giovedì 30 novembre 2017

RELIGIONE CATTOLICA NELLA SCUOLA PUBBLICA STATALE?


Questo il testo su cui mi sono basato per la relazione al Convegno "L'ora di religioni e filosofie. Verso un curriculum inclusivo per la didattica alternativa all'IRC" del 6 aprile 2017 organizzato a Palermo dal CESP (Centro studi per la scuola pubblica) e dall'UAAR (Unione degli atei e degli agnostici razionalisti).

TRE TESI SULL’INSEGNAMENTO DELLA QUESTIONE RELIGIOSA NELLA SCUOLA PUBBLICA STATALE

Un amico residente a Bolzano ha raccontato di una maestra che ha chiesto agli alunni di rappresentare con un disegno la propria idea di Dio. Tutti hanno provato a realizzare la consegna, tranne un bambino che – interrogato sul perché avesse consegnato foglio bianco – ha risposto: “Perché Dio non entra in un foglio”.L’aneddoto mi serve per premettere un chiarimento, forse non del tutto superfluo. Il mio contributo alla riflessione sul tema proposto parte da un punto di vista laico: aggettivo che, nel mio vocabolario (un po’ sulle orme di Norberto Bobbio), qualifica un atteggiamento di ricerca che precede logicamente posizioni sia eventualmente credenti sia eventualmente atee. Mi viene molto facile assumere questo punto di vista dal momento che, per dirmi credente o ateo, avrei bisogno di capire prima cosa si possa correttamente intendere quando si pronunzia la parola “Dio”: e, nonostante quattro anni di filosofia a Palermo e quattro anni di teologia a Roma (senza contare i restanti quarant’anni di studi privati sull’argomento), non sono riuscito a venirne a capo. Mi sento un po’ come quel bambino del foglio bianco...
Entro nel merito della nostra discussione.
Provo a esporre tre tesi che, nella mia ottica, si reggono in piedi solo concatenandosi l’una all’altra.
Prima tesi: la questione religiosa non può restare fuori dalle aule scolastiche. Il cardinale Bagnasco, attuale arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale italiana, propone delle argomentazioni a favore di questa tesi che ritengo inaccettabili. Egli, infatti, scrive: <<
Anche il ricco mondo della scuola – con le conoscenze e competenze che offre – chiede un punto di sintesi, perché il giovane non diventi un’ “enciclopedia”, ma una persona matura. L’insegnamento della religione cattolica, anche per la sua valenza culturale, può essere per tutti un momento di chiarificazione e di equilibrio: i suoi contenuti, la sua lunga storia, il continuo confronto con le civiltà, sono un riferimento necessario per comprendere il tempo e la società che abitiamo, uno strumento per il dialogo con tutti>>. A me pare evidente che questo strumento di chiarificazione, di sintesi, di equilibrio nella ricezione e nell’elaborazione dei contenuti
disciplinari settoriali sia‐ e non possa che essere – la filosofia (per natura sua laica, pluralista, spregiudicata).
Ci sono invece altre argomentazioni che mi sembrano più condivisibili. Massimo Cacciari, ad esempio, rispondendo a un intervistatore di “Avvenire”, si è così espresso: << La nostra tradizione religiosa insegnata obbligatoriamente a scuola. Non solo, la teologia dovrebbe essere presente in tutti i corsi universitari di filosofia.... Per me è fondamentale il fatto che non si può essere analfabeti in materia della propria tradizione religiosa. È una questione di cultura, di civiltà. Non si può non sapere cos’è il giudaismo, l’ebraismo, non si può ignorare chi erano Abramo, Isacco e Giacobbe. Bisogna conoscerne la storia della religione, almeno della nostra tradizione religiosa, esattamente com’è conosciuta la storia della filosofia e della letteratura italiana. Ne va dell’educazione, della maturazione anche antropologica dei ragazzi. È assolutamente indecente che un giovane esca dalla maturità sapendo magari malamente chi è Manzoni, chi è Platone e non chi è Gesù Cristo. Si tratta di analfabetismo. La scuola deve alfabetizzare>>.
Seconda tesi: la questione religiosa va presentata in quanto più numerose sfaccettature possibili (dunque come storia delle religioni e degli ateismi).
Vorrei argomentare questa convinzione sulla base di una mia pluriennale (anche se ormai, ahimè !, lontana più di un trentennio) esperienza di docente di IRC (Insegnamento della religione cattolica) sia in licei statali che in licei privati cattolici. In entrambi ho sempre presentato come programma lo studio delle religioni e degli ateismi più rappresentativi (Marx, Freud, Sartre e così via). Negli istituti statali era un elementare segno di rispetto per le culture di provenienza degli alunni: il cattolico aveva diritto di conoscere la propria tradizione religiosa familiare, ma anche il protestante o l’ebreo o il musulmano o l’agnostico o l’ateo... E nelle scuole cattoliche? Là ho creduto – e credo ancora – di aver svolto un servizio utile persino alle famiglie che mandavano i figli dai padri gesuiti nella speranza che diventassero cattolici. Come avrebbero potuto diventarlo in maniera seria, responsabile, se non fosse stata una scelta libera? E come avrebbe potuto essere una scelta libera se non fosse stata consapevole, informata su una più ampia gamma di alternative (religiose o anti‐religiose)?
Capisco che intellettuali come Massimo Cacciari preferiscano, in aggiunta a questa panoramica di scenari, uno studio specifico della Bibbia e della teologia cristiana (<<Vorrei che fosse una materia in cui si studiasse veramente la Bibbia, prendiamo in mano il Vangelo e approfondiamolo>>);ma sono desideri che rischiano, per amore dell’optimum, di rinunziare al bonum praticabile.
Capisco di meno l’obiezione che proviene da amici miei dell’area del cattolicesimo di base, o del dissenso cattolico, i quali rifiutano lo studio sia della religione cattolica che delle religioni in generale perché ritengono che tale studio debba rientrare nella storia sociale e nella storia della filosofia. Ascoltiamo le ragioni di uno di questi colleghi che si pongono, per così dire, a sinistra rispetto a Cacciari (e rispetto a me): <<Le proposte sostenute con queste o analoghe argomentazioni, che ovviamente non hanno udienza presso la gerarchia cattolica, in verità presuppongono il riconoscimento di una specificità qualitativa alla religione. Certo le religioni hanno proprie forme organizzative e caratteristiche manifestazioni del culto, che sono, però, riconducibili, anche perché ben diverse fra loro, al complesso delle forme e delle manifestazioni in cui, nel tempo e nello spazio, si sono organizzati e si esprimono donne e uomini nelle diverse società nel promuovere le relazioni fra loro. Analogamente le costruzioni teologiche, anche quelle che chi ha fede considera elaborazioni di una rivelazione divina, si inseriscono legittimamente nei “sistemi” che la filosofia e le scienze nel tempo hanno elaborato per interpretare la realtà.Ben venga quindi lo studio della religione nelle scuole superando pregiudiziali anticlericali, che sono da rifiutare perché inducono a ignorarla o non riconoscerla autentica espressione della dimensione umana. Come tale va studiata non come materia autonoma ma all’interno delle discipline storiche e filosofiche che danno conto del divenire degli immaginari collettivi che gli umani si sono costruiti nel costituirsi in aggregazioni sociali nel corso dei secoli>>.
