sabato 28 febbraio 2015

THOMAS MORE, UN UOMO CHE MERITA D'ESSER CONOSCIUTO

E' uscito il breve, intenso, saggio che Hans Kueng ha dedicato a san Tommaso Moro (H. Kueng, Libertà nel mondo, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2014, pp. 71, euro 7,00). L'edizione italiana è impreziosita da una Postfazione di Alessandro Plotti, arcivescovo emerito di Pisa. Pubblico qui di seguito la mia Prefazione, nella speranza (non troppo nascosta) che vi susciti il desiderio di acquistare e leggere il volumetto per intero.
***

   Nel 1968 i venti della contestazione giovanile, soffiando dai campus statunitensi e dalla Sorbona di Parigi, arrivarono alla periferica Sicilia. O, per lo meno, nella mia città: Palermo. Un giovane prete, che insegnava “religione” nel nostro liceo, ci aprì  - con molta moderazione – alle novità ecclesiali operate dal Concilio Vaticano II che si era chiuso a Roma nel 1965. Più tardi avrei letto sui libri che i due processi  - il rinnovamento interno al mondo cattolico e la contestazione globale nella società occidentale – non si erano srotolati parallelamente: senza il primo, infatti, difficilmente si sarebbe registrato il secondo. Ma, prima di impararla sui libri, quella connessione la vissi nella carne. Da una parte, infatti, condividevo l’ansia di cambiamento rivoluzionario della mia generazione e partecipavo attivamente alle iniziative studentesche; dall’altra, però, non mi convinceva il marxismo cui aderivano, più o meno consapevolmente (spesso meno) tanti fra i miei coetanei più svegli.  La decisione di impegnarmi radicalmente mi si configurò come un dilemma: o la strada della politica extra-parlamentare (non di rado sconfinante nel terrorismo ‘rosso’) o la consacrazione totale al regno di Dio mediante i voti di obbedienza, castità celibataria e povertà.

   Varie circostanze mi indussero a perseguire  il secondo sentiero (a cui sarei stato fedele, sempre più problematicamente, sino al giorno del mio trentatreesimo compleanno), ma con un grosso ostacolo dinnanzi: l’amicizia affettuosa con una ragazza di due anni più giovane, un sentimento che – specie da parte sua – assomigliava molto a ciò che potevo supporre fosse la passione amorosa. Nei mesi travagliati che mi furono necessari per scegliere, la partner appena sedicenne e per giunta appartenente a una famiglia notoriamente ‘laica’ tentò di dissuadermi dalla vocazione monastica (o da quella che così mi appariva, sia pur vissuta in modalità da rivedere) regalandomi un libretto di poche pagine: Libertà nel mondo di Hans Kueng. Quale il senso del dono strategico? In esso l’allora giovane e sconosciuto teologo di lingua tedesca presentava il profilo teologico e spirituale di un santo canonizzato dalla Chiesa cattolica che non aveva scelto la via della rinuncia ‘religiosa’. Obbedienza a un altro uomo? Era la seconda autorità del regno inglese e, quando si trattò di obbedire al sovrano contro le sue convinzioni, fermamente si rifiutò. Castità celibataria? Era sposato e molto legato alla moglie e ai figli. Povertà? Non proprio, a giudicare dalle proprietà fondiarie e dai privilegi legati alla sua altissima carica pubblica. Ma Thomas More si era mantenuto “libero” dentro: possedeva senza essere posseduto. E che si trattasse di libertà interiore ma reale lo dimostrò quando,  in occasione del conflitto fra il proprio re (Enrico VIII) e il papa dell’epoca (che non intendeva concedergli l’annullamento capzioso del primo matrimonio), seppe seguire ciò che riteneva giusto anche a costo di perdere i beni, gli affetti familiari, la stessa vita. Accettando l’esecuzione capitale, More proclamava che riconoscere la signoria dell’Unico significa emanciparsi, in radice, da tutti i poteri terreni. Egli offrì una testimonianza di fedeltà allo Spirito (o per lo meno alla voce della propria coscienza nella quale in ultima istanza possiamo ascoltare il volere divino) della quale  molti uomini consacrati in maniera ufficiale e solenne non furono capaci né prima né dopo di lui.

   Sarei insincero se non confessassi di aver recepito allora il  pugno allo stomaco inferto amabilmente dalla mia innamorata sedicenne: perché partecipare all’avventura della fondazione di un nuovo ordine monastico nel mondo se si poteva raggiungere la santità anche attraverso la condizione matrimoniale, l’impegno politico e la gestione dei beni economici? Però…Però nessuno mi obbligava a scegliere la strada alternativa. E, in quella fase della vita, mi sembrò che la via matrimoniale fosse buona, ma quella del celibato consacrato addirittura  ottima. Si trattava piuttosto di correggere seriamente e in profondità le modalità della consacrazione evangelica, facendo spazio molto più concretamente alla dignità della singola persona umana, alla sua relazionalità affettiva e sessuale, alla sua responsabilità socio-economica.

   Per non farla troppo lunga, dirò che quel volumetto fu la porta d’ingresso per conoscere non solo una vicenda biografica intrigante (lessi poi altri libri su Thomas More e soprattutto la sua Utopia e le sue lettere dalla prigione); non solo uno dei teologi più profondi e coraggiosi a cavallo fra il XX e il XXI secolo (non c’è un solo testo firmato da Kueng che non mi abbia aperto orizzonti liberatori); ma anche, più ampiamente, un nuovo “paradigma”  di intendere e di vivere la fede nel vangelo senza chiudersi alle innumerevoli sapienze del pianeta. Nessuna sorpresa, dunque, se ogni tanto mi è capitato di rileggere Libertà nel mondo e di prestarlo ora a uno ora a un altro dei miei amici. Come è noto, però, i libri sono un po’ permalosi: se si accorgono che te ne privi spesso e volentieri, equivocano sui tuoi sentimenti e suppongono che tu non ci tenga abbastanza. Dunque, per protesta, non tornano più fra le tue mani. Da qui la necessità di riacquistare più di una volta lo stesso titolo. Sino a quando il testo cui sei tanto affezionato non si trova più in commercio.

