venerdì 28 settembre 2012

Ci vediamo oggi a Palermo per riflettere sul NOSTRO razzismo?


Venerdi 28 settembre 2012 alle ore 18.30 nel Giardino di Ballarò, B&B in via Porta di Castro 75-77, Palermo, presentazione del libro di Clelia Bartoli “Razzisti per legge. L’Italia che discrimina” Laterza 2012.

Intervengono, oltre all’autrice,

Augusto Cavadi, filosofo consulente e opinionista “Repubblica”,

Mario Affronti presidente nazionale della SIMM, Società Italiana di Medicina delle Migrazioni

Bijou F. Nzirirane, dottoressa in ricerca agraria e presidente dell’associazione Universitari africani.

domenica 23 settembre 2012

Inutilità del comunismo ?


Frank Ferlisi

L’INUTILITA’ DEL COMUNISMO
Gruppo Istituto Poligrafico Europeo
Pagine 167
euro 12

In una fase, ormai più che decennale, in cui fare politica (in Sicilia, ma non solo) significa esercitarsi nella tecnica del consenso a qualsiasi prezzo e delle negoziazioni pre-elettorali a prescindere dai principi etici, provoca quasi solidale tenerezza leggere il testamento politico di uno dei militanti storici della sinistra palermitana che invita a riflettere, criticamente, su ciò che è vivo e ciò che è morto del comunismo marxista. E non per fare opera di mera erudizione, bensì in vista di un’azione politica concreta, urgente e capillare. Il titolo del libro di Frank Ferlisi (L’ inutilità del comunismo) non è esente da un filo di autoironia, come d’altronde il sottotitolo (Qualche idea per evitare che la rivoluzione ci trovi impreparati); ma il pathos che lo anima è ancora più marcato. Su questa o quell’altra tesi il lettore potrà dissentire, ma sarà difficile non convincersi che – prima di oltrepassare certe ideologie – bisognerebbe essere in grado di raggiungerle. Altrettanto difficile non condividere l’esortazione finale alla sinistra di “volare alto e non all’altezza delle galline” (secondo l’espressione di Lenin); di “gettare nella pattumiera divisioni, personalismi, correntismi e tentare di costruire una risposta forte alla crisi italiana” per evitare di finire, tutti insieme, “nella pattumiera della storia”.