L’argomentare di Marcello Vigli, a mio avviso, finisce col dimostrare troppo. Se ho ben capito, la sua contestazione deriva da un’impostazione marxista o, per lo meno, storicista: le religioni non vanno trattate a parte, come tematiche specifiche e atemporali, ma come momento della storia complessiva delle civiltà. Non mi sembra il caso di discutere, qua e ora, i fondamenti di una simile impostazione storicistica e – per comodità e brevità di comunicazione – ammetto che sia impeccabile. Se l’adottassimo, per coerenza la dovremmo adottare per tutte le altre manifestazioni della cultura umana: niente storia delle letterature, niente storie delle arti, niente storia delle dottrine politiche...Si dovrebbe insegnare una sola coppia di materie umanistiche – la storia sociale e la storia della filosofia – indagando, epoca per epoca, i prodotti (sovrastrutturali ?) di ciascuna: letterature, arti, dottrine politiche...Poiché però, per ovvie ragioni, non è una strada praticabile (almeno nella normalità della didattica quotidiana) mi pare che alla storia delle idee religiose (comprese, dunque, le idee degli agnostici e degli atei critici di ogni sistema teologico‐religioso) vada riservato il medesimo trattamento delle altre discipline analoghe.
Solitamente si afferma che uno sguardo critico sulle religioni agevola il dialogo con i diversi; ed è vero. Ma vorrei aggiungere un’altra motivazione meno circolante: studiare aconfessionalmente il fatto religioso agevola in ogni credente l’autopurificazione da ogni tentazione fondamentalista. In Germania l’hanno già capito e in alcune scuole si attivano cattedre di islamismo allo scopo, consapevole, di aiutare i giovani musulmani a guadagnare una fede (islamica, ovviamente) libera da chiusure fanatiche e aggressive.
E arrivo alla terza, e ultima, tesi (la meno rilevante da un punto di vista teorico ma la più urgente dal punto di vista politico): la storia delle religioni va affidata a insegnanti assunti dallo Stato con le medesime regole valide per ogni altra disciplina.Come è noto, attualmente per insegnare religione nelle scuole statali occorre un’autorizzazione del vescovo del luogo ‐ una missio canonica – che può essere revocata ad arbitrio dello stesso, anche per ragioni opinabili (per esempio la decisione di un insegnante di andare a convivere con un partner non sposato o di divorziare dal coniuge. Addirittura, se fosse un prete dimissionario, incorrerebbe in un divieto formale concordatario di svolgere attività professionali‐ come l’insegnante o il postino – che implichino un rapporto diretto con il pubblico !). Questo regime porta a ingiustizie di ogni genere: dalla mancanza di criteri oggettivi nella scelta degli insegnanti autorizzati (per le notizie che ho sinora, non esiste una graduatoria pubblica di supplenti e aspiranti a incarichi annuali in base ai titoli) al diritto, per chi di ruolo nell’IRC venga licenziato dal vescovo e sia in possesso di una laurea in altre discipline, di essere assunto in ruolo dallo Stato scavalcando nella graduatoria altri aspiranti a tali insegnamenti diversi dalla religione cattolica.
Ebbene, questo regime della missio canonica (anche se non dovesse comportare più le sperequazioni e le illegalità cui ho fatto riferimento) resterebbe iniquo (e direi incostituzionale, riferendomi allo spirito e non alla lettera della Costituzione italiana che prevede degli accordi concordatari con la Chiesa cattolica) per una ragione di fondo: cittadini islamici o buddhisti, o agnostici o atei, devono finanziare con le proprie tasse un insegnamento che può essere attuato solo nell’ottica culturale e nell’alveo giuridico di una sola confessione (la cattolica). Sul punto, dunque, riprendo il pieno consenso con Cacciari: <<In cattedra, per l’insegnamento della religione cattolica, non può sedersi chiunque. Certo, ma con il concorso pubblico, che auspicherei anche per l’insegnamento di questa materia, la Chiesa non correrebbe nessun rischio, perché l’insegnante sarebbe sempre una persona motivata, appassionata, che sente una vocazione per queste materie>>.In analogia con quanto avviene per le cattedre di storia della filosofia che vengono affidate ai vincitori di concorso indipendentemente dalla propria visione filosofica.
D’altra parte‐ questa volta parlo da cristiano (sia pur critico ed ecumenico) – una selezione dei docenti mediante concorsi pubblici aperti a tutti i cittadini che dimostrino competenze a riguardo (cattolici, buddhisti, agnostici o atei che siano) comporterebbe un vantaggio enorme anche dal punto di vista dei credenti: la storia delle religioni e degli ateismi diventerebbe finalmente una disciplina scolastica a tutti gli effetti, con i diritti e i doveri di ogni altra disciplina scolastica (uscendo dallo stato attuale di minorità, di cenerentola del sistema).
Per concludere:  capisco l’iniziativa odierna se si tratta di una mossa tattica, per rimediare alle lacune della prassi corrente e assicurare a chi non “si avvale” dell’IRC un’alternativa dignitosa e credibile; ma, in una prospettiva di lungo respiro, strategica, dobbiamo lottare non per una alternativa all’ora di religione bensì per una sua transustanziazione in ora delle religioni e degli ateismi. Tutti gli insegnanti di religione cattolica intelligenti e preparati che ho conosciuto nella vita sono d’accordo con queste mie modeste opinioni: non resta da augurarsi che anche politici e ministri (laureati o meno che siano) si convertano ‐ per restare nel vocabolario teologico... – alla logica democratica e al buon senso.
Vorrei chiudere con un’esperienza di questi mesi. Appena entrato in quiescenza dalla scuola, ho aperto uno spazio che ho chiamato “Casa dell’equità e della bellezza” dove varie persone propongono varie cose. Personalmente sto curando dei seminari in cui, senza attrarre le folle (ma neppure solo i...folli), con l’aiuto di amici specializzati sui vari ambiti tematici, vengono esposte le linee essenziali dell’induismo, del buddhismo, del politeismo greco, dello sciamanesimo, dell’ebraismo. Continueremo con il cristianesimo, la filosofia greca, l’islamismo, la filosofia medievale, la filosofia moderna e contemporanea. Oltre alla valenza intrinseca, questa esperienza di alfabetizzazione elementare ha un occhio rivolto a un progetto: creare, presso una “Fattoria sociale” di amici nei pressi di Segesta, un “Giardino delle sapienze” che possa offrire una passeggiata esplorativa per evocare, grazie a qualche simbolo, le più rilevanti proposte di saggezza della storia umana. 