   E’ proprio quello che mi è capitato di recente con l’introvabile, aureo, libretto di Kueng. Grazie alla generosità – per bocca di Chiara Benedetti - della casa editrice della prima edizione (la Queriniana di Brescia) e della casa editrice che ospita questa seconda edizione (Il pozzo di Giacobbe di Trapani) ho potuto scrivere una e-mail all’autore per chiedergli l’autorizzazione a ripubblicarlo. Solo poche ore dopo mi è arrivata, pronta ed entusiastica, la risposta: “Mi pare un’ottima idea!”

   Non ci resta che il piacere di rileggere quelle pagine scritte mezzo secolo fa e, soprattutto, di provare a tradurle nel nostro modo di intendere e di spendere l’unica esistenza che abbiamo a disposizione.



                                                            Augusto   Cavadi

                                                                                                              

venerdì 27 febbraio 2015

La festa della filosofia di strada alle Egadi con Fusaro, Latouche e Zanella


 "Monitor" 
27.2.2015



Anche “Monitor” sta collaborando alla organizzazione di una bella festa della filosofia di strada ( o, se si preferisce, filosofia-in-pratica) , come proviamo a esercitarla ormai da mesi in questa rubrica “Spazio d'estro libero”,  quale diritto/dovere di ogni cittadino. Indipendentemente dal proprio titolo di studio. Nella sua essenza, infatti, la filosofia è ricerca della saggezza: e, come direbbe Epicuro, nessuno è troppo giovane o troppo vecchio per ricercarla.

Di cosa si tratta in concreto? Come si evince dal programma che leggete qui sotto la proposta è di regalarsi tre giorni di riflessione e di scambio di opinioni, in uno dei posti più belli d’Europa (le isole Egadi), con alcuni pensatori autorevoli (Diego Fusaro, Serge Latouche, Chiara Zanella).

Su che tema? La giustizia sociale, l’inquinamento, la corruzione, la buona politica, l’etica minimale: in una parola, sul futuro delle nostre vite e del pianeta.

La partecipazione a tutti gli eventi è libera (purché si sia in grado di moderare, o di lasciarsi moderare,  la durata e i toni dei propri interventi) e gratuita (grazie alla generosità degli studiosi ospiti) , ma chi vuole può prenotare una serie di servizi in convenzione (soggiorno alberghiero, pasti, gita in battello del I maggio etc.).

Augusto Cavadi




 


FILOSOFIA PER NON…FILOSOFI ALLE EGADI (30 aprile – 3 maggio 2015)


Programma-invito

L’associazione culturale “La Calendula” (Favignana)


in collaborazione con

Scuola di formazione etico-politica “G. Falcone” (Palermo)

Gruppo editoriale “Di Girolamo – Il pozzo di Giacobbe” (Trapani)

Settimanale “Monitor” (Trapani)

Istituto tecnico “Leonardo da Vinci – Marino Torre”



organizza

la seconda edizione di Aegusa philosophiana


                           Una filosofia d’a-mare




Pre-evento a Trapani

(Istituto tecnico “Marino Torre”)

mercoledì 29 aprile

ore 18,30: Conferenza stampa aperta al pubblico.

Augusto Cavadi presenta l’evento intervistando Chiara Zanella, Serge Latouche e Diego Fusaro





Programma



giovedì 30 aprile 2015



ore 9,00 – 13,00: Arrivo e sistemazione nella struttura alberghiera “Cala la luna” di Favignana (Isole Egadi)

ore 13,00  : Pranzo



ore 16,00 – 17,00: Passeggiata filosofica d’accoglienza     dalla

Tonnara Florio verso il monte S. Caterina d’Alessandria  (conduce  

Augusto Cavadi)



ore 18,00- 19,30:  Lectio magistralis:  Critica del mito della crescita

indefinita (insegna Serge Latouche)



ore 20,30: Cena



ore 22,00: Concerto musicale



venerdì 1 maggio 2015



ore 8,00: La barca dei ritardatari (salpa da Trapani verso Favignana dove si svolge il convegno)



ore 9,00 – 10,30 : Colazione col filosofo:

Gruppo A: Frugalità e felicità  (conduce Chiara Zanella)

Gruppo B: Marx è morto ?      (conduce Diego Fusaro)



ore 11,00 – 11,30: Gita in motonave verso Marettimo



ore 12,00 – 13, 30 (Marettimo): Dibattito seminariale sulla lectio magistralis del giorno precedente (conduce Serge Latouche)



14,00 – 15,30 : Gita in barca verso Levanzo e pranzo a bordo



15,30 – 17,00: Passeggiata naturalistica nell’isola di Levanzo



17, 00 – 18,30: Palermo, Cefalù, Monreale nella testimonianza di visitatori celebri: reading a cura di Augusto Cavadi e Adriana Saieva



19,00: Viaggio di ritorno della motonave a Favignana per i convegnisti residenti (19,30 arrivo previsto ) e ritorno a  Trapani per quanti hanno scelto la partecipazione alla sola escursione giornaliera  (20,30 arrivo previsto)



20,30: Cena sociale



22,00: Concerto musicale

Sabato 2 maggio




ore 9,30 – 11,30 : Colazione col filosofo:

Gruppo A    Un uomo a più dimensioni (conduce Diego Fusaro)

Gruppo B   Frugalità e responsabilità ? (conduce Chiara Zanella)



13,30 – 15,00: Pranzo sociale



16,30 – 19, 30: Le obiezioni alla decrescita  (dibattito tra Serge Latuche e Diego Fusaro)



20,30: Cena sociale



22,00: Concerto musicale





Domenica 3 maggio:



ore 9,30 – 11,30 : Colazione col filosofo:

Gruppo A  Frugalità e libertà ? (conduce Chiara Zanella)

Gruppo B  Crescere nell’avere o nell’essere ?   (conduce  Diego Fusaro)



NOTE TECNICHE

·      La partecipazione a tutte le iniziative filosofiche è gratuita.

