domenica 26 aprile 2015

SU PAPA FRANCESCO E DINTORNI. INTERVISTA A DON COSIMO SCORDATO


“Una città”
Marzo 2015 (n. 220)


UNA CHIESA CHE SI INTERROGA
Augusto Cavadi intervista don Cosimo Scordato 
 
Don Cosimo Scordato insegna teologia alla Facoltà teologica di Sicilia (Palermo) ed è tra i fondatori del Centro sociale autogestito,  a-partito ed a-confessionale, “S. Francesco Saverio” dell’Albergheria (quartiere di Palermo noto per il mercato Ballarò). Autore di diversi libri tra cui, recentemente,  quattro volumi di teologia dei sacramenti  (Il settenario sacramentale, Il pozzo di Giacobbe), un volume di omelie (Libertà di parola, Cittadella) e un volume di pastorale (Dalla mafia liberaci o Signore, Di Girolamo).


Quando, negli anni Ottanta, hai cominciato a parlare di 'Teologia del risanamento' a Palermo ti rifacevi esplicitamente alla 'Teologia della liberazione' sudamericana. Adesso abbiamo un papa che viene dall'Argentina: non è un esponente della 'Tdl', ma neppure un suo avversario. Come descriveresti la sua posizione a riguardo?

L'attuale papa, anche se non è stato un rappresentante e neppure un vero e proprio sostenitore della teologia della liberazione, recentemente ci ha tenuto che fosse pubblicato un volume di G. Gutierrez (fondatore della tdl)  insieme col card. Mueller, segretario della Congregazione della dottrina della fede; credo che la posizione 'distaccata',   assunta  dall'allora cardinale Bergoglio, fosse riconducibile anche a un atteggiamento prudenziale, data la situazione di rischio di tanti teologi vissuti sotto i regimi dittatoriali  dell'America Latina. Adesso papa Francesco si può sbilanciare maggiormente non solo perché gli orientamenti 'liberanti' della teologia si sono smarcati da alcune analisi, che allora sembravano un po’ troppo debitrici al marxismo; ma ancor più perché le dinamiche del capitalismo internazionale fanno emergere, in maniera ancora più insopportabile, le contraddizioni emergenti da un processo di concentrazione delle risorse economiche e finanziarie; in questo modo la ricchezza si concentra sempre più nelle mani di oligarchie di potere esponendo la maggior parte dell'umanità al bisogno, alla dipendenza, alle difficoltà della stessa sopravvivenza. Il papa, facendo tesoro delle acquisizioni del magistero sociale degli ultimi pontefici, può fare più direttamente riferimento al mondo dei poveri; anche se non rinunzia a chiamare in causa le molteplici cause di carattere economico, finanziario, politico, che determinano la catastrofe di una umanità martoriata da guerre, conflitti, emigrazioni di massa, speculazioni di vario genere... la sua attenzione è concentrata sui poveri e i deprivati della nostra umanità. Il suo interesse principale è di richiamare l'attenzione verso di loro non solo da parte della comunità cristiana perché rinnovi quella scelta preferenziale dei poveri, già ispirata da Giovanni XXIII e rilanciata dal Concilio, ma anche della comunità internazionale perché riveda le politiche che non riescono a governare le logiche del profitto, impotenti (se non conniventi) di fronte a ciò che il capitale impone, provocando l'attuale insopportabile situazione di 'disordine mondiale'; e della società in generale perché maturi il senso di uno sviluppo non caratterizzato da disparità e diseguaglianze, piuttosto volto alla emancipazione e alla promozione di tutti.

Se si leggono i documenti degli ultimi pontefici non si può negare che i riferimenti alle fasce povere dell’umanità siano numerosi. Vedi qualche nota di novità in questo papa?
La consapevolezza, che papa Francesco ha lasciato trasparire nei suoi molteplici interventi (dalle brevi omelie di Santa Marta ai discorsi ufficiali nei suoi viaggi apostolici internazionali), è accompagnata anche da quel suo stile di vita col quale ha tentato, fin dall'inizio del suo ministero petrino, di rilanciare non solo l'immagine di una chiesa 'per i poveri', ma anche e preliminarmente quella di una chiesa povera. La sua scelta di vivere in un appartamentino, che gli consente anche di essere vicino alle persone che si muovono nello stato del Vaticano; i suoi molteplici gesti di semplicità, che lasciano intravedere la naturalezza evangelica del suo modo di esprimersi e rapportarsi con chiunque; i suoi diversi appelli rivolti alla curia romana (e ai cardinali) al superamento di ogni forma di carrierismo e di mondanità, oltre che la determinazione (sulla scia del tentativo precedente di Benedetto) di portare lo Ior alla massima trasparenza gestionale anche in vista di un suo inserimento nella White List... sono tutte manifestazioni di quella svolta che Francesco, prima di proporla all'esterno della Chiesa, vuole praticare per primo lui stesso, cercando di coinvolgere coloro che, essendo ufficialmente suoi collaboratori, dovrebbero trovarsi in prima fila accanto a lui. Tutto questo non è facile da realizzare, data l'opacità che ha caratterizzato diversi aspetti della vita di quello che sommariamente chiamiamo 'Vaticano'; il papa stesso ne è consapevole; ma gli scandali accumulati negli ultimi decenni, oltre che gli squallidi giochi di potere e di corruzione, più volte venuti alla luce da inchieste e da indagini giornalistiche, hanno reso più urgente la decisione di papa Francesco di dare, per fedeltà al vangelo e per rispetto della Chiesa, un cambio di direzione che, seppure è appena agli inizi e lanciato con gesti concreti ma con prevalente valore simbolico, ha il compito di indicare che la prima conversione deve essere condivisa e maturata all'interno della Chiesa; prima di additare al mondo le beatitudini di Gesù, i cristiani debbono essere i primi interpreti e testimoni della gioia del vangelo (l'evangelii gaudium). Il progetto di papa Francesco, su questo versante, è avviato; ma, come si può comprendere, deve diventare sempre di più il progetto di tutta la Chiesa; come tale esso richiede che le diverse componenti della comunità ecclesiale (dai vescovi alle più piccole aggregazioni laicali) lo facciano proprio interpretandolo in proporzione alle possibilità locali.
Tutto questo ci sembra importante e preliminare a tutto il resto; i discepoli di Gesù non possono non ritrovarsi accanto a chi soffre (dai poveri agli sfruttati agli immigrati) e spesso loro stessi condividono le diverse situazioni di deprivazione. La collocazione del credente è già segnata: è dalla parte degli ultimi, dei crocifissi della terra con i quali condividere il cammino di risurrezione e di riscatto.

