confini, Paoline, Milano 1990; trad. portoghese 1999; Ciascuno nella sua lingua. Tracce per un'altra preghiera, Augustinus, Palermo 1991; Pregare con il cosmo, Paoline, Milano 1992, trad. portoghese 1999; Le nuove frontiere dell'impegno sociale, politico, ecclesiale, Paoline, Milano 1992; Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa puo' fare ciascuno di noi qui e subito, Dehoniane, Bologna 1993, nuova edizione aggiornata e ampliata Dehoniane, Bologna 2003; Il vangelo e la lupara. Materiali su chiese e mafia, 2 voll., Dehoniane, Bologna 1994; A scuola di antimafia. Materiali di studio, criteri educativi, esperienze didattiche, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994, D G editore, Trapani 2006; Essere profeti oggi. La dimensione profetica dell'esperienza cristiana, Dehoniane, Bologna 1997; trad. spagnola 1999; Jacques Maritain fra moderno e post-moderno, Edisco, Torino 1998; Volontari a Palermo. Indicazioni per chi fa o vuol fare l'operatore sociale, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1998, seconda ed.; voce "Pedagogia" nel cd- rom di AA. VV., La mafia. 150 anni di storia e storie, Cliomedia Officina, Torino 1998, ed. inglese 1999; Ripartire dalle radici. Naufragio della politica e indicazioni dall'etica, Cittadella, Assisi, 2000; Le ideologie del Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001; Volontariato in crisi? Diagnosi e terapia, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2003; Gente bella, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2004; Strappare una generazione alla mafia, DG Editore, Trapani 2005; E, per passione, la filosofia, DG Editore, Trapani 2006; La mafia spiegata ai turisti, Di Girolamo Editore, Trapani 2008; E, per passione, la filosofia. Breve introduzione alla piu' inutile di tutte le scienze, Di Girolamo, Trapani 2008; Chiedete e non vi sara' dato. Per una filosofia pratica dell’amore, Petite Plaisance, Pistoia 2008; In verita' ci disse altro. Oltre i fondamentalismi cristiani, Falzea, Reggio Calabria 2008; Il Dio dei mafiosi, San Paolo, Milano 2009; Come posso fare di mio figlio un vero uomo d’onore? Coppola, Trapani 2008; L’amore e' cieco ma la mafia ci vede benissimo, Coppola, Trapani 2009; Filosofia di strada. Il filosofare-in-pratica e le sue pratiche, Di Girolamo, Trapani 2010. Vari suoi contributi sono apparsi sulle migliori riviste antimafia di Palermo e siciliane. Segnaliamo il sito: www.augustocavadi.eu (con bibliografia completa)]

- Paolo Arena e Marco Graziotti: Come e’ avvenuto il suo accostamento alla nonviolenza?
- Augusto Cavadi: E’ stato graduale ed e’ ancora in itinere. Tappe principali: le notizie storiche e le ricostruzioni cinematografiche su Gandhi; la cronaca, quando ero ragazzo, delle lotte di Martin Luther King; l’incontro con Danilo Dolci; l’amicizia con concittadini, quali Andrea Cozzo e Vincenzo Sanfilippo, che riflettono e sperimentano sui metodi nonviolenti adottabili per strappare almeno alcuni simpatizzanti della mafia alla loro prigione mentale.
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- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali libri consiglierebbe di leggere a un giovane che si accostasse oggi alla nonviolenza? E quali libri sarebbe opportuno che a tal fine fossero presenti in ogni biblioteca pubblica e scolastica?
- Augusto Cavadi: A parte i classici noti a chiunque frequenti queste problematiche, riterrei istruttivi due testi: “Nonviolenza e mafia”, di autori vari, edito da Di Girolamo (Trapani, 2006) e “Il fu Nino Miceli” di Nino Miceli, edito dalle Edizioni Biografiche (Milano 2008).
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- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali iniziative nonviolente in corso oggi nel mondo e in Italia le sembrano particolarmente significative e degne di essere sostenute con piu’ impegno?
- Augusto Cavadi: Non ritengo si possano fare graduatorie: quando la verita’-giustizia-liberta’-pace viene violata in un punto del globo, tutto il globo ne risente. Comunque penso che gli esperimenti di dialogo fra ebrei e palestinesi in Medio Oriente meriterebbero un sostegno speciale per la delicatezza del groviglio etnico e politico in cui si svolgono.
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- Paolo Arena e Marco Graziotti: Come definirebbe la nonviolenza, e quali sono le sue caratteristiche fondamentali?
- Augusto Cavadi: L’arte di affrontare i conflitti contemperando con la ragione le ragioni del cuore e con il cuore le ragioni della ragione.
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- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e femminismo?
- Augusto Cavadi: La sapienza femminile sul tema non si basa certo su basi bio-psichiche (non vedo nessuna differenza, da questo punto di vista, fra maschi e femmine), bensi’ sulla secolare condizione di sottomissione fisica, muscolare, delle donne rispetto agli uomini. Per sopravvivere hanno dovuto imparare che con i pugni e gli schiaffi si vincono le battaglie, con il cervello e i sentimenti si vincono le guerre.
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- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza ed ecologia?
- Augusto Cavadi: La nonviolenza e’ rispetto, “ri-guardo”: ritorno ammirato e consapevole di sguardo. Quando si recupera questa capacita’ contemplativa, la si recupera in relazione a tutto cio’ che e’ in quanto e’: dunque non solo rispetto ai propri simili, ma anche rispetto ad ogni vivente. E all’intero cosmo.
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- Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione filosofica?
- Augusto Cavadi: Restituisce ai filosofi in carne ed ossa quanto spesso dimenticano: che la filosofia ha, da sempre e per essenza, praticato il gusto del confronto senza avversione, la lotta amorevole non per vincere l’altro quanto per liberare se stessi e gli altri dalle opinioni errate.
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- Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione delle e sulle religioni?
- Augusto Cavadi: Un sostegno a disarmarsi. Perche’ le religioni spogliate da fronzoli e ridotte a fede possono agevolare processi di pace, le religioni armate di dogmi e tabu’ possono impedirli senza scampo.
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- Paolo Arena e Marco Graziotti: C’e’ qualcosa che vorrebbe aggiungere?
- Augusto Cavadi: Buon lavoro a voi due.

