sabato 29 settembre 2018

L'ENNESIMO CONVEGNO ANTIMAFIA DISERTATO: CHIEDIAMOCI PERCHE'

“Repubblica – Palermo”
28.9.2018

L’OVERDOSE DI CONVEGNI ANTIMAFIA

Come riportato dalle cronache, il  procuratore nazionale antimafia Cafiero De Raho ha espresso comprensibile delusione nel constatare che, alla sua conferenza presso il Teatro sociale di Canicattì (Agrigento) per commemorare i giudici Saetta e Livatino, erano presenti sì e no una quarantina di persone (autorità e forze dell’ordine comprese). Con una battuta amara lo si potrebbe confortare affermando che gli sarebbe potuto finire molto peggio:  un teatro pieno di studenti di varia età, distratti e rumoreggianti, dirottati d’ufficio dalle aule scolastiche (scena, o sceneggiata, pietosa cui ho assistito decine di volte in vita mia). Ma su questi episodi non ci si può fermare all’ironia, sia pure con lo scopo di alleggerire la delusione. Più proficuo riflettervi per evitarli in futuro.
 Una prima considerazione che s’impone è che l’incontro con il magistrato è avvenuto 
nel bel mezzo di un’intera per la “Settimana della legalità” dedicata alla memoria dei 
giudici Saetta e Livatino. Il cittadino “medio” era stato già invitato, nei giorni precedenti, a una veglia di preghiera, a una fiaccolata,  a una celebrazione eucaristica, 
a un omaggio presso la stele del luogo in cui Livatino è stato assassinato, a una performance di madonnari impegnati a “disegnare la legalità”; la sera stessa del convegno disertato, poi, erano invitati a un recital teatrale; nei giorni successivi, infine, li attendevano una passeggiata per la legalità, un altro convegno su “Con…passione per la Giustizia” e, infine, un omaggio floreale alla tomba di Antonino e Stefano Saetta.  Diciamocelo francamente: chi di noi, con tutto l’amore possibile per la causa dell’antimafia, avrebbe potuto onorare tanti appuntamenti concentrati in sei giorni di seguito?
 Si potrebbe obiettare che ciascuno di questi eventi era diretto a “bersagli di pubblico” differenti. Ma questa eventuale obiezione ci suggerisce una seconda considerazione: quando si organizza alle 16,30 un “classico” convegno con saluti istituzionali, moderatore, quattro o cinque illustri esperti che trattano il tema (spesso con più dottrina che capacità di sintesi divulgativa), qual è il profilo di fruitore a cui si pensa? E’ lo studente liceale che dovrebbe mettere da parte i compiti per l’indomani mattina o la casalinga di Voghera impegnata a fare la spesa e a preparare la cena? E’ l’artigiano che dovrebbe chiudere bottega per qualche ora o il bancario appena uscito da sette ore di lavoro? Forse sarebbero più disponibili, in astratto, il disoccupato che passeggia in piazza o il pensionato che gioca a carte al bar; ma, appunto, in astratto, molto in astratto. Non voglio sostenere che convegni più o meno “scientifici” non vadano organizzati (né ancor meno che vadano sostituiti con apparizioni di uomini e donne dello spettacolo resi celebri dal cinema o dalla televisione). Solo che vanno preparati per mesi con piccoli gruppi di studio, di riflessione, di scambi: e, quando alla fine arrivano gli specialisti della tematica affrontata in locoda una classe di studenti o da un’associazione antimafia o da una parrocchia, ci si potrà attendere legittimamente la presenza di quei cittadini che si sono documentati. E di non molti altri. 
  L’esperienza ormai pluridecennale mi attesta che se per cinque mesi una ventina di persone si riuniscono settimanalmente per leggere un testo, chiarirselo a vicenda, discuterlo criticamente prima di incontrare l’autore o comunque una figura di rilevante competenza, l’incidenza effettiva per la crescita di una comunità è incommensurabilmente maggiore di un convegno-fungo con centinaia di presenze. Solo che l’amministrazione comunale che può finanziare l’iniziativa, o i mezzi di comunicazione sociale che ne possono evidenziare il rilievo, non se ne accorgono neppure. Sotto le cento presenze, un evento non è un evento. E allora bisogna rassegnarsi: qualche volta la notizia è che ci sono più relatori, portaborse e guardie del corpo che pubblico.
  Comunque l’episodio di Canicattì interroga tutto il movimento antimafia italiano (e, ancora più in generale, le organizzazioni di cittadinanza attiva): nell’epoca del tramonto delle religioni, anche le religioni civili (con i loro riti, linguaggi, sacerdoti istituzionali, cortei…) sono arrivate alla conclusione di un ciclo storico.  Con fantasia e coraggio, senza temere le critiche e gli eventuali fallimenti, bisogna sperimentare forme nuove di manifestazione di ideali antichi, anzi perenni. Non è facile, ma – con tutta la cautela suggerita dalle mode populiste – il “popolo” va coinvolto in maniera sempre più rispettosa e responsabilizzante. A torto o a ragione, le “masse” non si lasciano più “mobilitare” da parole d’ordine altisonanti. Se non sono il tifo da stadio né i “mi piace” su Facebook che ci interessano, dobbiamo imparare a comunicare in maniera accessibile, con strategie capillari nel territorio, e soprattutto con timbro di autenticità esistenziale, i principi etico-politici per i quali riteniamo opportuno impegnarci e chiedere impegno. La strada, in questa direzione, è lunga; ma non vedo scorciatoie alternative.
                                                                                         Augusto Cavadi
                                                                                 www.augustocavadi.com