La dimensione esistenziale, a livello personale e comunitario, è certamente necessaria. La ritieni anche sufficiente?
   Ovviamente no. Non va trascurata la dimensione politica di detta problematica; infatti, ormai è acquisito che il fenomeno della povertà e dei poveri, pur riconducibile a tante cause storiche, culturali, sociali… se vuole essere superato deve approdare al livello politico; se l'attenzione al povero nella sua concretezza ha la precedenza su ogni altro discorso, la risoluzione della povertà passa necessariamente (anche se non esclusivamente) dall'intervento della politica, intesa come l'arte che riconosce i nessi di causa-effetto dei fenomeni sociali e tenta di approntare le soluzioni permanenti, non intervenendo solo sugli effetti, ma lavorando ancor più sulle cause che li provocano. Certamente, negli interventi di papa Francesco si coglie in primo luogo il grande afflato, che lo spinge verso i poveri, in quanto persone compromesse nei propri diritti ed esposti alle solitudine dell'emarginazione e dell'abbandono (non sempre, però, in maniera incolpevole). Ma forse altrettante forza e determinazione andrebbero manifestate nei confronti della conversione della politica e dei politici. Alla politica, infatti, è affidato il compito più delicato e più prezioso di dare priorità al bene comune dandogli la forma in istituzioni adeguate, che salvaguardino tutti nei loro diritti e doveri; mentre spetta ai politici il compito di mediare il bene comune tra le diverse istanze della collettività, attraverso leggi, delle quali essi dovrebbero essere i primi osservanti, orientando (e ridimensionando) l'interesse proprio o di gruppo verso la realizzazione del bene della comunità.
Non è un caso che, negli anni dopo il Concilio, si è potuto parlare di carità politica, intendendo la politica come lo spazio privilegiato nel quale concretizzare e mediare l'amore per la comunità; e, viceversa, intendendo la carità non solo come atto singolare e privato, ma come attitudine a farsi coinvolgere in tutto quello che ridonda a beneficio e promozione dell'intera comunità. La ripresa di questi temi non potrebbe che dare ulteriore consistenza al servizio dei poveri quanto più si riesce a rimuovere la loro povertà e quanto più ognuno di loro diventa non solo destinatario degli interventi altrui ma anche promotore del bene degli altri.

Sinora ti sei riferito alla povertà tipica di chi stenta ad avere i mezzi sufficienti per mangiare, bere, istruirsi, curarsi, riprodursi…Tuttavia sappiamo che nel mondo si registrano nuove forme di povertà: la solitudine, l’esclusione, l’emarginazione. Penso a chi non ha trovato un compagno di vita; a chi lo aveva trovato ed è stato abbandonato; a chi lo ha trovato ma, poiché è dello stesso sesso, deve vivere clandestinamente il proprio rapporto di coppia. Ritieni che la Chiesa – su impulso del papa argentino – possa operare per alleviare, da parte sua, questo genere di miseria psico-sociologica?
Vorrei sottolineare, nello stile di Francesco, la sua attenzione a quello che, un po’ ottimisticamente, potremmo chiamare ‘stile sinodale’.
In primo luogo, mi riferisco non tanto al sinodo che ha convocato quanto a tutto ciò che lo sta preparando attraverso un’ampia consultazione della base ecclesiale; infatti tutte le diocesi, ma anche i vari gruppi ecclesiali sono stati interpellati per dare un loro contributo e, come viene ribadito, non si tratta soltanto di dare risposte alle domande già formulate ma anche di offrire considerazioni e prospettive anche al di fuori delle domande proposte.
Inoltre, i primi Lineamenta, ovvero il primo materiale offerto per la consultazione, pur costruiti a partire da una base contenutistica tradizionale, contengono anche una serie di domande che hanno il sapore della novità. Il fatto stesso di interrogarsi su problemi o situazioni (risposati, omosessuali…) rispetto ai quali nel passato si sarebbe già data per scontata la risposta, rappresenta un fatto molto significativo del senso ecclesiale; interpellare i fedeli significa disporsi ad ascoltare anche risposte che non siano allineate sugli orientamenti tradizionali; d’altra parte, il tanto invocato sensus fidei (senso della fede) o il consensus fidelium (consenso dei fedeli) non deve essere interpretato nel significato passivo di chi non può se non ‘calare la testa’ alle decisioni del magistero papale o episcopale, quanto piuttosto nel suo significato attivo, attraverso il quale il popolo cristiano interagisce col ministero ordinato.
Infine, anche la decisione del papa di restare un passo indietro rispetto alle decisioni che sono emerse dai dibattiti del pre-sinodo, senza ritagliarsi un compito di controllo, supervisione o di decisione autonoma, non solo esprime un grande rispetto nei confronti del momento sinodale, riconosciuto in tutta la sua portata ecclesiale; ma anche lascia intendere che detta esperienza ecclesiale va vissuta per davvero accettandone anche tensioni, incertezze e soprattutto il travaglio di una ricerca. Non ci sarebbe niente di confezionato, piuttosto emerge la voglia di lasciarsi interrogare per davvero dal disagio della gente e dal desiderio di interpretare sempre più intensamente la misericordia di Dio, che vuole la vita e  la gioia dei suoi figli.
Comunque, riteniamo importante la presente consultazione perché ancora una volta essa chiama in causa la soggettualità dei laici in quanto essi sono i primi interpreti della loro condizione nel mondo; sarebbe strano che un questionario sulla famiglia, che certamente va pensato alla luce dell’evangelo, non dovesse accogliere la voce di coloro che vivono in prima persona le gioie e i problemi, le speranza e le attese di quella vita familiare della quale, pur con tante difficoltà, i laici sono i titolari. Come ci meraviglieremmo se i laici volessero sentenziare sulla vita monastica, così ci sorprenderemmo se non fosse preso in considerazione  quanto verrà espresso da coloro che vivono dall’interno la vita familiare.
Venendo alla reale apertura del papa sui problemi della vita famigliare e dintorni, la prima impressione che ho avuto, leggendo uno dei primi volumi delle sue interviste antecedenti al pontificato, è stata quella di riscontrare un lui una concezione fondamentalmente ispirata al Concilio ma con una forte base tradizionale; il che mi ha indotto a pensare che, a partire da suddette premesse, non ci fosse grande possibilità di andare avanti nella esplorazione di nuove comprensione e nuove soluzioni,
A poco a poco ho compreso, invece, che egli, più che preso da considerazioni di carattere teorico (che comunque restano sullo sfondo), è maggiormente richiamato dalla condizione di sofferenza che caratterizza la vita di tante persone; di primo acchito egli sente, entra in sintonia, con questa sofferenza e intende farsene carico, come il buon samaritano del vangelo, e solo successivamente si pone il problema di come ricercare soluzioni più ‘umane’ e come conciliarle con la tradizione.
Il fatto stesso che ha voluto da parte dei sinodali la ricerca più coraggiosa e il confronto più frontale tra i diversi orientamenti lascia intendere che, nonostante le sue premesse tradizionali, egli stesso è interessato ad ascoltare, a farsi attento a nuove possibilità e ad esplorarle in forza della misericordia e della tenerezza, rivelata e donata da Dio alla sua Chiesa.



