mercoledì 24 aprile 2024

Pace nel Mediterraneo: un ruolo anche per le Chiese cristiane?

 Negli ultimi tre millenni almeno il Mediterraneo si è presentato ambivalentemente come crocevia di sapienze, ma anche di conflitti. Le cronache incredibilmente dolorose di questi giorni lo confermano. Cosa possono fare le Chiese cristiane in generale e la Chiesa cattolica in particolare?

Con Edgar Morin direi, innanzitutto, che ogni riforma seria parte da una revisione del pensiero. Ho curato nel 2019 l’edizione italiana di un suo breve, ma intenso testo (Pensare il mediterraneo, mediterraneizzare il pensiero),  di cui non saprei restituire i finissimi ricami  intellettuali. In sintesi un po’ brutale si potrebbe dire che occorre da una parte conoscere il Mediterraneo, la storia delle sue civiltà antiche, delle sue religioni tuttora perduranti, delle sue tensioni politiche e socio-economiche attuali; ma, dall’altra, lasciare modificare dal Mediterraneo la propria mente,  la propria postura intellettuale. Che, tra molto altro, significa consentire alla pluralità dei punti di vista di impedire l’irrigidimento dei fondamentalismi esclusivisti ed escludenti; di imparare che “relatività” non è “relativismo” perché, se ritengo inaccettabile ogni assolutizzazione, non posso assolutizzare neppure il principio di relatività. Ma – la domanda s’impone –  nelle scuole cattoliche, nelle facoltà cattoliche, nelle associazioni cattoliche, nelle parrocchie vi è questa conoscenza elementare del contesto geo-culturale in cui ci è capitato di nascere? Che sappiamo della sapienza greca, dell’ebraismo, dell’islamismo (ammesso che sappiamo qualcosa del cristianesimo)?  E, soprattutto, vi è la consapevolezza  che essere cristiani non significa possedere in maniera totale la verità sull’uomo, sulla storia, sull’universo? Se non vogliamo trastullarci con giochi di prestigio non possiamo negare che la fede monoteista, che si ritiene che rivelata in Scritture sacre, costituisce un grave rischio: chi è convinto di avere il monopolio del Divino difficilmente tollera concorrenti e, ancora meno, si pone in ascolto per ricevere da altri correzioni e integrazioni.

L’autocritica intellettuale in ambito cattolico può considerarsi a buon punto solo quando si perviene alla conclusione che la ricerca della verità teoretica è irrinunciabile nell’esperienza antropologica, ma che in questa ricerca il vangelo non ci può essere di particolare soccorso. Esso, infatti, racconta la vicenda straordinaria di un predicatore nomade palestinese che non era un intellettuale, bensì un testimone. Un maestro di vita, di azione, di atteggiamento rispetto all’umanità e alla natura: la sua filosofia, più che amore per la sapienza (in senso greco), era sapienza dell’amore (in senso ebraico). Il tentativo rivoluzionario di papa Francesco – che gli attira non per caso gli strali più feroci da parte di preti e fedeli sedicenti conservatori – è proprio questa conversione di registro: ricordare che il cristianesimo non è nato come ortodossia di una scuola, ma come ortoprassi di un movimento religioso e sociale. Qualcuno ha detto acutamente che la prima vera enciclica di papa Bergoglio non è stata la Lumen fidei del 2013 che Benedetto XVI aveva redatto in gran parte e aveva lasciato per così dire in eredità da firmare, bensì il suo viaggio a Lampedusa. Se questa torsione dal primato della teoria al primato della pratica fosse evangelicamente fondata, si imporrebbe un’altra domanda: cosa stanno facendo i credenti per dare un proprio contributo ai terremoti costituiti dai flussi migratori in corso? Periodici giornalistici di chiaro orientamento partitico, ignari di fare buona pubblicità,  hanno accusato alcuni vescovi di finanziare delle ONG dedite al salvataggio di migranti in mare e, da varie fonti ufficiali, si sa dei canali “umanitari” di immigrazione legale attivati in sinergia da associazioni cattoliche come Sant’Egidio e alcune Chiese riformate: ma le centinaia, anzi migliaia, di parrocchie, conventi ormai in disuso o trasformati in alberghi, seminari vescovili  occupati da giovani in numero decrescente…perché non accolgono stabilmente degli immigrati, anche impiegandoli in dignitose attività remunerate? Sarebbe una strategia efficace materialmente e, almeno altrettanto, simbolicamente.

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venerdì 12 aprile 2024

COME CAMBIARE IL MONDO DOPO IL TRAMONTO DELLA POLITICA

 Chi sin dagli anni Sessanta del secolo scorso ha investito il meglio di se stesso per curare la polis, trovandosi ai nostri giorni nel mezzo di una Terza guerra mondiale “a  pezzi” (papa Francesco) e nella previsione scientifica di un disastro ambientale planetario irreversibile,  è tentato o di ripiegarsi nella disperazione o di concentrarsi nell’accaparramento di tutto l’utile egocentrico ancora disponibile. Qualcuno, testardamente, cerca strade nuove per perseguire ideali antichi. E’ il caso di Annibale C. Raineri che in Ancora. Cambiare il mondo nel tramonto della politica (Navarra, Palermo 2022) racconta, in una sorta di zibaldone in cui intreccia vari generi letterari, la sua storia e soprattutto la sua ricerca attuale.

Non so che effetto possa avere in un giovane, ma per coetanei dell’autore – come me – si tratta di una lettura davvero interessante, a tratti avvincente. La nostra generazione di ultrasettantenni è orfana di qualcuna delle “grandi narrazioni” tramontate (nel caso di Raineri del marxismo-leninismo) ed è segno di maturità riconoscere il valore di ciò che si è perduto senza nasconderne i limiti oggettivi. Poiché non ci si impegnava solo intellettualmente, si è rimasti orfani anche di organizzazioni collettive alle quali si affidava la propria intera esistenza nella certezza che esse, in cambio, avrebbero realizzato i mutamenti colossali impossibili agli individui isolati (nel caso di Raineri la CGIL prima, Rifondazione Comunista dopo) (pp. 120 – 135). E adesso – nel tempo in cui, secondo la fulminante battuta di Altan, l’utopia non è al governo ma neppure all’opposizione – che resta?

Nel diluvio generale, non resta che costruirsi un’arca che, nel caso dell’autore, è l’ Arca di Lanza del Vasto, un movimento d’ispirazione gandhiana fondato in Francia nel 1948 e presente in vari continenti. Raineri, scoperta questa proposta di paradigma interpretativo e operativo, vi ha aderito con la moglie Cecilia sino a diventare responsabile della comunità siciliana delle “Tre finestre” a Belpasso, nelle pendici dell’Etna: si è trattato – come spiega egli stesso - di intraprendere una via di “rivolgimento” del “lungo processo di occidentalizzazione/modernizzazione del mondo” che può apparire “propriamente reazionaria (anzi cattolico-reazionaria, cosa che ad una persona come me , che si professa atea e con una lunga militanza non rinnegata nella estrema sinistra, ha creato non poche difficoltà di approccio). Ma rivoluzionare ha un vincolo essenziale con ‘rivoltare’, ed io credo che oggi, se accettiamo il rischio di porci all’altezza del tempo che viviamo, siamo obbligati dalla cosa stessa a tentare un pensiero rivoluzionario nel senso del rivoltamento ” (p. 176).

La trama di questo progetto di “sottrarsi alla logica che produce il diluvio, sottrazione come atto positivo di assunzione di un altro punto di vista e di un altro modo-d’essere” (p. 204) rispetto alla triade guerra/capitale/patriarcato, viene esposta in dialogo con giganti del passato (da Sofocle a Marx e Weber) ed anche con Simone Weil, Christa Wolf, Hannah Arendt, Walter Benjamin e molte altre figure dell’ultimo secolo e mezzo: una trama impossibile da riprendere, almeno in questa sede, senza banalizzarla eccessivamente. 

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martedì 9 aprile 2024

sabato 6 aprile 2024

LA MESSA E’ FINITA?

