martedì 28 agosto 2012

Dopo Pescasseroli (”Filosofia e sessualità“)
21 - 27 agosto 2012


Anche la settimana filosofica per non…filosofi di Pescasseroli (Aquila, Parco Nazionale degli Abruzzi) si è oggi conclusa (21 – 27 agosto 2012). I sorrisi, le lacrime di commozione, gli abbracci affettuosi con cui ci siamo lasciati sono il mglior commento possibile a questa esperienza bellissima. Da tanti punti di vista.
Come ha notato Salvatore Fricano, introducendo la tavola rotonda conclusiva, la nota caratteristica è stato il clima di familiarità che si è instaurato - spontaneamente e sin da subito – fra i 23 partecipanti: nonostante 7 fossero delle new entry alla loro prima esperienza.
Da rilevare, inoltre, che il tema (Filosofia e sessualità) si prestava ad un duplice slittamento: sul piano delle problematiche piscologiche individuali oppure, quasi per esorcizzare questo rischio, il piano delle astrattezze puramente teoriche. Grazie alla professionalità dei tre relatori-stimolatori, ma anche degli altri partecipanti al seminario, si è quasi sempre riusciti a imbroccare la via media di una riflessione critica sui dati empirici (sia ‘storici’ e collettivi sia ‘biografici’ e personali). Non era facile intrecciare pensiero e vita, teoria e pratica, analisi intellettuale e memoria corporea: proprio per questo l’esserci riusciti è stato un grande motivo di gratificazione.
L’angolazione prescelta dai tre filosofi-professionali è stata diacronica: Elio Rindone (Roma) ha illustrato, con la consueta abbondanza di citazioni testuali, l’idea di sessualità nel mondo greco, romano, biblico e medievale, evidenziando un risultato della sua indagine per molti versi sorprendente: prima del medioevo cristiano, nessuna cultura (ebraica compresa) teorizza il matrimonio monogamico come luogo esclusivo - o per lo meno privilegiato – dell’esercizio attivo della sessualità. Non è facile, dunque, sostenere - dati storici alla mano – che il matrimonio monogamico (indissolubile e fra individui di genere diverso) sia ‘naturale’, nel senso di richiesto dalla stessa ‘natura’ umana. E’ stato osservato, inoltre, che la varietà di modelli di esercizio della sessualità genitale nella storia dell’Occidente manifesta – comunque – una sorta di filo conduttore: presso i greci come presso i romani o gli ebrei, è sempre il maschio ad avere libertà di scelta e di azione (mai la donna).
Mario Trombino (Bologna), agganciandosi al Simposio di Platone, ha perlustrato - poggiando su alcuni brani significativi – alcuni modelli del rapporto sessuale dell’epoca moderna: il modello neo-platonico (e pascaliano) della sessualità come chiave per entrare nella Totalità intrinsecamente ‘buona’; il modello sadico della sessualità come strumento di dominio esercitato senza libertà, quasi come effetto necessario della macchina-uomo (o, ancora una volta, della macchina-maschio); il modello schopenhaueriano (e in una certa misura kierkegaardiano) della sessualità come inganno mediante il quale la Natura perpetua sé stessa, alimentando in ogni essere vivente una cieca volontà di riproduzione generazionale.
Pierpaolo Casarin (Milano) si è assunto il compito di accostare la contemporaneità rivisitando tre passaggi obbligatori: Freud, Marcuse e Foucault. Anche Casarin si è appoggiato su brani degli autori prescelti (forse, addirittura, con qualche grammo di sovraccarico), ma - anche utilizzando le sue competenze nell’ambito della philosophy for community – si è preoccupato soprattutto di tirar fuori dai presenti le loro idee personali su cosa oggi minaccia il libero dispiegamento delle proprie energie sessuali e su cosa può essere compromesso (al contrario) da un dispiegamento eccessivamente ‘pubblico’ delle stesse energie. E’ stato interessante notare come ai tempi di Freud era prevalente l’esigenza della liberazione sessuale, rivendicata ancora intorno al fatidico ’68 del Novecento da Marcuse; e come, invece, per Foucault (anni ’70 e ’80) diventi prioritaria l’attenzione a che l’inflazione della sessualità non ne implichi la svalutazione.
Sarebbe prezioso poter recuperare, pur nell’ambito ristretto di queste poche righe, i tanti contributi socializzati dagli altri venti partecipanti ai seminari quotidiani: ma spero che, utilizzando il forum del nostro sito - www.vacanzefilosofiche.it - chi ha offerto delle idee sia disposto a riprodurle, in forma sintetica ed efficace, per iscritto.
Non posso tacere almeno due eventi che hanno segnato la nostra permanenza a Pescasseroli: la sera in cui Roberta Pestalozza ci ha regalato le sue sonate e canzoni per arpa e la sera in cui siamo stati invitati ufficialmente a Ortona dei Marsi per il concerto di un’orchestra della pace costituita da 110 ragazzi di vari Paesi del mondo. Una terza occasione che ci è stata offerta in albergo (alla presenza di Piera degli Esposti e Dacia Maraini) - un monologo sull’infinito in matematica – è stata un po’ deludente, ma ha dato a Anna Pensato la possibilità di una risposta geniale. Quando Dacia Maraini le ha chiesto che cosa pensasse del monologo del suo ‘discepolo’, Anna – un po’ a nome degli altri – ha risposto: “Mi è capitato, nella vita, di sentir dare i numeri: ma mai nella modalità di questa sera”.
Tutti i partecipanti hanno avuto in dono una copia-saggio di “Diogene”, rivista di filosofia per tutti, che dal prossimo numero sarà diretta dal ‘nostro’ Mario Trombino: diventando (con il sottotitolo eloquente di “Filosofia per non…filosofi”) un altro strumento per tenerci collegati da un’estate all’altra. Qualcuno (Christine Reddet e Faustina Fabri), dando prova di masochismo impenitente, mi hanno accompagnato ad Amandola (Fermo) da cui sto inviando queste note: la cittadina “favolosa” dove dal 31 agosto al 2 settembre ci accingiamo a celebrare la prima “Filosofest” (“Festa nazionale della filosofia di strada”). Chi sa che (oltre ad Adriana Saieva in Cavadi) qualche altro amico, presente a Ostuni a luglio o a Pascesseroli ad agosto, non decida – in extremis – di raggiungerci per accogliere insieme a noi le decine di persone da tutta Italia che si sono prenotate per questa nuova avventura!