Questo che dici riguarda un po’ il metodo. Per entrare nel merito, a che punto siamo secondo te con la riflessione sulla crisi del modello tradizionale di famiglia?

  Nello specifico di questa domanda, mi piace ricordare un documento approvato dalla nostra comunità sul tema “Famiglia e familiarità”. Vorremmo condividere alcune considerazioni per un approfondimento dell’attuale tematica familiare; essa, per la novità di tanti aspetti, è più grande di noi e richiede pacata riflessione e disponibilità a capire, prima ancora di offrire tempestivamente idee chiare e distinte (incluse le presenti!). Le riassumo per punti principali.
Tenere alla famiglia - E’ opportuno che la comunità cristiana ribadisca il valore positivo della vita familiare, così come è maturata in quasi tutte le culture ed è stata recepita anche dalla tradizione ebraico-cristiana; essa prevede il vincolo coniugale tra partners eterosessuali e la nascita dei figli all’interno del loro rapporto. Per i credenti tutto questo viene considerato un dono di Dio e quindi possibilità di incontrarlo e celebrarlo nel rapporto di amore tra i diversi membri della famiglia; la realizzazione della famiglia richiede una scelta consapevole e responsabile; il riferimento all’inclinazione naturale non è sufficiente, ci vuole una maturazione personale; non si può affermare che tutti di fatto sono chiamati al matrimonio e alla vita familiare; resta aperta la domanda sull’autorealizzazione di coloro che non avessero la suddetta vocazione.
       Il tema del matrimonio, a fondamento della famiglia, va ripensato intorno all’esperienza dell’amore di coppia; il matrimonio ha senso se riesce a dare forma all’amore di due persone, pronte a donarsi reciprocamente, a elaborare un progetto comune della propria vita e a condividere la gioia della propria esperienza con altri (bambini/e). Ciò che conta è che detto amore sia coniugale, cioè capace di congiungere per davvero le due esistenze, orientandole in un cammino che le proietta  verso tutta la vita. Solo l’amore coniugale, e quindi una relazione che impegna in maniera unica l’interezza delle proprie persone (corpo, mente, spirito), è la garanzia perché si dia un’autentica realizzazione del matrimonio nella duplice celebrazione liturgica ed esistenziale.
Famiglia: quale modello? - Storicamente la famiglia ha avuto diversi modelli di realizzazione; in essi hanno preso corpo diverse precomprensioni antropologiche, diversi orientamenti culturali e giuridici, diverse  connotazioni psicologiche e sociali…  si pone il problema sul modello di famiglia che sta maturando nel nostro tempo e nell’ambito della cultura occidentale (termine ancora troppo generico); si pone altresì il problema del rapporto con gli altri modelli di famiglia, che si affacciano ormai da tempo sulla scena occidentale; si ritiene opportuno che l’accettazione e l’integrazione tra di diversi modelli di famiglia abbia come criterio di riferimento il riconoscimento dei diritti fondamentali della persona umana.
Famiglia… d’ amore e d’accordo! - La famiglia solo in quanto è fondata sull’amore della coppia e quindi si sviluppa nella condivisione di amore con i figli e resta aperta ai bisogni della società va considerata come spazio autentico di realizzazione delle persone che in essa crescono.
Laddove l’amore non fosse il principio ispiratore ed alimentatore della vita familiare e in essa dovessero prevalere rapporti di prevaricazione, di mancanza di rispetto e di libertà, essa non può essere sostenuta di per sé, piuttosto va aiutata a recuperare le condizioni minime di convivenza tra i suoi membri e, se ciò non avvenisse, va accettata la separazione.
D’altra parte la costruzione della vita familiare richiede impegno da parte di tutti i suoi membri e della comunità. Riteniamo possibile tuttavia  sviluppare forme nuove di condivisione e mutuo aiuto tra le famiglie in una visione di piccole comunità interfamiliari. Si parla ancora di chiesa domestica con una visione di famiglia ‘sola’ e chiusa nel proprio guscio. È nel cammino con altre famiglie che spesso si scoprono forme nuove di espressione della fede all’interno della domus.  Dalla messa in comune delle esperienze di tutti e dal dialogo costante con ciascuno, in momenti comuni e  nel rispetto di tutte le posizioni, può emergere il profilo di una famiglia in grado di affrontare le sfide della modernità in chiave positiva.
Allora la sfida per la Chiesa è di sostenere la coppia a crescere nell’amore reciproco, nella pari dignità tra uomo e donna e nella sua autonomia in tutti i suoi aspetti: in una fecondità che va ben oltre quella genitoriale, nella ricerca di una paternità responsabile, in una affettività e sessualità unitiva, nell’accoglienza dei figli, in uno sguardo aperto al prossimo e alle sue necessità, in una sobrietà di stile di vita, ecc.  La coppia così formata sarà quindi capace di vivere nella realtà avendo sempre presente gli ideali a cui si ispira in un esercizio responsabile della cittadinanza e di presenza adulta all’interno della Chiesa.