·      Tutti gli altri servizi sono esclusivamente garantiti su prenotazione scritta a  Ambrogio Caltagirone (asslacalendula@libero.it); solo eccezionalmente si accettano prenotazioni telefoniche al 388.3574822 oppure 389.944816.

·      Per una o più prenotazioni a nome della stessa persona è prevista, una tantum, una quota di euro 15,00 per i diritti di segreteria

·      Chi vuole dormire nell’hotel  “Cala la luna” spende 30,00 a notte per la singola e 50,00 per la doppia

·      La prima colazione costa  euro 10,00

·      Ogni pasto (a pranzo e a cena)  costa euro 25,00

·      L’utilizzo della motonave del giorno 1 maggio è possibile solo a chi prenota anche il pranzo sulla nave (costo complessivo euro 35,00). Chi prenota il passaggio e il pranzo può salire dove vuole (Trapani, Favignana, Marettimo, Levanzo e ridiscendere dove vuole: Marettimo, Favignana, Trapani)

·      La  prenotazione diventa effettiva nel momento in cui si riceve un acconto di euro 50,00 a persona da versare sul ccb.  intestato all’associazione “La Calendula” – Credito Siciliano - IBAN: IT78K0301916400000005809528


martedì 24 febbraio 2015

VIVERE CON UN PROGETTO: LA TESTIMONIANZA DI BRUNO VERGANI


“MONITOR”
20.2.2015

 UN  PROGETTO PER VIVERE SENSATAMENTE

Un lettore, Bruno Vergani, mi scrive in riferimento alle considerazioni della scorsa settimana su quanto sia il caso di soffrire per raggiungere una méta che ci siamo prefissati nella vita. Un suo primo contributo alla riflessione è di ordine più generale (e gli è stato suggerito dall’età del ragazzo da cui avevamo preso lo spunto per la tematica): “Un aspetto della problematica di numerosi giovani è che, aizzati dalla propaganda massmediatica degli ultimi due decenni, talvolta dicono obiettivo e pensano ‘sogno’. Lemma ambiguo e insidiosissimo, confuso e gonfio d’implicita dismisura”.
In una seconda parte del messaggio, sulla scia di alcune mie ‘confessioni’ autobiografiche esposte, Bruno passa a parlare di sé: a radicare  - come è necessario in ogni dialogo di consulenza filosofica – il libero fluttuare del pensiero nella concretezza della propria, individuale, esperienza esistenziale. Per intendere meglio le sue righe sarà opportuno premettere che scrive da una zona vicino ad Ostuni, la “città bianca” pugliese circondata dai tipici “trulli”.
“Colgo l’occasione” – si legge dunque nella sua email – “per uno stringato bilancio del mio obiettivo professionale. Oltre tre decenni fa, tra gli innumerevoli modi di produzione, avevo optato per quello del piccolo produttore indipendente. Così oggi, artigiano erborista, vivo e lavoro in mezzo agli ulivi lontano dal paese, raccolgo le piante, le trasformo e vendo nell’erboristeria contigua al laboratorio di produzione. Obiettivo raggiunto? Indipendente per davvero? Un bel po’ si: non tengo padrone, faccio e vendo il mio prodotto e invece di sottostare alla richieste del cliente, quasi sempre, lo consiglio.
Un po’ no: dipendo da un paio di fornitori, quello che mi vende i flaconi vuoti e l’altro che mi procura qualche pianta che non cresce dalle mie parti. Obbedisco inoltre a centinaia di normativa onerose e asfittiche -chissà com’è che su questo pianeta ognuno incontra una qualche testa di c...zzo che dal bar s’intrattiene nel tentativo di esautorare la sovranità altrui- normative tanto contraddittorie tra loro al punto che è praticamente impossibile ottemperarle tutte: metà artigiano erborista, metà burocrate. Tale secondo impegno non era il mio obiettivo, eppure mi ha offerto l’inaspettata opportunità di vivere oltre all’etica del libero implementare anche quella della resistenza. Qualche filosofo afferma che è tra le più nobili. Grazie a tutti i testa di c...zzo del mondo per le opportunità che loro malgrado ci elargiscono!”.
Come si vede, Bruno sa incastonare i contenuti seri in registri comunicativi leggeri, ironici. Chi volesse conoscere la sua storia di vita – e soprattutto le riflessioni che egli produce continuamente a partire dalle sue vicende passate e presenti – può accedere al suo blog (www.brunovergani.it) e, se vuole, iscriversi agli aggiornamenti automatici dei suoi post.  Poiché non ha mai studiato filosofia, né a scuola né nei suoi successivi percorsi di specializzazione professionale, costituisce un prezioso esempio di ciò che  - anche in questa rubrica – intendo per “filosofia-in-pratica”: l’esercizio della propria ragione in risposta alle sfide della vita e in cordiale confronto con quanti sono animati dalla stessa passione.

Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com

sabato 21 febbraio 2015

QUALE VESCOVO PER LA CITTA' DI PALERMO ?


“Repubblica – Palermo”
21.2.2015

IL VESCOVO IN STILE FRANCESCO CHE   SERVE  ALLA CITTA’

Come attende la comunità palermitana la nomina del nuovo arcivescovo, ormai atteso da qualche anno dopo che il cardinale Romeo ha già raggiunto i limiti d’età previsti dal diritto canonico? Che il mondo ‘laico’ non si ponga neppure la questione è comprensibile. In agenda ci sono questioni ben più urgenti e che toccano la quotidianità (anche se, nel bene e nel male, il condizionamento del pastore della chiesa cattolica sulla vita civile non è stato mai trascurabile, da Ruffini a Pappalardo). Meno comprensibile è l’atteggiamento del mondo cattolico che dovrebbe avere qualche motivo di attenzione in più.
 Questa ad esempio la convinzione della comunità che si riunisce nella chiesa di San Francesco Saverio all’Albergheria intorno alla personalità carismatica di don Cosimo Scordato. Essa ha infatti reso noto un documento, ripreso da vari organi di stampa nazionali, su come immagina la figura del vescovo che  - non più eletto dalla base come avveniva per i primi secoli del cristianesimo – viene nominato dalla Curia romana. In sintesi si possono richiamare quattro o cinque punti qualificanti.
Innanzitutto questa comunità cattolica attende un vescovo che sia “uomo tra gli esseri umani, sulla linea del vangelo di Gesù”, in grado di “gioire e soffrire con gli altri, tenendo lontano mire di carriera, liberando il ministero da ogni espressione di dominio, di arroganza, di superiorità, di giudizio e condanna”.
Secondariamente, ma come stretta conseguenza logica, dovrebbe caratterizzarsi “per l’atteggiamento di ricerca; disposto ad ascoltare i problemi e le difficoltà della sua gente, senza pretesa di essere detentore della verità” e, perciò, desideroso di “riscoprirla continuamente dalla parola di Dio, dall’accoglienza delle persone con i loro drammi e interrogativi, dalla ricerca della persona contemporanea”. Dunque uno che “non pretenda di risolvere i problemi, ma ne cerchi la soluzione in maniera comunitaria, sollecitando le istituzioni e offrendo la disponibiltà della sua Chiesa”.
Tra i tanti problemi di una città, un vescovo non dovrebbe avere dubbi sulle priorità: promuovere “la diaconia della Chiesa nel servizio soprattutto ai disperati della città (senza casa, disoccupati, emigranti, giovani disorientati…), aprendo le porte del palazzo, dei monasteri e orienando i beni ecclesiastici a servizio dei poveri”. Per esser credibile su questo terzo punto, egli dovrebbe finalmente rendere “pubblico il bilancio della Chiesa e l’elenco del patrimonio della diocesi”.
In quarto luogo ci si aspetterebbe che un vescovo desse per primo, personalmente, l’esempio: vivendo più spesso fuori che dentro la sua residenza principesca, “superando formalismi e legalismi”, quasi “vescovo di strada”, impegnato a favorire “il dialogo e l’incontro con le altre esperienze religiose (ecumenismo), ma anche il dialogo tra credenti e non credenti in vista della realizzazione del bene comune”.
Solo a queste condizioni un vescovo può esercitare anche il ruolo di episcopos (ispettore), vigilando affinché certe ingiustizie non abbiano spazio all’interno della comunità affidatagli: “ingiustizie contro i bambini (pedofilia e offese ai diritti dell’infanzia), contro le donne (violenze e disparità), contro i diversi emarginati della comunità”.
Si tratta di desideri utopici in senso negativo? Forse. Ma, se guardiamo indietro,  già nel Nuovo Testamento si afferma che “l’episcopo sia irreprensibile, sposato una sola volta, sobrio, prudente, dignitoso, ospitale, capace d’insegnare, non dedito al vino, non violento ma benevolo, non litigioso, non attaccato al denaro, sappia dirigere bene la propria famiglia” (Prima lettera a Timoteo, 3, 2 – 4). E , se guardiamo all’oggi,  vediamo che il “vescovo di Roma” non solo si sforza di rispettare l’identikit biblico, ma pochi giorni fa – dopo anni di inesplicabile silenzio di Giovanni Paolo II e di Benedetto XV - ha avviato il processo di beatificazione di un altro vescovo, Oscar Romero, che ha cercato di prendere talmente sul serio la sua missione da cadere sotto il fuoco dei sicari fascisti in Salvador. Dunque, qualche volta, l’improbabile accade.

Augusto Cavadi

venerdì 20 febbraio 2015

VACANZE FILOSOFICHE (PER TUTTI ) A FAVIGNANA


“Centonove” 20.2.2015

VACANZE   FILOSOFICHE   A   FAVIGNANA

Ci lamentiamo tutti dell’incompetenza media dei nostri politici. Ma, in proposito, a che punto ci troviamo noi stessi? Quanti sforzi facciamo, quotidianamente e effettivamente, per  informarci sulle grandi questioni in discussione e per esercitarci a pensare con la nostra testa?
Un’occasione per camminare in questa direzione ci sarà offerta prossimamnete grazie ad alcuni filosofi che, parlando senza tecnicismi specialistici, potranno coinvolgere un vasto pubblico in un confronto dialettico franco ma sereno.
       Già l’anno scorso è stata realizzata la prima edizione di “Aegusa philosophiana. Una filosofia d’a-mare”, a Favignana (Trapani) dal 2 al 4 maggio 2014, grazie all’impegno organizzativo dell’associazione culturale locale “La calendula” con una nutrita partecipazione di studiosi e appassionati (in totale una sessantina) presso un noto residence dell’isola.
       Incoraggiati dal successo dell’esordio l’associazione culturale “La Calendula” (Favignana) in collaborazione con Scuola di formazione etico-politica “G. Falcone” (Palermo),   Gruppo editoriale “Di Girolamo – Il pozzo di Giacobbe” (Trapani),  Settimanale “Monitor” (Trapani) e Istituto tecnico “Leonardo da Vinci – Marino Torre” organizza la seconda edizione di Aegusa philosophiana - Una filosofia d’a-mare da giovedì 30 aprile a domenica 3 maggio 2015.
       Pre-evento a Trapani (Istituto tecnico “Marino Torre”) mercoledì 29 aprile ore 18,30 con la Conferenza stampa aperta al pubblico. Augusto Cavadi presenta l’evento intervistando Chiara Zanella, Serge Latouche e Diego Fusaro. tra gli altri eventi: giovedì 30 aprile si svolgerà una passeggiata filosofica d’accoglienza     dalla Tonnara Florio verso il monte S. Caterina d’Alessandria  (conduce   Augusto Cavadi). Alle ore 18  lectio magistralis:  Critica del mito della crescita indefinita (insegna Serge Latouche). Alle ore 22,00: Concerto musicale. Venerdì 1 maggio 2015, colazione col filosofo: Sobrietà e felicità  (con Chiara Zanella) o Marx è morto ? (con Diego Fusaro). Poi gita (e pranzo) in motonave verso Marettimo  e Levanzo. Sabato 2 maggio altre colazioni col filosofo (tra cui  Sobrietà e responsabilità con Chiara Zanella) e un dibattito sulla nozione di decrescita fra Serge Latouche e Diego Fusaro. Il convegno si chiude domenica 3 maggio dopo le colazioni filosofiche (con Chiara Zanella e Diego Fusaro). La partecipazione a tutti gli incontri è gratuita. Chi vuole approfittare di convenzioni alberghiere e per i pasti può rivolgersi al 338.3574822 oppure al 389.944816.



lunedì 16 febbraio 2015

CI VEDIAMO A RIESI (CALTANISSETTA) MARTEDI' 17 FEBBRAIO 2015 ?

Martedì 17 febbraio  alle ore 18 parteciperò a una tavola rotonda sul tema della libertà presso la chiesa valdese di Riesi (via Faraci): la partecipazione è libera e gratuita.

venerdì 13 febbraio 2015

Sino a quando vale la pena lottare per raggiungere un obiettivo ?


“Monitor”

13. 2. 2015-02-13





SINO A QUANTO VALE LA PENA LOTTARE PER UN TRAGUARDO ?



Il figlio di mia sorella, Guido, ha posto ai suoi interlocutori di Facebook – come me – un quesito: “Quando tra noi stessi e il nostro obiettivo si frappongono degli ostacoli, e altri ostacoli poi continuano a spuntare all'improvviso a complicare il tutto, significa che quell'obiettivo non deve essere raggiunto?”

Più d’uno dei suoi amici telematici hanno saputo rispondere, non io. Infatti mi pare che si tratti di una domanda formulata in maniera ancora eccessivamente generica perché possa ottenere una risposta argomentata razionalmente (e non soltanto retorica, del genere: “Tieni duro, è solo un modo in cui la vita ti mette alla prova per temprarti”).

  In una conversazione a due – come quelle che si svolgono nel corso di una “consulenza filosofica” -  avrei avuto necessità, innanzitutto, di sapere in concreto quale fosse “l’obiettivo” e quali gli “ostacoli”. Mi pare evidente, infatti, che ci sono obiettivi, méte, per cui vale la pena di affrontare ostacoli di ogni difficoltà; ed altri obiettivi per i quali vale la pena di affrontare certi ostacoli limitati, ma non altri più impegnativi. Questo, almeno, è il criterio cui mi sono attenuto nel corso della mia esistenza. Mi spiego con due esempi effettivi.

Negli anni degli studi universitari avevo concepito l’idea di intraprendere, una volta laureato, la carriera di docente nella stessa Facoltà di lettere e filosofia: mi attraeva molto la possibilità di contribuire, dall’alto di una cattedra prestigiosa, alla formazione di tanti giovani che, a loro volta, si sarebbero sparpagliati come rondini nelle varie scuole siciliane. Perciò, qualche mese dopo la laurea, feci domanda per una borsa di studio che, all’epoca, costituiva il primo passo per un’eventuale carriera accademica: La sera prima dell’esame un amico mi informò dell’opinione espressa al bar della Facoltà dal presidente della commissione che mi avrebbe valutato: “Qualcuno conosce un certo Cavadi? Dev’essere una presuntuosa testa di c…zzo perché, su venti concorrenti, è l’unico che non si è fatto raccomandare. Bisognerà dargli una lezioncina”. Ricevuta, il giorno dopo, la  lezioncina di vita accademica, dopo un anno circa riprovai con un altro concorso: fra i dodici candidati uno era stato, per alcuni anni, assistente volontario del presidente di commissione e – per ovvie ragioni – aveva introiettato tanta sapienza dal maestro da risultare primo nella graduatoria finale. Su sollecitazione di un altro docente, anni dopo tentai una terza volta, ma senza fortuna: poiché la graduatoria dei concorrenti rispecchiava fedelmente il grado accademico dei rispettivi professori con cui collaboravano, fu lo stesso docente con cui avevo svolto l’incarico di “esercitatore” a sconsigliarmi di insistere (“Non sono riuscito a diventare professore ordinario, dunque nessuno dei miei collaboratori avrà mai la possibilità di entrare all’università”). Optai per il concorso di docente liceale, lo vinsi senza dovermi piegare a chiedere raccomandazioni, da quarant’anni sono felice di contribuire alla formazione non solo di futuri insegnanti di filosofia (come avrei fatto all’università), ma anche di magistrati e medici, economisti e artisti, politici e giornalisti.

In altri casi l’obiettivo propostomi era tale, invece, da giustificare la paziente sopportazione di ostacoli d’ogni genere. Mentre infatti ho rinunziato senza troppi rimpianti alla carriera universitaria, mi sarebbe dispiaciuto profondamente non avere la possibilità di scrivere le mie riflessioni e di sottoporle a un pubblico più vasto dei miei amici. Ho perciò atteso per anni, con serenità ma anche con tenacia, che qualche testata giornalistica di rilievo (come il quotidiano “Repubblica” o il mensile “Narcomafie”) e qualche editore di qualità (come Newton Compton o Di Girolamo, San Paolo o Rubbettino) si accorgessero delle mie cosette e accettassero di ospitarle. Gli anni dell’attesa (senza spasmodica ricerca di contatti “giusti” e di canali “preferenziali”) non sono stati vani: con l’età e l’esperienza si maturano le proprie convinzioni, si smussano le asperità unilaterali. E se proprio neppure così si dovesse raggiungere il proprio obiettivo prima di morire, già averlo coltivato nell’animo sarebbe un modo per vivere la vita significativamente.



Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com



mercoledì 11 febbraio 2015

BACIAMO LE MANI, SIGNOR MATTEO SALVINI !