venerdì 28 settembre 2018

LE PAROLE DEL PAPA E LE PERPLESSITA' DI FEDERICA

26.9.2018


LE PAROLE DEL PAPA E LE PERPLESSITA’ DI UNA VENTENNE

Ancora una volta un papa passa da Palermo, attrae folle festanti, riparte con i ringraziamenti ufficiali delle autorità e, ancora una volta, nulla sembra cambiare nella gente che pure l’ha applaudito commossa. Che cosa non va come dovrebbe o, per lo meno, come ci si augurerebbe?
    Lo dichiaro subito: non lo so. Non ho ricette né consigli. So che certamente, al suo posto, non farei meglio di lui. Eppure questa consapevolezza non mi esonera dal cercare di capire. Una giovane amica, Federica, nel corso di una cenetta familiare, mi ha offerto qualche elemento di riflessione: “Non sono riuscita ad assistere alla messa (quella dove veniva ricordato che i mafiosi non possono essere contemporaneamente cristiani) poiché il Cassaro era completamente intasato, ma sono riuscita a riservarmi un piccolo spazio per ascoltare il dialogo con i giovani a piazza Politeama. Ho pensato che, in quanto giovane, non potessi assolutamente perdermelo. Vedendolo arrivare sulla papamobile non nascondo di avere provato una sorta di euforia,forse data dall’empatia nei confronti delle persone che mi stavano vicine (non ho idoli, di solito). Ed ecco la folla gremita rivolge lo sguardo a lui:ottanta mila persone, centosessantamila occhi puntati addosso, centosessantamila orecchie in attesa.  ‘Cari Amici, buonasera!’ : centosessantamila mani in festa. Ai ragazzi che gli chiedono come ascoltare Gesù risponde:‘La parola di Dio è dinamica, non si ascolta stando in poltrona’. Il messaggio è così efficace che un vicino  (pigro) propone, sul momento,  alla sua ragazza di iniziarea correrealla Favorita. Aggiunge:‘Sul telefonino le chiamate del Signore non arrivano, nemmeno in tv dove il Signore non possiede nessun canale, nemmeno nella musica assordante e nello sballo’; ‘Sporcatevi le mani’; ‘Sognate in grande’; ‘Aiutate’; ‘Servite’, ‘Amate’. Continua poi con un discorso sull’integrazione, ricordando che bisogna accogliere e amare, perché ‘Dio ama chi dona’. Tutto troppo bello e troppo condivisibile. Mi stufo di ascoltarlo. Spintonata e quasi schiacciata dalla gente sono andata via col mio ragazzo. Ho pensato che non avrei riconosciuto autorevolezza a quel discorso solo perché a pronunziarlo era stato il papa. Il trionfo dell’ovvio è proprio ciòche non mi aspetto. Parlare a tutti, farsi capire da tutti, non vuol dire dovere piacere a tutti. Vorrei  un papa che mi metta in crisi, che mi sorprenda, che mi scuotaImmagino che trovare Dio nel proprio cuore sia molto costoso in termini d’impegno della vita: non si può parlare solo di amorein senso generico…Questo papa francescano amato dagli atei, dagli agnostici, dai conservatori, dai gay (quelli la cui omosessualità si è presentata dopo ivent’anni e che non sono passati, da piccoli, per lo psichiatra), dalla destra, dalla sinistra - questo papa che si esprime su tutto e piace un po’ a tutti è simpatico,ma non centra il punto.Ho il vago ricordo di un passo evangelico in cui Gesù sostiene  di essere venuto sulla terra per portare non la pace, ma la spada. Vorrei che le parole di un papa avessero su di me la stessa influenza esercitata da alcuni preti scomodi, da alcuni teologi laici… Maforse questo lo posso dire perché io non devo piacere a tutti.
  Ascolto; registro le considerazioni a caldo di una persona sveglia, onesta, di tutta un’altra generazione. E taccio. Ciò che riesco a pensare è solo che la nostra epoca – dopo la morte di Gandhi, di Martin Luther King, di Che Guevara, di Nelson Mandela – ha bisogno di profeti. La storia vive della dialettica fra istituzioni e profezia. Non si può chiedere agli esponenti delle istituzioni (che devono, diplomaticamente, mantenere la concordia interna alle proprie organizzazioni politiche o religiose o sociali) di giocare anche il ruolo di profeti. Già è molto quando l’istituzione. (a differenza di come è avvenuto per Socrate, per Gesù, per Giordano Bruno, per Galileo Galilei, per Rosa Luxemburg o per Antonio Gramsci) non soffoca il profeta, non mette a tacere la critica tagliente né l’utopia lungimirante. Ciò che possiamo fare da cittadini è rifondare le istituzioni (politiche o religiose o sociali) eccessivamente verticistiche, gerarchizzate, sclerotizzate: sino a quando ci saranno Stati o Chiese o Partiti o Sindacati organizzati in funzione dell’autoconservazione – e non, come recitano ipocritamente gli statuti, in funzione del benessere collettivo – sarà illusorio sperare in guide carismatiche. I papi influenzano le curie, e i governi le burocrazie, meno di quanto le curie condizionano i papi e le burocrazie i governi. Solo chi, essendo privo di potere, non rischia di perderlo  può permettersi di indicare ciò che è vero e giusto. Ed è già molto se non finisce bruciato su un rogo o assassinato in un agguato. 

Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com


mercoledì 26 settembre 2018

CASA DELL'EQUITA' E DELLA BELLEZZA: PROSSIMI APPUNTAMENTI

CASA DELL'EQUITA' E DELLA BELLEZZA
Via Nicolò Garzilli 43/a - Palermo

Care amiche e cari amici della “Casa dell’equità e della bellezza” di Palermo,

  dopo un’estate molto bella per alcuni, e molto triste per altri, in un contesto nazionale e internazionale che moltiplica le ragioni di preoccupazione, ci avviamo alla ripresa del nostro terzo anno sociale.
Vi segnalo alcuni appuntamenti che si sono già organizzati. Sarete avvertiti man mano che altre iniziative si verranno configurando più in concreto.
     Intanto, chi è veramente interessato a un evento, ha la possibilità di segnarlo in anticipo nella propria agenda.

·     Giovedì 27 settembre dalle 20,15  alle 21,30: Incontro sul tema: “Che significa avere una vita spirituale oggi?”. Organizza la Comunità di libera ricerca spirituale “Albert Schweitzer” (con possibilità di proseguire la serata in pizzeria). Partecipazione libera e gratuita.

·      Venerdì 28 settembre dalle ore 18,00 alle ore 20,00:Francesco Palazzo e Augusto Cavadi (a partire dal libro, da loro scritto insieme a Rosaria Cascio, Beato fra i mafiosi) introdurranno un incontro pubblico sul tema “Don Pino Puglisi 25 anni dopo: qualcosa di nuovo sotto il sole?”. Intermezzi musicali a cura di Davide Giannò (compositore ed esecutore dei canti). Organizzano la Comunità di libera ricerca spirituale “Albert Schweitzer”; il Centro di ricerca esperienziale di teologia laica, il Gruppo siciliano di “Noi siamo chiesa” e la Scuola di formazione etico-politica “Giovanni Falcone”. Partecipazione libera e gratuita.

·     Domenica 30 settembre alle ore 17,30: Una breve introduzione al mondo dei Tarocchi e una lettura di carte per tutti i partecipanti a cura di Giorgio Gagliano.Nel corso dell’incontro verrà offerto un dolce ispirato a una delle carte dei Tarocchi.Il costo dell'evento è di 10 euro.Per avere più informazioni e prenotare il posto scrivere un messaggio (o telefonare) al 327.6952855.

·     Giovedì 4 ottobre dalle 20,15 alle 21,30: Incontro sul tema: “Che significa avere una vita spirituale oggi?”. Organizza la Comunità di Libera ricerca spirituale “Albert Schweitzer” (con possibilità di proseguire la serata in pizzeria).

·     Domenica 7 ottobre dalle 11,00 alle 15,30: Incontro mensile di spiritualità laica della “Domenica di chi non ha chiesa” (a cura del Centro di ricerca esperienziale di teologia laica).Accoglienza reciproca (11-11,30), spunto di meditazione suggerito da Augusto Cavadi (11,30 – 11,45), contributi dei presenti (11,45 – 13,00), pranzo condiviso con gli apporti culinari di chi può e vuole (dalle 13,00 in poi). E’ previsto un contributo di euro 5,00 per la gestione della Casa.

                                            Intanto un affettuoso arrivederci,
                                                             Augusto Cavadi

PS: Si ricorda alle persone che vogliano partecipare a nostri eventi, e vivono lontano da Palermo, che presso la “Casa” stessa è disponibile un servizio di ospitalità anche per la notte, in cambio di un rimborso delle spese di mantenimento del servizio.

                                                                      Augusto Cavadi
                                                               a.cavadi@libero.it