Nella mentalità cattolica la valorizzazione della famiglia è stata enfatizzata al punto da diventare, o per lo meno da apparire, una legittimazione del familismo (più o meno “amorale”). Pensi – pensate tu e la tua comunità – che extra familiam nulla salus ?
    Affermare la positività della famiglia non significa che sia negativo tutto quello che non è famiglia; se la vita di coppia eterosessuale che realizza la famiglia è modalità antropologica fondamentale sia per la vita delle persone che per la convivenza civile, essa non è l’unica forma di realizzazione dell’amore. Finora si è dato per scontato che esistono altre forme di familiarità e di realizzazione della persona; basti pensare alle famiglie religiose della tradizione e alle nuove forme di aggregazioni (religiose) tra persone che, in rapporto di amore reciproco, condividono valori e scelte di vita; accanto alla condizione ottimale della vita idilliaca familiare (che resta desiderabile), va riconosciuta una vasta gamma di altre opportunità.
Sono possibili forme di vita nell’amore anche se non sono segnate dalla definitività e dalla totalità e dalla eterosessualità; la decisione di stare insieme con la possibilità dell’unione di vita nella misura in cui non arreca danno a terzi e promuove il bene degli interessati può essere accolta come esperienza salvifica,  seppure proporzionatamente alle modalità della sua realizzazione; a partire dalla precedente considerazione non va considerato valido il principio “o tutto o niente”, ma va riconosciuta la positività anche della ‘parzialità’ delle diverse esperienze di amore.
Riteniamo opportuno, inoltre, che lo Stato e la Chiesa, nel rispetto delle reciproche competenze,  prendano posizione sui problemi precedenti.

L’apertura alla procreazione è considerato, nell’ottica cattolica, se non più l’unica ragion d’essere del matrimonio certamente una delle finalità costitutive. Ex cathedra papa Francesco non si è mai pronunziato, ma ex microphono ha fatto scalpore con qualche battuta semiseria (“I cattolici non sono obbligati a fare figli come i conigli”). Una vostra riflessione in proposito?
       Riguardo alla missione genitoriale dei coniugi ci richiamiamo all'affermazione della Gaudium et Spes, n. 50: "I coniugi sappiano di essere cooperatori dell’amore di Dio Creatore e quasi suoi interpreti nel compito di trasmettere la vita umana e di educarla; ciò deve essere considerato come missione loro propria" e quindi trarne l'invito ad "annunziare e promuovere efficacemente la apertura alla vita e la bellezza e la dignità umana del diventare madre o padre". Quel che invece ci lascia perplessi è il richiamo ai "metodi naturali" come unici strumenti per la paternità e la maternità responsabili. Su come combattere la piaga dell'aborto, ci sembra che il vero discrimine non sia fra i vari metodi contraccettivi, la cui scelta dovrebbe essere lasciata alla responsabilità dei coniugi, ma fra la contraccezione e le pratiche abortive, che invece sopprimono una vita umana in formazione. Continuare a sostenere l’unicità dei metodi cosiddetti naturali rischia di allontanare dalla vita sacramentale quei pochi cristiani che ancora ritengono un obbligo morale questa prescrizione della Chiesa o, peggio, di favorire la mentalità per cui certi precetti si devono proclamare, ma non vanno presi sul serio.

Suppongo ti riferisci al riconoscimento giuridico  - e prima ancora sociologico e morale – delle “coppie di fatto”, specie se fra partner del medesimo sesso.
         Circa l’accoglienza degli omosessuali ci sono parse di apertura le proposizioni nn. 50, 51, 52 della Relatio post disceptationem della prima sessione del Sinodo, delle quali però non si trova più traccia nei Lineamenta. In particolare: n. 50. “Le persone omosessuali hanno doti e qualità da offrire alla comunità cristiana: siamo in grado di accogliere queste persone, garantendo loro uno spazio di fraternità nelle nostre comunità? Spesso esse desiderano incontrare una Chiesa che sia casa accogliente per loro. Le nostre comunità sono in grado di esserlo accettando e valutando il loro orientamento sessuale, senza compromettere la dottrina cattolica su famiglia e matrimonio?"
A noi sembra che le comunità stiano sempre più maturando quanto la cultura contemporanea comincia a considerare acquisito; la condizione omosessuale non è più ritenuta una malattia, ma una modalità della realizzazione dell’umano. Tutto questo non può non portare al ripensamento radicale dei problemi tradizionali della ‘legge naturale’ e del ‘peccato contro natura’, dando precedenza assoluta all’affermazione che ognuno vale in quanto persona e in quanto capace di amare; tanto più se consideriamo la condizione di figli di Dio donataci in Gesù Cristo e nel suo Spirito.
Pensiamo che la Chiesa dovrebbe astenersi da ogni giudizio morale sulla condizione omosessuale e mettere in atto azioni di accoglienza e di integrazione per creare al proprio interno un consenso tale da rendere possibile l’accettazione, anche formale, delle coppie gay e lesbiche con un effettivo accompagnamento pastorale degli omosessuali senza intendimenti “missionari” di redenzione dal peccato. Purtroppo, dobbiamo registrare una chiusura totale di molte chiese particolari nei confronti sia delle situazioni considerate “oggettivamente disordinate” dal punto di vista della sessualità, sia dei tentativi di legiferare in tale direzione. La nostra chiesa locale si è dimostrata negli anni  favorevole ad una legge sulle unioni civili e già accoglie e sostiene con amore fratelli e sorelle omosessuali condividendo con essi sia l’Eucarestia domenicale sia visioni e programmi di partecipazione per le campagne di solidarietà sociali, ecc. 
Negli ultimi anni, grazie anche alla tenacia dei gruppi di omosessuali credenti, alcune diocesi hanno avviato timidi tentativi di pastorale verso persone appartenenti alle minoranze sessuali. Partendo dal presupposto che gli omosessuali sono persone come le altre e, quindi, crediamo che la Chiesa, affinché possa offrire cammini di vita cristiana adeguati al loro vissuto, non debba individuare dei percorsi pastorali specifici. Piuttosto dovrebbe rendere più flessibile il proprio atteggiamento, abbandonando la concezione antropologica del passato e riconoscendo l’amore omosessuale. apporto di affetto continuato e fedele, puntando a garantire anche il futuro della coppia stessa; le storie di vita di tante coppie omosessuali testimoniano, non meno delle coppie eterosessuali, capacità di donazione, fedeltà di impegni, voglia di realizzazione nella comunione. Da madre la Chiesa deve solo desiderare che i propri figli possano realizzarsi a partire da quello che sono, riconoscendo che l’amore omosessuale non solo è possibile, ma è già una realtà sperimentata da tante persone e verso la quale va incanalata la tendenza omoaffettiva.