“Repubblica – Palermo” 10.2.2015
LEGHISTI E SICILIANI, COSI’ VICINI COSI’ LONTANI


Salvini sbarca in Sicilia. Con che possibilità di successo? Apparentemente scarse. Anche gli elettori più distratti sanno che la Lega Nord – e lui personalmente – hanno ripetuto negli anni i più biechi luoghi comuni (comuni nelle bettole e nelle osterie delle valli alpine e padane) sui Meridionali: sulla puzza che emanano, sulla disonestà genetica, sulla svogliatezza irredimibile. Né può costituire un’attenuante osservare, con irrefrenabile divertimento, che questa logica razzista – una volta avviata – non si ferma davanti a nessuna ridicolaggine: i leghisti toscani ritengono barbari i leghisti padani; tra i padani, i lombardi ritengono spuri i leghisti veneti; tra i veneti,  gli orientali ritengono spuri i  leghisti del veneto occidentale… sino a esiti paradossali. Un solo esempio: nel 2009 Pietro Fontanini, segretario del Carroccio in Friuli- Venezia Giulia e presidente della Provincia di Udine, perorava la causa del passaggio del comune di Sappada nel Veneto alla sua regione dichiarando: “Questa comunità possiede caratteristiche comuni ad alcune località del Friuli come Sauris e Timau: anche Sappada fa parte della stessa minoranza linguistica”! Resterebbe solo da chiedersi se tutti i cittadini di Sappada appartengono allo stesso ceppo etnico o se non vi siano delle inquietanti (e difficilmente conciliabili) differenze antropologiche tra gli abitanti del centro storico di Sappada e i loro concittadini delle zone periferiche.
Tuttavia. Tuttavia non escluderei che alcuni siciliani possano riconoscere nel messaggio della Lega Nord delle suadenti affinità culturali e politiche con le proprie convinzioni ataviche. Avendo dedicato un volume (Il Dio dei leghisti) all’illustrazione delle analogie fra Lega Nord e Cosa nostra, mi limito anche qui a pochissime esemplificazioni. Sul piano culturale il profondo Nord ha in comune con il profondo Sud la medesima concezione della religione: più che una fede personale e comunitaria che riguarda l’intimo della coscienza e va espressa in gesti di solidarietà sia corta che planetaria, un emblema identitario da brandire campanilisticamente. Cattolicesimo? Si potrebbe dire più correttamente: un parrocchialismo senza cristianesimo, un ritualismo senza vangelo.
Si è ripetuto sino alla noia che il Sud è affetto da familismo amorale. Vero. Ma come ha risposto Riccardo Bossi, figlio di primo letto del patriarca Umberto, alle obiezioni di chi gli faceva notare che il padre era riuscito a piazzare il fratello Franco a Strasburgo come portaborse di Matteo Salvini; il figlio Renzo (sì, il celeberrimo Trota) come consigliere regionale  in Lombardia; e lui stesso – il primogenito Riccardo, universitario fuori corso appassionato di rally automobilistici -  come portaborse dell’eurodeputato Francesco Speroni? Cito letteralmente da un’intervista al settimanale “Oggi”: “Dov’è il problema? E’ normale che un padre cerchi di far capire ai suoi figli quello che fa. E i figli, vedendo un padre così, che lotta, che non si arrende mai, nemmeno alla più schifosa delle malattie, che cosa dovrebbero fare? Mio padre è un uomo vero, ha due palle così, trasmette una carica pazzesca e trascina milioni di persone. Perché non dovrebbe trascinare anche i figli? Se uno ha un’azienda chi pensa di inserire? I suoi figli o degli estranei? Certo che la Lega non è un’azienda. Ma non bestemmio se dico che mio padre la sente sua”.
E’ noto il maschilismo (almeno di facciata) di molti siciliani. Eppure impallidisce di fronte al machismo esibizionistico dei leghisti. Come si è difeso l’ineffabile Mario Borghezio (leader di “Padania cristiana”) da una infondata accusa di razzismo? Con una finezza d’argomentazione che nessuno, tranne qualche isolata femminista prevenuta mentalmente, potrebbe esimersi dall’ammirare: “Le nere le ho provate quando sono stato nello Zaire. Ah, le katanghesi! Prodotto notevole. Mica come le bruttone nigeriane che battono da noi. Quello che ho assaggiato lì era proprio un prodotto locale notevole!” (da alcune dichiarazioni riportate sul “Corriere della sera” da Gian Antonio Stella). Non meno raffinate le dichiarazioni dell’onorevole Gianluca Pini (una figura fra il santo e l’eroe per i cacciatori dell’Alta Valmarecchia): “In campagna elettorale si fanno tutti assieme delle promesse, inserite nel programma comune. Poi, nel pdl, vengono elette tre o quattro zoccole animaliste a cui piacciono gli uccelli e ci lasciano soli a difendere i sacrosanti diritti dei cacciatori”. Insomma, come ha una volta commentato un mio conoscente bresciano di fede leghista, non sarebbe corretto affermare che lui e i suoi sodali siano razzisti: “Per noi anche le bianche sono, in fin dei conti, delle puttane”.
Sul piano politico il secessionismo – urlato più che praticato – della Lega Nord è soltanto un’imitazione tardiva del sicilianismo più miope che afflisse la nostra isola all’indomani della liberazione dal nazifascismo ad opera degli eserciti anglo-americani. Lo Stato unitario è stato concepito sin dal 1861  - con qualche ragione e molto torto – come un organismo oppressivo, che succhiava tasse e giovani per il servizio di leva restituendo in cambio  pochi servizi e molte regole. Le valli bergamasche come i monti Sicani, nonostante le differenze reali, sono accomunate da sacche di tribalismo premoderno: per entrambi la Repubblica democratica, fondata sulla Costituzione, è una superfetazione storica artificiale; un’estranea quando non una nemica.
Potrei tirarla a lungo, ma ritengo di aver detto abbastanza sul pericolo che – nonostante tutto -   c’è una pancia della Sicilia peggiore a  cui Salvini e i suoi potrebbero saper rivolgersi. Non dovrebbero imparare nessun nuovo linguaggio.