Augusto Cavadi

venerdì 21 settembre 2012

KANT VIA MMS


“Centonove”, 21.9.2012

KANT VIA MMS

Kant ? Chi era costui? Certamente un filosofo che si cita tra i primi quando si vuole fare un esempio di pensatore astruso, astratto, incomprensibile. Basti dire che è stato lui a ripescare, dalla notte del Medioevo, l’aggettivo “trascendentale” e a rimetterlo in giro! Spiegare Kant ai ragazzi dell’era dei telefonini, delle web cam e degli sms è un’impresa quasi impossibile anche per il professor Emilio Negroni, tanto più che incarna le peggiori qualità del docente-medio: libresco, ripetitivo, nozionistico, severo, incapace di autocritica e del tutto privo di fantasia e di senso dell’humor.
Per fortuna la vita, ogni tanto, si diverte a scompaginare i ritmi monotoni della “medioecrità ordinaria” e riesce a svegliare, dal sonno didattico, anche gli insegnanti più assopiti. E’ quanto accade al protagonista di questo racconto (un interessante e originale “racconto didattico” di Matteo Petenzi, Ragion pura via mms, Edizioni Progetto cultura, pp. 80, euro 12,00) che riesce a capire, al di là della letteralità del testo, ciò che veramente voleva dire Kant, grazie all’incontro con un regista (Paolo Cieli) e con un tenente dei paracadutisti (Angelo Renzi). Più precisamente. Grazie al primo, egli entra nella dottrina della conoscenza umana secondo Kant: per il quale la mente umana è come la videocamera di un regista in quanto capta immagini disperse, suoni isolati, discorsi spezzati e, elaborando questi materiali ‘esterni’, li ricompone in un film. Nessun film sarà la riproduzione esatta della realtà in sé, ma ne costituirà una delle possibili interpretazioni. L’umanità – intesa come genere umano – dovrà dunque rinunziare irrimediabilmente a conoscere il mondo come è in sé: ma poiché tutte le nostre menti lavorano come se fossero una stessa telecamera, abbiamo almeno la possibilità di intenderci fra noi esseri umani. La varietà dei dati sperimentali, colti attraverso i sensi, viene unificata da un intelletto comune all’intero genere umano: “questo elaboratore è presente in ciascuno di noi in modo identico”.
Dunque il mondo dei fenomeni non è solo il campo della nostra conoscenza, ma anche il suo limite: con il mero intelletto non possiamo andare al di là del finito, del misurabile matematicamente e fisicamente. Ma siamo solo intelletto o anche sentimento? Questa ulteriore dimensione dell’uomo, su cui Kant ha riflettuto molto nell’ultima parte della sua luga esistenza terrena, è ciò su cui l’ex alunno Angelo attrae l’attenzione del maturo, incartapecorito, insegnante. E l’attrae - trattandosi di uno stato d’animo – non con le parole soltanto: gli fa sperimentare, molto concretamente, che cosa significa il ‘sublime’, quel mix ineffabile di stupore e di paura, di ammirazione e di terrore. Così gli fa avvertire esistenzialmente, praticamente, “quella facoltà dell’uomo in grado di supearre i limiti della natura sensibile e di andare oltre con la ragione”.
Sarebbe un peccato non limitarsi a questi pochi cenni sulla trama perché, entrando nei dettagli, si priverebbe il futuro lettore dal piacere di scoprirli da sé. L’essenziale, comunque, traspare già da queste poche righe di recensione: c’è un modo di raccontare la filosofia che non è nceessariamente schematico e noioso. Ma la può raccontare in questo modo solo colui per il quale essa non è rimasta una mera disciplina accademica: è diventata esperienza e memoria viva, carne e sangue.