lunedì 24 settembre 2018

DALLA POLITICA DEI POLITICANTI ALLA POLITICA DEI CITTADINI




24.9.2018

SIAMO TUTTI POLITICI

Nel Sessantotto era abbastanza frequente la figura del “cristiano per il socialismo”, attivamente impegnato per la riforma della chiesa e del sistema capitalistico. Oggi, nell’epoca dell’eclissi delle “grandi narrazioni”, è molto più difficile trovare intellettuali impegnati in “utopie concrete”. Tra gli ultimi esemplari di questa specie in estinzione (almeno nel presente e nell’immediato futuro) troviamo Piero Di Giorgi, con il suo recente Siamo tutti politici. Dalla repubblica dei partiti alla democrazia dal basso (Albatros, Roma 2018, pp.234, euro 14,90).
 L’autore, adottando esplicitamente un approccio complessivo e transdisciplinare alla situazione socio-politica planetaria, parte dall’analisi dello status quo: il “fondamentalismo del mercato” provoca danni sociali (“disoccupazione giovanile”), politici (“crisi della rappresentanza”), ambientali (“catastrofe ecologica”). Alla diagnosi dei mali si accompagna la terapia, fondata essenzialmente su una visione antropologica e su una riforma intellettuale e morale (di stampo gramsciano).
  La visione antropologica, superando vecchie contrapposizioni, focalizza un essere umano tendente , per natura, tanto all’autoconservazione egoistica quanto alla cooperazione solidale: un’ambivalenza che sarà l’ambiente, l’educazione, la società (insomma la “cultura”) a sciogliere facendo prevalere – sia pur mai definitivamente – ora la tendenza aggressiva ora la tendenza collaborativa.
   Da questa concezione dell’essere umano si ricava l’importanza decisiva della “politica della cultura” come impegno collettivo – del sistema scolastico ma non solo - a sviluppare il senso critico e a “democratizzare la conoscenza” (Edgar Morin). Solo una cittadinanza più informata sarà in grado, se vince la pigrizia, di evitare  la delega ai politici di professione e di partecipare continuativamente alla gestione della cosa pubblica.
    Che effetto può provocare questo saggio sui lettori? 
    Ovviamente dipende dall’età e dalla formazione culturale di ciascuno. 
    Alcuni, soprattutto più giovani, troveranno istruttivo vedere in un quadro riassuntivo d’insieme le idee-guida che sono state elaborate nella seconda metà del XX secolo dai movimenti “antagonisti” rispetto al “pensiero unico” neoliberista dominante. Per altri, soprattutto se meno giovani e più informati, questa sintesi provocherà, in più passaggi, un retrogusto – misto di nostalgia e di tenerezza - di déjà vù.
    Personalmente ho apprezzato varie osservazioni critiche, per esempio sulla degenerazione dello spirito cooperativistico in numerose organizzazioni effettive: “Ricordate la pubblicità  <<la Coop sei tu>> ? In verità i soci Coop non contano niente e i prezzi sono spesso più alti di altri supermercati e i licenziamenti dei lavoratori anche” (p. 150).  Altre considerazioni mi lasciano perplesso, per esempio la tesi che il divieto del “vincolo di mandato”  - divieto previsto da tutte le democrazie costituzionali compresa la nostra - sia una “fregatura” (p. 82). Capisco che i cambi di casacca sempre più frequenti fra i parlamentari suscitino rabbia e delusione negli elettori; ma non vedo nella trasformazione dei “rappresentanti” (autonomi per cinque anni) in “delegati” (continuamente revocabili) una soluzione adeguata. Ciò equivarrebbe infatti a vanificare le discussioni parlamentari: se so già di essere mero portavoce dei miei elettori, a che perdere tempo nell’ascoltare le argomentazioni di colleghi parlamentari che espongano punti di vista alternativi? Anche se per caso mi dovessero convincere, dovrei rinunziare alla mia coscienza ed esprimere il voto secondo l’indirizzo imperativo dei miei elettori. Ovviamente, sullo sfondo della tesi di Di Giorgi, si intravede la sua preferenza per la democrazia diretta rispetto alla indiretta o rappresentativa, laddove per me è bene che sia quest’ultima la norma e alla prima si ricorra solo in questioni eccezionali (quali, ad esempio, la dichiarazione di una guerra) sulle quali non è necessaria una competenza tecnica specifica.
  Al di là di occasionali riserve che può suscitare, questo testo possiede il merito indiscutibile di ricordare che – contrariamente all’opinione comune – i giochi non sono fatti. La fisica post-newtoniana insegna che piccole modifiche periferiche possono comportare sconvolgimenti nell’intero sistema: perché escludere che anche nella sfera antropica si possa assistere a fenomeni sorprendenti del genere? Una volta si chiamavano “rivoluzioni”. La teoria che esse non siano più ipotizzabili non solo non è incoraggiante, ma non è neppure scientifica.

Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com


http://siciliainformazioni.com/augusto-cavadi/873543/siamo-tutti-politici-dalla-repubblica-dei-partiti-alla-democrazia-dal-basso-piero-di-giorgi

venerdì 21 settembre 2018

I VESCOVI ITALIANI LANCIANO L'ALLARME SULL'AVANZATA CULTURALE DEL LEGHISMO

11.8.2018
“Uomini e dei”. 15

        I  VESCOVI    ITALIANI   E LA STRUMENTALIZZAZIONE LEGHISTA

  In un intervento dello scorso giugno auspicavo che i vescovi italiani, rispetto ad alcuni tentativi di strumentalizzazione della religione cattolica da parte di politici nazionali (come Salvini) o locali (come De Luca), facessero sentire con più energia la propria voce; che – senza entrare nel merito delle opzioni tecniche di governo – ribadissero chiaro e tondo che il cristianesimo non è una bandiera da sventolare per attrarre voti, né ancor meno una clava da brandire per minacciare minoranze etniche sgradite, ma un grappolo di princìpi etici tesi all’instaurazione in terra di una convivenza libera ed equa per tutte e per tutti. 
  E’ con sincera soddisfazione che apprendo dalla stampa, in particolare da “Famiglia cristiana”, che questa reazione da parte dei vescovi (o, per lo meno, di alcuni vescovi) c’è stata. Hanno iniziato, comprensibilmente, responsabili di diocesi di frontiera come Antonio Staglianò, vescovo di Noto, prendendo le distanze da quei “cattolici convenzionali che digeriscono senza problemi l’idea di abbandonare in mare gli immigrati, lasciarli morire per affermare il principio dell’identità nazionale e della forza dell’Italia nei confronti dell’Europa. Il Vangelo, invece, fa dell’accoglienza un principio non negoziabile”. Gli fa eco, dall’altro confine, Antonio Suetta, vescovo di Ventimiglia: “Rifiutare, maltrattare, sfruttare quanti si trovano in queste condizioni è intollerabile, come anche il negare l’assistenza e le cure necessarie per la sopravvivenza è contrario all’insegnamento del Vangelo e al rispetto di ogni diritto umano fondamentale”. Un’altra voce autorevole è del vescovo di Agrigento (che è anche presidente nazionale della Caritas e, attualmente, l’unico cardinale alla guida di una diocesi siciliana). “E’ vero” – afferma tra l’altro Francesco Montenegro – “ che noi non possiamo risolvere problemi complessi come quelli dell’immigrazione e dells povertà – che esigono politiche a servizio di tutte le persone e adatte a garantire la sicurezza, il rispetto dei diritti e della dignità di ciascuno – ma come cristiani abbiamo il dovere di affrontarli osservandoli con la lente di Dio, che è quella della compassione”. Non meno esplicito l’intervento, in occasione del Festino di santa Rosalia, dell’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice: “Siamo noi i predoni dell’Africa. Noi i ladri che, affamando e distruggendo la vita di milioni di poveri, li costringiamo a partire per non morire”. Tra gli altri interventi (per esempio degli arcivescovi di Torino e di Bologna) non poteva mancare la voce di Gualtiero Bassetti, recentemente nominato presidente della Conferenza episcopale italiana: “Non si può chiudere il porto quando arriva una nave che è piena di disgraziati che sono dei crocifissi, per un motivo o per un altro”.
   Molti autorevoli esponenti dell’episcopato italiano hanno dunque iniziato a farsi portavoce, e altoparlanti, degli inviti di papa Francesco a vivere la fede come impegno per i sofferenti prima che come adesione a dogmi astrusi o partecipazione a liturgie ormai anacronistiche. E’ un passo importante. Adesso, tuttavia, ne resta un altro – ancora più ardito e ancora più decisivo – da compiere: attuare gesti concreti, effettivi, di accoglienza e di solidarietà. Ci sono certamente associazioni, istituti religiosi, parrocchie che – autonomamente o con organismi di altre confessioni cristiane come i Valdesi – hanno iniziato a sbracciarsi le maniche: ma si tratta, ancora, di casi isolati. La maggior parte dei conventi e dei movimenti religiosi cattolici mantengono le porte chiuse o continuano a tenerle aperte  solo a turisti forniti di contanti. Eppure questa traduzione in iniziative organiche, pubbliche, delle dichiarazioni d’intenti non è un optional: senza la testimonianza storica gli inviti dalle cattedre riceveranno, nelle ipotesi più benevoli, dei sorrisi di sufficienza.

Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com

giovedì 20 settembre 2018

IL GIRO TRENTINO-VENETO-EMILIA: QUALCHE APPUNTO PER UN BILANCIO

Care e cari,
  non è facile rispondere a chi di voi chiede qualche bilancio delle mie due settimane in Trentino, Veneto ed Emilia. Anche per non annoiarvi, mi limito a qualche sprazzo:

a)   Il ritiro spirituale a Terzolas (Trento) sulla conversione personale e istituzionale (in particolare della chiesa cattolica). Venti persone belle che, nonostante il peso degli anni, non smettono di interrogarsi e di attivarsi per un mondo meno disumano. La relazione della teologa (laica) della liberazione Maria Soave Buscemi sui vangeli mi ha fatto balenare un’ipotesi: e se non fosse proprio il cristianesimo – purificato dalle sue superfetazioni dogmatiche e moralistiche – a poter costituire quel grande movimento transnazionale in grado di offrire al mondo (per lo meno al mondo occidentale) una prospettiva di uscita dalla rassegnata accettazione attuale del sistema capitalistico d'impronta individualistica e liberista? Papa Francesco lo lascerebbe sperare, ma proprio la sua vicenda raffredda i miei entusiasmi: se neppure un papa riesce a intaccare la struttura piramidale-conservatrice cresciuta per due millenni su se stessa, che possibilità restano ai semplici “fedeli laici” della base (ammesso che siano ancora interessati a questo genere di possibilità)? Mi è tornata in mente la vecchia formula: ottimismo della volontà, pessimismo dell’intelligenza. Comunque porto nel cuore l’immagine di una coppia di ultra-ottantenni che si  accudivano reciprocamente come due innamoratini all’inizio della loro storia: lei mi ha donato un mazzolino di mughetto che ho consegnato a Palermo alla mia Adriana. E porto anche l’immagine del silenzioso cappuccino, padre Giorgio Butterini, che per decenni è stato l’animatore della Comunità “S. Francesco Saverio” di Trento, organizzatrice del convegno. Una psichiatra ha raccontato di essersi avvicinata, ormai tanto tempo fa, perché – entrata per caso in una chiesa – lo aveva sentito affermare dal pulpito: “Dio vuole che siate felici. Non ci ha creato per la sofferenza”. 
b)  La conversazione sulle quattro correnti ideologiche (liberismo, comunismo, socialdemocrazia e dottrina sociale cattolica) confluite nella Costituzione italiana del 1948 in una cascina privata nella campagna intorno a Motta di Livenza (Treviso), raggiunta sulle ali del mio angelo Gianfranco. Mi sono basato su alcuni capitoli del mio La bellezza della politica. Attraverso e oltre le ideologie del Novecento. Anche là persone belle, tra cui perfino qualche giovane, non ancora rassegnate all’omologazione imperante dell’ingiustizia legalizzata. Sono abituato alla generosa ospitalità di persone come la moglie Francesca e la figlia Chiara, molto meno alla vivacità intellettuale e al desiderio di confronto che caratterizza abitanti e frequentatori della casa: a cominciare da Onorio stesso che, dopo quarant’anni di duro lavoro di artigiano e di commerciante, spezzando l’idolatria dell’arricchimento infinito, decide di dedicarsi alla lettura, allo studio, alla riflessione e di invitare ogni tanto qualcuno in grado di allargare gli orizzonti abituali. Una conferma all’ipotesi, balenatami a Terzolas,  di un cristianesimo rifondato sulla fedeltà al vangelo come progetto di rigenerazione planetaria?  Non proprio. Dopo decenni di militanza cattolica, Onorio è convinto che per nessuna religione – nessuna – ci sia ormai un futuro: troppo ingenti le innovazioni scientifiche, tecnologiche, sociali intervenute nell’ultimo secolo. Egli sposa senza “se” e senza “ma” la prospettiva degli autori di Oltre le religioni. Non vuole neppure istituzionalizzare le iniziative culturali che propone nella sua cascina per timore che diventino qualcosa di divisivo fra un “noi” e un “loro”. Spera in una ereditarietà giocata esclusivamente sulla convinzione e sulla libertà dei successori.
c)   Bologna sono stato ospite di “Babel house”, la casa di Dino aperta a nomadi di varie etnie. Perfino siciliana. 
Due serate, in due posti differenti, sono state dedicate a discutere della strumentalizzazione cui la Lega, di ieri e di oggi, sottopone i simboli cristiani a fini elettorali. A partire dal mio libro del 2012, Il Dio dei leghisti, si è concordato sul fatto che  - almeno dall’imperatore Costantino (IV secolo d. C.) in poi  - il potere politico ha cercato di utilizzare la religione come mezzo di propaganda e di legittimazione. Che ciò avvenga è disdicevole, ma ovvio; altrettanto disdicevole, ma meno ovvio, che le chiese e le istituzioni religiose si prestino – per interessi di vario genere, anche economici – ad essere coinvolte nella truffa. 
Un’altra mezza giornata è stata dedicata, presso un Centro civico della città, a Giuseppe Impastato e all’attualità della sua testimonianza in una fase triste del movimento antimafia (in cui perfino magistrati ed esponenti apicali delle associazioni dei commercianti tradiscono la causa per avidità di denaro e delirio di onnipotenza). L’occasione si è rivelata propizia per presentare sia il mio Peppino Impastato martire civile. Contro la mafia e contro i mafiosi  sia il libretto per i più piccoli, scritto da Adriana con la sua collega Melania Federico, Tutti in campo. E tu conosci Peppino Impastato ?