Augusto Cavadi

lunedì 9 febbraio 2015

UN'ETICA VALIDA? LA RISPOSTA DEI FILOSOFI DAI GRECI A OGGI


Sabato, 17 Gennaio 2015

Il volume «Abitare il mondo: con o senza Dio? La morale tra panteismo, teismo e ateismo» pubblica le sei relazioni svolte alla XVII edizione delle “Vacanze filosofiche per non filosofi” della scorsa estate a Vallombrosa. Strumento proficuamente rapsodico che espone integralmente tutte le relazioni, a beneficio di chi - come me - non era presente ai lavori e desideri acquisirne i contenuti.
Recensisco il volume, operazione che è mero surrogato del surrogato: l’originale è la settimana filosofica, primo surrogato il libro, secondo surrogato le recensioni del libro. Meglio, dunque, partecipare personalmente alla settimana, in subordine leggere il libro e, ultima spiaggia, un’occhiata a quanto segue.

La relazione di Elio Rindone espone lineare -coprendo più di un terzo dell’intero libro- le differenti sorgenti della morale occidentale che hanno generato due fiumi distinti: da una parte la morale autonoma e egocentrica dei greci con i suoi affluenti, mulinelli e turbinii, dall’altra la morale veterotestamentaria invece teonoma e allocentrica, che nel suo svolgersi subisce rivoluzione di percorso con Gesù di Nazareth. Corsi d’acqua che poi si congiungono nel cristianesimo medievale producendo una teonomica ed egocentrica poltiglia nella cristianizzazione di Aristotele implementata da Tommaso d'Aquino.
L’esposizione filosofica e laicamente teologica di Rindone appare didattica: in poche decine di pagine è offerta al lettore, non filosofo di professione come il sottoscritto, la possibilità di apprendere agilmente i fondamenti e gli sviluppi storici della filosofia morale. Nel contempo è dialettica, stimolante e propositiva, nel suo confrontare criticamente le etiche atee, teiste e panteiste, dove virtù e bene poggiano e si sviluppano sopra differenti e articolate concezioni, e palesi, e criptiche:
piacere nel fare il ‘bene’ per soddisfare il desiderio personale;
criteri morali, virtù e beni, giustizia e amore, oggettivi e/o soggettivi;
coscienza morale intrinseca oppure precettistica;
amore come eros o agape;
beni e fini assoluti o parziali;
pescando il meglio da tali tradizioni Rindone propone una morale che, mondata da egocentrismi e teismi, possa risultare autonoma e nel contempo allocentrica.

L’intervento di Mario Trombino inizia soffermandosi sul peculiare codice linguistico del movimento culturale dell’Umanesimo. Gli umanisti rifiutarono il linguaggio del loro tempo (XV secolo) per tornare a quello del primo secolo avanti Cristo. Nessuna nostalgia e neppure snobismo, ma operazione consapevole di avanguardie illuminate tese a costruire e esprimere, con il maggior ordine fattibile, l’umano pensiero attraverso un linguaggio il più possibile razionale, preciso e congruo. Trombino, scorge parallelismo e filiazione tra il movimento quattrocentesco dell’umanesimo e gli attuali tecnici elettronici che implementano new media, somiglianti per la rigorosa precisione e innovazione, seppur caratterizzati da semantiche alquanto differenti. In questa ottica emerge una diretta correlazione, e anche coincidenza, tra il pensiero razionale prodotto dalla mente e il calcolare, applicabile alle macchine, all’uomo e, eventualmente, a Dio. L’incremento della quantità degli elementi di calcolo disponibili nell’elaborazione mentale del soggetto, o dell’ente, ne determineranno la specifica potenza fino al raggiungimento di ipotetiche, paradivine o divine, onnipotenze e onniveggenze, ma una elaborazione per risultare efficace non può svolgersi a capocchia, necessita di un rigoroso linguaggio ben costituito, istituito e ordinato, nonché razionalmente codificato. Una apoteosi di libertà realizzabile nella somma costrizione, dove libertà e necessità si trovano a coincidere.Trombino nell’indicare le potenzialità di tale approccio ne individua le insidie correlate all’abrogazione delle categorie di bene e male. A causa della influenze platoniche, e ancor di più neoplatoniche, non tutti gli umanisti del quattrocento assimilavano il pensare al calcolare, in quanto vedevano il pensiero costituito anche da eros, dunque dalla potenza della bellezza: possibilità di personale, umana e divina, sovrana creatività. Pensare non è solo calcolare.

Augusto Cavadi ripercorre in tre tappe - Cartesio, Spinoza, Kant- un sentiero attraverso l’etica moderna.
L’interpretazione razionalista e matematica di Cartesio, che incontriamo nella prima tappa, appare non del tutto adeguata per formulare una morale compiuta. Il metodo cartesiano pur sufficiente nel creare e indagare una metafisica e una fisica, sembra generare un’etica sì esistente, ma solo abbozzata, parziale e provvisoria. Risulta arduo, attraverso il metodo “geometrico”, ricapitolare a sé l’intera realtà e le sue imprevedibili variabili, sia intrinseche, sia generate dalla complessità mutevole degli umani accadimenti e dalle soggettive sensibilità.
Spinoza, nella seconda tappa, con la metafisica monistica propone un’etica matematica più salda e dimostrabile, dove l’uomo trova personale realizzazione e felicità armonizzandosi virtuosamente a Dio e Natura, medesimo Ente dalle infinite dimensioni. Un’etica, tutto sommato, deterministica nel suo inglobare in un predeterminato e sommo “funzionamento” l’universo e il mondo intero con tutti i suoi abitanti, fagocitando nella sua perfetta e eterna armonia qualsiasi iniziativa anarchica e autonoma, esautorando il soggetto dalla sua sovranità.
Nella terza tappa Kant introduce un’inedita concezione di morale invertendo la sequenza classica di metafisiche che generano morali, come nelle due tappe precedenti, e proponendo una metafisica conseguente alla primaria esigenza etica espressa da un imperativo morale che esige stima e chiede dignità per l’Umanità, per l’Altro, per me stesso. Un imperativo categorico che è chiave per conoscere la libertà umana; libertà che, nel contempo, si rivela condizione ontologica dell’imperativo stesso. Ne consegue una concezione etica universalizzabile con profitto perché poggiante su un “fatto della ragione” che nel rivolgersi al libero arbitrio di ciascuno indica l’Altro come scopo invece che semplice mezzo. Eppure la libera adesione a tale concezione etica non sempre garantisce la felicità personale in presa diretta, su questa terra può accadere che proprio chi la rifiuti se la passi meglio. E’ dunque necessaria e ragionevole una visione che trascenda i confini di tempo e spazio del mondo naturale.