Augusto Cavadi 
www.augustocavadi.com
   
cobasscuolapalermo.files.wordpress.com/2017/09/augusto-cavadi-tre-tesi-sullinsegnamento-della-questionereligiosa-6-4-17.pdf

martedì 28 novembre 2017

MANLIO SGALAMBRO SECONDO MICCIONE AND FRIENDS


In rete, nello spazio www.sfi.it, potete scaricare gratuitamente una rivista di didattica della filosofia dal titolo “Comunicazione filosofica”. Nell’ultimo numero (39) è ospitata anche una mia RECENSIONE a

Davide Miccione (a cura di), Manlio Sgalambro. Breve invito all’opera, Lettere da Qalat, Caltagirone (Catania) 2017, pp. 197, euro 15,00.


Quel poco che conoscevo di Manlio Sgalambro non mi aveva stuzzicato il desiderio di saperne di più. Ma l’incontro con questo bel libro a quattro firme (Manlio Sgalambro. Breve invito all’opera, a cura di Davide Miccione, Lettere da Qalat, Caltagirone 2017, pp. 197, euro 15,00) mi ha indotto a cambiare idea e a constatare che, davvero, ora che è morto, “tra i tanti esemplari umani ormai riducibili a pochi tipi, e noiosamente ritornanti sul proscenio del presente, Sgalambro spicca sempre di più” (p. 8).
        Il primo capitolo, di Davide Miccione, è dedicato a I molti nomi del filosofo o, come spiega meglio il sottotitolo, a delineare La figura del pensatore in Manlio Sgalambro. Più che in positivo, tale figura viene ricavata in negativo, sulla base delle idiosincrasie del pensatore siciliano: non è un accademico né un docente di scuola dal momento che – secondo la sintesi efficace di Miccione – per Sgalambro “lo spirito soffia dove vuole, ma non in un’aula” (p. 30);  non è un erudito (“In filosofia non è ammessa ‘cultura’. Il corpo a corpo con lo spirito è un’altra cosa. Cultura è ciò che resta dopo che lo spirito se ne è andato”, p. 31); vive appartato e solitario; pericoloso per l’uomo comune almeno quanto l’uomo comune lo è per il filosofo; dedito a un sapere che  - del tutto controcorrente – è “luogo delle certezze e non dei dubbi, della chiusura nel sistema come forma ideale, del rifiuto di una storia della filosofia, del rifiuto dell’ermeneutica, insomma del rifiuto di tutte quelle dimensioni che possono permetterci di articolare la convivenza tra filosofie diverse senza postulare che ve ne possa essere solo una” (p. 36). Il filosofo è “chierico” (p. 38), “teologo” (p. 40) sia pure di una religione empia, “conoscitore”  e “avventuriero” (p. 44), “scrittore di filosofia”  o, per essere più precisi, dell’   opera filosofica” (p. 48).
        Ma quali sono i contenuti precipui di quest’opera filosofica sgalambriana ? Nel suo saggio Manlio Sgalambro: pessimismo e misoteismo Salvatore Ivan D’Agostino individua due principali linee teoretiche: “il pessimismo di derivazione schopenhaueriana” (p. 51) e l’  “odio per Dio” (p. 61) che è spesso “una reazione emozionale alla sindrome di Stoccolma religiosa secondo la quale siamo costretti più o meno consapevolmente ad amare l’essere (supposto) che ci tiene in miseria, ci fa soffrire ed alla fine immancabilmente ci uccide” (p. 76). Da queste due matrici si generano diversi frutti, più o meno avvelenati, tra cui l’ “antinatalismo” (per usare l’etichetta di David Benatar) o, più semplicemente, la tesi che non nascere è da ogni punto di vista preferibile a nascere.
      Sgalambro ha affidato la sua filosofia anche alle composizioni in versi: di queste si occupa, con fine erudizione,  Giovanni Miraglia nel suo Caravanserraglio d’argomenti. Manlio Sgalambro o della impoesia. Al suo sguardo il pensatore di Lentini appare come un antico greco per il quale “non v’erano precisi confini tra pensiero astratto, scienza, musica e letteratura” (p. 85). Ma se allora la poesia poteva aspirare a una funzione religiosa o civica, Sgalambro si dedica invece a sopprimere ogni “funzione salvifica” , “in primis per mezzo dell’ironia” (p. 91). Un’ironia che giunge dalle “lande teutoniche, forgiata nella fucina romantica e idealistica” e avente “il suo perno nel comico come frutto della contraddizione” o, per dirla con Kant, “il dissolversi nel nulla di un’attesa vivissima” (p. 94). Miraglia ripercorre con dovizia di collegamenti le “quattro stazioni” in cui è “scandito il cammino impoetico di Manlio Sgalambro” (p.83): ma , in questa sede, non possiamo che rimandare alle sue pagine così dotte.
  Il quarto e ultimo saggio del volume (Un cavaliere dell’intelletto: Manlio Sgalambro), di Cosimo Cucinotta, esamina il testo del libretto di un’opera lirica – Il cavaliere dell’intelletto, appunto -  dedicata a Federico II, nell’ottavo centenario della nascita, che il filosofo siciliano scrisse per Franco Battiato. La figura del sovrano svevo-normanno che emerge è complessa almeno come pare sia stata storicamente: “si dichiara consapevole della natura della Verità, una natura effimera e leggera come quella di una cortigiana, che i ragionamenti del filosofo possono solo corteggiare, laddove l’autorità imperiale la possiede totalmente, poiché essa è cosa da re non da filosofo” (pp. 109 – 110). Sul finire dell’opera, Federico II proclama il “suo messaggio estremo: tra il nascere e il morire – i soli momenti reali – si svolge un sogno ininterrotto da qualche brivido di veglia. Ogni sua azione non è stata altro che un gesto vuoto e senza significato, un guscio arido. L’eroe che ha sempre creduto di agire comprende, rimasto solo sulla scena, che anche l’azione evapora nel nulla e che non gli è stato dato altro destino che non fosse la consapevolezza estrema di essersi vanamente agitato. Il suo impero è stato anch’esso un sogno, destinato a cadere in rovina, un progetto nel cui divenire si occultava la morte e di  cui sopravvivono solo le parole friabili di cui era fatto: solo le parole restano” (pp. 123 – 124).

         Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com

domenica 26 novembre 2017

CI VEDIAMO LUNEDI' 27 NOVEMBRE 2017 A MONTEROSSO ALMO (RAGUSA)?

La "Giornata contro la violenza sulle donne" è stata occasione di varie iniziative anche in Sicilia. Il nostro piccolo gruppo "Noi uomini a Palermo contro la violenza sulle donne" (che ha sede presso la "Casa dell'equità e della bellezza" di via Nicolò Garzilli 43/a ed è apertissima all'inserimento di nuovi uomini sensibili alla problematica !) è stato destinatario di vari inviti perché si va facendo sempre più chiaro che si tratta di una questione che riguarda più i maschi (che nella violenza esprimono la propria degradazione etica) che le donne (la cui maggiore responsabilità è di non saper stroncare sin dalle prime manifestazioni le tendenze distorte dei partner).
Personalmente ho avuto la gioia di partecipare con Mario Polizzi al seminario, presso l'Università di Palermo, "C'era una volta il maltrattamento delle donne...E c'è ancora!" - svoltosi giovedì 23 novembre - con una breve relazione dal titolo: "Se Dio è maschio, gli uomini sono dei?".
Domani mattina, lunedì 27 novembre, alle 10,00 incontrerò gli alunni della Scuola Media "Giosué Carducci" (Bagheria) saggiamente diretta dalla mia amica Fiorangela Troia.
 La sera, alle ore 20, insieme a Sergio Cipolla, incontreremo un gruppo di uomini a Monterosso Almo (Ragusa) su iniziativa di Daniela Pappalardo. 
La stessa signora ha organizzato, per l'indomani mattina alle 9,30 a Ragusa, un incontro pubblico con sindacalisti e iscritti della CGIL della città.

sabato 25 novembre 2017

ANCHE PER MARIA D'ASARO IL MARE E' PROFONDO


lunedì 20 novembre 2017
Il mare, come è profondo il mare ...
Prendendo a prestito per titolo quello di una bella canzone di Lucio Dalla,  nell’intrigante libretto Il mare, com’è profondo il mare … (Diogene Multimedia, Bologna, 2017, €9,80) Augusto Cavadi ci propone una particolare crociera marina: crociera speciale perché la vastità azzurra del più suggestivo elemento fisico terrestre diviene anche emblema e metafora della nostra condizione esistenziale: “Il mare – scrive Cavadi – è un saggio maestro. Ci suggerisce la nostra costituzione anfibia: in ciascuno di noi s’intrecciano le caratteristiche delle radici e le caratteristiche delle àncore. (…) Solo chi ha navigato molto (…) può stabilirsi in un luogo senza farsi illusioni sulla precarietà ontologica dell’esistenza.” Il viaggio in mare aperto proposto dall’autore evoca riflessioni suggestive: riflessioni che, se non presumono di dare un senso univoco e porti sicuri alla vita, sono almeno capaci di fornirle approdi di conforto e riparo.  La navigazione proposta dall’agile testo scorre attraverso tredici capitoletti che, nel mare magnum della vita personale e collettiva, suggeriscono una rotta che abbia come timone l’etica dell’avventura e dell’oltranza, ma anche quella della finitudine e della precarietà; un viaggio che, senza dimenticare la dimensione dell’attesa e dell’approfondimento, privilegi l’etica del rispetto, della gratuità, della solidarietà, della convivialità e dell’affidamento, immancabili compagne di viaggio; una rotta che contempli infine anche la possibilità del fallimento e del naufragio. 
A farci compagnia negli oceani marini ed esistenziali, Cavadi convoca ‘ammiragli’ del calibro di Baudelaire, Gibran, Edgar Lee Masters, Hemingway; ma anche capitani di lungo corso a noi contemporanei quali lo scrittore Alessandro Baricco, il sociologo Franco Cassano, il filosofo Luigi Lombardi Vallauri. Quest’ultimo evidenzia come la qualità del paesaggio abbia il potere di nutrire e soddisfare la nostra anima, che soffre se costretta in orizzonti ristretti “non incontrando, quel profondo, quell’ampio, quel poetico per il quale ha struggente nostalgia”.  Ancora Vallauri ci ricorda che deserto e mare - “vuotità incrociate, una solida e una fluida” -  “sono accomunati dagli effetti sull’anima. Tutti e due ti fanno lasciare la presa.” Proprio quest’immensità vuota, incalza Cavadi, “ci insegna a non vivere da onnipotenti. A saper misurare le forze”; ci insegna che “siamo tutti bastardi”. 
A tal proposito, il testo ricorda che, tra il XII e il XIX secolo, in tutti i porti del Mediterraneo si è parlato il ‘sabir’, lingua franca che mescolava siciliano, veneziano, genovese, spagnolo, catalano, occitano e anche un po’ di arabo, greco e turco: “prototipo di ciò che potrebbe diventare, nel mare e oltre il mare, una cultura globalizzata: una cultura che, senza rinnegare le specificità regionali, impari a cedere e a ricevere qualcosa da tutte le altre”. Cassano, in un suo testo che è un inno alla prospettiva mediterranea attraente e inclusiva, sottolinea che tra le società umane la differenza è appunto “tra le identità-muro che hanno bisogno della guerra e le identità che conoscono l’apertura del mare e hanno bisogno di amici, di soci, di porti accoglienti e di trattati di pace”. Lo psicoterapeuta Girolamo Lo Verso, aggiunge: “Poche cose come il mare rendono improbabile, e un po’ metafisico, il concetto di frontiera che tanti sfracelli ha combinato nella storia umana (…). Il marinaio, del resto, è sempre stato un cittadino del mondo e precursore di una globalizzazione non omologante”. Continua Cavadi: “Il mare insegna con la sua stessa struttura una solidarietà ontologica”; “la navigazione non è forse la risultante della cooperazione di un intero e ben articolato equipaggio?” ”La parte (…) è parte di un tutto  e può realizzare il proprio senso solo avendone consapevolezza e comportandosi di conseguenza”.
Citando una frase di Hisamatsu, studioso del buddismo Zen “Come un’onda non cade nell’acqua dall’esterno, ma proviene dall’acqua senza separarsene”,  l’autore conclude così: “Quando l’uomo scopre di essere una delle innumerevoli sfaccettature dell’unico Prisma (…) in questa prospettiva, la solidarietà è il riconoscimento attivo di un vincolo al di là della polarità ‘altruismo’ ed ‘egoismo’.”
Affidiamoci allora alla grammatica delle immensità marine: “immergiamo le orecchie nel suo ventre sonoro”; assumiamo “lo sguardo conoscitivo, audace e aperto di Ulisse”; ricordiamo che “Senza l’infinito del mare si va a fondo, risucchiati dal vortice del nostro antropomorfismo”. E infine, nella nostra navigazione esistenziale, non abbandoniamo mai il remo del pensiero, perché, come canta l’indimenticabile Lucio: “Il pensiero come l’oceano … non lo puoi recintare”; e, come scrive Melville: “Ogni pensare serio e profondo è soltanto l’intrepido sforzo dell’anima per mantenere la libera indipendenza del suo mare.”.                                      
                                                                                                                                 Maria D’Asaro
www.siciliainformazioni.com/redazione/719338/il-mare-come-profondo-il-mare-di-cavadi-viaggio-suggestivo-e-metafora-dellesistenza

martedì 21 novembre 2017

UN ROMANZO DI FANTA-STORIA DI SALVATORE PARLAGRECO


21.11.2017

LA SICILIA CHE CI SAREBBE STATA SE FOSSE DIVENTATA AMERICANA

Ricordate il meccanismo – rappresentato in due diversi film – delle porte girevoli (sliding doors) ? Una donna ha davanti due strade: la sua vita avrà un corso se ne percorrerà una, un corso completamente differente se ne percorrerà un’altra.  Ciò vale per gli individui, ma anche per i popoli. Al termine della Seconda guerra mondiale la Sicilia aveva due strade: diventare il quarantanovesimo  stato degli Stati Uniti d’America o, più realisticamente, restare una regione italiana (sia pur dotata di uno Statuto speciale). Sappiamo com’è andata. Il romanzo di fanta-storia Operazione Lure. Come la Sicilia divenne la 49sima stella USA, di Salvatore Parlagreco (Navarra, Palermo 2017, pp. 368 ) prova a raccontare come avrebbero potuto svolgersi le cose. Lo fa con uno stile letterariamente intrigante, a tratti avvincente, come si addice ai migliori triller polizieschi.
  Il personaggio chiave è un giornalista che scende da Roma a Palermo per ritrovare un collega della stessa redazione che, in missione in Sicilia, ha fatto improvvisamente perdere le proprie tracce. La vicenda è, ovviamente, solo un pretesto per raccontare un contesto: la situazione culturale, sociale, politica ed economica di questa ipotetica Sicilia americana nel 2019. Sorpresa: è esattamente la situazione culturale, sociale, politica ed economica dell’effettiva Sicilia italiana nel 2017 ! Parlagreco lo fa dire a un personaggio della sua fiction: “la Sicilia italiana uguale in tutto e per tutto alla Sicilia americana. Una trovata ingegnosa, non c’è che dire” (p. 131).
   In particolare è la situazione di un’area del globo dove regnano ancora ambiguità, doppi giochi, complicità: e la mafia. Una “mafia senza mafiosi”, forse: una “Cosa nostra” che è diventata una “Cosa nuova”. Insomma, una mafia che spara sempre meno non perché in difficoltà, bensì perché è diventata il nodo di una rete corrotta e corruttrice molto più ampia, più soffocante, più efficiente. Su questa analisi gli scienziati sociali si stanno confrontando: ma chi scrive romanzi non ha l’obbligo di argomentare le proprie intuizioni e può rischiare di colpire il bersaglio anche se approssimativamente, non proprio al centro. Dal punto di vista della risonanza etica nel lettore non cambia – non dovrebbe cambiare – molto: prevalentemente violento o prevalentemente corrompente, il sistema di dominio mafioso è comunque la palla al piede dell’isola mediterranea. Che i cinque anni della nuova legislatura regionale  possano servire a scardinare tale sistema è una speranza del tutto legittima; forse, purtroppo, non altrettanto fondata.