“ADISTA /Segni nuovi”

12.4.2024


Nel suo recentissimo La messa è sbiadita. La partecipazione ai riti religiosi in Italia dal 1993 al 2019 (Rubbettino Editore, Soveria Mannella 2024) il sociologo Luca Diotallevi rappresenta in numeri ciò che, a naso, tutti abbiamo constatato in questi anni: una decrescita quantitativa dei frequentatori abituali di celebrazioni liturgiche in generale e delle messe domenicali in particolare (passati dal 37,3% del 1993 al 23,7% del 2019). Se si considera che il trend negativo non è stato certo frenato nei tre anni di covid e che, comunque, gli anziani che non rinunziano alla funzione festiva sono più dei giovani, tutto fa supporre che le chiese si svuoteranno quasi completamente nel prossimo decennio (attestandosi a una media europea di fedeli  del 10% circa della popolazione complessiva).

Le (poche) reazioni a questi dati statistici sono ovviamente differenziate.

La più miope è probabilmente da parte delle aree tradizionaliste e conservatrici che, non senza fallacia logica, attribuiscono questi effetti negativi a eventi solo cronologicamente antecedenti (ad esempio il passaggio dalla lingua latina alle lingue nazionali o dal piglio autoritario di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI allo stile comunicativo più mite e dialogico di un papa Francesco).

Solo apparentemente opposta la reazione da parte delle aree progressiste del mondo cattolico che lamentano un’eccessiva cautela nel rinnovamento liturgico e ipotizzano curve statistiche più incoraggianti nel caso che si fosse stati più audaci nelle sperimentazioni (ad esempio innovando i generi musicali o introducendo forme di danza): infatti anche questi settori riformisti sembrano non cogliere il nocciolo della questione. Che, ad avviso mio ma non soltanto mio, è individuabile solo se si prende sul serio il nesso (più volte evidenziato nella storia bimillenaria del cristianesimo) fra lex orandi e lex credendi : se è possibile risalire dalle  modalità della preghiera liturgica alle convinzioni di fede, perché non sarebbe altrettanto logico e legittimo risalire dalle difficoltà delle celebrazioni al traballare delle credenze? Il cuore della crisi è dottrinario, teologico: le parole, i gesti, i simboli delle liturgie veicolano dogmi, annunzi, professioni ricevibili a-problematicamente solo da persone che non capiscono  che cosa ascoltano e che cosa ripetono pappagallescamente. Sin dal segno della croce iniziale affermiamo di sapere non solo che Dio è, ma anche chi è: una comunità trinitaria. Poi, via via, che il Secondo dei Tre ha assunto nel tempo la natura umana (così che Gesù va adorato non come una persona umana colmata dalla grazia divina, ma come una Persona divina che senza cessare di essere tale ha fatto proprie alcune caratteristiche antropologiche); che questa “incarnazione” è stata funzionale alla morte redentiva dell’Agnello senza la quale l’umanità sarebbe rimasta per sempre ciò che l’avrebbe resa un’improbabile coppia di progenitori: una “massa dannata”. E così via fantasticando, sino ai dogmi mariani, all’angelologia e alla demonologia. Senza questi presupposti ritenuti indiscutibili perché inspiegabili, che senso hanno – nella formulazione attuale – i sacramenti e, in particolare, l’eucarestia? Ma se le scienze bibliche ci mostrano al di là di ogni ragionevole dubbio che l’intera catechesi cattolica non poggia sui Sacri Testi e che, anche se qua e là così fosse, tali Testi non sono più “sacri” della grande letteratura religiosa di tutte le epoche e di tutte le aree del pianeta, con che leggerezza di cuore si possono celebrare le liturgie sacramentali ? Solo quattro leghisti di provincia e quattro fascistelli di periferia urbana possono trovare senso nelle cerimonie tradizionali (che per altro difendono più di quanto effettivamente le frequentino) nel tentativo di aggrapparsi a radici identitarie per rinfocolare l’odio (anti-evangelico) contro gli stranieri.

Se la Chiesa cattolica rinunziasse alla sessuofobia genetica consentendo ai preti di vivere non più clandestinamente la propria vita sessuale (etero ed omo-affettiva); se abolisse le relazioni di potere fra clero e fedeli che stanno alla radice di tanti abusi psicologici e fisici; se riconoscesse anche istituzionalmente la pari dignità di maschi e femmine; se avesse meno miliardi nelle banche, meno cardinali corrotti, meno esenzioni fiscali…tutto questo sposterebbe di molte unità le statistiche dei fedeli praticanti? Sono certo di no. Non è vero che le masse disertano le messe perché scandalizzate dal comportamento dei sedicenti credenti e, di conseguenza, smettono di “credere”; piuttosto smettono di “credere” quando sia pur minimamente leggono, riflettono, si confrontano fra loro e con gli studiosi competenti e, di conseguenza, non vanno più a messa. Non è l’eclissi della preghiera comunitaria a provocare l’abbandono delle professioni di fede, ma l’abbandono delle professioni di fede a provocare l’eclissi della preghiera comunitaria.

La Chiesa cattolica dal Concilio di Trento al Modernismo della prima metà del XX secolo ha consumato un divorzio dalla filosofia, dalle scienze umane e naturali, dai grandi movimenti di liberazione sociale e politica riducendosi alla caricatura di ciò che era in origine: una comunità soft, organizzata in maniera ‘leggera’, di quanti – innamorati della proposta evangelica di rendere l’inferno della storia un paradiso divino innaffiato di giustizia, solidarietà, libertà, nonviolenza, speranza, coltivazione della Terra e condivisione gioiosa dei suoi frutti – si volevano sostenere a vicenda nel perseguimento di questo ideale e nella testimonianza corale della sua validità al cospetto del “mondo”. Invece si è chiusa a riccio nella sua arrogante presunzione di aver capito tutto, di non aver nulla da imparare da nessuno, di aver tutto da insegnare a tutti. Se per ‘fede’ intendiamo un’apertura incondizionata all’essere, al vero, al bene, al bello, al santo… la comunità dei cristiani ha soffocato la sua “fede” imprigionandola progressivamente in una matassa ingarbugliata di speculazioni teologiche e di divieti morali.  Ne ha sterilizzato la tensione rivoluzionaria originaria e l’ha imbalsamata nel format tipico della “religione” burocratizzata.

E’ ancora in tempo per rifondarsi, per confessare la fragilità dei propri fondamenti dottrinari e per affrontare una stagione radicalmente nuova di domande, di dubbi, di ipotesi…abbarbicandosi all’unica certezza della regola aurea (“fare agli altri ciò che si volesse che gli altri facessero a noi”), proposta prima e dopo di Cristo da altri profeti e sapienti, ma dal Maestro palestinese riproposta con particolare intensità di accenti ed eloquenza d’esemplarità? Francamente ritengo che sia troppo tardi. Vediamo che neppure i più timidi tentativi di un papa  - pur preceduto nel passato e sostenuto nel presente da tanti bravi credenti – riescono ad arrivare a realizzarsi per l’opposizione, esplicita o sorda, degli “ortodossi” (tanto più pericolosi quanto più sinceramente convinti di stare difendendo la “rivelazione” di un Dio infallibile).

Se le mie previsioni si rivelassero veritiere, non per questo l’umanità dovrebbe sprofondare nella disperazione. La storia umana è un terreno zeppo di semi preziosi da Socrate a Budda, da Confucio a Gesù, da Francesco d’Assisi a Teresa d’Avila, da Shakespeare a Leopardi, da Gandhi a Che Guevara, da Martin Luther King a Nelson Mandela, da Albert Schweitzer a Thich Nhat Hanh, da Rita Levi Montalcini a Liliana Segre: si tratta di rintracciarli devotamente, di provare a trapiantarli nelle nostre vite, di lasciare che crescano ed esplodano in forme inedite. Questa è la Tradizione nel senso più autentico, ricco, promettente: esattamente all’opposto del tradizionalismo necrofilo, che preserva mummie, porta in grembo l’unico futuro possibile in alternativa al suicidio collettivo.