d)  Il giro si è concluso splendidamente sulle colline tosco-emiliane. A Loiano (Bologna), infatti, Fabio è riuscito – per il secondo anno consecutivo – a convocare, in nome della “Tenerezza”, persone che nella quotidianità provano a pensarla e soprattutto a viverla. Così, il primo giorno, Elena ci ha guidati ai primi passi dello yoga, Laura (Associazione “Bimbo tu”) ci ha raccontato il suo volontariato con i bambini gravemente malatiFederica (CIWF Italia) della sua azione di pressione politica per rendere meno crudeli gli allevamenti degli animali che mangiamo; il secondo giorno  Marco ci ha risvegliato i sensi esterni e interni con un’ora di Qi Qong, Patrizia ci ha introdotti alla teoria e alla pratica della comunicazione nonviolenta (secondo il metodo Rosenberg) e Michele, non senza abilità istrioniche, ci ha contagiato un po’ della sua grande passione per gli alberi (e altri oggetti a forma fallica 😑). Nel mio intervento ho provato a ipotizzare il passaggio da una spiritualità del “sacri-ficio” a una spiritualità del “santi-ficio” : da una spiritualità basata sull’espiazione di un presunto “peccato originale” a una spiritualità basata su una “benedizione originaria” (Matthew Fox).
Superfluo aggiungere che, come in tutte queste occasioni di convivenza, si scoprono persone meravigliose (come Giovanni e Barbara) che custodiscono le ricchezze intellettuali e etiche della loro interiorità dietro il velo di una silenziosa discrezione.

                                            Augusto

                                                                   (www.augustocavadi.com)

mercoledì 19 settembre 2018

SE I CATTOLICI PASSASSERO DALLE PAROLE AI FATTI

“Repubblica – Palermo”
19.9.2018

SE LA CHIESA CATTOLICA PASSASSE DALLE PAROLE AI FATTI 

      Come previsto, Francesco ha rinnovato la condanna morale dei mafiosi pronunziata da Giovanni Paolo II ad Agrigento 25 anni fa. E adesso cosa succederà? La memoria del passato può illuminare l’immediato futuro. A suo tempo, a prendere sul serio il grido di papa Wojtyla, più che i cattolici, furono i mafiosi: che, infatti, si affrettarono a uccidere don Pino Puglisi e a mettere bombe al Verano e al Laterano. Non risulta che nel mondo cattolico - parrocchie, congregazioni religiose,  scuole confessionali e oratori – la reazione emotiva abbia comportato una “conversione” di atteggiamenti mentali, metodi pedagogici, stili di vita. Politici che sbandieravano la propria fedeltà all’educazione ricevuta in prestigiosi licei cattolici sono arrivati ai vertici istituzionali della regione, e da lì sono precipitati sotto il peso di condanne giudiziarie per favoreggiamento delle cosche mafiose, senza che si siano registrate significative prese di distanza da esponenti del clero e del laicato cattolico. Insomma: la mafia che uccide e mette bombe “fa schifo”; la mafia che corrompe, che raccomanda agli esami universitari o ai concorsi pubblici, che altera l’assegnazione degli appalti…viene accettata come parte integrante, quasi naturale, del panorama dalla maggior parte del mondo cattolico. Né più né meno, insomma, di ciò che avviene nel resto della popolazione.
  Cosa ci si potrebbe auspicare per il seguito di questa visita papale, nel complesso significativa? Almeno tre novità.
   La prima riguarda la revisione delle situazioni illegali interne al mondo cattolico. Mi riferisco, per conoscenza diretta, alle strategie eccessivamente protezionistiche nelle scuole cattoliche, soprattutto quando arrivano commissioni esterne come in occasione degli esami di maturità: nella migliore delle ipotesi, non si vede nessuna differenza con scuole private note come diplomifici a scopi mercantili. O la condizione di molti lavoratori (cuochi, camerieri, portinai…) di istituti cattolici, specie se riconfigurati come luoghi di ospitalità turistica.
   La seconda novità riguarda il rapporto delle parrocchie con i propri territori. Proprio secondo l’esperienza di don Pino Puglisi, esse dovrebbero sia registrare i bisogni del quartiere sia mettersi a fianco – pariteticamente – degli organismi civici (istituzionali o spontanei) che provano a cambiare le cose. L’idea che non fare “politica” è il modo peggiore di farla dovrebbe finalmente entrare nel patrimonio catechetico di ogni comunità cristiana: l’equidistanza fra Stato e mafia, la concentrazione esclusiva sulle questioni devozionali e liturgiche, è un regalo che non si può continuare a concedere al sistema di potere politico-mafioso.
   Ma – e sono alla terza e ultima novità augurabile – gli eventuali mutamenti sul piano dei comportamenti pratici presupporrebbero come condizione necessaria (anche se, purtroppo, non sufficiente) una capillare formazione socio-politica mirata a fedeli praticanti di ogni generazione: una formazione culturale e etica che, partendo dal fenomeno mafioso, allarghi lo sguardo critico sui problemi del Mezzogiorno, del  Mediterraneo, dell’Unione Europea nonché sulle connessioni con le mafie extra-europee. In un momento storico come l’attuale – in cui le “grandi narrazioni” del XX secolo sembrano eclissate e da più versanti ideologici si tende a ridurre la politica a mere scelte tecniche – la chiesa cattolica potrebbe costituire, se riattingesse alle fonti originarie del vangelo della fraternità e dell’attenzione alle vittime della storia,  una riserva di motivazioni ideali. Nell’imperdonabile latitanza in proposito delle altre agenzie educative (i partiti, i sindacati, la stessa scuola) potrebbe conferire al dibattito politico – nel rispetto dell’autonomia di coscienza dei cittadini, credenti o meno -  quel “supplemento d’anima” di cui sembra accusare disperato bisogno. 