Augusto Cavadi

www.nientedipersonale.com/2017/11/20/libro-la-sicilia-ci-stata-fosse-diventata-americana

domenica 19 novembre 2017

QUALCHE IDEA CHIARA SULLA "TEORIA DEL GENDER"

Dalla pagina FB del mio amico Luciano Sesta alcune idee sulla così detta "teoria del gender" che condivido e spero possano aiutare a riflettere chi è davvero senza paraocchi pregiudiziali:

1) Dietro la teoria del gender non ci sono soltanto perversione e stravaganza, ma anche problemi reali, che chiedono di essere affrontati con rispetto, innanzitutto, per le persone coinvolte;
2) Storicamente, la distinzione fra “sesso biologico” (maschio e femmina) e “identità di genere” (uomo e donna), nasce in riferimento a una condizione subìta, non scelta, come dimostrano la sindrome di Morris e i casi di ermafroditismo e ambiguità genitale alla nascita;
3) Anche se talvolta in modo maldestro, la teoria del gender, in fondo, vuole dirci che siamo tutti persone, al di là del nostro orientamento sessuale e della nostra identità di genere.
4) Se accolta come valorizzazione della nostra umanità condivisa, la teoria gender non ci dice qualcosa di diverso da Galati 3, 28: “non c’è più uomo né donna, ma tutti siamo uno in Cristo Gesù”. Non dovremmo mai dimenticare, infatti, che c’è in tutti noi qualcosa rispetto a cui la differenza sessuale è indifferente: l’essere persone e figli di Dio.
5) Non è vero che la differenza sessuale fra uomo e donna è prima di tutto biologica, perché richiede un processo di maturazione in cui sono decisive tanto la natura quanto la cultura: se è vero che maschi e femmine si nasce, uomini e donne si diventa, in un gioco di relazioni difficili e dagli esiti non scontati;
6) Le teorie gender si inseriscono in questo spazio di libertà che la natura, anche biologica, concede a ogni essere umano, e finiscono così per esprimere, spesso involontariamente, la spiritualità della persona, che non si riduce mai alle funzioni biologiche del proprio corpo.
Le reazioni polemiche, oltre che a un fraintendimento di queste mie affermazioni, sono derivate dalla provocatoria associazione di san Paolo alle teorie Gender. Certo, se "gender" = "demonio", allora associarlo a san Paolo è un'eresia. Ma se "gender" è una risposta talora equivoca a un'esigenza giusta, allora l'analogia non fa altro che aiutarci a capire che le cose sono più complesse, e che la verità non sta sempre dalla nostra parte, ma può anche trovarsi dall'altra. Il che non significa che noi allora abbiamo torto, ma che, sull'essenziale, potremmo anche entrambi avere ragione.

giovedì 16 novembre 2017

"CASA DELL'EQUITA' E DELLA BELLEZZA": (ALCUNI) PROSSIMI APPUNTAMENTI


Care e cari,

   le associazioni che promuovono incontri ed eventi a Palermo, presso la “Casa dell’equità e della bellezza” di via Nicolò Garzilli 43/a, si preoccupano di avvertire direttamente i loro contatti.
  Ci sono alcuni amici, però, che desiderano – almeno ogni tanto – essere aggiornati sul quadro complessivo delle iniziative per decidere se, e quando, prendere parte all’una o all’altra.
  Da qui i fogli di aggiornamento generale, come questo che state leggendo: nella speranza che – come ha confidato qualcuno – non vi lasciate annebbiare la mente dall’eccesso di offerte, ma vi vogliate segnare in tempo nella vostra agenda gli impegni che più vi incuriosiscano.

                                                                                           Con simpatia,
                                                                                          Augusto Cavadi
                                         Direttore scientifico della “Casa dell’equità e della bellezza”

NOVEMBRE 2017

Venerdì 17 novembre ore 17,15: Seminario a porte aperte su “Monoteismi nel Mediterraneo” (vedi qua sotto riquadro 1)

Sabato 2 dicembre dalle 9,30 alle ore 19 (con pausa pranzo): Laboratorio di “Teatro degli Oppressi” , organizzato per conto della Scuola di formazione etico-politica “G. Falcone”, aperto anche a chi non segue il corso settimanale in atto (vedi qua sotto riquadro 2)

Domenica 3 dicembre dalle ore 11 alle ore 13 : Giornata di spiritualità laica (con possibilità di prolungare con pranzo condiviso)

Martedì 5 dicembre dalle ore 18,30 alle ore 20,00 : Laboratorio a porte aperte a partire dal libretto di Augusto Cavadi, La mafia desnuda. L’esperienza della Scuola di formazione etico-politica “Giovanni Falcone”, Di Girolamo, Trapani 2017, pp. 111, euro 9,90 (con possibilità di prolungare con cena condivisa)


                                                                  *********          

RIQUADRO N° 1
Il Mediterraneo è luogo di incontro e di scontro fra civiltà
differenti: che le principali siano di ispirazione monoteistica
(ebraismo, cristianesimo, islamismo) costituisce un elemento su cui
puntare per la cooperazione o, al contrario, una difficoltà in più?