                                                       Augusto Cavadi 

martedì 2 aprile 2024

C’E’ AUDACIA E AUDACIA: IL DIFFICILE EQUILIBRIO TRA RASSEGNAZIONE E FANATISMO


“Frontiere della scuola”

2024 /1

In molte imprese ci vuole coraggio: forza interiore nel vincere la paura – specie quando è giustificata oggettivamente – e nell’attuare sino in fondo i propri propositi. Quando il coraggio si esercita non più nell’ambito del noto, dello sperimentato, ma dell’ignoto, dell’inedito, si colora di venature particolari: diventa audacia. Si tratta di una qualità positiva, di una virtù? Di per sé è preferibile alla vigliaccheria, all’accontentarsi timoroso di chi rimane rintanato nella propria cuccia e si abbarbica alla banalità del conformismo e del tradizionalismo. Ma, come ogni virtù, l’audacia non è un valore assoluto. Dipende infatti dal lasciapassare della prudenza, della saggezza, del saper vivere.

Audacie sconsigliabili

Senza, o contro, l’approvazione del buon senso (che non coincide con il senso comune!), l’audacia rischia di degenerare in temerarietà, in velleitarismo. Lo sprezzo del pericolo diventa sprezzo del ridicolo: l’ammirazione lascia il posto alla commiserazione. Se uno perde la libertà o la salute o la vita stessa in tentativi puramente esibizionistici, o comunque non funzionali al miglioramento della vita propria e/o comune, non merita alcuna gratitudine. Al massimo, un accenno di compatimento. I meriti dell’audace sono una variabile dipendente dalla consistenza etica e dalla condivisibilità sociale dei fini in vista dei quali egli agisce. La storia di ieri e la cronaca dei nostri stessi giorni pullula di audaci di cui avremmo fatto volentieri a meno: specie quando mettono a repentaglio la propria vita nel tentativo, cieco e spietato, di eliminare la vita altrui.

L’elenco delle audacie fuori luogo, controproducenti, sconsigliabili sarebbe interminabile. Quanti miliardi di persone hanno sacrificato benessere e affetti, persino la sopravvivenza biologica, per obbedire a capi politici ambiziosi? Per ottemperare agli ordini insani di strateghi militari? Per diffondere ideologie sono molto parzialmente lucide? Per verificare prematuramente, in concorrenza con la comunità scientifica, ipotesi teoriche e apparecchiature tecnologiche? Per raggiungere nell’aldilà paradisi improbabili promessi da sedicenti profeti dissennati? I cimiteri sono zeppi di audaci tra i quali non è facile distinguere i benefattori dell’umanità dagli assassini presuntuosi, spesso prime vittime della loro insipienza. Infatti i più pericolosi fra gli spericolati sono i soggetti, i gruppi, le associazioni in buona fede: a differenza dei delinquenti che sanno di delinquere, solo in casi rarissimi i fanatici sono in grado di ricredersi. Il monito di Gaetano Salvemini non ha perduto d’attualità: “Chi è convinto di possedere il segreto infallibile per rendere felici gli uomini, è sempre pronto ad ammazzarli” (ho contestualizzato questa frase nel mio La bellezza della politica. Attraverso e oltre le ideologie del Novecento, Di Girolamo, Trapani 2011, p. 31).

Audacie auspicabili

Ci è toccato di vivere un’epoca di amare delusioni collettive. Ci sentiamo traditi da troppe strategie imperialistiche, da troppe offerte di felici immortalità biologiche, da troppe chiese infallibili solo nel pronunziare dogmi e precetti che, puntualmente, si rivelano insostenibili. Abbiamo verificato la tragica verità dell’espressione di Paul Claudel: “Chi cerca di realizzare il paradiso in terra, sta in effetti preparando per gli altri un molto rispettabile inferno”. Il variegato mondo dell’informazione ci squaderna sotto gli occhi una quantità di dolori, di ingiustizie e di sofferenze, sproporzionatamente al di sopra della nostra capacità di sopportazione emotiva. Il cuore non regge e sprofondiamo nel sentimento paralizzante dell’impotenza. Ogni abbozzo di coraggio, di ribellione, di progettazione alternativa viene soffocato sul nascere. L’audacia non ha il tempo di essere soppesata dalla prudenza: muore già in culla.

In gioventù la mia generazione ha conosciuto la speranza (in parte illusoria, in parte fondata) che dove non arrivava l’individuo potesse arrivare il collettivo: il sindacato o il partito politico e – attraverso questi organismi – il governo nazionale e le organizzazioni internazionali. Ma, dagli anni Ottanta del XX secolo, la fiducia in questi canali di partecipazione è crollata: la politica, liberatasi allegramente dalle remore dell’etica, si è trovata indifesa davanti ai tentacoli dell’economia (liberistica). Ci si guarda intorno smarriti né la voce isolata di un papa (in alcuni casi persino ‘audace’) può costituire più di un faro nella notte: anche se l’ecologia valesse bene una messa, neppure un cattolico può far finta di poter contare sull’accordo unanime dei suoi confratelli né escludere che con il decesso di questo pontefice la sua Chiesa ritorni al moderatismo equilibrista precedente.

In queste contingenze storiche non resta – secondo il detto orientale – che accendere una candela piuttosto che maledire l’oscurità. Come i giovani tedeschi della “Rosa Bianca” per i quali fare politica sotto la dittatura nazista era ancora più necessario proprio perché ogni speranza ragionevole era stata brutalmente cancellata dall’orizzonte.

Ma si tratta di fare appello soltanto, o principalmente, allo sdegno emotivo? Alla protesta viscerale? All’insopportabilità dell’assurdo?  Per alcuni sarà sufficiente (anche a costo di saltare dalla passività rinunciataria al fanatismo iperattivo).  Altri, invece, abbiamo bisogno di ragioni convincenti. Come le considerazioni del poeta Edgar Lee Masters che fa confessare a George Gray, un protagonista della sua Spoon River Anthology, le conseguenze amare della propria viltà. George, in vita, ha preferito l’inazione al rischio di fallire: ma adesso, da morto, capisce che proprio la tiepidezza inerte è il più sicuro e disastroso dei fallimenti. Infatti: “l’amore mi si offrì e io mi ritrassi dal suo inganno;/ il dolore bussò alla mia porta, e io ebbi paura;/l’ambizione mi chiamò, ma io temetti gli imprevisti./ Malgrado tutto avevo fame di un significato nella vita./ E adesso so che bisogna alzare le vele/ e prendere i venti del destino,/dovunque spingano la barca./ Dare un senso alla vita può condurre a follia/ ma una vita senza senso è la tortura/dell’inquietudine e del vano desiderio -/ è una barca che anela al mare eppure lo teme” (la traduzione einaudiana è di Fernanda Pivano).

In questo scenario, l’audacia auspicabile acquista il volto della resilienza. Più che gesti clamorosi di leader carismatici – ben vengano nuovi santi, nuovi eroi ad accendere l’immaginario collettivo in letargo, purché senza pose da prime donne ! – servono piccole comunità che preservino alcuni tesori dalla vandalizzazione dilagante. Servono team affiatati che, senza invidie né gelosie, osino scommettere su una società ragionevole pur nell’epoca dell’irragionevolezza: osino sapendo che l’improbabile, qualche volta, accade. Maurizio Pallante ed altri in Italia lavorano da tempo per costruire “monasteri laici” dove sperimentare forme di spiritualità post-religionaria (cfr. Monasteri del terzo millennio, Lindau, Torino 2015) . Annibale Raineri, con altri discepoli di Lanza del Vasto, è impegnato nella costruzione di “arche” – modeste barchette – per ospitare chi desideri salvarsi dal diluvio e trasmettere alle generazioni future la memoria di un’umanità sobria, solidale, pacifica, equa, rispettosa dei viventi e dell’intero cosmo (cfr. Ancora. Cambiare il mondo nel tramonto della politica, Navarra, Palermo 2022). Servono – se non si tratta di ossimori irrealizzabili – il coraggio della pazienza e l’audacia della lungimiranza.

Magari tra pochi secoli risulterà l’inutilità di tutto questo perché l’umanità, dopo aver compromesso irreversibilmente l’equilibrio dell’ecosistema, si suiciderà sotto una pioggia di bombe atomiche. E’ un’ipotesi che solo gli osservatori superficiali possono escludere. Se, malauguratamente si dovesse realizzare, avremmo la prova che – a causa di maggioranze idiote - non è sempre vero che la fortuna soccorra gli audaci.

Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com

venerdì 29 marzo 2024

Franz Jägerstätter, obiettore di coscienza alla guerra nazi-fascista

 

E. Putz, Franz Jägerstätter. Un fulgido esempio in tempi bui, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2023, pp. 209, euro 16,90

 

In tutti i periodi bellici – e purtroppo a ottant’anni dalla fine della II Guerra mondiale sul pianeta non ci sono stati ancora periodi non bellici – la maggioranza della popolazione ritiene ovvio (non solo più comodo, ma perfino più giusto moralmente) adeguarsi alle decisioni dei rispettivi governi in carica e imbracciare le armi. Solo sparute minoranze, prima di obbedire agli ordini, ritengono lecito – anzi, doveroso – pensare. E giudicare se la guerra a cui dovrebbero partecipare sia una guerra di difesa da invasori ingiusti (e, in questa ipotesi, se la difesa armata sia la più efficace)  oppure una guerra aggressiva, scatenata per motivi imperialistici.

Anche durante il nazifascismo tedesco (1933 – 1945) la maggioranza della popolazione accettò come sacrosanta la politica di Hitler e dei suoi sadici collaboratori e solo una piccola, ma significativa, minoranza espresse un rifiuto netto e argomentato. Fra questi obiettori di coscienza rientra il contadino austriaco Franz Jägerstätter (1907 – 1943) che, benché marito innamorato e padre affettuosissimo di tre bambine, a soli 36 anni accettò la ghigliottina pur di non tradire la sua coscienza civile (di austriaco) e religiosa (di cattolico). Lo scrivono gli stessi giudici della sentenza di condanna a morte: “Era giunto alla convinzione che, come cattolico credente, non potesse prestare servizio militare: non poteva essere contemporaneamente nazionalsocialista e cattolico: ciò era impossibile” (p. 177).

Questa motivazione teologica, che alle orecchie di molti di noi contemporanei potrebbe suonare laudativa, nell’intenzione dei magistrati meritava di essere sottolineata in quanto aggravante che legittimava l’indifferibilità della pena capitale: infatti, dal momento che la maggioranza degli austriaci si dichiarava cattolica, la decisione di Jägerstätter si sarebbe potuta rivelare pericolosamente contagiosa. Il renitente alla leva  (per quanto disposto a prestare servizio nei settori sanitari), già isolato dalla maggioranza dell’episcopato, del clero e dei correligionari della sua nazione, andava stroncato al più presto. La strategia sembrò ottenere risultati talmente efficaci che, ancora per decenni dopo la fine del conflitto mondiale, la Chiesa cattolica (austriaca, ma non solo) si adopererò per evitare che la vicenda del suo eroico figliolo venisse conosciuta. Prevalse il timore (fondato!) che “i reduci di guerra avrebbero domandato perché mai la Chiesa non avesse detto loro in tempo che i veri eroi sono coloro che non combattono” (p. 167). Si sarebbe dovuto fare apertamente autocritica, chiedere perdono per un atteggiamento talmente cauto da rivelarsi pavido; ma, “chiaramente, non si voleva perdere la faccia in questo modo” (ivi). Fu necessario, dopo un travagliato iter, attendere la messa per il 40° anniversario dell’assassinio di Jägerstätter (1983) perché il nuovo vescovo della sua diocesi di appartenenza (Linz) lo presentasse  come “un autentico esempio di vita cristiana e questa volta senza più tentennamenti né riserve” (p. 171). Solo nel 2007 la Congregazione vaticana delle cause dei santi riconoscerà il martirio di Franz, “aprendo così la strada alla beatificazione” (p. 172), celebrata nello stesso anno. La sua testimonianza, nella misura in cui non viene relegata a vicenda eccezionale di un credente illuminato da ammirare più che da imitare (come sostenne il vescovo Fließer, p. 162), “ pone in crisi” – come scrive, nella sua incisiva Postfazione,  Sergio Tanzarella – “qualsiasi giustificazione dell’area grigia della società che, allora come ora, non partecipa al male ma lo permette restando semplicemente anonima spettatrice” (p. 193).

Tra le numerose sollecitazioni che questa storia affascinante suscita in noi credenti del XXI secolo vorrei sottolinearne una. Franz Jägerstätter è stato sostenuto da una fede forte, essenziale, ma tutta interna a un orizzonte cattolico tradizionale (oggi diremmo ‘religionale’ e ‘teistico’): nei momenti di sconforto, egli si aggrappa alla certezza di un giudizio immediato di Dio subito dopo la morte; all’idea di incontrare Gesù risuscitato e la sua Madre; alla interpretazione letterale dei moniti evangelici di preferire la volontà di Dio ai legami familiari più cari in questo mondo…Che faremmo oggi, al suo posto, noi credenti che, per amore della verità (per quanto sinora accessibile), abbiamo dovuto rinunziare al conforto di una “religione” che prescrive, sin nei minimi dettagli, ciò che è giusto e ciò che è sbagliato in questa vita e che anticipa, “infallibilmente”, cosa ci attende dopo il nostro decesso biologico? Troveremo, anche in uno scenario ‘de-mitizzato’, le ragioni e la forza esistenziale per opporci all’Ingiustizia? Sarà una sfida impegnativa. Potremo rimpiangere le fasi della nostra vita in cui – come per il contadino austriaco – nessuna sofferenza veniva considerata vana dal momento che Dio stesso la conservava nella sua infinita memoria a nostro credito; ma ci potrà consolare della perdita dell’antropomorfizzazione del Divino l’idea che, forse, proprio questa perdita ci avvicina al Gesù della storia: lo stesso che ha sudato sangue nell’orto e ha urlato sulla croce l’angoscia dell’abbandono. Il rinnovato senso del Mistero ci priva di preziosi supporti psicologici e di ambigue illusioni trionfalistiche, costringendoci a seguire i dettami della coscienza ‘laicamente’, senza né promesse di paradisi né minacce di inferni. Una coerenza di questo genere sarà meno protetta dalle garanzie della “religione”, ma animata da una “fede” più autentica perché più ardua.

Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com

“Viottoli”, 2023 /2

mercoledì 27 marzo 2024

GIUDA E GESU’: UN’IPOTESI FANTA-TEOLOGICA

 GIUDA E GESU': UN'IPOTESI FANTA-TEOLOGICA DI GIACOMO PILATI

Nei vangeli cristiani ci sono righe che vengono censurate o, per lo meno, trascurate: strane, difficili da interpretare. Tra queste i versetti 51-52 del capitolo 14 del racconto secondo Marco: “Allora tutti lo abbandonarono e fuggirono. Lo seguiva però un ragazzo, che aveva addosso soltanto un lenzuolo, e lo afferrarono. Ma egli, lasciato cadere il lenzuolo, fuggì via nudo”. Come attesta pure D’Annunzio, questa figura enigmatica non può non accendere l’immaginazione dei poeti (d’altronde non sono i vangeli stessi più poesia che storiografia ?). E’ il caso di Giacomo Pilati che, nel suo recentissimo Un attimo prima di Dio. La passione di Giuda (Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2024), testo splendidamente illustrato da Tiziana Longo, affida niente meno che a Giuda Iscariota il racconto di questa “storia che non è mai accaduta. Forse.” (p. 5). Giuda, icona simbolica di chi è rimasto affascinato dal Rabbi nomade (“I suoi occhi ribelli in principio mi procurarono un diletto sconosciuto. La forza delle parole. L’innominata paura dell’ignoto”, p. 14), ma proprio per tanta “passione” non si rassegna alla morte precoce del Maestro che rende impossibile la rivoluzione prospettata (o, per lo meno, la rende impossibile nelle modalità politico-militari in cui solitamente – e non senza delusioni – vengono concepite le rivoluzioni nella storia di noi mortali). 

Alla fine di una trama srotolata in prosa lirica – fitta di ermetismi che possono infastidire o affascinare, mai lasciare indifferenti – il ragazzo che scappa svestito ha un nome: Marco, l’evangelista stesso. E lo possiamo rivelare perché il segreto dell’opera non è questo. Lo scoop è molto più radicale, sorprendente: talmente spiazzante che non può essere anticipato in una recensione. Spetta al lettore il diritto di scoprirlo da sé. E di regalarsi il tempo necessario per rileggersi daccapo il testo, gustarne dettagli e allusioni, percorrerne il filo teso tra ammirata devozione (sia pur laica) nei confronti del Nazareno e blasfemia demistificante. Tutto dalla prospettiva di Giuda, traditore su invito del tradito e per amore del tradito: un amore così ardente da farsi – non sappiamo quanto intenzionalmente – identificazione.  