Augusto Cavadi

venerdì 14 settembre 2012

La sovranità dello Stato


“Madrugada”
Settembre 2012, 87, pp. 14 – 15

La politica è antica quanto le prime aggregazioni umane: già la vita di coppia esige un metodo (più o meno esplicito, più o meno condiviso) per decidere sulle questioni in comune. Il quadro si amplia, e si complica, nell’ambito della famiglia, della tribù, della polis…Solo in tempi relativamente recenti è nato lo Stato (almeno nell’accezione in cui lo intendiamo nelle lingue moderne) e, poiché esso ha concentrato le più rilevanti decisioni politiche, si tende a supporre che esso ne abbia il monopolio. In realtà non è così. E non lo è per ragioni di cui rallegrarsi e per ragioni di cui preoccuparsi.
Che ogni singolo Stato sia, per così dire, costretto a limitare la propria sovranità – sia ad intra perché il potere politico deve fare i conti con il potere culturale di giornali televisioni movimenti d’opinione, con il potere sociale di sindacati e altre organizzazioni civiche, con il potere economico degli imprenditori e delle banche; sia ad extra perché ogni governo deve coordinarsi con altri governi nazionali se vuole affrontare delle problematiche planetarie – è un dato che ci preserva da forme esplicite o implicite di dittatura. Lo statalismo è una brutta bestia che rivela, macroscopicamente, le ambiguità dell’istituzione statuale (ambiguità a proposito delle quali più volte tornano ad avvertirci le voci della tradizione cattolica, del pensiero liberale e soprattutto dei movimenti anarchici).
Tuttavia non c’è solo di che rallegrarsi, ma anche - e forse ancor di più – di che allarmarsi. Se parlamento e governo sono luoghi decisionali che, invece di rispondere soltanto ai cittadini elettori, agiscono condizionati in misura crescente dalle lobby più influenti operanti nel tessuto sociale, è la democrazia stessa ad essere minacciata. Formalmente ogni parlamentare - e ogni ministro che resta in carica solo sino a quando gode della fiducia della maggioranza parlamentare – deve elaborare, proporre e approvare le leggi (nel caso di deputati e senatori) o metterle effettivamente in opera (nel caso dei membri del governo) ascoltando la propria coscienza (nutrita di competenze professionali, radici etiche, sensibilità civica: in una parola di saggezza): ma cosa avviene davvero? Sostanzialmente è difficile che un politico segua davvero il criterio della verità (per quanto circoscritta all’ambito dell’opinabile) e della giustizia. Sempre più egli è condizionato dalle direttive del partito politico, dai risultati ballerini dei sondaggi d’opinione, dai diktat della sua chiesa di riferimento (in Italia sinora la chiesa cattolica, ma non è lontano il momento in cui islamici di fede sincera si riterranno altrettanto vincolati dalle prescrizioni della sharìa) e, soprattutto, dai grandi centri di potere economico e finanziario. Il ventennio berlusconiano è stato - e per molti versi continua ad essere – un’istruttiva esemplificazione di come chi possiede denaro può trasformare un parlamento, apparentemente legale, in una protesi funzionale alla difesa dei propri interessi privati e all’ampliamento dei propri profitti. Di come la politica statuale possa essere mortificata e asservita all’economia privatistica.
Questo quadro, sintetico e a tinte contrapposte, conferma – a vent’anni di distanza – una tesi di Norberto Bobbio: “Oggi chi voglia avere un indice dello sviluppo democratico di un paese, deve considerare non più il numero delle persone che hanno diritto di votare, ma il numero delle sedi diverse da quelle tradizionalmente politiche in cui si esercita il diritto di voto. Detto altrimenti: chi voglia oggi dare un giudizio sullo sviluppo della democrazia in un dato paese deve porsi non già la domanda: Chi vota?, ma Dove si vota?”.
Se la diagnosi è facile, non altrettanto si configura la terapia. In termini generali, si potrebbe sostenere che le diffidenze di stampo liberale (e anarchico) nei confronti dello Stato in quanto tale vanno bilanciate dalle istanze della migliore tradizione socialista, soprattutto da una: l’economia deve crescere sotto il controllo della politica. E poiché un’economia globalizzata non può essere governata da uno Stato nazionale, la trasformazione dell’Unione europea prima - e dell’Onu dopo – in organismi politici davvero democratici e davvero efficienti non può più essere differita. Nessuno Stato, per quanto potente, potrà difendersi dai condizionamenti dei ‘cartelli’ imprenditoriali e finanziari multinazionali (che, in realtà, sono sovranazionali). Per raggiungere questa meta di una Federazione mondiale (che già nel Settecento veniva indicata, profeticamente, dal grande Kant come antidoto a ogni forma di assolutismo e di nazionalismo) occorre che non solo i politici di professione, ma i cittadini tutti, abbiano la lucidità per coglierne la necessità e il coraggio di impegnarsi attivamente in tale direzione. Lucidità e coraggio che, a essere sinceri, non sembra che oggi si sprechino. Una riforma intellettuale e morale (per citare Gramsci) è ancora davanti a noi. Per dirlo con una formula (approssimativa come tutti gli slogan), la politica potrà imbrigliare l’economia solo se, a sua volta, sarà improntata dall’etica. E la storia ci insegna che i grandi mutamenti etici possono essere avviati da singole personalità eccezionali, ma non si realizzano se non arrivano a contagiare un po’ tutte le fasce sociali. Se non diventano energia vivificante di interi popoli.

Augusto Cavadi

giovedì 13 settembre 2012

Sulle prossime elezioni regionali (28 ottobre 2012)