Augusto Cavadi

lunedì 27 agosto 2012

Prefazione al libro di Elio Rindone sul problema del male


E’ uscito in questi giorni l’ultimo libro di Elio Rindone: Nati per soffrire? Il male: una questione sempre attuale, www.ilmiolibro.it, pp. 168, euro 12,50.

Qui di seguito la Prefazione (pp.7 - 11) che Elio mi ha chiesto di scrivere. Spero che non vi distolga dall’intento di acquistare (e leggere per intero!) il volumetto…
***

Una possibile chiave di lettura

La frequentazione, ormai quarantennale, dei colleghi che insegnano filosofia (nei licei o nelle università) mi ha imposto un’evidenza paradossale: buona parte di loro ritiene, per quanto strano possa sembrare, che la disciplina di studio non abbia interferenza con la vita. Né in linea di diritto né di fatto la filosofia contribuirebbe a rispondere alle questioni elementari dell’esistenza: davanti agli interrogativi brucianti sul senso dell’amicizia, della malattia, dell’innamoramento, dell’infedeltà, della giustizia e dell’ingiustizia, del dolore e della morte… anche il filosofo di professione dovrebbe rinunziare a osare risposte (o, se proprio non ci riesce, dovrebbe cercarle altrove rispetto ai terreni arati dalle indagini della filosofia occidentale, da Anassimandro a Ricoeur).
Elio Rindone appartiene invece a quel gruppo, forse oggi minoritario, di docenti che vedono il senso ultimo della storia della filosofia oltre l’orizzonte storicistico: nell’individuare alcune ipotesi di risposta (per quanto parziali e sottoposte a continua contestazione critica) alle domande ricorrenti dell’umanità, in modo da poterle soppesare e assumere come punto di partenza di un proprio indirizzo di pensiero e di vita.
Chi ha più ragione? I filosofi che fanno filosofia per gusto filologico e per esercitazione logica o quanti la coltivano per amore di saggezza e orientamento etico?
Nella repubblica filosofica c’è spazio per tutti, tranne forse per quanti volessero fissare confini netti fra presunte ortodossie e presunte eresie: ogni filosofo è tale a modo suo, purché lo sia in maniera autentica (dunque senza ipocrisie) e possibilmente coerente (dunque fedele al proprio registro intellettuale). Ciò che si può osservare è solo questo: che la filosofia come storiografia e analisi logica interesserà un gruppo ristretto di professionisti laddove la filosofia come chiarimento esistenziale potrà coinvolgere un numero molto più ampio di uomini e donne che si guadagnano da vivere con mestieri differenti.
Il libro che avete in mano è un esempio luminoso, e a tratti illuminante, di questa filosofia intenzionalmente ‘democratica’ che, senza rinunziare al rigore argomentativo, procede libera da tecnicismi scoraggianti per quanti non abbiano un’istruzione adeguata in ambito filosofico.