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lunedì 25 marzo 2024

ERNESTO BUONAIUTI, PRETE SCOMUNICATO DALLA CHIESA CATTOLICA E DOCENTE LICENZIATO DAL GOVERNO FASCISTA

 Ernesto Buonaiuti (1881 – 1946) è stato due volte perseguitato: come prete cattolico dalla sua Chiesa (in quanto “modernista”) e come docente universitario dallo Stato fascista (cui negò, insieme a soli undici colleghi in tutta Italia, il giuramento di fedeltà ideologica). Uno dei suoi testi più significativi, La Chiesa romana, edito originariamente nel 1932, è adesso ripubblicato da Gabrielli Editori (San Pietro in Cariano, 2023) a cura di V. Bellavite e P. Urciuoli, nell’ottica di una possibile  riabilitazione di quanti in passato hanno avuto la lucidità e il coraggio di dire ciò che oggi risulta ovvio; almeno agli occhi di coloro che  – credenti o meno – sono emersi dall’analfabetismo teologico in cui versa la maggioranza della popolazione nei Paesi di tradizione cattolica.

Come spiega brillantemente Gilberto Squizzato nella Prefazione, a risultare intollerabile alle gerarchie vaticane fu, prima che singole tesi, la metodologia dello studioso scomunicato expresse vitandus (“fortemente da isolare”, in vita e perfino da cadavere). Metodologia i cui nuclei essenziali furono tre: “l’uso del metodo storico” per verificare se davvero c’è una continuità sostanziale fra l’insegnamento del Magistero ecclesiastico e “l’ossatura primordiale del messaggio evangelico” (p. XIII); la critica del pessimismo antropologico (il peccato come tendenza originaria dell’umanità) e della conseguente necessità dell’opera del clero, casta “tutta maschile e maschilista” “insignita di poteri soprannaturali” (p. XVI); la denunzia del “peccato storicamente più grave e imperdonabile” della Istituzione cattolica, vale a dire il “pavido calcolo opportunistico” che la rende quasi sempre, come ai tempi delle due Guerre mondiali del XX secolo, “rassegnata spettatrice  davanti alle guerre fratricide dei cristiani d’Europa”, soprattutto perché ha rinunziato ad annunziare vitalmente (come Gesù di Nazareth)  un Regno di pace e di giustizia in questo mondo, preferendo promettere “un cielo evanescente e smaterializzato post mortem” (pp. XVII – XVIII).

Come sintetizza Pietro Urciuoli nel saggio introduttivo, Il libro più significativo del Buonaiuti (p. XXXI),  “La Chiesa romana si articola in cinque capitoli che danno già un’idea del taglio che l’Autore ha voluto imprimere all’opera: Quel che pretende di essere, Quel che è stata, Quello che è, Quel che potrebbe essere, Quel che sarà. Un bilancio, quindi, dello sviluppo storico e teologico della Chiesa romana nel corso di due millenni e una prospettiva sul suo prossimo futuro in rapporto a un mondo in rapida evoluzione” (p. XXXIV).

Ottant’anni dopo il suo decesso, Buonaiuti non ha vinto: come nota amaramente nel suo contributo Vittorio Bellavite, neppure papa Francesco ha ritenuto opportuno cancellare “lo stigma dei provvedimenti canonici presi nei suoi confronti” (p. XXIV), nonostante un appello in questo senso del 2014 (riportato integralmente alle pp. XXVI – XXX) . Ma se la persona non ha vinto, le sue idee sono ormai diffuse nella società colta e nello stesso mondo cattolico. Riprese, approfondite, rilanciate nel Concilio ecumenico Vaticano II e soprattutto nei dibattiti contemporanei, oggi più di ieri si stagliano come una lama divisoria. Sino al punto che provocheranno un ennesimo strappo all’interno della Chiesa cattolica? Forse.

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sabato 23 marzo 2024

Su donne cattive e patriarcato: qualche osservazione critica

 

“Nonmollare”. Quindicinale post azionista

| 146 | 18 marzo 2024

Su donne cattive e patriarcato: qualche osservazione critica

di  Augusto Cavadi

 Il numero del 24 novembre 2023 dell’interessante rivista on line “Non mollare” ospita l’intervento Donne cattive e patriarcato a firma di Giovanni Perazzoli. L’autore denuncia la «solita sarabanda di generalizzazioni e strumentalizzazioni» cui siamo costretti ad assistere ogni volta che una donna viene massacrata da un uomo. È un fenomeno tristemente noto anche in tante altre questioni: di mafia, di tossicodipendenze, di incidenti sul lavoro, di commercio di armi…si parla da un’emergenza all’altra. Nel mezzo, inerzia e silenzio. Esistono movimenti come “Maschile plurale” che, ormai da decenni, si occupano di maschilità tossica e di violenza di genere 365 giorni l’anno, ma sono le eccezioni a conferma della regola. Tanto rare che neppure Perazzoli sembra averne notizia.

Per suffragare tale (a mio avviso corretta) osservazione generale, egli offre alcune esemplificazioni. Ogni femminicidio «per l’intellettuale di destra è l’occasione per recuperare, ancora una volta, il ritornello sulla perdita dei Valori Veri nella società occidentale, decadente e tristemente individualista. Fino al grottesco: “c’è troppa cattiveria nelle donne, al giorno d’oggi”». Per quanto riguarda «l’intellettuale di sinistra» («per lui è l’occasione per passare a un nuovo linguaggio roboante fatto, adesso, di patriarcato, violenza di genere, maschilità tossica e cercare così di accreditarsi con un movimento che sembra che tiri. Naturalmente, il privato è politico e non si parli di disagio psicologico: servono la rivoluzione e la vera democrazia») forse Perazzoli pecca di sottovalutazione (i commentatori ‘progressisti’ non tacciono sulle matrici psicologiche degli atti di violenza maschile, anzi talvolta cedono alla tentazione di spiegare tutto con la psicopatologia) e di sopravvalutazione (magari ci fossero davvero commentatori ‘progressisti’ che osassero parlare ancora di “rivoluzione”!). In entrambi i versanti politico-culturali, comunque, l’errore consisterebbe nel «prendere un fatto di cronaca e inquadrarlo dentro una cornice già pronta»: «un sistema di concetti e parole (e.g., il patriarcato) o di narrative (e.g., la crisi dei valori) che ci danno l’impressione di spiegare di colpo il mondo».

 Da qui la terapia: «per capire il problema del femminicidio occorrerebbe tanta ricerca empirica. Di più non è onesto dire, o meglio non è onesto farlo con la sicumera di chi ha solo lo scopo di affermare una propria metafisica».

Se sino a qua Perazzoli risulta sostanzialmente convincente, lo diventa molto meno quando – per facilitarsi l’argomentazione – offre un ritratto caricaturale degli uomini che si esprimono contro il sistema androcentrico-maschilista: «uomini che hanno scoperto, di colpo, la luce della verità che li rivelava a loro stessi: siamo degli assassini potenziali». Ora: può darsi che simili “autoaccuse” («inquietanti, se non facessero parte della farsa») l’autore dell’articolo in esame le abbia lette da qualche parte, ma allora farebbe bene a indicare dove. Perché nessuno dei commentatori (di destra, di sinistra o di centro) che ho sinora letto ha negato mai che «la responsabilità è sempre individuale» né che «le responsabilità collettive o di genere non esistono». Quando alcuni di noi, che ci riconosciamo nel movimento nazionale “Maschile plurale”, denunciamo la “violenza di genere” non intendiamo certo criminalizzare il genere maschile (cui per altro apparteniamo totalmente) mettendo, nello stesso calderone, i maschi arroganti e cialtroni ed i maschi rispettosi e solidali. Intendiamo gettare luce su un dato di fatto storico, sociologico, istituzionale:

* che, nonostante tanti progressi (in Occidente!), i nostri sistemi culturali-giuridici-economici non garantiscono la pari dignità né le pari opportunità fra i cittadini e le cittadine.

* Che in questo contesto ogni tentativo di emancipazione di una donna viene percepito come insubordinazione, ribellione, anomalia da reprimere con ogni mezzo.