La storia di molte coppie  - omosessuali ma anche eterosessuali – è segnata dal desiderio di una unione definitiva e dall’impossibilità pratica di realizzare tale desiderio iniziale (per responsabilità di uno dei coniugi o dei due o talora di nessuno dei due). Nei casi più fortunati, il sogno originario si realizza in un secondo o in un terzo tentativo di unione matrimoniale (o anche di convivenza). Che riflessioni avete maturato in proposito, anche alla luce di ciò che sembra muoversi anche nel più ampio orizzonte ecclesiale?
Per quanto riguarda la condizione dei divorziati risposati forse è venuto il momento per radicalizzare la riflessione sulla validità del sacramento comprendendola sempre più come meta da raggiungere e, in ogni caso, verificabile solo alla fine, quando cioè la coppia ha compiuto tutto il suo percorso. Questo potrebbe aiutare a superare l’idea che il matrimonio o è valido o è nullo; ovvero o è totalmente valido o è totalmente inesistente. Questa posizione è conseguenza di una impostazione prevalentemente giuridica del sacramento, che approda all’idea: o tutto o niente. Ma siccome il contenuto del matrimonio è la relazione di amore, essa non è facilmente riconducibile al contratto come se si trattasse di impossessarsi di qualcosa; piuttosto ha a che fare con lo sviluppo e la maturazione delle due persone e della loro vita di coppia, che li impegna continuamente a verificare l’autenticità della loro scelta.
Non possiamo ignorare che in vari casi, il matrimonio sacramentale, frutto di una decisione consapevole e vissuto originariamente come impegno definitivo, può subire una crisi lacerante, la quale porta i coniugi alla separazione. Per alcuni di loro la nuova condizione può risultare umanamente molto gravosa e determinare la decisione di stabilire un nuovo legame affettivo, volendo comunque vivere in modo pieno l’appartenenza alla Chiesa. La quale dovrebbe prendere atto della caducità umana riconoscendo che il matrimonio, in quanto relazione fra persone, può, purtroppo, concludersi. Nella nostra esperienza avvertiamo che i battezzati divorziati e risposati sono desiderosi di attenzione per la propria storia di sofferenza e di rispetto per il fallimento della loro storia coniugale e chiedono di poter partecipare pienamente alla vita della Chiesa, e quindi di accedere ai sacramenti che la Chiesa stessa indica come nutrimento indispensabile di una fede e di una vita cristiana.  È certamente molto importante che essi  vengano accolti senza alcuna discriminazione all’interno della comunità cristiana in cui vivono, prendendosene cura.
L’accoglienza, l’inclusione e l’unico amore di Dio per tutti i figli deve essere il metro per lenire sofferenze, rimarginare ferite e riscoprire la gioia del Vangelo.   “L’arte dell’accompagnamento” è una necessità evidenziata nel dibattito sinodale con particolare riferimento alle famiglie ferite. Riteniamo che l’accompagnamento rispettoso e pieno di compassione dovrebbe essere una prerogativa imprescindibile non solo della Chiesa ma di ogni essere umano credente e non credente. E’ doloroso e sconfortante lo sguardo giudicante e punitivo di quella parte della Chiesa che si ritiene detentrice di un potere assoluto e discrezionale sull’accesso al Sacramento dell’Eucaristia per i divorziati risposati come se fosse proprietà ‘disponibile’ alla Chiesa e non dono di Dio. 
Se dovesse  ritenersi necessario, un eventuale percorso di riammissione ai sacramenti, in particolare all’Eucaristia, che ricordiamo è offerta non per i giusti, ma per chi sa di dover essere salvato, e quindi particolarmente riservata a chi è nel bisogno,  potrebbe  farsi riferimento alla prassi attualmente in vigore nelle Chiese ortodosse che prevede la possibilità di seconde nozze dopo il divorzio. Un percorso di revisione che  potrebbe agevolare la comprensione dei motivi del fallimento del precedente matrimonio e la individuazione di atteggiamenti e scelte di vita atti ad evitare il ripetersi di situazioni foriere di sofferenze.

venerdì 24 aprile 2015

DIO E' MORTO, MARX PURE. E SE DEVO ESSERE SINCERO NEPPURE IO MI SENTO TANTO BENE


“Monitor” 23.4.2015

MARX E’ MORTO ! MA NE SIAMO DAVVERO CERTI ?

“Dio è morto, Marx è morto e, se devo essere sincero, neppure io mi sento molto bene”. La battuta, attribuita anche a Woody Allen, è diventata celebre: ma è anche vera? Piaccia o dispiaccia, la “morte di Dio” (annunziata da Hegel e da Nietzsche) non si è ancora consumata: anzi le guerre di religione, o la copertura religiosa delle guerre, prosperano che è una…bruttezza. Sarebbe forse meglio che gli intellettuali e i politici si preoccupassero di gestire e incanalare il bisogno religioso anzicché deriderlo, sottovalutandolo, per poi trovarselo tragicamente davanti.
  Neanche la fine del marxismo è così ovvia. Certo se si scambia il socialismo sovietico per marxismo (errore paragonabile a chi identificasse la storia delle chiese cristiane con il vangelo), il marxismo è – se non proprio morto – agonizzante. Ma se il marxismo è, prima di tutto ed essenzialmente, l’opera scientifica di karl Marx, la sua analisi delle contraddizioni del capitalismo, la sua previsione che prima o poi l’umanità dovrà scegliere fra la fedeltà suicida al capitalismo e il suo superamento in forme di economia più solidale…se il marxismo è questo, lungi dall’essere in crisi, diventa ogni giorno più attuale che mai.
  Diego Fusaro (uno degli ospiti dell’imminente “Festival della filosofia d’a-mare” che l’associazione “La Calendula” e il nostro settimanale hanno organizzato alle Egadi dal 30 aprile al 3 maggio 2015) è uno dei pensatori contemporanei che, remando controcorrente, pensa che Marx non sia affatto defunto e seppellito. Che le sue diagnosi siano corrette e acute e che, piuttosto, ci sia da discutere sulle terapie politiche egli propone, sia pur in termini volutamente vaghi e da determinare ulteriormente.
   Purtroppo anche in filosofia e in politica vince la logica delle mode. Ma è una vittoria precaria, provvisoria. Alla lunga, “la verità si viene a sapere”: la verità viene a galla, emerge dalle chiacchiere televisive e dagli slogan elettorali, finisce con l’imporsi agli occhi di chi si trova ormai al cospetto del baratro. Il baratro è una guerra epocale dell’80% dell’umanità (depredata, sfruttata da secoli di colonialismo militare ed economico oltre che culturale) contro il 20% dell’umanità (che possiede - che possediamo – le armi più potenti e la cultura più invadente). Aprire gli occhi significa capovolgere l’ottica del privilegio da cui guardiamo il pianeta e la sua storia: significa capire che ciò che non condividiamo con gioia invece di nutrirci ci avvelena, invece di rallegrarci ci amareggia. Che nel condominio, nella città, nella nazione, nel mondo ci sono troppe persone, troppi esseri  umani (per non contare i nostri fratellini animali),  che non hanno il minimo indispensabile mentre noi navighiamo nel superfluo e  - con tutta la crisi che attraversiamo – continuiamo a sprecare cibo, acqua, medicine, energia elettrica, ore di insegnamento. . .
   “Gli dei accecano coloro che vogliono mandare in rovina”: la cecità è ormai quasi totale, siamo sicuri di essere rassegnati alla rovina?

Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com

giovedì 23 aprile 2015

SERGE LATOUCHE A FAVIGNANA PER CONFRONTARSI SULLA DECRESCITA


“Monitor”
17.4.2015

LA CRESCITA  ECONOMICA SIGNIFICA FELICITA’ COLLETTIVA ?

Non c’è governo, associazione di imprenditori o sindacato di operai che non punti sulla “crescita” del PIL (Prodotto interno lordo) di una nazione, Italia compresa. Più ore lavorative, più prodotti, più scambi commerciali, più guadagni, più consumi: la regola è talmente ovvia che la si condivide senza discuterla. Ma la filosofia ci insegna che spesso l’ovvio è nemico del vero. Che il sole giri intorno alle nostre teste e la terra sia ben piantata sotto i nostri piedi è ovvio, ma non per questo è vero.
Già qualcuno dei fratelli Kennedy si chiese se la crescita economica coincidesse con la qualità media della vita dei cittadini, sostenendo che la politica dovrebbe occuparsi della seconda piuttosto che della prima.
            In anni più recenti un filosofo dell’economia (la denominazione non risuoni strana: l’economia politica è nata, già con Adam Smith, come una branca della filosofia), il francese Serge Latouche, ha osato una provocazione ulteriore: si è chiesto se la crescita economica continua, squilibrata fra un ceto sociale e l’altro, causa di danni irreversibili all’ambiente e al clima, non sia un fattore di infelicità collettiva. E, dunque, se non si debba perseguire una “decrescita” della produttività materiale per concentrarsi sull’incremento dei beni immateriali.
            Inutile dire che la sua teoria ha sollevato e solleva obiezioni di ogni genere, ma anche approfondimenti teorici e applicazioni pratiche: per esaminare tutto ciò il nostro settimanale, in sinergia con l’Associazione culturale “La Calendula”, ha organizzato un evento di richiamo nazionale per l’imminente ponte del Primo maggio. Infatti, dal tramonto di giovedì 30 aprile alla prima colazione di domenica 4 maggio, chi vorrà avrà la possibilità di interloquire direttamente con Serge Latouche, con Chiara Zanella e con Diego Fusaro nel corso della seconda edizione del “Festival della filosofia d’a-Mare” in uno splendido residence di Favignana. Sono previste passeggiate filosofiche, seminari, colazioni con i filosofi, dibattiti, concerti e recital: per maggiori dettagli chiedere il programma completo scrivendo a asslacalendula@libero.it   o anche consultando il mio blog (www.augustocavadi.com).

Augusto Cavadi
           

sabato 18 aprile 2015

CI VEDIAMO, CON GIUSEPPE FERRARO, A PALERMO MARTEDI' 21 - MERCOLEDI' 22 APRILE 2015 ?

Come molti di voi sanno avremo ospite della nostra città Giuseppe Ferraro, un mio collega e amico che insegna all'università di Napoli. E' autore di vari libri, alcuni dei quali dedicati alle sue esperienze di "filosofia in carcere" con i minori del Nisida. In città gli ho predisposto incontri con studenti miei, detenuti giovani e detenuti adulti.
A voi segnalo due appuntamenti.
* Il primo, a poche ore dal suo sbarco in aereoporto, sarà una cenetta filosofica speciale : martedì 21 aprile dalle ore 20,30 alle ore 22,30. Il tema sarà piuttosto libero, anche in dipendenza dalle vostre curiosità: si potrebbe partire da qualcosa come "Perché la filosofia con professionisti che si occupano, abitualmente, d'altro?". Purtroppo i posti rimasti liberi sono pochissimi: CHI NON FREQUENTA ABITUALMENTE LE CENETTE deve assolutamente  prenotarsi con me.

* il secondo, il giorno dopo, alle ore 18,oo (in punto), alla Feltrinelli per presentare il suo ultimo libro ( Imparare ad amare, Castelvecchi 2015). QUI NON SI PRENOTA IL POSTO: CHI ARRIVA PRIMA SI SIEDE.

Il filosofare di Pino è davvero particolare e ci terrei che lo incontraste perché secondo alcuni di noi egli dà il meglio di sé proprio nell'interazione colloquiale de visu.





POSTA DALL'UCCIARDONE DI PALERMO PER SERGIO MATTARELLA. E IL PRESIDENTE...