***

Se si ha in mente l’impostazione di fondo, si capisce meglio la struttura di questo breve saggio. Esso evoca, a larghi tratti, le due concezioni del male (inteso come colpa morale e sofferenza fisica) prevalenti nella produzione poetica e filosofica dei Greci: il male come parte costitutiva del mondo, da accettare senza illusioni in salvezze impossibili e il male come conseguenza di una colpa antecedente, da cui liberarsi preparandosi alla vita dell’aldilà, in cui è possibile la felicità vera, inattingibile finché l’anima resta imbrigliata nel corpo.
Non è questa seconda concezione (or-fico-pitagorico-platonico-plotiniana) identica alla concezione cristiana? Rindone spiega, con una chiarezza insufficiente solo per chi non voglia deporre delle pre-comprensioni radicate, che nel Medioevo c’è stata in effetti un’introiezione del dualismo greco (fra anima e corpo, fra eternità e temporalità, fra cielo e terra), ma a costo di fraintendere e mistificare (in buona fede) il patrimonio biblico.
Per la sapienza ebraica, infatti, il male nel mondo è effetto di opzioni storiche: dunque – più che indagarne teoreticamente l’origine e gli sviluppi – gli esseri umani sono invitati a contrastarlo con l’operosità attiva. Il messaggio evangelico di Gesù sarebbe il compimento di questo invito profetico a spendere la vita per amore della giustizia, della pace e della convivenza collaborativa sul nostro pianeta.
Come accennato, però, il Medioevo ha ritenuto intellettualmente troppo ‘povera’ la prospettiva biblica e, con l’intenzione di arricchirla integrandola con molte idee della tradizione greca, ha finito col creare un mix originale ma imbarazzante: la dottrina cristiana del male. Dottrina che si è configurata come un sostanziale tradimento dell’invito ebraico-cristiano biblico a fare di questo mondo il giardino edenico sognato dal Creatore.
Ovviamente Rindone non racconta queste vicende a scopo polemico, ma per invitare a rivisitare la nostra attuale visione del male recuperando gli spunti più felici che provengono dall’ascolto fedele delle due città in cui affonda le radici l’Occidente cristiano: Atene e Gerusalemme.
Una rivisitazione intellettuale non fine a sé stessa, ma quale premessa di una rivoluzione planetaria - tanto più radicale e duratura quanto meno rumorosa e violenta - che gli squilibri evidenziati dalla globalizzazione rendono nel XXI secolo ancora più urgente di prima.