                                                                                Augusto Cavadi
                                                                        www.augustocavadi.com

venerdì 14 settembre 2018

OLTRE LA SPERANZA E LA DISPERAZIONE: UNA SINTESI DEI 5 INTERVENTI INTRODUTTIVI

Oggi la speranza sembra aver perso molto del suo fascino, perché concepita come attesa passiva o come ingannevole illusione. Appare, perciò, quasi impossibile coltivare speranze di grande respiro, e tutt’al più ci si limita alle piccole speranze quotidiane.
a) Innanzitutto: cosa intendiamo, semanticamente, con la parola “speranza”? “L’attesa – più o meno attiva – di un bene che non è ancora presente ma che con qualche ragionevolezza si ritiene possibile” (Lilia Sebastiani). Questa ipotesi di definizione abbraccia ogni genere di “speranza”: sia essa orientata a beni immanenti (individuali come l’assenza di dolore o collettivi come la realizzazione di una società mondiale senza né padroni né servi) che a beni trascendenti (individuali come l’immortalità dell’anima o collettivi come la “ricapitolazione” di tutta la storia umana e cosmica in Dio).
Augusto Cavadi

Ma cosa dicono in proposito le tradizioni filosofiche e religiose?
b) Per i greci, in genere, la realtà è un tutto divino, una natura intesa come forza generatrice eterna e immutabile, che si manifesta nelle infinite forme di vita che si rinnovano secondo un ordine necessario e razionale. In questa visione, in cui la gioia è inseparabile dal dolore e la vita dalla morte e che ha trovato compiuta espressione nello stoicismo, non c’è evidentemente posto per la speranza. La grande speranza di una liberazione totale e definitiva dal dolore è invece possibile per Platone, che contrappone all’effimero mondo sensibile un mondo spirituale ed eterno, attingibile dalle anime immortali. La prospettiva biblica, al contrario, offre la speranza di un mondo buono qui sulla terra, e con Gesù pare che finalmente stia per avere inizio il regno di Jahvé. La morte di Gesù porta i discepoli a riformulare l’oggetto della speranza che, specialmente per opera di Agostino, diventa la beatitudine nell’aldilà, con la conseguente svalutazione medievale della vita terrena.
Elio Rindone

c) Si può sperare in Nulla? La domanda sembra paradossale, ma solo se si rimane in superficie. Nella tradizione filosofica occidentale si spera sempre in qualcosa e questo qualcosa riguarda il rapporto della singola persona con il trascendente, ovvero con il divino. Dunque, debbo potermi aspettare una qualche forma di salvezza, ovvero di sopravvivenza dell’io. Tale atteggiamento, tuttavia, finisce col produrre insieme alla speranza, cui si attribuisce in genere un valore positivo, anche la disperazione. Si spera perché si è disperato, si dispera perché si è sperato. Il primo atteggiamento, in estrema sintesi, è presente nella vicenda filosofica di Kierkegaard. La disperazione, giunta a consapevolezza, è la molla esistenziale da cui il singolo può compiere il grande balzo verso la fede nel Dio di Abramo. D’altra parte, seguendo l’iter poetico-filosofico di Leopardi, per esempio, si perviene ad una lucida disperazione, come presa d’atto della vanità, dell’insignificanza della “natura matrigna”, proprio perché, da giovani, ci si era naturalmente abbandonati alle speranzose illusioni tipiche di quell’età.
Se ci si distacca dalla trascendenza, invece, è possibile sperare in Nulla, proprio perché tutto è attualmente dato e non c’è nulla da aspettarsi, tanto meno la permanenza illusoria del proprio io. Questa concezione può essere declinata sostanzialmente in due maniere: la prima, tipica di Spinoza, che fa coincidere Dio e Natura, in una visione immanentistica e attualistica che non lascia spazio a speranza e timore se non come passioni egualmente da superare per giungere alla serenità tipica del saggio, che guarda al divino-naturale attraverso le categorie della ragione cartesiana; la seconda che possiamo riscontrare, per esempio, nella filosofia buddista, secondo cui l’essenza di tutti i fenomeni è quella “vacuità”, da cui dipende la loro insostanzialità ed impermanenza, da cui discende uno stile di vita che valorizza al massimo ogni aspetto della vita quotidiana, nel qui ed ora, da viversi per ciò che è e per come è, senza attese messianiche o millenaristiche.
Francesco Dipalo