“Centonove”
16.4.2015

MATTARELLA E I DETENUTI DELL’UCCIARDONE


Un’alunna dell’ Istituto comprensivo “Mandralisca” di Cefalù, in visita al carcere minorile “Malaspina”, colpita dai campi sportivi e dalla piscina coperta a disposizione dei coetanei detenuti, si è chiesta se fosse giusto che lo Stato desse tali opportunità. La professoressa di religione che accompagnava la classe ha risposto, saggiamente, che ingiusto non era dare tanto ai ragazzi che avevano sbagliato bensì negare altrettanto a chi frequentava le scuole ‘normali’. Il recente episodio è un’ulteriore conferma dell’ottimo lavoro che le autorità competenti stanno realizzando, in un’ottica di sinergia, nell’Istituto penale per minori di Palermo.
Non altrettanto invidiabile, invece, la condizione dei detenuti adulti ospitati all’Ucciardone. Per un groviglio di responsabilità di ardua individuazione, la qualità della vita in questo istituto è pesante da molti punti di vista e si spera che, grazie ad alcuni lavori in corso, possa migliorare. Ma, al di là dei problemi locali, è tutta la situazione dei carcerati italiani a presentare serie criticità e – si badi bene – sul piano normativo prima ancora che amministrativo. Anche se fossero rispettate alla lettera, infatti,  le leggi vigenti nel nostro Paese enfatizzano comunque l’intento punitivo rispetto alle finalità riparative e rieducative.
L’AS.VO.PE (Associazione di volontariato penitenziario) che, da molti anni, lavora a titolo assolutamente gratuito (ed anzi autofinanziando ogni gesto di solidarietà), sia all’Ucciardone che a Pagliarelli, ha voluto perciò segnalare al Presidente della Repubblica il malessere di questi nostri concittadini che, pur avendo sbagliato (in alcuni casi assai gravemente), restano concittadini e – prima ancora – esseri umani. Lo ha fatto mediante una lettera in cui, con rispettosa franchezza, ha notato l’assenza totale di riferimenti al tema nel discorso di insediamento al Quirinale, per altri versi assai apprezzabile.
Con la sua discrezione ormai proverbiale, strettamente intrecciata a una rara sensibilità etica e politica, Sergio Mattarella ha recepito il rilievo e ha risposto alla missiva con un gesto inatteso: ha invitato alcuni responsabili dell’associazione a Roma per poter approfondire, anche con dati alla mano, la spinosa questione. Due operatori palermitani hanno portato al Capo dello Stato un dossier con il resoconto di alcuni progetti in corso e con una lettera che un gruppo di detenuti ha voluto scrivere di proprio pugno per esprimere, insieme all’orgoglio di essere corregionali del destinatario, l’invito a visitare di persona la casa di reclusione di via Enrico Albanese.
 Mattarella – che ha ricevuto gli ospiti con teutonica puntualità - ha prestato autentico ascolto, si è interessato ai progetti in esecuzione (il “teatro dell’oppresso” e la “filosofia di strada”),  ha apprezzato molto l’azione degli operatori volontari che provano a strappare dall’oscurità e dal silenzio questi settori della società. In linea con il suo stile di assoluta sobrietà ha evitato di giocare demagogicamente con la sofferenza della gente che gli veniva rappresentata. Non ha recitato il ruolo del mago con la bacchetta magica, ma si è impegnato a seguire con attenzione le due problematiche decisive della condizione attuale dei detenuti: la privazione affettiva durante la carcerazione e il reinserimento lavorativo al ritorno nella vita sociale.  Sulla prima questione il cammino di civiltà che resta da compiere  - sulla scia di quanto già realizzato in altri Paesi europei – è lungo e appeso alla tempistica del Parlamento. Sulla seconda questione, invece, la normativa vigente è avanzata: tocca alle associazioni di imprenditori e ai sindacati di lavoratori (anche incoraggiati dalle agevolazioni fiscali previste) attivare, dalle nostre parti, delle occasioni di effettiva formazione professionale. Non sono solo i reati e le inadempienze a provocare effetti a catena, ma anche le iniziative mirate a rimarginare le ferite.

Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com

mercoledì 15 aprile 2015

CI VEDIAMO A TRAPANI VENERDI' 17 APRILE ALLE 20,30 ?

Venerdì 17 aprile, alle 20.30 (solita puntualità !), "aperi-cena filosofico per non...filosofi" presso la Trattoria "Angelino" di Trapani (proprio davanti l'ingresso del porto).
Quota di partecipazione tutto incluso euro 12,00.
Per ulteriori informazioni contattare l'associasione organizzatrice "La Calendula" al 389.0944816.
L'incontro mensile rientra nel progetto di filosofia-in-pratica "Pensare insieme per vivere meglio".

venerdì 10 aprile 2015

ORNELLA SCRIVE A MARIA, LA MADRE DI GESU' DI NAZARETH, PER LA FESTA DELLA DONNA


“Monitor” 10.4.2015

UNA LETTERA  (INSOLITA) ALLA MADONNA PER L’8 MARZO

      Anche a Trapani, alcuni anni fa, è passato per qualche incontro pubblico presso la chiesa valdese un prete cattolico piemontese, don Franco Barbero. Egli è il fondatore-animatore della Comunità di base “Via Città di Gap” di Pinerolo (linda cittadina nei pressi di Torino) ed è noto, in Italia, per le sue battaglie a favore degli emarginati dalla Chiesa cattolica, soprattutto delle persone omosessuali. Nell’ultimo numero del “Notiziario” che la Comunità di base invia gratuitamente via internet a chi ne faccia richiesta (giupaz@tin.it) è stata ospitata la lettera “aperta” di un’amica, Ornella, destinata a Maria, la madre di Gesù.
         Ne riporto i brani che mi sono sembrati più significativi: Cara Maria, oggi dicono che si festeggi la donna, la televisione accesa in sottofondo ne dà ampio conto. Le voci sono tutte maschili. Credo che anche tu, la "Ma-donna", ci sia abituata da un paio di millenni, vero? Mi piacerebbe che tu facessi festa, non apparissi più, non piangessi su questo mondo che ha ancora speranza. Mi piacerebbe che tu ti ribellassi al tuo essere statua, disumana o transumana, e fossi la donna che sei stata, come miliardi di altre donne nel mondo. Mi piacerebbe che tu raccogliessi la bandiera dell’otto marzo, non vedi che ne hai bisogno? Che ti ribellassi al destino immutabile cui ti ha costretta l’immaginario maschile e riconquistassi la tua umanità.
     Cara Maria, se tu ti liberassi te ne sarei grata in nome di tutte quelle donne che sono state costrette in ultima fila a tessere in silenzio le tue lodi, a te, inarrivabile modello del femminino sacro, così ridotta da maschi senza speranza e disperazione.
       Cara Maria, ti auguro che rifiorisca il magnificat sulle tue labbra, che tu torni ad essere quella donna coraggiosa e fiera, consapevole di avere nel grembo un profeta, sognante il futuro di un popolo, che poi sarebbe diventato il popolo di Dio in cammino.
        Cara Maria, se tu non muti, vano sarà spiegare che il creatore non è né maschio né femmina, che sessuarlo è una bestemmia, perché si rivolgeranno a te, madre e vergine immobile per l’Eternità. Immobile. Sovrana. Marmorea o lignea o dipinta. Ma non viva!
       Ribellati Maria, non apparire più. Torna a prendere il tuo posto nella storia, bellissima, che avrebbe dovuto portarci a libertà e che ha rinchiuse le tue congeneri dentro un’immagine non loro, perché intessuta intorno a te. Le povere di Dio lo chiedono da secoli. Inutilmente. Unisciti a noi e raccogli la bandiera della libertà, oggi otto di marzo! Se non apparissi più a dispensare fervorini al mondo sarebbe un inizio. E un bel regalo che ci e ti faresti non solo l’otto marzo.
Con complice affetto
Una figlia di Eva”.
                                       Augusto Cavadi
                                                                                      www.augustocavadi.com

martedì 7 aprile 2015

TOLLERARE SINO A PERDERE IL CONTROLLO DI UNA CLASSE, DI UNA CITTA' ?


Repubblica – Palermo”


7.4.2015





COME NASCE IL FAR WEST QUOTIDIANO




    Interi quartieri di Palermo fuori da ogni norma; sempre più insegnanti in balìa di alunni scalmanati e in alcuni casi maneschi. Un anziano insegnante palermitano non può non vedere il nesso fra le due fenomenologie. La scuola, infatti, non è solo una metafora della città: è un microcosmo condizionato dal macrocosmo sociale e, a sua volta,  lo condiziona.