“Repubblica – Palermo”
13.9.2012

SI PUO’ VOTARE SENZA TURARSI IL NASO

Le cronache pre-elettorali siciliane di questi giorni ci offrono una notizia cattiva e una buona. La cattiva è che un politico passa le giornate a confessare pubblicamente i propri errori (sostenere Berlusconi e i suoi governi anti-meridionalisti; sostenere Cammarata e le sue giunte impalpabili; sostenere Lombardo e il suo clientesimo proverbiale che è riuscito persino a oscurare la fama di Cuffaro…) e a dichiarsene pentito, in vista non di un decennale ritiro in convento ma della candidatura a presidente della regione. Un po’ come se l’altoatesino Alex Schwazer organizzasse un ciclo di conferenze stampa per chiedere, contestualemnte, perdono per il doping e il ruolo di direttore sanitario della squadra azzurra alle prossime olimpiadi. Se Miccicché dovesse davvero vincere le regionali, si dovrebbe attivare una colletta per elevare una statua al filosofo greco Plotino e, nel piedistallo, incidere la sua sentenza più attuale: “Se sono al potere gli individui meno idonei è per la viltà dei loro soggetti”.
E la notizia buona? Che, per la prima volta dopo molti anni, i cittadini non sono costretti a votare turandosi il naso. A destra (Nello Musumeci), a centro (Gaspare Sturzo) e a sinistra (Rosario Crocetta e Claudio Fava) hanno la possibilità di scegliere persone per bene che – in ogni ipotesi – dovrebbero essere in grado di far dimenticare, ai siciliani e al resto del mondo, la tragica comicità dell’ultimo decennio. Persino chi si orienta per un voto di protesta contro i partiti tradizionali (a meno che non voglia proprio gettarla sul ridere e scatenare i De Luca che, con Sgarbi accanto, dichiarano di sottoporsi al giudizio del popolo perché la magistratura li ha rinviati “a…giudizio”) ha la possibilità di votare per un candidato (Giancarlo Cancellieri) del Movimento “Cinque stelle” che si presenta con una storia, personale e politica, degna di rispetto.
In base a questo quadro, non si capisce bene la posizione di chi sta anticipando il proprio astensionismo. Davvero si ritiene che si sia toccato il fondo e che peggio di così non possa andare? Indubbiamente i partiti hanno bisogno di una trasformazione radicale che, almeno con gli attuali dirigenti in buona posizione per superare la longevità politica delle cariatidi sovietiche, non è neppure agli orizzonti. Ma è una trasformazione che potrà avvenire, se avverrà, solo come effetto e sintomo di una trasformazione della mentalità diffusa fra gli elettori: non più concentrati sul proprio privato, ignari delle problematiche nazionali e internazionali, disposti a vincere la pigrizia pantofolaia solo se c’è da arrotondare stipendi sempre più contenuti. Il rinnovamento della politica passa attraverso varie forme elementari di partecipazione (dalla lettura del quotidiano alla presenza nella sezione di quartiere): e la partecipazione costa in termini di tempi, di energie e – in qualche caso – di denaro. Basta provare a osservare una delle molte riunioni che vengono indette quasi ogni giorno nelle nostre città da movimenti, associazioni, coordinamenti: la non molto consistente fetta di aderenti telematici (che cliccano il fatidico “Parteciperò” su Facebook) si assottiglia ulteriormente quando si passa dal virtuale al reale, al fisico. Per poi dissolversi quasi totalmente se si tratta, una volta ritornati a casa, di leggere documenti, meditare analisi, stilare proposte. Una partecipazione virtuale può produrre frutti altrettanto virtuali: non inesistenti, ma neppure sufficienti. Università, scuole, sindacati, associazionismo laico e cattolico dovrebbero affrettarsi a riscoprire la responsabilità per la valenza politica (e non solo culturale o sociale o economica o etica) della propria identità istituzionale. Se resteranno ciò che sono sempre stati o sono diventati a seconda dei casi – cioè delle macchine di qualunquismo che pretendono dai rappresenanti politici quell’impegno quotidiano, informato e costruttivo, da cui si tengono esse stesse lontano – non vedrei nessun futuro augurabile. Il meglio che ci potrà capitare sarà ascoltare, tra dieci anni, le confessioni di un altro siciliano in preda a commoventi sensi di colpa.