Alessandro Roani affronta l’etica della giustizia e della compassione attraverso Schopenhauer che interpreta l’essenza della realtà come Volontà. Una Volontà vitale intesa come cieca forza universale propulsiva; un Noumeno conoscibile, assoluto e onnipervadente che potente permane indenne e indifferente alle umane rappresentazioni, vicissitudini, passioni e che, anzi, - agli antipodi da ogni idealismo- strumentalizza per autoperpetuarsi. In tale condizione per trovare un po’ di quiete bisogna scendere dal treno (dell’Universo)? Schopenhauer scorgendo nel suicidio una cripto-riaffermazione della Volontà indica tre strumenti alternativi per placarla e raggiungere parziale emancipazione: l’arte, la morale e l’ascesi, ma ancor più efficace è il personale omettersi per fondersi nel Nulla, come insegnano numerose religioni e filosofie orientali.

La relazione di Francesco Dipalo è la più estesa dopo quella di Rindone. In una articolata analisi esamina le possibili prospettive etiche della postmodernità, dopo la nietzscheana morte di Dio, avvistando una proficua e universale soluzione a Est, nell’Oriente buddista, del quale espone i tratti fondamentali e correlate esistenziali indicazioni metodologiche. Inizia annotando che, nel pensiero moderno, gli ateismi sono da iscrivere, per diretto correlato antagonismo, ai teismi. Ateismi che inabili nell’implementare un peculiare, autonomo e inedito pensiero, sussistono reagendo alla tradizionale filosofia Scolastica. Con Nietzsche, nel postmoderno, Dio soccombe per davvero e i valori supremi crollano con lui nella società, nella politica, nella morale, nella vita degli uomini d’Occidente. Momento di transizione cruciale a seguito di un angosciante mutamento epocale che esige risposte adeguate; condizione annichilente e nel contempo favorevole e stimolante. Nel complesso panorama nichilistico Nietzsche propone una soluzione attiva attraverso la trasvalutazione dei valori. Una esaltazione autoredentrice nella e della “terrestrità” (volontà di potenza, Oltreuomo, eterno ritorno). Gioioso fanciullesco esperimento che nell’atto di implementare il “proprio” mondo produce istantanea soddisfazione. Un valoroso contributo alla lettura della postmodernità dei nostri giorni viene dal sociologo e filosofo polacco Zygmunt Bauman, che utilizza la metafora di postmodernità liquida correlata al collasso delle "grandi narrazioni" con la conseguente globalizzazione, standardizzazione, omologazione e “omogeneizzazione" dell’individuo. Quali le conseguenze per l’etica? Nessun orizzonte tragico: nella postmodernità l’etica diviene soggettiva arte creativa del vivere, un semplice e fecondo “diventare quel che si è”.Anticipata dalla focalizzazione di un Nulla eticamente positivo Dipalo termina con una sommaria esposizione della filosofia buddista a tratti catechetica, a tratti ben comparata all’esistenzialismo.

Giorgio Gagliano analizza il percorso di formazione e dissolvenza dell’Io nella storia filosofica e sociale. Inizia disgiungendo i Greci della storia dalla grecità artificiosamente implementata dalla filosofia occidentale. Annoto contiguità tra tale giudizio e le tesi espresse nel saggio storico-filosofico di Costanzo Preve (1943-2013) «Una nuova storia alternativa della filosofia».  Gagliano ipotizza che per i Greci l’Io, il Soggetto, era considerato ente ontologicamente irrilevante. Il singolo uomo, in sé insignificante, trova identità solo nell’appartenenza sociale al “noi” della polis comunitaria. E’ Socrate che infrange l’identificazione con la collettività  immettendo la concezione dell’Io e della correlata “anima” individuale, ideazione che contiene in nuce la successiva elaborazione storica che porterà gradualmente alla concezione dell’Io ultrametafisico glorificato nell’orizzonte culturale ebraico-cristiano. E, proprio da quelle parti, lo spuntare -“eterogenesi dei fini” - dell’egoismo.Nella postmoderna morte di Dio anche l’Io accusa il colpo e tende a dissolversi e Gagliano, nel considerare i nostri giorni, chiude amaro: «Siamo ormai soltanto egoisti senza Ego» .

Se siete arrivati fin qui vi ringrazio e vi dico la mia. Nel percorso mi sono sentito vicino a tutti quelli che hanno valutato l’uomo un po’ più del due di picche, specialmente Trombino grazie all’Umanesimo che ha proposto. La relazione di Dipalo l’ho avvertita tra le più schiette e insieme la più insidiosa nel suo attardarsi descrivendo il buddismo con correlate “Tecnologie del sé” annunciate ecumeniche, anti-dogmatiche e filosoficamente aperte. Una di queste indica una specifica postura corporea. L’ancestrale citazione prescrive di sedersi su un apposito cuscino rigorosamente rotondo per poi toccarsi i denti anteriori con la lingua. Forse un po’ poco per emancipare i postmoderni dalla perdita di Dio. Sono convinto che le scorribande apportino valore a una filosofia che si definisce “pratica”, dunque il problema non è epistemologico ma di merito: a che pro attaccare frontalmente l’Io e l’umano pensiero? A che pro mettere la testa (il pensiero) per terra? (altra citazione metodologica buddista). Rinunciare al pensiero equivale a sottomissione in presa diretta. Faccenda pericolosa produttrice di estasi e terrorismi.

Abitare il mondo: con o senza Dio?
La morale tra panteismo, teismo e ateismo
A cura di Elio Rindone
Diogene Multimedia 2014