      Da studente osservavo alcune dinamiche all’interno della classe (eravamo indisciplinati con i docenti fragili e controllatissimi con i severi) e l’esperienza  mi è stata preziosa nei successivi quarant’anni di insegnamento. Come appurato dagli psicologi sociali (da Le Bon a Freud in poi) in una “massa” – pensiamo agli spettatori di una partita di calcio - il comportamento degli individui tende a livellarsi: per assestarsi sulla media del peggiore di loro. E’ la spiegazione scientifica dell’osservazione empirica: “A uno a uno sono dei signori, insieme sun branco assatanato”.  Chi (educatore nel micro, amministratore nel macro) vuole assicurare un clima vivibile deve assolutamente evitare che la somma degli individui diventi una “massa” anonima e irresponsabile.

            Per riuscire nell’obiettivo c’è una sola strada: sradicare, sul nascere, ogni trasgressione ingiustificabile. Anche la meno appariscente, la più (a prima vista) sopportabile. Cosa c’è di più innocente di un ragazzino che commenta con il compagno di banco il taglio dei pantaloni della professoressa? Cosa può cambiare nella vivibilità di una metropoli un’auto in doppia fila per mezz’oretta? Per certo  - ho misurato con i miei occhi le conseguenze tragicomiche – dopo dieci minuti tutti i compagni di banco saranno impegnati in conversazioni private e, poiché in trenta si crea un fastidioso rumore di sottofondo, bisognerà progressivamente alzare il tono della voce. A quel punto l’insegnante, per farsi udire e per manifestare il disagio di parlare alle pareti, alzerà la voce ancora più degli alunni, perdendo in proporzione autorevolezza e credibilità. Certi filmati che girano su Facebook mi ricordano episodi vissuti nei decenni da colleghi inesperti che sono finiti assediati in cattedra da alunni che ballavano intorno a mo’ di indiani d’America. In un caso ficcarono in testa al docente il cestino dei rifiuti, in un altro accesero un fuoco sotto la sua sedia. 

            Non molto diverse  - e ben più note al pubblico – le conseguenze di una falsa concezione della tolleranza per le mille infrazioni dei cittadini. Non sono solo i quartieri ‘popolari’ (sia periferici sia del centro storico): nei quartieri ‘bene’ la villania, la prepotenza, il dispregio della cosa pubblica sono perfino amplificati dalla spocchia borghese di chi ha soldi e potere per attenuare le eventuali sanzioni. Non so se corso Tukory  (pressi della stazione ferroviaria) o via dei Cantieri (pressi della stazione marittima) vadano considerati zone ‘popolari’ o meno: so che sono zone del tutto a-legali.  Nella prima strada bus e pullman turistici devono procedere sistematicamente fra due file di auto posteggiate a sinistra  e, perfino,  una serie di bancarelle  piazzate sulla corsia preferenziale a destra: un vero slalom da campionati europei. Nella seconda strada (dove, inutile specificarlo, la pista ciclabile è spalmata di auto ) la doppia fila è a destra e a sinistra (quattro in tutte, per capirci), ma  - tra le auto in seconda fila o posteggiate sulle strisce pedonali o sugli scivoli per carrozzelle - ci sono perfino motoapi in pianta stabile che vendono vivande d’ogni genere (ovviamente al di fuori di qualsiasi garanzia igienica). L’imminente stagione estiva rialzerà il sipario sulle coste: dalla spiaggia di Vergine Maria occupata da tende abusive (senza né docce né WC per i campeggiatori improvvisati) al verde di Acqua dei Corsari (sommerso da materiali edili di risulta). Riaprire il capitolo dell’immondizia per strada, della elusione della raccolta differenziata, delle feci dei cani al guinzaglio di azzimate signorine, delle discariche a cielo aperto on rifiuti ingombranti in stradine residenziali a due passi da via Marchese di Villabianca…sarebbe come accanirsi su moribondi agonizzanti.

   In questa latitanza delle Forze dell’ordine (vigili urbani, carabinieri, polizia e finanzieri passano e spassano davanti a questi scempi come se facessero parte del paesaggio naturale) chi osa protestare, sia pur debolmente e educatamente, per il mancato rispetto di uno stop o per un sorpasso da destra, viene nei casi più fortunati sbeffeggiato. Purtroppo la cronaca registra non di rado ben di peggio. Qualcuno sostiene che questo andazzo sia il prezzo da pagare se si vuole salvare la democrazia, ma a me pare che sia la via più diretta per distruggerla.

            La logica implacabile è sempre la stessa: se lo fanno gli altri e restano impuniti, perché dovrei non farlo io a costo di qualche sia pur piccolo sacrificio? E se un professore (nel suo ambiente) o un vigile urbano (per le sue competenze) si permette di richiamare la legalità più elementare appare come un moscone fastidioso che va schiacciato prima di mettere in crisi una routine generalizzata. Per non parlare di ciò che rischia il cittadino ‘semplice’ se osa contestare la richiesta di pizzo di un posteggiatore mafioso. Volete assaggiare  la  versione più soft?  Nella corsia laterale di viale Libertà, quasi all’angolo con piazza Castelnuovo, prelevate lo scooter senza versare l’obolo al vecchietto che si è autonominato padrone dell’intero posteggio per ciclomotori: sarete immancabilmente investiti di improperi e minacce. Quando si supera una certa soglia di “tolleranza”, tornare indietro è impossibile. L’infrazione occasionale delle leggi degenera in stravolgimento dei criteri stessi di  legalità.

            Dato il contesto, la notizia di Palermo come nona città più caotica del mondo può solo meravigliare: come possono esisterne otto ancor più caotiche?  Forse si potrebbe dividere la città in dodici aree, una per ogni mese. E, in ciascuna, proclamare il mese del senso civico, nel quale la rigorosa repressione di ogni trasgressione (grazie alla operatività sinergica di tutte le Forze dell’ordine coordinate dal Prefetto) si intrecciasse con un’azione  pedagogico-politica rivolta ai cittadini di ogni età (dai bambini della scuola elementare ai pensionati del circolo ricreativo). Ho motivi di ritenere che basterebbe un mese l’anno di annusamento del “fresco profumo della legalità” (Paolo Borsellino) per far capire alla maggioranza dei cittadini quanto intollerabile sia la vita nei restanti undici mesi di Far West.



Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com