Nota:
a) Per i quattro lettori non-siciliani, preciso che Cateno De Luca diffonde manifesti propagandistici con lo slogan “Scateno De Luca”. Come precisa Vittorio Sgarbi in un intervento sul web, ha prestato per questa campagna elettorale la sua S iniziale a Cateno e accettato, provvisoriamene, di restare… Garbi.
b) In neretto i passaggi che, forse saggiamente, la redazione palermitana di “Repubblica” ha tagliato per evitare contenziosi giudiziari.

martedì 11 settembre 2012

“Filofest” 2012 su “Diogene” on line


Sono molto grato a Mario Trombino, neo-direttore di “Diogene”, per aver ospitato sul sito della sua rivista un ampio servizio (anche fotografico) sulla I edizione di “Filofest” di Amandola, Smerillo e Montefortino.
Qui riproduco esclusivamente il mio testo.
Chi fosse interessato anche all’apparato fotografico può andare su:
http://www.diogenemagazine.eu/home/index.php?option=com_content&view=article&id=583:filofest-festa-della-filosofia-di-strada&catid=4:articoli-in-prima-pagina

Tutti abbiamo un sogno nel cassetto, ma non sempre possiamo tirarlo fuori. L’anno scorso a me è andata bene: l’associazione Wega di Amandola (www.wegaformazione.com) e la Fondazione della Cassa di risparmio di Ascoli Piceno mi hanno dato la possibilità di articolare un antico progetto che in questi giorni si è concretizzato in tre deliziose località (Amandola, Smerillo, Montefortino) della provincia marchigiana di Fermo. L’idea era di radunare una decina di colleghi filosofi, conosciuti nella mia vita, che vivessero il loro mestiere come passione esistenziale e impegno politico; di chiedere loro di offrire, gratuitamente, un’esemplificazione del proprio modo d’intendere e praticare la filosofia; e di farlo non solo davanti a non-filosofi di mestiere, ma per loro e soprattutto con loro. La risposta entusiasta di questi colleghi (molti dei quali membri dell’associazione nazionale per la consulenza filosofica Phronesis) ha reso così possibile, dal 31 agosto al 2 settembre del 2012, la Prima “Filofest” – La Festa della Filosofia di strada.
Come mi è stato confidato, qualcuno - sbirciando manifesti e volantini – ha registrato delle perplessità: sarà la festa di filosofi che hnno meditato, parlato, scritto intorno al tema della strada? No, la sfida è stata più radicale. Come si prova a spiegare nel volume in cui ho coniato la formula (Filosofia di strada. La filosofia-in-pratica e le sue pratiche, Di Girolamo, Trapani 2010), mi riferisco invece ad una filosofia che esca dai recinti scolastici e accademici; che provi – senza perdere un grammo di rigore argomentativo – a liberarsi dai riferimenti eruditi e dai tecnicismi per poter parlare con le persone ‘comuni’. Quelle che se ne sono sempre fregate della filosofia perché hanno avuto l’impressione - non del tutto infondata – che la filosofia se ne sia fregata dei loro interrogativi, dei loro drammi, delle loro aspirazioni.
Parlare con le persone ‘comuni’ - con la gente di strada – significa non solo rivolgere una parola che sappia di silenzio, di contemplazione, di vita sperimentata, ma anche - e forse prima ancora – ascoltare parole che sanno di polvere e fango, del sudore di chi lavora quotidianamente e qualche volta persino lotta per migliorare la propria quotidianità.
Siamo riusciti a innescare questa circolarità di parola libera, democratica, pluralistica, laica al punto da potersi persino permettere il lusso di confrontarsi sulle fedi religiose? Siamo riusciti ad attivare una comunicazione (dunque un flusso bi-univoco, al di là della trasmissione unilaterale dell’impero radiofonico e televisivo) in cui ci si sforza di interpretare il pensiero altrui nella maniera più benevola possibile, senza inchiodarlo a un vocabolo inesatto o a una citazione sbagliata? Le trecento e più persone che ci hanno interpellato, e con cui abbiamo provato a interagire nei tre giorni marchigiani, hanno risposto di sì. E con i messaggi via internet (da Trapani a Parigi) continuano a raccontare il proprio grato stupore per essere stati - a differenza che in altri ben più noti e finanziati festival filosofici – non solo spettatori, ma protagonisti. Senza demagogia: chi è filosofo di mestiere ha un sapere, delle competenze e delle abilità, che l’uomo o la donna impegnati in altri campi (l’economia o la sanità…) non hanno. Ma c’è un modo avido, presuntuoso e monopolistico di esercitare il proprio sapere e c’è un modo generoso di far sì che ogni altro interlocutore scopra - e faccia emergere – il filosofo che c’è in lui.
In concreto, di cosa ci si è occupati? Gli eventi, alcuni dei quali in contemporanea, erano stati penati per coinvolgere varie fasce d’età e varie tipologie d’interesse. Dopo la lunga passeggiata ai bordi del lago di san Ruffino - con soste per qualche bocconcino e qualche bicchiere di vino locale, accompagnati da giovanissime promesse di Smerillo (Samuele Ricci al violino, Ludovico Bartolozzi al flauto e Andrea Alessandrini alla chitarra) – sino all’ultima sosta nel mezzo del bosco, a lume di fiaccole, nel corso della quale chi ha voluto ha potuto comunicare che cosa dà senso alla propria vita, ci sono stati gruppi di riflessione e di scambio dialogico sui temi più disparati: dai rapporti fra cultura orientale e cultura occidentale (con Luigi Lombardi Vallauri di Firenze e Paolo Cervari di Milano) ai rapporti fra ragione filosofica e fede cristiana (con Orlando Franceschelli di Roma e Roberto Mancini di Macerata); dalla filosofia nelle aziende (ancora Paolo Cervari) agli interrogativi su violenza e nonviolenza imposti da una lettura spregiudicata e critica della Bibbia (con Luca Spegne di Ancona). Nelle diverse strutture alberghiere, in ognuna delle due mattine, colazioni filosofiche col filosofo: per riflettere insieme, e confrontarsi, sulla solidarietà sociale (con Stefano Zampieri di Mestre), sullo stile di vita (con Davide Miccione di Catania), sulla cura di sé (con Moreno Montanari di Grottammare), sulla felicità (con Norma Romano di Trapani), sull’amore e le sue trappole (con Giorgio Giacometti di Udine).
L’incontro su Harry Potter e la morte (gestito da Paolo Cervari) ha attratto un pubblico di varie età, ma non sono mancati i momenti dedicati ai più piccoli: Alessandro Volpone (Bari) ha tenuto due sessioni di philosophy for children secondo il metodo Lipman. Molto apprezzata anche la serata condotta dai bravissimi musicisti del complesso “Milk”.
L’agorà finale è stata il momento in cui ha preso la parola chi aveva qualcosa da socializzare. In particolare Cesare Catà ha dato una lettura del senso della filosofia nel contesto dei Monti Sibillini e Filippo Sabattini ha sapientemente collegato la prospettiva filosofica con il punto di vista del counseling psicologico.
I presenti sono poi stati letteralmente incantati dalla videoproiezione di foto artistiche di Giorgio Tassi sulle “sue” montagne. Nel corso dei tre giorni sono stati distribuiti a quasi tutti i partecipanti copie di libri omaggiati dalla casa editrice Di Girolamo (Trapani) e copie della rivista “Diogene” della casa editrice Giunti (Firenze): una rivista, quest’ultima, che potrebbe diventare un ulteriore luogo di incontro fra quanti credono nella valenza sociale della filosofia. Fra quanti vogliono restituire alla filosofia uno dei caratteri originari: funzionare (come suggerisce il disegno efficace di Antonio Baratto riprodotto in decine di migliaia tra manifesti e volantini) da lanterna per orientarsi nel mondo e nella storia.