* E che di questi squilibri sono responsabili tutti gli uomini e tutte le donne che non fanno nulla per contrastarli, ma non gli uomini né le donne che fanno di tutto per sanarli.

È questo il vero nocciolo della discussione: non se sia scientifica o meno «un’idea della società patriarcale mistica e ineffabile, che è dovunque e in ogni luogo», ma se sia vero che in tutti i Paesi del mondo, a parità di altri parametri, la condizione maschile (anche per complicità femminile!) sia privilegiata rispetto alla condizione femminile. Se questa sperequazione ingiusta fosse ‘scientificamente’ dimostrabile (come sono convinto), si potrebbe condividere un’ipotesi che invece «non convince sino in fondo» Perazzoli: che si registra un più alto numero di femminicidi in Paesi (come Lituania, Germania, Francia, Olanda) dove le donne si ribellano di più al sistema maschilista rispetto a Paesi (come l’Italia e la Grecia) dove il patriarcato è più resistente e ha dunque meno motivi per punire le contestatrici. In questa prospettiva, Perazzoli si rassicuri: «la violenza di genere nel senso del genitivo soggettivo» non «suona illiberale», non «suona come un processo alle intenzioni», non «suona come la pretesa che un’autorità pubblica sancisca l’esistenza di un “peccato originale” del foro interno». Solo degli scemi (o delle sceme: l’idiozia è distribuita democraticamente in pari misura fra i sessi) possono pensare/dire che la biologia rende ogni maschio aggressivo e che dall’aggressività alla violenza il passo sia breve. Perciò egli affermi pure – se gli sembra utile – che «non tutti i maschi uccidono» (e che avesse ragione Konrad Lorenz quando scrisse: «se potete passare con la stessa disinvoltura dal tagliare una lattuga, a uccidere una mosca e poi uccidere un gatto, siete pregati di suicidarvi»). Ma sappia che nessuno – a meno di prove in contrario di cui prenderei volentieri conoscenza – ha mai sostenuto il contrario.

 

Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com

domenica 17 marzo 2024

A PALERMO PROTESTA CONTRO UN FORUM MILITARISTA CAMUFFATO DA PACIFISTA

 Vertici militari italiani in collaborazione con Accademie militari occidentali hanno scelto Palermo per una gigantesca manifestazione promozionale delle carriere militari. Non sono mancate alcune furbizie in sede organizzativa: ad esempio si è inserita nel programma una celebrazione eucaristica dell'arcivescovo che, informato da alcuni di noi, ha preso pubblicamente le distanze dall'evento e annullato la propria partecipazione.

Qui di seguito un appello firmato, in poche ore, da centinaia di persone (singoli, coppie, associazioni, chiese): chi vuole può aggiungere, nello spazio dei commenti a questo post, la propria adesione.

Lettera aperta alla città di Palermo

A Palermo si terrà, dal 17 al 20 marzo 2024, la quarta edizione del “Forum Internazionale per la Pace, la Sicurezza e la Prosperità”. Destinatari dell’iniziativa sono le giovani generazioni ed in particolare le studentesse /gli studenti delle Scuole superiori, universitari, cadetti di accademie militari.

Come persone impegnate in città, per la Pace e nella formazione alla Nonviolenza, esprimiamo le nostre forti riserve sull’iniziativa in oggetto. L’iniziativa ha lo scopo – non celato – di sollecitare i giovani a iscriversi in Accademie e College per intraprendere la carriera militare (sul sito di https://psp-forum.org/about/ si legge, al primo punto, che il Forum “mira a collegare i nostri giovani con i valori e le istituzioni che hanno reso le nostre società pacifiche, sicure e prospere” – dando evidentemente per ovvio che le Forze militari siano istituzioni di tal genere).

Noi siamo convinti invece che la Pace non verrà mai dalle armi, che i giovani non vanno addestrati al loro uso, ma educati alla risoluzione nonviolenta dei conflitti, secondo una linea di studi ben radicata anche nella ricerca accademica (pensiamo, per esempio, all’ampia produzione teorica diventata diffuso impegno pratico nella mediazione dei conflitti anche internazionali da Johan Galtung, recentemente scomparso). La pace non si costruisce con gli eserciti. Spesso anche le "missioni militari di pace" sono risultate essere guerre camuffate,  e lo abbiamo visto più volte: Iraq , Afghanistan, Libia, Somalia.

Anche in considerazione dell’attuale contesto di crescenti conflitti in Europa e in Medioriente e delle parole di Papa Francesco sulla necessità della promozione della cultura di pace, noi abbiamo incrementato l’impegno in vari contesti per una formazione alla nonviolenza sulle strade di Gandhi, Lanza del Vasto, Aldo Capitini, Johan Galtung... Alcuni di noi sono impegnati per l’istituzione in Sicilia di un “Centro per la formazione alla nonviolenza”, una sorta di Scuola che cambi radicalmente paradigma e forme della risoluzione dei conflitti. Non è più tempo infatti di parate militari né di issa-bandiera. È  tempo semmai di issare bandiere della pace da tutte le parti . Se una ‘guerra’ l’umanità tutta è chiamata a fare oggi è la lotta al cambiamento climatico e alle sue funeste conseguenze per il nostro pianeta e i suoi abitanti.           

Ai nostri concittadini invitati alle quattro giornate del convegno, di chiara impronta militarista, suggeriamo di non partecipare o, qualora decidessero altrimenti, chiediamo di far presente, ai militari e agli esperti di guerra, che la nostra terra e la nostra città, al centro del Mediterraneo, hanno una vocazione e una storia millenaria di incontro, di accoglienza e di convivenza pacifica tra popoli diversi per culture e tradizioni religiose e che è in linea con tale vocazione che desideriamo, dalle istituzioni che ne hanno la competenza, di essere formati.  Per la gestione dei conflitti sta infatti crescendo nel mondo una nuova consapevolezza: che la difesa armata non è adeguata a garantire la pace; che è necessario costruire modalità di difesa non armata e nonviolenta già sperimentate efficacemente in varie parti del mondo; che l’Europa potrà dotarsi di Corpi Civili di Pace; che l’ordinamento italiano ha istituito il servizio civile come forma di servizio sostitutivo di quello militare; che la nostra Corte Costituzionale ha dichiarato che la difesa armata non è l’unica forma di difesa possibile e che pertanto è legittimo obiettare al sistema militare, addestrandosi  al contempo a forme nuove di difesa non armata e nonviolenta per le quali  chiediamo ad alta voce che lo Stato italiano favorisca contesti di formazione.

Ogni giorno sta crescendo nell’opinione pubblica l’idea che una terza guerra mondiale, anche con armi atomiche, non sia improbabile e che rientri nella rosa delle opzioni logiche e lecite: a questa tendenza folle e suicida opponiamo, con tutta la mitezza e la forza di cui siamo capaci, il nostro “no” più convinto.

 PRIMI FIRMATARI:

1. Enzo Sanfilippo e Maria Albanese (Comunità dell’Arca)

2. Andrea Cozzo (Università di Palermo)

3. Francesco Lo Cascio (presidente Consulta della pace – Palermo)

4. Maria D’Asaro, Adriana Saieva e Jan Mariscalco (Centro palermitano del Movimento Nonviolento)

5. Augusto Cavadi (Casa dell’equità e della bellezza di Palermo)

6. Don Cosimo Scordato (rettore della Chiesa di S. Giovanni Decollato all’Albergheria)

7. Don Franco Romano (presbitero cattolico)

8. Lucina Lanzara (compositrice e attivista per la Pace)

9. Maurizio Maria D’Amico (cantautore velista e attivista per la Pace)

10. Simonetta Genova (insegnante)

11. Lisa Caputo (attivista per i diritti umani)

12. Angela Trapani


HANNO SOTTOSCRITTO INOLTRE 


13. Raffaela Brignola (insegnante)

14. Alessandra Colonna Romano (insegnante)

15. Emilia Americo (docente in pensione)

16. Maria Di Naro (dirigente scolastico in pensione)

17. Maria Garbo (docente in pensione)

18. Maria Greco (docente in pensione)

19. Giuseppina Lo Giudice (dirigente scolastico in pensione)

20. Nadia Genova (docente in pensione)

21. Alina Bartolotta (docente in pensione)

22. Giusy Sena (formanda presso Centro palermitano Movimento Nonviolento)

23. Domenico Conoscenti (insegnante in pensione)

24. Gisella Modica (attivista femminista)

25. Giulio Campo (capo Agesci)

26. Rosalia Vilardi (funzionaria amministrativa)

27. Antonino Spitalieri (Associazione Comunità e Famiglie - Sicilia)

28. Toni Scardamaglia (Comunità “La zattera”, Laici Missionari Colombiani)

29. Dorotea Passantino (Comunità “La zattera”, Laici Missionari Colombiani)

30. Vito Migliore (insegnante)

31. Mariella Santangelo (insegnante)

32. Maria Ragonese (insegnante)

33. Elisabetta Drago (insegnante)

34. Francesco Di Giovanni (Associazione “Inventare insieme” – Centro “Tau”)

35. Daniela Lupo (insegnante)

36. Luciano Carone (insegnante)

37. Benedetto Savona (insegnante)

38. Caterina Cusenza (insegnante)

39. Laura Gennaro (insegnante)

40. Mauro Burgio (insegnante)

41. Ilaria Martinelli (insegnante)

42. Nadia Inzirillo (insegnante)

43. Rita Messineo (insegnante)

44. Stefania Macaluso (Associazione femminile “Le rose bianche”)

45. Daniele Cerrito (insegnante)

46. Luigi Sanfilippo (insegnante in pensione)

47. Daniela Dioguardi (UDIPalermo)

48. Rosa Spalatro (Associazione di cooperanti “Tulime”)

49. Mariella Marrone (dirigente Regione siciliana)

50. Roberta Brucoli (operatrice sanitaria)

51. Giancarlo Brucoli (pensionato)

52. Maria Teresa Sanfilippo (pensionata Regione siciliana)

53. Salvatore Raso (medico)

54. Giovanni Abbagnato (operatore sociale)

55. Roberta Pelliccetti (Associaizone “Tulime”)

56. Iosé Consiglio (insegnante)

57. Maria Assunta Papa (insegnante)

58. Alida Vanella (insegnante)

59. Anna Lisa Rizzo (insegnante)

60. Suor Antonella Orlando (insegnante in pensione)

61. Gandolfo Sausa (insegnante)

62. Giuseppina Salerno (insegnante)

63. Gregorio Porcaro (Caritas – Palermo)

64. Giuseppe Laudicella (medico)

65. Giuseppina Mazzola (medico)

66. Anna Alonzo (assistente sociale missionaria)

67. Maria Gabriella Armata (oncologa)

68. Antonella Celestino (Movimento dei Focolari)

69. Anna Puglisi (Centro siciliano di documentazione “G. Impastato”)

70. Umberto Santino (Centro siciliano di documentazione “G. Impastato”)

71. Valentina Chinnici (deputata Assemblea regionale siciliana)

72. Maria Antonietta Chibbaro (Scuola di formazione etico-politica “G. Falcone”)

73. Salvatore Menna (responsabile regionale Sicilia “Noi siamo Chiesa”)

74. Emanuela Gallo (animatrice “Laudato si’ ”)

75. Rosa Maria Cigno (chirurgo, Movimento dei Focolari)

76. Alberto Mangano (consigliere Comune di Palermo)

77. Manfredi Sanfilippo (educatore, laureato in Scienze della pace)

78. Daniele Castiglia (biologo)

79. Roberto Zampardi

80. Cristina Pagnani (medico)

81. Massimo Messina (presidente APS “Parco del sole”)

82. Leonardo Insinna (medico psichiatra)

83. Claudia Costanzo (funzionaria dell’Università degli Studi di Palermo)

84. Giuseppe Paliaga (presidente dell’Associazione “Amici di 3 P”)

85. Rosaria Testa (docente del Liceo “G. Galilei”)

86. Viviana Caronia (assistente sociale)

87. Eliana Biamonte (psicologa pensionata)

88. Anna Staropoli (sociologa)

89. Michele Mulia (insegnante)

90. Stefania Ganci (insegnante)

91. Renata Colomba (docente liceo “Cannizzaro”)

92. Antonella Giubilaro (insegnante in pensione)

93. Ferdinando Trapani (architetto, docente universitario)

94. Marina Turco (giornalista)

95. Pietro Columba (professore universitario)

96. Marina Leopizzi (UDIPalermo)

97. Gemma Infurnari (UDIPalermo)

98. Mariella Pasinati (UDIPalermo)

99. Vanna Manunti (UDIPalermo)

100. Ida La Porta (UdiPalermo)

101. Mimma Grillo (UDIPalermo)

102. Giovanni Cincotta (pensionato)

103. Teresa Di Gregorio (psicologa)

104. Nino Vitelli (ambientalista)

105. Guido Meli (architetto)

106. Maria Gabriella Filippazzo (medico, consigliera CD di “LifeAndLife”)

107. Adele Sciacca (docente universitaria in pensione)

108. Enzo Sortino (medico)

109. Antonio Girgenti (assistente sociale, Movimento dei Focolari)

110. Valeria Viola (farmacista, Movimento dei Focolari)

111. Concetta Arcoleo (impiegata, Movimento dei Focolari)

112. Giuseppe Girgenti (assistente sociale, Movimento dei Focolari)

113. Lina Ramon (Movimento dei Focolari)

114. Anna Di Vita

115. Pippo Natale (Movimento dei Focolari)

116. Alessandro Turco (ingegnere e scrittore)

117. Domenico Calabrò (architetto)

118. Alia D’Anna (docente in pensione, vice-presidente de “Le rose bianche”)

119. Giovanna Minardi (docente Università di Palermo)

120. Mario Menna (libero professionista)

121. Angelo Accetta (ingegnere)

122. Giulia Menna (casalinga)

123. Rosa Montalbano (insegnante)

124. Giovanna Adelfio (pedagogista presso ASP)

125. Maria Concetta Pizzurro (UdiPalermo)

126. Diana Quiroga (UDIPalermo)

127. Anna Marrone (UDIPalermo)

128. Rita Calapso (programmista regista RAI)

129. Franco Di Maria (psicologo)

130. Rosalia Mantegna (pensionata)

131. Carla Mazzola (psicopedagogista, Movimento dei Focolari)

132. Gaetano Russo (ingegnere, Movimento dei Focolari)

133. Giselda Russo (Movimento dei Focolari)

134. Domenica Mongiovì (insegnante)

135. Alberto Giampino (esperto Terzo settore, Università di Palermo)

136. Rossella Bonomo (insegnante)

137. Natalia Rita La Scala (Associazione “Isola Felice”)

138. Giovanna Dolcemascolo (psichiatra)

139. Isabella Gonzales (docente)

140. Fabio Macaluso (agronomo)

141. Rosaria Moceo (casalinga)

142. Suor Fernanda Di Monte (giornalista)

143. Francesca Cosenza (Circolo “Laudato si’ ”)

144. Avia Giaccone

145. Concetta Nigrelli ( assistente sociale)

146. Angelo Traina (biologo)

147. Maddalena Giardina (UdiPalermo)

148. Benedetta Miracola (Associazione “Le rose bianche”)

149. Mimma Glorioso (Associazione “Le rose bianche”)

150. Caterina Sapienza (Associazione “Le rose bianche”)

151. Mariagloria Mercati (Associazione “Le rose bianche”)

152. Luciana Maimone (Associazione “Le rose bianche”)

153. Vita Giammarinaro (Associazione “Le rose bianche”)

154. Vita Margiotta (Associazione “Le rose bianche”)