d) La «suprema speranza» che Nietzsche-Zarathustra annuncia ai suoi discepoli è anche una speranza nuova, nel senso che essa deve prendere il posto delle antiche speranze della tradizione platonico-cristiana. Dopo la morte di Dio e la fine del retro-mondo metafisico, Nietzsche vuole “rifidanzare” l’uomo con la realtà naturale, superando sia il nulla in cui la morte del Dio biblico ha precipitato la coscienza moderna che la vecchia idea di uomo. Eterno ritorno e volto dionisiaco della natura sono l’approdo di questa parte del suo esperimento filosofico.
Ma la sua ‘grande speranza’ è appunto questa: che al posto del nulla e dell’ultimo uomo subentri un superuomo che sappia sostituirsi a Dio nel dire agli altri come devono comportarsi, riaffermando così l’a-sociale «istinto dei ‘signori’ per nascita (vale a dire della solitaria specie predatrice dell’uomo)». (Genealogia della morale). «Che cosa non darei, -si legge nella IV e ultima parte dello Zarathustra- per avere questa sola cosa: questi figli, questo vivaio vivente, questi alberi della mia volontà e della mia suprema speranza».
Questa «nuova bella specie di uomo» (ibidem) deve essere superiore a ogni valore (cristiano, democratico, socialista) di compassione e solidarietà per il gregge dei ‘mal riusciti’ e dei ‘superflui’. E se il suo avvento fa parte innegabilmente della nuova speranza e della «grande politica» annunciate dal quinto vangelo anti-cristiano di Nietzsche, proprio chi è interessato a ‘rifidanzare’ l’uomo con la natura non può sottrarsi a qualche considerazione critica. Più precisamente: non può non riprendere la propria ricerca non di un ritorno a prima di Nietzsche ma di una «via praticabile oltre Nietzsche» (K. Löwith). Nietzsche ha temuto che un giorno sarebbe stato santificato (Ecce Homo). Le dinamiche mercantili e le logiche di bio-potere innegabilmente operanti nelle nostre società non costituiscono la più insidiosa santificazione di fatto della neo-aristocratica «grande politica» nietzscheana? Se pensiamo che questo interrogativo ha un suo fondamento, sembra difficile non concludere che a contrastare questa santificazione sono maggiormente chiamati proprio coloro che, anche grazie a Nietzsche, sentono alle spalle ogni prospettiva teologico-metafisica. E alle sfide del presente (crisi ecologica, biotecnologie, migrazioni) sono impegnati a rispondere con una «fedeltà alla terra» ispirata non all’affermazione di un’autoreferenziale volontà di potenza (da Nietzsche concepita come «essenza» stessa della vita), ma a una plausibile, saggia e solidale ricerca della possibile felicità di ogni essere senziente.
Orlando Franceschelli

e) Le vite filosofiche sono essenziali alle strutture filosofiche, alle visioni del mondo. Abbiamo analizzato diversi momenti delle esistenze di filosofi quali Bruno e Galilei, Severino Boezio, Schopenhauer, Wittgenstein e messo in evidenza le ‘possibilità’ incontrate, nelle situazioni cariche di speranza oppure di-sperate. Abbiamo riscontrato che risulta innegabile che l’esistenza si muova fra le possibilità. La speranza è una figura di tale possibilità, che si instaura in modo spesso creativo. Ma la speranza è comunque una costruzione umana, che assume piuttosto la forma di un contenitore e non di un contenuto. Pertanto è legittimo analizzare, dal punto di vista propriamente filosofico, lo spazio emergente della speranza, piuttosto che la speranza stessa. Per Heidegger è l’angoscia e per Jaspers sono le varie situazioni-limite, ovvero quei determinati eventi della vita che ci appaiono particolarmente drammatici e che rimettono in discussione il nostro atteggiamento fondamentale fino a quel momento. La dimensione patica (il pathos dei sentimenti) dell’esistenza fornisce materiale al filosofo che ha il dovere, più degli altri, di affrontare e analizzare. Proponendo vari ‘esercizi di speranza’ abbiamo infine indicato l’esercizio fondamentale. Cosa emerge quindi dall’analisi del fondamento (Ur-grund) della speranza? Possiamo rintracciare il sentimento prevalente dei nostri tempi, la sperimentazione del nulla.
Salvatore Fricano
Qui tutte le foto e i video che vorrete visionare:
http://vacanze.domandefilosofiche.it/2018/09/2018-lovere/

giovedì 13 settembre 2018

GENNARIO IORIO INTERVISTA AUGUSTO CAVADI SU "RADIO OLTRE"

Gennaro Iorio è un coraggioso e generoso collega che tiene da anni una rubrica radiofonica (Radio Oltre Cultura) a Bologna. 
Ancora una volta mi ha invitato nei suoi studi per parlare un po' dei due temi che in questi giorni mi hanno impegnato nei vari incontri pubblici della città emiliana: la mafia (assassina di Peppino Impastato) e la Lega (abile calamita del voto cattolico meno "francescano" e più vicino agli ideali del conservatorismo borghese).
Se qualcuno avesse voglia e soprattutto tempo di riascoltare la trasmissione potrebbe cliccare anche qui sotto: