lunedì 31 marzo 2014

Ci vediamo mercoledì 2 aprile 2014 Lercara Friddi (Palermo)?

Mercoledì 2 aprile due incontri pubblici a Lercara Friddi (Palermo).

Dalle 15,30 alle 17,00 terrò un secondo seminario sul mio libro "La bellezza della politica" (Di Girolamo, Trapani 2013) con docenti e alunni del Liceo scientifico.

Dalle 17,30 alle 19,39 terrò una conversazione pubblica sul tema "La città per l'uomo" presso il Teatro "Palagonia" (piazza Duomo), nell'ambito di un ciclo di workshop dedicato a "Le città invisibili" (Italo Calvino).

domenica 30 marzo 2014

A scuola da Platone


“Centonove”, 28.3.2014


PERCHE’ SCEGLIERE SAVATER

     Perché, tra le migliaia di libri stipati negli scaffali di una biblioteca o di una libreria, ne scegliamo proprio uno a scapito di tutti gli altri? Ovviamente dipende dall’esigenza del momento. Può darsi che si voglia rispondere a una curiosità intellettuale o a una domanda esistenziale, può darsi che si cerchino istruzioni pratiche per il giardinaggio o si voglia vagare con la fantasia nel regno dei poeti…Nessuna di queste motivazioni giustificherebbe la lettura di questo libro di Fernand Savater, La scuola di Platone, Prefazione di S. Zampieri, Ipoc, Milano 2013 (tranne i casi, rarissimi, di cultori della storia dell’arte che vogliano saperne di più su La scuola di Platone, un quadro minore di un pittore minore a cavallo fra il XIX e il XX secolo).
      Può darsi, però, che qualche volta ci troviamo a sfogliare volumi e volumetti per desiderio di divertimento. O, addirittura, per bisogno di divertirci. Pane e acqua, istruzione e assistenza sanitaria, l’affetto sincero di qualche essere umano o animale, talora persino una tazzina di caffè al mattino, rientrano tra i bisogni unanimamente riconosciuti come naturali o per lo meno legittimi: ma non abbiamo anche l’esigenza, altrettanto ineludibile, di una dose giornaliera di allegria?
      E’ un luogo comune ripetere che per sceneggiatori e attori far piangere è meno difficile che far sorridere.  La spiegazione è intuitiva: alla tristezza ci inducono già le vicende quotidiane e gli acciacchi del corpo; per provare gioia  - o qualche altra emozione piacevole che le si avvicini – dobbiamo invertire la rotta e remare contro la corrente della vita. Come se ciò non bastasse, parafrasando un celebre incipit letterario, nella tristezza tutti i mortali ci assomigliamo ma, quanto all’umorismo, ognuno si rallegra a modo suo.
     Non voglio più, come si leggeva nei sillabari delle scuole elementari, menare il can per l’aia: questo libro di Savater – come la maggior parte delle cose belle della vita – non serve a nulla. Non si legge in vista di… : o ci diverte sin dalle prime pagine o è più sensato riporlo dove lo si è trovato. O si gode per il puro piacere di attraversare campi svariati (dalla storia alla filosofia, dall’arte alla psicologia…) o, se si è affezionati agli schemi abituali delle partizioni disciplinari, meglio lasciar perdere.
     Chi ha più probabilità di mettersi di buon umore alla lettura di queste pagine? Non certo chi riesce a divertirsi in comitiva solo se qualcuno racconta barzellette sguaiate o alimenta pettegolezzi  su personaggi alla moda. Savater qui ricorda piuttosto quegli avventori di osteria di una certa età che, tra un bicchiere e l’altro svuotato con signorile padronanza, raccontano a ruota libera esperienze passate, puntellando il racconto di divagazioni estemporanee, osservazioni ironiche, citazioni dotte più o meno verificabili, interpretazioni attendibili sino a un certo punto…E – perché no ? – che sono capaci, nell’apparente cazzeggiare, di inserire veri e propri stralci poetici (come il giovane Aristotele di queste pagine che così si rivolge a Platone: “Sei il mio maestro, sì, ma non il mio solo maestro. Io apprendo anche dall’uccellino e dai fiori, dagli astri, dalla mobile e curiosa natura. E aspetto il consenso degli altri uomini, le virtù che loro esaltano nei migliori o le costituzioni che si danno per organizzare la loro convivenza. Non mi sento esiliato dalla Città Ideale, ma cittadino adottivo delle strade e delle piazze di questo mondo, dei suoi boschi e delle sue caverne”) .
     Insomma questo libro è, secondo la definizione dell’autore stesso, “un intrattenimento riflessivo per cultori oziosi”. O, se si preferisce, un tipico libro da dilettanti. Scritto per diletto, va letto per diletto: se uno è così poco profondo da identificare serietà e seriosità, e così sfortunato da non saper uscire qualche volta dai propri ambiti di competenza professionale per il puro gusto del divertimento, farà meglio a non aprire questo libricino. E a rassegnarsi alla propria noia abituale.

Augusto  Cavadi
www.augustocavadi.com

venerdì 28 marzo 2014

Luca Kocci su "Legalità" (Di Girolamo, Trapani 2013, euro 7,00)


Augusto Cavadi, Legalità, Di Girolamo, 2013, pp. 88, 7€.


Cavadi inaugura la nuova collana (Sindacalario) di Di Girolamo in collaborazione con la Filca Cisl: parole chiave «per il sindacalista consapevole e responsabile», ma che possono essere efficacemente utilizzate anche in altri contesti, come la scuola. Legalità affronta il termine sotto vari punti di vista: la genesi e il senso delle regole e delle leggi (la forza dei deboli contro i forti), ma anche i nodi più intricati e complicati, dalla distinzione fra legalità e giustizia (non sempre quello che è legale è anche giusto, e viceversa), alla dialettica fra obbedienza e obiezione alle leggi, in nome dell’obbedienza alla propria coscienza – come asserito anche dal Vaticano II –, fino alle varie forme di illegalità, dai crimini plateali al diffuso atteggiamento di «a-legalità». La memoria corre alla Lettera ai giudici di don Milani: «Non posso dire ai miei ragazzi che l'unico modo d'amare la legge è d'obbedirla. Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole). Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate».


“Adista- Segni nuovi”, 29 marzo 2014, 12.

Qualche verso di Nina Cassian (poetessa ebrea rumena contemporanea)

Le mie poesie...
le scrivo, le dimentico o smarrisco! Tornano,
allora le cambio - anche se non cambiano il mondo
cambiano me...A volte non siamo d'accordo.
Sono il mio lascito...ma chi sono gli eredi?


(Nina Cassian, C'è modo e modo di sparire. Poesie 1945 - 2007, a cura di Ottavio Fatica, traduzione di Anita Natascia Bernacchia e Ottavio Fatica, Adelphi, Milano 2014, pp. 304, euro 25,00).

martedì 25 marzo 2014

"Siciliani si diventa" di Umberto Di Maggio (edizioni Coppola, Trapani 2013)


“Luoghi di Sicilia”
Ottobre 2013

SICILIANI SI DIVENTA    DI    UMBERTO DI MAGGIO
Molti conoscono Umberto Di Maggio come coordinatore regionale di “Libera”, l’associazione nazionale (e adesso anche internazionale) di associazioni e di cittadini coalizzati contro tutte le mafie, fondata una ventina di anni fa da don Luigi Ciotti. Meno numerosi i lettori dei suoi saggi, scientificamente attrezzati, di sociologia. Nessuno, invece, tranne forse qualche intimo familiare, ne conosceva la vena letteraria prima che l’editore trapanese Coppola pubblicasse questo suo breve, intenso, scritto: Siciliani si diventa (pp. 32, euro 4,00).
   Il titolo è un po’ enigmatico o, per lo meno, nasconde vari livelli interpretativi. Forse, il più immediato, è che l’isola è abitata in percentuale minima da autoctoni e nella stragrande maggioranza da ospiti che vi sono approdati per caso o per le ragioni più diverse e poi vi si sono insediati stabilmnete: dai Fenici ai Cartaginesi, dai Romani agli Arabi, dai Normanni agli Svevi, agli Angioini, agli Aragonesi…sino agli Africani, agli Asiatici, ai Medio-orientali di oggi. In una seconda accezione, meno immediata, siciliani si diventa perché non basta nascere nell’isola: bisogna, poi, decidere di viverci (magari, come l’autore, dopo un periodo di fuga nel “continente”). Viverci, sì: ma come? Siamo qui, forse, al cuore della questione. Il siciliano autentico  - mi pare sia questo il messaggio cruciale di Umberto Di Maggio -  non è chi abita la regione parassitariamente (come i mafiosi, i loro amici e i loro complici di ogni ceto sociale) né chi vivacchia senza infamia e senza lode, senza rubare e senza produrre, ma accontentandosi di sopravvivere alla meno peggio. Egli è piuttosto chi si sbraccia, talora si sacrifica perfino, per lasciare la Sicilia un po’ migliore di come l’ha trovata, nascendovi o sbarcandovi da altri lidi.
    Questa tesi non viene dall’autore enunciata argomentativamente, bensì evocata liricamente: con una rilettura attualizzante del mito di Colapesce. Ci racconta, dunque, di un immigrato che  - giunto avventurosamente  a Lampedusa –  dopo aver “aiutato tutti gli altri a sbarcare, cadde in acqua andando a fondo” perché “non sapeva nuotare”. Arrivato “giù e ancora giù dove il Sole non riesce ad entrare”, si accorge che la piccola isola, “la splendida figlia di Sicilia, poggiava su una grande colonna di tufo giallo” e che “una grossa crepa stava facendo spezzare quel pilastro dove si reggeva tutto il peso dell’Isola”. Decide allora di accettare, come un compito, di restare là in fondo “a reggere Lampedusa: la porta dell’Europa e dell’Africa”. Come si chiamava il marinaio così generoso? Forse Ahmed, forse “quello di chi sceglie di dedicare ogni fiato, ogni energia, ogni battito del suo cuore a liberare, una volta per tutte, questa Terra. Il suo nome è il nome di tanti Siciliani onesti” che tali sono per scelta e per impegno, non certo per mera casualità anagrafica.

Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com

lunedì 24 marzo 2014

CI VEDIAMO MERCOLEDI' 26 ALLE 15,30 AL LICEO SCIENTIFICO DI LERCARA FRIDDI (PA) ?

Mercoledì 26 marzo  dalle 15,30 alle 17,30 terrò al Liceo scientifico statale di Lercara Friddi (Palermo) un seminario APERTO AL PUBBLICO sul tema del mio libro La bellezza della politica. Attraverso e oltre le ideologie del Novecento 
(Di Girolamo, Trapani 2012, pp. 194, euro 9,90).
In esso espongo in sintesi   - mettendole a confronto sinotticamente - 
il liberalismo, il comunismo, la socialdemocrazia, la dottrina sociale cattolica,
il fascismo, l'ambientalismo, il conservatorismo e l'anarchismo.

domenica 23 marzo 2014

Se vuoi partecipare alla "Tre giorni di filosofia per tutti" alle Egadi...

...affrettati a prenotare: i posti ancora liberi nelle strutture alberghiere convenzionate sono limitati e, se hai bisogno di un biglietto aereo, lo acquisti a minor prezzo.

***


Una filosofia d’A-MARE



  Tre giorni di filosofia di strada alle Isole Egadi



PRE-EVENTO

Mercoledì 30 aprile presso Istituto Nautico di Trapani

(Viale Regina Elena)

ore 11,30: Conferenza stampa di presentazione dell’evento di Favignana. Con

·      Giuseppe Pagoto, sindaco del Comune di Favignana

·      Ambrogio Caltagirone, presidente dell’associazione “La calendula”

·       Alfonso Gammino, presidente del comitato organizzatore dell’Aegusa philosophiana

·      Augusto Cavadi, direttore culturale della manifestazione



ore 12,15:  Conversazione pubblica di Augusto Cavadi: La filosofia può coinvolgere anche chi non l’ha mai studiata a scuola?



EVENTO

Venerdì 2 maggio nell’isola di Favignana



16, 30 - 17,30 (presso la  Cava S. Anna di Favignana)

 Meditazione laica di Luigi Lombardi Vallauri: Mare e monti maestri di meditazione

18 ,30 - 20,00 (Sulla via per S. Caterina  di Antiochia di Favignana)

Passeggiata filosofica condotta da Augusto Cavadi: La vita come viaggio

20,30 (trattorie “Due colonne” e  “A' Cialoma” di Favignana: su prenotazione 25 euro)

Cena sociale con menù fisso

22,00 - 23,00 (Villa Florio)

Concerto di musica popolare siciliana  del Coro delle Egadi



Sabato 3 maggio



9,00 - 10,30 (in 4 strutture convenzionate di Favignana: quota 7,00 euro, tranne per chi è già ospite di una struttura che prevede la colazione)

Colazione col filosofo



1. Stefano Zampieri:  Cos’è una consulenza filosofica? 
 ( Hotel “Tempo di Mare”)



2. Orlando Franceschelli:   O Dio o il nulla?                           (Residence “La Playa”)



3. Peter Ciaccio: La filosofia di Harry Potter (Residence “Scirocco e Tramontana”)



4. Vesna Bijelic :    La bellezza salverà il mondo?     (B&B “Il Gattopardo”)



10,45: Trasferta collettiva da Favignana per l’ isola di  Marettimo

(Necessaria la prenotazione: solo passaggio in nave euro 20,00; compreso pranzo a bordo euro 35,00)



12,00 - 13,30 (a Marettimo)

 Dialogo in  pubblico fra don Carmelo Torcivia e Luigi Lombardi Vallauri: Perché sono ancora/non sono più cristiano. Modera il pastore valdese Peter  Ciaccio



In contemporanea (sempre nell’isola di Marettimo)

 Philosophy for children: sessione di filosofia con bambini, secondo il metodo di Lipman , condotta da Adriana Sajeva (Su prenotazione:max. 15 bambini da 6 a 8 anni)



14,00: Pranzo sociale su motonave



15.00 : Trasferta collettiva da Marettimo per Levanzo



17,00 - 19,30 (presso Terrazza “Martini Arcobaleno” di Levanzo)

Dialogo in  pubblico fra Orlando Franceschelli e don Franco Barbero : Alla ricerca della felicità (im)possibile.  Modera il professor Stefano Zampieri.



19,45:   Trasferta collettiva dall’isola di  Levanzo all’isola di  Favignana



21,00 (Trattorie “Due colonne” e  “A'Cialoma” di Favignana: su prenotazione 25 euro)

Cena sociale con menù fisso



 22,30 - 23,30: Concerto di musica tradizional-popolare rivisitata



Domenica 4 maggio



9,00 - 10,30 (in 4 strutture convenzionate di Favignana: quota 7,00 euro,

 tranne per chi è già ospite di una struttura che prevede la colazione)

Colazione col filosofo



1. Stefano Zampieri: La saggezza delle immagini ( Hotel “Tempo di Mare”)



2. Orlando Franceschelli:  Verso una spiritualità naturalistica  (Residence “La Playa”)



3. Augusto Cavadi: La nave dei folli (Residence “Scirocco e Tramontana”)



4. Vesna Bijelic :  Si può essere felici in un mondo ingiusto?   (B&B “Il Gattopardo”)



Dalle 10,30 in poi ogni partecipante può preventivare il ritorno a casa.

Oppure…



Dopo Festival (per gli ospiti che vogliano prolungare la vacanza nelle Egadi):



Giro turistico guidato, in bicicletta (percorso facile)   o in pullmino, organizzato dall’ Associazione “La Calendula”  (su prenotazione)



**********

Nel corso della manifestazione sarà aperto uno stand a cura della Libreria “Il pozzo di Giacobbe” (Trapani) con i testi pubblicati dai filosofi partecipanti.





Per ulteriori delucidazioni, anche sulle strutture alberghiere,

e per prenotarsi telefonare ad Antonella (388 3574822)

o scriverle: asslacalendula@libero.it
Per una o (forfettariamente) un gruppo di prenotazioni sono previsti i diritti di segreteria organizzativa (euro 15,00).

giovedì 20 marzo 2014

Se vi interessa, potete seguire in streaming l'intera mattinata di venerdì 21 marzo 2014....

...dedicata dal Servizio per la formazione e la qualificazione del personale della Regione siciliana alla riflessione sulla valenza etica e civica della figura e dell'oprea di don Pino Puglisi.
Basta collegarvi al sito:

http://www.ustream.tv/channel/la-forza-della-memoria---p-puglisi

Sotto la regia dell'organizzatore, Nino Cangemi, interverremo Francesco Palazzo, Rosaria Cascio, Roberto Lopes ed io.
Ovviamente sarà un'occasione per far conoscere, a chi volesse approfondire queste tematiche, il libro che abbiamo scritto con Francesco e Rosaria, Don Pino Puglisi: storia, metodo, teologia (Di Girolamo, Trapani 2013, pp. 198, euro 15,00).
I palermitani interessati a partecipare dal vivo, specie se attuali o ex-dipendenti dell'amministrazione regionale, sono benvenuti: dalle 9,00 alle 13,00 in via Generale Magliocco, 46.

martedì 18 marzo 2014

La rivoluzione, ma a partire da sé. Un sogno ancora praticabile.

Il mio caro editore Pietro Condemi , titolare dell'Ipoc di Milano, ha pubblicato il mio libro:
 La rivoluzione, ma a partire da sé. Un sogno ancora praticabile. Se cliccate su:

www.ipoc.it/La-rivoluzione-a-partire-da-se--libro-ebook-Augusto-Cavadi-pedagogia-sociologia.shtml

potrete:
a) leggere la scheda di presentazione sintetica
b) leggere l'Introduzione
c) leggere il Primo capitolo
d) leggere l'Indice
e) acquistare la copia cartacea ricevendola senza spese postali aggiuntive
f) acquistare la copia come e-book o come pdf
g) acquistare solo un capitolo o più capitoli
h) acquistare solo una scelta di capitoli assemblati come libro a sé (creato da voi stessi,
    eventualmente 'cucendo' capitoli miei con capitoli di altri libri della medesima editrice).

Grazie sin d'ora a quanti di voi mi faranno avere critiche e commenti su questa specie di testamento spirituale che ho desiderato affidare soprattutto (ma non esclusivamente) ai miei amici più giovani.

lunedì 17 marzo 2014

Arte contemporanea alle Isole Egadi: il catalogo


“MEDITERRANEA”.
Arte contemporanea Isole Egadi
Secondo testo introduttivo (pp. 12- 14)
 
Uno sguardo filosofico. Cioè ingenuo e stupito.

    E’ sempre con animo incerto, diviso, che il filosofo visita una mostra di arti grafiche, pittoriche, plastiche. Egli non è un competente e, se vuole davvero fruire di ciò che gli si offre in visione, sa che deve riguadagnare lo sguardo profano del bambino o del primitivo: lo sguardo ingenuo e stupito che, a mio avviso, fa da criterio del giudizio estetico. Infatti, qualora un’opera non comunicasse niente a chi è privo di laurea in storia dell’arte, sarebbe un’opera mediocre, al massimo discreta: non certo un capolavoro (i capolavori parlano a tutti, di ogni età e in ogni età).
      E’ vero, però, che, se onesto intellettualmente, il filosofio sa di non avere un occhio vergine: sa, infatti, di essere condizionato pre-giudizialmente da una tradizione di pensiero che non ha mantenuto nei confronti dell’arte un atteggiamento univoco, costante. Per un verso alcuni filosofi occidentali hanno guardato l’arte con sospetto (Platone) o, comunque, come manifestzione dello spirito inferiore alla razionalità filosofica (Hegel); per altri versi, però, altri pensatori non meno rilevanti hanno riconosciuto all’arte il privilegio di cogliere l’Assoluto (Schelling), di dire l’Indicibile (Heidegger), ben al di là dei limiti della logica filosofica.
    Come uscire dalla contraddizione fra ingenuità e pregiudizi culturali? Ognuno di noi (filosofo o non filosofo che sia, comunque visitatore e spettatore) cerca la sua via. Personalmente, come primo passo, dico a me stesso: l’immediatezza naif del tuo sguardo è una méta cui tendere, non un presupposto da dare per scontato. Come secondo passo, poi, proprio perché consapevole di questi possibili condizionamenti culturali, cerco di attenuarne gli effetti soppesandoli criticamente e facendo in modo che si bilancino a vicenda. Mi spiego in concreto: entro in ogni galleria d’arte a piedi scalzi ma con la fronte dritta. A piedi scalzi, senza il senso di superiorità di un Platone o di un Hegel, perché là dove si cerca la Bellezza si calpesta suolo sacro, laicamente sacro; con la fronte dritta, senza complessi di inferiorità epistemici alla Schelling o alla Heidegger, perché gli artisti possono avere consapevolezza del carisma sociale di cui sono portatori solo se aiutati da filosofi di mestiere o da sé stessi in quanto anche filosofi. E comunque dal filosofare.

***

     L’insieme di opere esposte nelle isole Egadi, di cui questo libro è documento a memoria, mi ha colpito per almeno tre caratteristiche.
     La prima è la permeabilità di molte opere ai colpi della contemporaneità storica. Pur senza cercare, tradendo sé stessi, il riferimento promozionale alla cronaca, vari autori non hanno fatto nulla per nasconderne le tracce: come non avvertire, in questa o in quell’altra installazione  (una per tutte: quella che, forse a dispetto dell’autrice, Kazumi Kuriara, a me è parsa una veste femminile  nobilissima ma lacera), l’eco della tragedia di tanti immigrati che approdano alle coste siciliane con i vestiti a brandelli, segno visibile di ben più gravi lacerazioni dell’anima? Come non riconoscere, nel labirinto metallico di Jano Segura, la sensazione di intrappolamento che proviamo nella situazione storica che attraversiamo, quasi groviglio di vie senza uscita?

   Una seconda caratteristica è la ricerca di incorporare nella gratuità estetica una qualche funzionalità tecnica. Penso, a titolo puramente esemplificativo, alle plantane e  alle lampade di Ino Virzì. In questo tentativo di fondere l’utile e il dilettevole traspare, non so quanto intenzionalmente nella coscienza degli autori, la convinzione che la bellezza non può essere fruita solo in spazi appositi, quasi relegati dal tessuto sociale, ma va incontrata ed esperita nella quotidianità. Non so se essa, secondo la tesi di Dostoevskij, sia in grado di “salvare il mondo”: ma so che può renderlo meno orribile, meno inabitabile, se davvero si infiltra nelle pieghe dell’empiria e trasfigura gli oggetti che tocchiamo dalla mattina alla sera.

    Una terza caratteristica, infine, che mi salta agli occhi guardando alcune di queste opere è la geniale povertà dei materiali. Il pesce di Luca Mannino      ad esempio, è frutto di riciclo di sbarrette di ferro, di molle, di viti, di chiodi: di pezzi, si direbbe, raccattati dal cestino dei rifiuti di un’umile officina meccanica. Non so se anche agli altri visitatori, ma a me evoca un verso di De André: “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori”. Evoca questa fede nel riscatto di ciò che la società, iperproduttiva al punto da stare suicidandosi per eccesso di produzione, scarta, espunge. Forse sollecitati – anche inconsciamente - da una delle più nere recessioni economiche della storia repubblicana, gli artisti più sensibili vogliono farsi silenziosi ma efficaci profeti di un invito a invertire la tendenza sinora predominante allo spreco, al gettar via senza neppure chiedersi se ci sono voragini abbastanza grandi da poter accogliere i fiumi di rifiuti che vi riversiamo irresponsabilmente.
    La zattera di salvataggio di Franco Fratantonio può essere adottata a cifra sintetica dell’intera esposizione: i naufragi della politica e dell’economia mietono vittime, fuori e dentro l’Europa, che non avranno mai giustizia. Almeno su questa Terra. Eppure qualche scialuppa, ancora inutilizzata, giace sulla spiaggia in attesa di essere afferrata e valorizzata. Qualcuna si chiamerà impegno civile, qualche altra mobilitazione politica. E qualche altra ancora creazione estetica.

Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com

domenica 16 marzo 2014

Piccolo manuale per diventare davvero palermitani


“Repubblica-Palermo”
16.3.2014
DECALOGO IRONICO PER DIVENTARE PALERMITANI DOC
  Non so se lo slogan diffuso anni fa dalla Municipalità fosse veritiero (“Il mondo ha un sogno: diventare come Palermo!”), ma – nel caso improbabile che lo fosse – al mondo tornerebbe utile sapere come si fa a diventare palermitani se non lo si è per nascita. Antonino Cangemi, nel suo recentissimo Beddamatri Palermo! Cronache satiriche della città più incasinata d’Italia (Di Girolamo, Trapani 2013, pp. 196, euro 9,90) ci prova con un decalogo telegrafico che va dal primo comandamento (“Non fare oggi quello che potresti fare domani”) all’ultimo (“Se hai un lavoro, sappi di essere un privilegiato. Perciò, in tal caso, non affaticarti troppo. Altrimenti che privilegio sarebbe?”).
   Come spesso accade ad autori siciliani che parlano della propria isola, il tono ironico non riesce a nascondere del tutto l’amarezza, il rammarico, per come vanno le cose e anche un po’ la speranza che possano andare in un prossimo futuro diversamente. Per esempio con l’avvento del Put, che non è abbreviativo della qualifica appioppata alle madri di chi rompe le scatole, bensì “Piano Urbano Trasporti”: con l’avvento del quale “per le strade ci sarà ordine e silenzio. Sembrerà di essere in Svizzera” (magari col rischio che “i palermitani, presi dal panico di tante novità in una volta sola, scapperanno allarmati da quella che era la loro città”).

Augusto Cavadi

venerdì 14 marzo 2014

Cattolici o protestanti o ...Non c'è un solo modo di essere cristiani !


“Riforma”, 11.3.2014



L’INQUIETUDINE ‘ECUMENICA’ DEI CRISTIANI IN RICERCA: UNA SFIDA PER LE CHIESE



    Le frequenti fasi di stallo dell’ecumenismo ufficiale, istituzionale, ci hanno insegnato a valorizzare l’ecumenismo di base, effettivo: quel processo poco vistoso, ma continuo, per cui, in una determinata città o regione del mondo, alcune comunità cristiane si relazionano in vista di un progetto sociale o culturale o spirituale, indipendentemente dalla propria appartenenza confessionale. E’ noto, in questa direzione,  l’impegno teologico e liturgico pluridecennale del Sae (Segretariato per le attività ecumeniche) su tutto il territorio nazionale; chi ha i capelli grigi ricorda già all’inizio degli anni Ottanta forme di aggregazione e di militanza interconfessionale in determinate aree del Paese, per esempio nella Sicilia orientale quando si protestava contro l’installazione di basi missilistiche della Nato a Comiso.

     Non mi pare, però, che sia stato sinora notato un terzo livello nei processi ecumenici: un livello ancora più informale, più spontaneo, più sfuggente rispetto alle iniziative delle chiese locali. Mi riferisco a un fenomeno sociologico sempre meno infrequente, soprattutto nelle grandi città, che coinvolge cristiani (o aspiranti tali) in sincera ricerca di persone e ambienti capaci di accoglierli non solo con gentilezza e affabilità (il che non è poco e non è così diffuso), ma con autentica apertura alla loro problematicità, alla loro inquietudine. Ogni comunità – cattolica o protestante, per non allargare lo sguardo sino alle comunità ebraiche o islamiche o induiste – ha una propria identità, una propria tradizione, starei per dire una propria personalità. Questo non è solo inevitabile, ma anche positivo. In società sempre più anonime, le aggregazioni religiose devono parte del proprio fascino proprio a questo carattere di specificità, di memoria della storia e di progetto per l’avvenire. Le difficoltà sorgono quando i simboli identitari, i patrimoni di fede, le narrazioni locali finiscono  - intenzionalmente e spesso anche involontariamente – col perimetrare un’esperienza comunitaria sino al punto da chiuderla rispetto all’esterno: il confine diventa bastione, ciò che lega gli interni re-lega gli estranei.  Allora quella comunità dà per ovvia, per scontata, la condivisione di credenze, di norme di comportamento, di stili di vita: chi bussa alla porta viene accolto ma gli si fa capire, con modi più o meno espliciti, che o si adegua o ritorna da dove è partito.

        Diciamolo con chiarezza: una certa dose di protettività è fisiologica. Nessuna collettività può permettersi il lusso di rimettere in discussione i propri fondamenti ogni volta che un altro chiede di farne parte.  E’ la logica per cui alcuni pensiamo che l’Italia debba accogliere chiunque voglia venire a vivere, a lavorare e a morire dentro i suoi confini, tranne quanti  - extracomunitari poveri come certi nigeriani o straricchi come certi svizzeri – non accettino gli articoli della Costituzione italiana. Devono anche preferire Dante anzicché Shakespeare, Manzoni anzicché Tolstoj, Lucio Battisti anzicché Louis Armstrong?

          Torniano allora alle comunità cristiane. Un antico adagio recita: unità nelle questioni essenziali, libertà nelle opinabili, carità in tutto.  Esse devono tenere duro su alcuni princìpi, ma proprio tra questi princìpi rientra la tolleranza verso ciò che non è centrale. E quale può essere il criterio di giudizio se non il vangelo di Gesù?  In base ad esso, una comunità deve difendersi dalle infiltrazioni degli ipocriti, dei mafiosi, dei corrotti e dei corruttori; ma deve spalancare le porte ai figliuoli prodighi, ai pubblicani in crisi, alle prostitute desiderose di cambiar vita. Già nell’annunziare il vangelo dovrebbe tener presente la situazione spirituale non solo dei vicini, ma anche dei lontani; non solo di chi (a ragione e spesso a torto) vive beatamente una fede senza dubbi e senza angosce, ma anche di chi avverte l’esigenza di avvicinarsi a Dio “in spirito e verità”, senza conformismi né fideismi sentimentali.

           Ebbene, sempre più numerose sono le persone che intuiscono quali comunità cristiane (cattoliche o protestanti) praticano l’accoglienza evangelica a trecentosessanta gradi  e quali sono troppo preoccupate di preservarsi dagli interrogativi e dalle inquietudini del “mondo”. E scelgono. Per un periodo frequentano una chiesa, per un altro un’altra chiesa; nella propria città riconoscono come punto di riferimento evangelico un prete, nella città in cui lavorano si trovano meglio con una pastora… Come denominare questo fenomeno sociologico  senza qualificarlo già, con disapprovazione o con incoraggiamento, in virtù degli aggettivi prescelti?  Un ecumenismo selvaggio, individualistico, qualunquistico o non piuttosto molecolare, selettivo, radicale nel senso che fiuta la radice delle differenze?

                                                            Augusto Cavadi

                                                                     
Il Direttore di "Riforma" sarebe interessato a ospitare interventi, consistenti ma non troppo estesi, sulla problematica da me sollevata.
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Stefania Borghi recensisce "Beato fra i mafiosi"