155. Rosanna Cucchiara (Associazione “Le rose bianche”)

156. Cecilia Villanova (pensionata)

157. Alina Petruzzella (cittadina)

158. Daniela Gueci (pensionata)

159. Luigi Menna (insegnante, CIDI Palermo)

160. Emilia Tripoli (assistente sociale)

161. Renato Grosso (avvocato)

162. Amelia Giordano (Circolo “Laudato si’ ”)

163. Maricetta Inglima (Circolo “Laudato si’ ”)

164. Rosalia Tarantino (Circolo “Laudato si’ ”)

165. Milena Tudisco (Circolo “Laudato si’ ”)

166. Luciana Razete (Circolo “Laudato si’ ”)

167. Gaspare Solina (medico chirurgo in pensione)

168. Alessia Maso (cittadina)

169. Francesca Falconi (cittadina)

170. Rossella Reyes (impiegata)

171. Davide Reyes (agente di commercio)

172. Maria Furio (impiegata)

173. Massimiliano Reyes (impiegato)

174. Caterina La Spisa (insegnante)

175. Angelo Cantoni (agronomo)

176. Chiara Venturella (impiegata)

177. Agnese Venturella (libera professionista)

178. Marta Venturella (assistente alla comunicazione)

179. Anna Maria Albanese (pensionata)

180. Nicolò Furio (pensionato)

181. Concettina Bongiovanni (insegnante)

182. Riccardo Ulivieri (pensionato)

183. Alessio Parrino (educatore EDI)

184. Giando Maniscalco (pensionato Regione siciliana)

185. Patrizia Picciotto (pensionata Regione siciliana)

186. Elia Randazzo (coordinatrice “Area alternativa” CGIL Palermo)

187. Licia Masi (assistente sociale, volontaria Centro “Astalli”)

188. Davide Masi (medico)

189. Antonio Guerriero (pensionato)

190. Anna Migliore (pensionata)

191. Maria Basile (pensionata)

192. Donika Maxhuni (Comunità “Sant’Egidio”, Palermo)

193. Adriana Richichi (dirigente “Nido e Scuola dell’infanzia”, Palermo)

194. Antonella Ciaravella (segretaria studio dentistico)

195. Maria La Bianca (insegnante, assemblea “No guerra”)

196. Elvira Rosa (presidio palermitano “Donne per la pace”)

197. Letizia Paola (Associazione Crocerossine d’Italia – Lion’s Club)

198. Concetto Trifilò (segretario regionale “Cittadinanza attiva”)

199. Andrea Supporta (vice segretario “Cittadinanza attiva”)

200. Cristina Pecoraro (volontaria “Cittadinanza attiva”)

201. Francesca Filippone (Comunità dell’Arca)

202. Rocco Picciotto Maniscalco (cittadino)

203. Elena Magi (cittadina)

204. Maria Francaviglia (medico, Comunità dell’Arca)

205. Annibale Raineri (Comunità dell’Arca)

206. Pietro Sempreviva (Comunità dell’Arca)

207. Olga Ferrante (medico)

208. Cristina Veroni (Associazione “Le rose bianche”)

209. Sabrina Puglia (Associazione “Le rose bianche”)

210. Giovanna Lo Nigro (Associazione “Le rose bianche”)

211. Rosy Campodonico (Associazione “Le rose bianche”)

212. Ersilia Bottiglieri (Associazione “Le rose bianche”)

213. Sara Perniola (insegnante)

214. Giovanna Bongiorno (Fattoria sociale “Martina e Sara” – Segesta)

215. Mario Mulé (psichiatra e psicoterapeuta)

216. Giansalvo Pizzo (docente)

217. Gabriella D’Angelo (psicoterapeuta)

218. Roberto Gallo (attivista della Nonviolenza)

219. Daniela Musumeci (attivista “Pressenza”, “Com e Refugees Welcome”)

220. Lina Leotta (Circolo “Laudato si’ ”)

221. Dario Riccobono (“ Addio Pizzo”)

222. Pina Mandolfo (Udipalermo)

223. Agata Schiera (Udipalermo)

224. Rita Calabrese (Udipalermo)

225. Francesca Traina(Udipalermo)

226. Sabina Cannizzaro (pensionata)

227. Giovanna Scelsi (Udipalermo)

228. Giovanna Somma (insegnante)

229. Marta Clemente (insegnante filosofia e storia)

230. Manfredi Picciotto Maniscalco (cittadino)

231. Caterina Ferro (docente) 

232. Marcello Ampola  (pensionato)

233. Claudio Riolo (politologo, già docente Università di Palermo)

234. Vanna Bonomonte (ex-docente e volontaria dell’ASVOPE)

235. Daniele Palermo (docente universitario di storia)

236. Giuseppe Savagnone (filosofo e saggista)

237. Dino Paternostro (direttore “Città Nuove” di Corleone)

238. Crispino Di Girolamo (editore)

239. Maria Teresa Bentivegna (“Asvope”- Palermo)

240. Chiesa valdese di via Spezio (Palermo)

241. Anna Elisabetta Greco (pensionata)

242. Luigi Minafra (ricercatore CNR) 

243. Isabella Albanese (docente liceale)

244. Marco Pirrone (ricercatore di sociologia, Università di Palermo)

245. Tiziana Raia (pedagogista e psicologa)

246. Anna Di Cara (pensionata)

247. Antonella Palazzotto (avvocata)

248. Giovanni Farro (medico)

249. Concetta Conti (funzionaria pubblica amministrazione)

250. Serena Termini (giornalista)

251. Rosario Greco (insegnante di italiano e storia)

252. Marina Di Leo (traduttrice)

253. Crocifissa Pardi (psicologa in pensione)

254. Giovanni Battista Mura (medico)

255. Maria Teresa Mirone (insegnante Liceo Galilei)

256. Antonino Pellicane

257. Antonino D'Accardi 

258. Luigi Patti (A.SI.D.A. 12 Luglio)

259. Francesca Picciotto

260. Ludovico Di Martino

261. Giusi Spina (pensionata)

262. Roberta Pizzullo  (cittadina)

263. Angelo Cavaleri (pacifista)

264. Vincenzo Gargano (pensionato Arma CC)

265. Paola Parlato (insegnante ITI Volta)

266. Liliana Rositani (cittadina del mondo)

267. Finella Giordano (docente)

268. Ignazio Sottile (pensionato)

269. Pietro Spalla (avvocato)

270. Anna Maria De Filippi (docente)


ADERISCONO INOLTRE:

1.     1. Claudia Onufrio (cittadina)

2.     2. Leopoldo Cuscino (studente universitario lavoratore)

3.     3. Carmela Di Benedetto (docente di scuole secondarie superiori)

4.    Giuseppe Messineo (insegnante)

5.    Maria Marchesino (insegnante)

6.    Letizia Ficile (psicologa e psicoterapeuta)

7.    Rosita Pace (docente)

8.    Concetta Di Spigno (dirigente scolastico in quiescenza, Roma)

9.    Armando Sorrentino (ANPI Palermo)

10.Emilia Ferruzza (psicoterapeuta, già docente università di Padova)

11.Renata Di Piazza (insegnante in pensione)

12.Giuliana Mineo (Ass. “Le rose bianche”)

13.Maria Comparetto (Ass. “Le rose bianche”)

14.Marcella Cosentino (Ass. “Le rose bianche”)

15.Rosaria Montalto (Ass. “Le rose bianche”)

16.Associazione per la pace e la nonviolenza “Servas” – Sicilia

17.Giusy Vacca

18.Virginia Dessy (Assemblea “No guerra”)

19.Salvo Li Castri (Segreteria provinciale “Anpi” – Palermo)

20.Marianna Patti (docente)

21.Margherita Oliveri

22.Luigi Varsalona (docente di storia e filosofia in quiescenza)

23.Edoardo Dotto (docente universitario)

24.Emilia Wanderlingh (docente)

25.Vittoria Cozzo (insegnante)

26.     Elena Mignosi (docente universitaria di pedagogia)

27.     Francesca Cozzo (pensionata)

28.     Giovanni Cozzo (impiegato)

Inoltre:

1.     Elio Rindone (filosofo e saggista)

2. Riccardo Maria Giacalone (impiegato presso AOOR Villa Sofia Cervello)

3.Cinzia Bonaccorso (soprano lirico)

4. Enzalba Elia (medico)

5. Antonio Insinga (Istituto buddista italiano Soka Gakkai)

6. Marilena Sanfilippo (ANPI)

SI AGGREGANO ANCORA:

1.     Maria Concetta Mammano (pensionata)

2.     Maria Concetta Madonia (architetta, Buddhista Soka Gakkai)

3.     Antonino Randazzo (insegnante)

4.     Toti Migliore (Istituto buddista italiano Soka Gakkai)

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Si può continuare ad aderire, scrivendo nome, cognome e titolo professionale o di appartenenza associativa, come commento a questo post.