martedì 6 luglio 2010

Davide Romano (”Riforma”) su “La mafia spiegata ai turisti”


“Riforma”
2 luglio 2010

Augusto Cavadi, insegnante e giornalista palermitano, prova con il suo libricino “La mafia spiegata ai turisti” ( Di Girolamo, 64 pp, euro 5.90) a sfatare il mito della mafia e i luoghi comuni che l’accompagnano. Rispondendo alle tre domandi principali “Di che si tratta?, “C’è sempre stata?” e “Ci sarà per sempre?” l’autore scioglie equivoci, dubbi e paure della cultura popolare, attraverso un linguaggio semplice e il richiamo ai maggiori fatti di cronaca. La differenza tra “mafia buona” e “mafia cattiva”, l’immagine della Sicilia assimilata a quella del Far West, il rapporto Stato-Chiesa-mafia, questi sono solo alcuni dei temi trattati dall’autore, utilizzando la struttura e l’immediatezza dell’intervista come modello di comunicazione. I “turisti” del titolo non sono solo gli stranieri, ma anche gli italiani e i siciliani, spesso i primi a non essere informati sull’argomento. Questa lettura ha uno scopo preciso, la conoscenza come arma non-violenta, come speranza di legalità contro un fenomeno sociale, come quello mafioso, nocivo ma potente e ben radicato nel territorio italiano e non solo. L’opera è stata realizzata multilingue, proprio perché la mafia non è solo un problema italiano ma globale, e da qui nasce il bisogno d’istruire le società, dove la maggior parte degli individui sceglie di essere spettatore passivo. Inoltre nel volume è dedicato ampio spazio alla vita di Giuseppe Impastato, alla sua storia di figlio ribelle della mafia. Un capitolo che ha il potere di commuovere riportando dei dati storici, il cui susseguirsi dà il ritmo all’indignazione. Il libro dà anche una risposta d’autore alla domanda che ci si pone sempre, la mafia avrà mai fine? Dal testamento civile “Cose di cosa nostra” di Giovanni Falcone una risposta chiara: “Dovremo ancora per lungo tempo confrontarci con la criminalità organizzata di stampo mafioso. Per lungo tempo, non per l’eternità: perché la mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi una fine”.

Davide Romano

domenica 4 luglio 2010

Il meta-pizzino di Salvatore Coppola


“Repubblica – Palermo”
4.7.2010

PIZZINI ALTRI CONTRO I BOSS

Salvatore Coppola
IL ‘MIO’ PIZZINO

Coppola
pagine 40
euro 2

Ormai da alcuni anni i “pizzini della legalità“, inventati a Trapani dall’artigiano dell’editoria Salvatore Coppola, fanno il giro d’Italia; anche perché gli autori sono non più soltanto siciliani ma intellettuali - come Rosario Esposito La Rossa di Scampia (Napoli) - di altre regioni infestate dalle mafie. I libretti-taccuini, che imitano materialmente i famigerati “pizzini” di Provenzano per capovolgerne l’intenzionalità e diffondere semi di democrazia, hanno meritato a Coppola vari riconoscimenti: ultimo, in ordine di tempo, il premio “Libera - Trapani” del 2009. Come si legge nella motivazione, si è voluto dare un riconoscimento pubblico a un cittadino che non si stanca di diffondere “i drammi della nostra terra, ma anche le cose belle che appartengono alla sua rinascita” in atto.
L’occasione ha suggerito all’editore di diventare autore: nasce così Il ‘mio’ pizzino, un pizzino che racconta le origini e la storia dei block-notes sinora pubblicati. Insomma: una sorta di meta-pizzino in cui viene evocata l’indignazione verso l’equazione mafia= Sicilia e, più in particolare, la voglia di strappare dal vocabolario delle cosche quel “piccolo pezzo di carta che nei tempi passati era l’unico mezzo per comunicare con la promessa sposa o usato - piegato a fisarmonica - per i compiti in classe, o anche dove annotare gli appuntamenti, la nota della spesa o qualcosa da non dimenticare”.

Augusto Cavadi