La comprensione della poliedricità del fenomeno mafioso e la condotta che ne consegue rappresentano insieme l’atto intimidatorio più efficace contro la criminalità organizzata. Don Pino ha incarnato questo potente binomio, tanto da assurgere a emblema della lotta per la liberazione dalla sudditanza malavitosa ma, questo stesso fatto, rischia di pietrificare la portata rivoluzionaria della sua condotta in un’immagine sfocata, adatta ad essere rispolverata una volta l’anno per le celebrazioni di rito per poi venir prontamente riposta con cura in un angolino dell’immaginario collettivo.
Beato fra i mafiosi. Don Puglisi: storia, metodo, teologia (Di Girolamo, pp.200, € 15,00), scritto da Augusto Cavadi, Francesco Palazzo e Rosaria Cascio, si prefigge l’ambizioso compito di restituire corpo e volto alla figura del prete palermitano, riconsegnando alla sua concreta azione quel tratto vivido e indispensabile a comunicare a chi legge il profondo e complesso significato dell’impegno profuso.
Perché il parroco dai toni dimessi, dalla presenza pacata, dalla condotta calma e paziente, mai impulsiva o esasperata, divenne un pericolo tanto grave per l’azione della criminalità organizzata? Questo è l’interrogativo a partire dal quale si dispiega il filo conduttore che guida l’analisi sviluppata nel volume.
Il testo ricostruisce con cura l’ordinaria straordinarietà di quest’uomo e propone un racconto alternativo che individua con precisione il contesto storico-sociale nel quale si è inserita l’azione del presbitero e rivela le origini dell’elaborazione del cosiddetto “metodo Puglisi”. Infine, si interroga su quale sia il valore teologico da attribuire alla sua uccisione, comunicando una visione nuova, libera dalla mole di equivoci che si sono sedimentati in questi anni, circa l’effettiva incidenza della condotta tenuta da don Pino nel contesto sociale in cui ha operato.
Una volta specificati i momenti salienti della formazione spirituale, affinata sul campo, e indicati i principi che hanno ispirato il quotidiano lavoro del parroco, vengono portati alla luce i tratti essenziali della metodologia di lavoro che padre Puglisi ha assunto anche nella sua ultima missione. L’aggiornamento continuo degli eclettici studi teologici, filosofici e sociologici affrontati, ha sostenuto e reso ancora più efficace l’operato pastorale sia sul pulpito sia all’esterno delle mura della chiesa, garantendo un costante afflusso di linfa vitale all’instancabile e pluridirezionale impegno speso costantemente a favore della collettività.
Egli inizia il mandato a Brancaccio con la cautela che gli è propria, studia il contesto sociale in cui si trova ad operare e instaura strette collaborazioni con le realtà assistenziali e di volontariato già esistenti. Così, nel quartiere stringe un profondo sodalizio con il Comitato Intercondominiale “Hazon”, movimento nato per rivendicare e ottenere dalle istituzioni quei servizi essenziali considerati essenziali in ogni consorzio civile, ma lì assenti, a partire dalla rete fognaria. Il Comitato è molto attivo, si batte anche per la costruzione di una scuola media, per la creazione di un distretto socio-sanitario e il legame che don Pino intesse con questa organizzazione suscita ben presto forti fastidi.
Padre Puglisi, infatti, non è interessato a svolgere attività di mero assistenzialismo passivo, ma si impegna giorno dopo giorno in un’azione sociale finalizzata a «creare la fine della dipendenza degli assistiti» e lavora senza tregua con gli adulti del territorio che «vogliono per il quartiere diritti e non favori». È proprio questo incessante e sistematico impegno a rivelarsi tanto pericoloso per la criminalità organizzata: se le persone cominciano a scommettere sulle proprie capacità e potenzialità, a sperimentare la possibilità di uscire da condizioni di subalternità, il consenso in favore della mafia rischia di venir meno.
Sulla scia di questo suo agire, don Puglisi matura il proposito di realizzare una struttura in grado di supplire alle gravi carenze sociali esistenti nel quartiere e per tale motivo, con instancabile pazienza e incrollabile fiducia, nel gennaio 1993 inaugura il centro di accoglienza Padre Nostro. Cominciano allora a intensificarsi le intimidazioni, egli infatti conosce l’ambiente e i pericoli che possono «scaturire da un’azione mirata a scalfire marginalità e soprusi», eppure con il fare pacato che gli è proprio non desiste, ma riesce addirittura a compiere l’insperato: crea modelli di vita alternativi a quelli imposti dalle cosche. Il suo instancabile esempio materializza la possibilità di edificare realtà sociali e vite individuali dignitose, libere da ricatti mortificanti; pur non lanciandosi in virulenti attacchi frontali contro la criminalità organizzata, dimostra che un’esistenza diversa è praticabile e invita ogni singola persona all’impegno quotidiano.
Questo suo operato ha contribuito anche a scolpire un nuovo modello di presbitero che «assume come proprio compito pastorale il riscatto culturale, civile, economico del territorio» e il testo prospetta un’interessante riflessione sul significato teologico dell’uccisione di Padre Puglisi. Egli è un martire della fede perché ha incarnato il messaggio autentico del Vangelo: il suo impegno e la sua beatificazione hanno «rivoluzionato il modello della santità cattolica», smascherando quella religione priva di fede che si trincera dietro un «atteggiamento astrattamente neutrale» giustificato dalla scaltra e opportunistica interpretazione secondo la quale la Chiesa non può schierarsi a favore di alcuni a discapito di altri.
Don Pino non si è mai scagliato contro nessuno, non ha lanciato invettive furiose ma, con la pratica sempre coerente ai principi testimoniati, è riuscito a conquistare la fiducia delle persone, a contagiarle con la sua umanità, trasmettendo loro valori positivi e aprendo squarci di luce inaspettati. Il semplice e ossequioso rispetto per il dettato evangelico assume così una carica eversiva per il potere della mafia, perché ne sconfessa tutti i dogmi. Il piccolo parroco «ha strappato la maschera al Dio dei mafiosi… E molti cattolici hanno scoperto, con sgomento, che quel volto – assai distante dal Dio di Gesù – assomiglia inquietantemente al Dio della loro formazione catechistica, delle loro tradizioni familiari…».
Con equilibrata fermezza ha concretizzato un modello civico di lotta nonviolenta; la capillare condotta intrapresa, la sua perseverante pressione nei confronti delle istituzioni e, soprattutto, l’aver acquisito credibilità agli occhi degli abitanti del quartiere, hanno fatto vacillare le fondamenta del consenso di cui la mafia da sempre si nutre. L’azione pastorale da lui innescata ha aperto la comunità ecclesiale alle esigenze del mondo circostante e ha comunicato a ciascuno l’idea rivoluzionaria di pensarsi come attore della propria vita, non più vittima passiva e inconsapevole del fato.
Bandito qualsiasi tentativo di osannare la figura di padre Puglisi, il testo propone spunti di riflessione non scontati, capaci di attribuire rinnovato vigore al messaggio del parroco che, come afferma Salvo Palazzolo, in una delle preziose testimonianze presenti nel libro, è stato ucciso perché «aveva annunciato il futuro nel quartiere che futuro non doveva avere».
Stefania Borghi
(www.excursus.org, anno VI, n. 56, marzo 2014)