Augusto Cavadi

mercoledì 8 agosto 2012

Il medico e il boss


“Repubblica – Palermo”
5 agosto 2012

IL MEDICO E IL BOSS

Dopo trent’anni di letteratura mafiologica è facile distinguere, sin dalle prime pagine, i libri improvvisati da quelli impregnati di competenza e passione civile: L’enigma di Attilio Manca. Verità e giustizia nell’isola di Cosa Nostra (terrelibere.org, Messina 2011, pagine 205, euro 13) di Joan Queralt, è un esempio del secondo genere. Un saggio che mancava e che tuttavia, abbastanza stranamente, non è stato scritto originariamente in italiano: un coraggioso editore messinese, Antonello Mangano, lo ha fatto tradurre dallo spagnolo e lo sta diffondendo anche con iniziative pubbliche cui partecipano i familiari del protagonista. Di chi si tratta? Attilio Manca era un giovane urologo di Barcellona Pozzo di Gotto che aveva trovato a Viterbo lo spazio per un’attività professionale gratificante e apprezzata. Nel 2004, a pochi giorni dal suo trentacinquesimo compleanno, viene trovato cadavere nella casa laziale dove vive da solo. La presenza di una siringa e di due segni di iniezioni al polso e all’avambraccio, nonché di tracce di eroina nel sangue, orientano gli inquirenti verso la tesi dell’overdose o, comunque, del suicidio intenzionale. Attilio era sereno, aveva discrete disponibilità economiche, molte relazioni umane, in progetto viaggi per diporto: perché avrebbe dovuto darsi a droghe pesanti (sul corpo, per altro, non furono trovati altri buchi che quei due mortali) o decidere di togliersi la vita? E, soprattutto, come mai un chirurgo in tutto mancino si inietta le sostanze mortali proprio sul braccio sinistro?
Per alcuni anni queste domande restano senza risposta. Poi, piano piano, alcuni pezzi del puzzle si vanno incastrando. Nell’autunno precedente al decesso, Attilio ha effettuato un breve viaggio nel sud della Francia per assistere a un intervento chirurgico di cui stranamente non parla ai colleghi, limitandosi a un fugace accenno ai genitori residenti in Sicilia. Da informazioni giudiziarie risulta che, nello stesso periodo, Bernardo Provenzano, allora in latitanza, è stato a Marsiglia per problemi di prostata (il campo di competenza specifica del medico di Barcellona). Si va apprendendo, inoltre, che la mafia di Bagheria e Villabate - a cui Provenzano ha affidato la sua protezione logistica – ha da tempo stretto particolari rapporti con la mafia, meno nota ma non meno attiva e sanguinaria, del messinese. Che Attilio Manca non si sia trovato coinvolto, più o meno consapevolmente, in un giro troppo più grande di lui? Che non abbia incrociato la sua strada con criminali efferati che preferiscono non lasciare testimoni dal loro punto di vista inaffidabili? Su questi dati i genitori del medico, il fratello Gianluca, un avvocato intrepido ed esperto come Fabio Repici, chiedono alle autorità giudiziarie di non archiviare definitivamente il caso. Ed è notizia di questi giorni che, sia pure con una motivazione provvisoria (la ricerca dei fornitori dell’eroina), il Gip di Viterbo ha deciso di concedere al Pubblico Ministero un supplemento di indagine.
Intanto i familiari di Manca si sono collegati con altri familiari di vittime di mafia in cerca di verità e giustizia: con “uomini e donne come Elena Fava, Emanuele Giuliano, Giulio Francese, Sonia Alfano, Margherita Asta, Michela Buscemi girano da anni per le piazze e le scuole della Sicilia con l’intento di suscitare, con la forza dei loro cognomi e del proprio coraggio, la rivolta delle coscienze dei siciliani onesti contro il dominio della mafia”.
Si tratta di una battaglia dall’esito incerto e, in ogni ipotesi, abbastanza lontano nel tempo. Ci sono delitti di mafia tutto sommato ‘classici’ e delitti molto più complicati, specie quando – come nel caso di Graziella Campagna, la commessa di una lavanderia uccisa a 17 anni per aver trovato nella giacca di un mafioso un bigliettino che non avrebbe dovuto toccare – il primo enigma è risalire dalla vittima innocente al possibile movente. In casi del genere, infatti, le indagini devono spaziare a 360 gradi; attraversare zone grigie; gettare la sonda in quelle fasce sociali in cui la complicità con la criminalità mafiosa non è dettata necessariamente da interesse o da paura, ma anche da superficialità, pigrizia e amore di quieto vivere.

Augusto Cavadi

domenica 5 agosto 2012

Quadretto di Adriana schizzato da Maria


“Centonove” 3.08.2012

Casa Rotolina

Tra le mie amiche speciali c’è un’insegnante che ama davvero i suoi alunni e, in una Palermo ammorbata di cinica mafiosità, guida i piccoli uomini e le piccole donne a scegliere comportamenti onesti e solidali. Inoltre, Adriana è di una creatività dirompente: con vecchi spazzolini, portachiavi in disuso e pezzetti di mollette è capace di dar vita a un simpatico e buffo pupazzo. In una casetta presa in affitto vicino alla scuola – ribattezzata “Casa Rotolina” in accordo al nome della via – la maestra Saieva ha coinvolto i suoi alunni nel gioco allegro di ridare forme nuove a quello che avremmo gettato nell’immondizia. In un tempo in cui assistiamo impotenti ai tagli feroci su scuola e cultura, Adriana ci mostra, pupazzi alla mano, che nessuna spending review ci impedirà di utilizzare la nostra corda affettuosa e creativa, capace di curare noi stessi, i bambini e, in un certo senso, l’universo intero.

Maria D’Asaro