Venerdì 17 novembre se ne discuterà dalle ore 17, 15 alle ore 19,30
presso la Casa dell’equità e della bellezza di via Nicolò
Garzilli 43 [2]/a (Palermo) in occasione della pubblicazione del
volume a più voci


                    
DIALOGHI MEDITERRANEI
                         MONOTEISMI E DIALOGO

Istituto Euroarabo di Mazara del Vallo, Mazara del Vallo (TP) 2017

All’incontro, introdotto e moderato da Antonino Cusumano (curatore del
volume), parteciperanno alcuni co-autori dello stesso:

Rosolino Buccheri, Augusto Cavadi,  Cinzia Costa, Piero Di Giorgi,
 Stefano Montes, Antonino Pellitteri, Flavia Schiavo



Ingresso libero e gratuito (con possibilità di lasciare all’ingresso
un’offerta per la gestione della Casa).

Chi desiderasse copia cartacea del volume è invitato a corrispondere
un contributo per l’Istituto Euro-arabo che lo ha edito.


*************
RIQUADRO N° 2

Nell’ambito delle attività della Scuola di formazione etico-politica “Giovanni Falcone”, Sergio Di Vita conduce da più di un mese  un Laboratorio settimanale (che durerà, presumibilmente, sino a maggio 2018) di avviamento al Teatro degli Oppressi (ideato da Augusto Boal).
Anche se non è più possibile inserirsi nel gruppo di chi si incontra settimanalmente, per tre o quattro volte Sergio offrirà a tutti – dunque anche a chi non è iscritto al Laboratorio  - la possibilità di Seminari di una giornata intera.
Chi vuole avere notizie sul Laboratorio in generale e PRENOTARSI PER IL SEMINARIO DI SABATO 2 DICEMBRE 2017, deve accedere alla piattaforma:

                            padlet.com/vitadisergio/ter_coragem_de_ser_feliz


martedì 14 novembre 2017

ELEZIONI SICILIANE: UN (PRIMO) BILANCIO AMARO



Su richiesta dell'Agenzia di stampa romana "Adista" ho inviato alcune note sulle recenti elezioni regionali in Sicilia.

“ADISTA”
10.11.2017

UN BILANCIO AMARO

  Se uno non soffre di dislessia, o forse di discalculìa, da rifiuto pregiudiziale della verità non può che vedere nei risultati del voto siciliano un bilancio amaro: 36/70 seggi al Centro-destra (guidato da un esponente di Fratelli d’Italia-Alleanza nazionale e comprensivo di quattro Leghisti del Nord); 20 seggi al Movimento 5 Stelle (che, in quanto partito, è risultato il più votato);  13 seggi al PD & soci; 1 seggio alla lista a sinistra del PD (riservato allo stesso Claudio Fava, candidato presidente).
Davide Faraone, proconsole renziano in Sicilia della prima ora, sui canali telematici prova a smussare la batosta facendo confronti a fisarmonica con risultati elettorali precedenti e chiamando in correità personaggi come Piero Grasso, colpevole di non aver accettato il ruolo di kamikaze in una campagna elettorale schizofrenica (a dispetto del principio di non-contraddizione aristotelico, il fantasma di Crocetta veniva invocato come esempio di amministratore esemplare e, a un tempo, disastroso).
  Vogliamo vedere con un po’ di attenzione il bollettino di questa Caporetto? Primo punto: ha vinto Nello Musumeci, personalmente integerrimo, ma ha portato con sé a Palazzo dei Normanni personaggi che in una democrazia matura non si sarebbero azzardati neppure a presentarsi (penso a Luigi Genovese il cui padre, sommerso da guai giudiziari sino al collo, ha traslocato dal PD a Forza Italia l’ingente patrimonio di voti facendone dono al figlio ventunenne non ancora laureato; o a Cateno De Luca, esponente dell’UDC, che essendo stato arrestato a poche ore dalle elezioni con l’accusa di “pervicacia criminale e spregiudicatezza” ha segnato un record nazionale difficilmente superabile). E sia chiaro: l’amarezza per il fatto che questi soggetti si propongano, come candidati, e siano accettati dai partiti, non è nulla in confronto all’amarezza di constatare che centinaia di migliaia di elettori – per ragioni clientelari – li votino. Magari fossero costretti dalla lupara alla nuca! Il condizionamento mafioso delle elezioni c’è, ma molto differente dalle modalità violente: il sistema di potere non ha bisogno di minacciare chi si mette in vendita a poco prezzo. Cuffaro è, almeno ufficialmente, fuori dai giochi: ma il cuffarismo, come metodo di raccolta del consenso, vige sovrano.
  Secondo punto: il Centro-destra ha vinto perché ha trovato modo di coalizzarsi. Ma pochi aggiungono che si è trattato di un capolavoro di cinismo tattico: Berlusconi, Salvini e Meloni hanno rinnegato  le proprie convinzioni e le stesse aspre critiche reciproche. Se il “patto dell’arancina” sarà riprodotto a livello nazionale, e imitato dallo schieramento avversario, la coerenza politica farà un altro passo indietro: con quali conseguenze sulla credibilità della “casta” da parte dei cittadini (onesti)?
  Terzo punto: i suffragi della Sinistra sono stati così risicati (ha superato per un soffio la soglia minima del 5%) da rischiare di gettare nello sconforto quanti si erano spesi nella speranza di risultati migliori. Molto dipenderà dalle scelte di Claudio Fava: si eclisserà come da tradizione (Leoluca Orlando e Anna Finocchiaro, sconfitti rispettivamente da Cuffaro e da Lombardo, lasciarono le truppe in consiglio regionale senza guida) o ricomincerà, pazientemente, da uno? L’arte dell’opposizione, severa ma costruttiva, è più difficile della stessa arte di governo: ma non meno nobile e necessaria.
   Quarto punto (ultimo solo per ragioni di spazio): nonostante i Grillini abbiano raccolto e canalizzato parte della protesta popolare contro la classe politica siciliana, l’astensionismo si è attestato sul 53% . Capisco che nell’euforia della vittoria e nello scoramento della sconfitta nessuno ha voglia di preoccuparsi dell’astensionismo in crescita. Ma, a luci della festa (e del funerale) spente, la nuova maggioranza e la nuova opposizione faranno bene a guardare un po’ più lontano del proprio naso: altri cinque anni di chiacchiere inconcludenti come gli ultimi potrebbero accompagnare la democrazia in Sicilia verso una fine lenta, ma inesorabile.  E allora si capirebbe che l’anti-politica non sono i ragazzi di Grillo che trovano il coraggio di candidarsi anche senza la pazienza di studiare la storia e il presente dell’Isola (magari per dichiarare che un tempo la mafia era buona e poi, purtroppo, è stata guastata dalla droga e dalla finanza illegale…), ma sono i due milioni e mezzo di cittadini che, se non sono sollecitati né da grandi ideali né da piccoli interessi privati, preferiscono marinare le urne per godersi un sole beffardamente splendente su una Sicilia che minaccia di essere, ancora una vota, ologramma del Paese.

Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
 

 PS: E che c'entra il Laocoonte di Michelangelo come illustrazione ? Non ho trovato immagine più calzante dell'elettore siciliano onesto che vorrebbe cambiare, almeno un po' e almeno gradualmente, le cose.

domenica 12 novembre 2017

CI VEDIAMO A CATANIA, MARTEDI' 14 NOVEMBRE 2017 ?


GIORNATA MONDIALE DELLA FILOSOFIA 2017 CATANIA, Martedì 14 Novembre 2017
Presso l’Università di Catania
 Monastero dei Benedettini - Coro di Notte
                            “IO E LA FILOSOFIA”
Ore 17:30 Percorso filosofico: “Il Filo di Sofia tra Oriente e Occidente”, lungo il corridoio dell’Orologio e il corridoio del Coro di Notte
Ore 18:00 Convegno:”Io e la Filosofia”
Interventi:

“La Filosofia come Liberazione”- Prof. Augusto Cavadi, Filosofo consulente riconosciuto dall'associazione nazionale <<Phronesis>>

“Filosofia è Libertà” - Prof. Alberto Giovanni Biuso
“La battaglia interiore” - Dott.ssa Manuela Di Paola, Presidente di Nuova Acropoli Catania
A seguire Musica colta dal vivo a cura del Coro “Imago Vocis” diretta dal maestro Salvatore Resca.

www.nuovacropoli.it
 

sabato 11 novembre 2017

GAETANO CELAURO LEGGE "LA MAFIA SPIEGATA AI TURISTI"


www. sololibri.net
31.10.2017
Gaetano Celauro recensisce:
Augusto Cavadi, I siciliani spiegati ai turisti, Di Girolamo, Trapani 2014
Attraverso le risposte a tre semplici domande, Augusto Cavadi, riesce efficacemente a fornire precise coordinate per la conoscenza del fenomeno mafioso:
«La mafia: di che si tratta?»; «La mafia: c’è sempre stata?»; «La mafia: ci sarà per sempre?».
La mafia spiegata ai turisti è un piccolo libro che offre un contributo notevole: fornisce delle risposte essenziali ed è corredato da un’esaustiva bibliografia sulla mafia diretta a chi volesse approfondirne la natura e l’estensione.
Luoghi comuni e pregiudizi sono ampiamente diffusi, anche negli stessi siciliani, tali da non consentire sovente un’analisi obiettiva.
L’autore analizza le similitudini - non poche - con le varie associazioni criminali organizzate operanti nelle altre regioni. La formazione dello Stato unitario nel 1861 segna l’inizio della mafia nella sua attuale configurazione, che prende a prestito riti e simboli delle società segrete preesistenti. La mafia siciliana, però, ha alcune specificità: mira al maggiore consenso possibile e, per conquistarlo un po’ in tutti i ceti, ricorre a una sorta di pedagogia sociale, cercando di trasmettere un codice culturale. Il mafioso vuole essere temuto ma, più ancora, vuole essere riconosciuto e rispettato.
Prima del 1861 le fonti storiche registrano fenomeni che si possono definire, secondo studiosi specialisti del settore, come “premafiosi”. Si può addivenire convenzionalmente ad una periodizzazione nello sviluppo del fenomeno mafioso: dalla fase agraria si passa alla fase urbano-imprenditoriale per concludere con quella finanziaria (dagli anni Settanta ad oggi), dove operano tecnici esperti nei meccanismi finanziari internazionali.

La violenza è il mezzo principale per perseguire i propri fini ma viene adoperata in maniera “programmata”, attraverso passaggi progressivi che vanno dalle intimidazioni ai danneggiamenti. L’omicidio costituisce l’extrema ratio: in tal modo, infatti, si manifesta quasi la propria debolezza e si dimostra, con questi mezzi estremi, di non avere più il controllo del territorio.
Se la violenza è quindi un mezzo, le finalità principali, comuni alle associazioni mafiose, sono l’esercizio del potere e l’arricchimento. Per il raggiungimento del primo obiettivo i mafiosi non si pongono come delinquenti comuni ma si prefiggono il preciso intento di infiltrarsi nello Stato. È quindi errata e fuorviante la definizione di mafia quale anti-Stato. Di contro questa organizzazione mira a ricoprire posti chiave nella pubblica amministrazione; le cosche mirano in sostanza all’esercizio di una “signoria” politica all’interno della comunità.
Occorre abbandonare il falso stereotipo e l’erronea convinzione, fortemente radicata nella popolazione, di una mafia buona, rispettosa di valori primo dei quali l’onore, che opera accanto ad una mafia spregiudicata, cruenta e feroce. È un assioma indiscutibile che non vi sia mai stata una mafia nobile, cavalleresca, leale al proprio interno e, soprattutto, protettrice dei deboli. L’unica mafia di cui si ha notizia è esclusivamente quella parassitaria che ha taglieggiato coloro che, con il sudore della fronte e l’inventiva della mente, hanno provato a dar vita a circuiti ed imprese positive per sé e per gli altri.

Gaetano Celauro