Augusto Cavadi

domenica 9 settembre 2012

Il razzismo in Italia secondo Clelia Bartoli


“Repubblica - Palermo”
9.9.2012

Clelia Bartolii
RAZZISTI PER LEGGE
Laterza
Pagine 180
euro 12

Ci sono tematiche sulle quali prendiamo posizione con nettezza inversamente proporzionale alle nostre conoscenze. “Razzismo” è una di queste. E non mi riferisco solo a chi lo condivide e lo pratica, ma anche a chi lo condanna con altrettanta superficialità. Questo preziosissimo testo della palermitana Clelia Bartoli, Razzisti per legge, è uno strumento indispensabile per chi voglia salire dal piano delle opinioni viscerali alla consapevolezza critica. Come – con magnanimità – riconosce l’autrice nei dettagliati ringraziamenti, questo testo non sarebbe stato possibile senza una vera e propria scuola siciliana di studiosi, spesso impegnati ogni giorno in frontiera, di diritti umani (Fulvio Vassallo Paleologo in primis). La tesi centrale è condensata nel sottotitolo: L’Italia che discrimina. Ed è una tesi tanto più convincente in quanto argomentata intrecciando riflessioni teoriche, normative giuridiche e casi (più o meno noti) della cronaca quotidiana, dai respingimenti in Libia all’accoglienza a Riace. Chi non è digiuno in questo ambito problematico riconoscerà che, per ricchezza di dati e per fruibilità di lettura, si tratta di un libro insostituibile. E da raccomandare caldamente – ben al di là degli spazi universitari in cui è nato – anche a chi vive nel mondo della scuola, della cooperazione internazionale e del volontariato sociale.

Augusto Cavadi

sabato 8 settembre 2012

Chiesa cattolica in campo. Sì, ma con queste regole


“CENTONOVE”, 7. 9. 2012

CHIESA IN CAMPO. SI’, MA A QUESTE REGOLE

La notizia della lista “Uomini nuovi per una società di uguali e partecipi”, promossa da un gruppo di preti palermitani in vista delle elezioni regionali, sembra inventata apposta pr agitare le acque già agitate e per confondere le idee già confuse. Ancora non si conoscono né i nomi dei parroci promotori né i nomi dei possibili candidati: anzi don Felice Lupo ha precisato che non si sa neppure se ci saranno i tempi tecnici per organizzarsi. Ogni valutazione di merito potrà essere avanzata, dunque, solo nelle prossime settimane. Oggi è possibile - e forse anche istruttivo – fissare alcune questioni di metodo, alcuni criteri di principio.
Si può benissimo partire dal paletto su cui i commenti locali e nazionali sembrano convergere con più decisione: se questa operazione vuole risuscitare (ammesso che sia mai morto) il vecchio collateralismo clericale, c’è da augurarsi che fallisca sul nascere. Ciò precisato, va però aggiunto subito un secondo birillo: rifiutata, giustamente, ogni ingerenza ecclesiastica nella dialettica fra partiti e correnti di partito, è preferibile il silenzio totale della chiesa cattolica sulle questioni sociali ed economiche? E’ preferibile l’afasia delle gerarchie cattoliche davanti ai fatti e ai misfatti dei politici dell’ultimo ventennio, quasi che fosse loro compito preoccuparsi della vita intima dei fedeli ignorando le “strutture di peccato” che producono illegalità, diseguaglianze, ingiustizie, sofferenze sanitarie, ignoranza, miseria, dominio mafioso, chiusura ai disperati extra-europei? E’ chiaro che a questa domanda sono legittime risposte. Tra queste riterrei ragionevole: no, non è bene che la chiesa cattolica taccia, assumendo atteggiamenti di neutralità, di indifferenza, di ufficiale equidistanza. Essa ha il diritto, anzi il dovere, di parlare e di agire. Ma a precise condizioni.
* La prima è di intervenire sul piano delle grandi opzioni etiche, senza entrare nei dettagli tecnici. Una cosa è la politica, un’altra la partitica. Una cosa sono i progetti complessivi, un’altra le tattiche elettorali. Una cosa è indicare le méte, un’altra prescrivere le strade per arrivarci. Nessuno avverte nostalgia dei tempi in cui il cardinale Ruffini convocava i capi-corrente della Democrazia cristiana al Palazzo arcivescovile per risolvere le crisi dei governi regionali.
* La seconda condizione: accettare la dialettica democratica. Se un papa, un vescovo o un parroco dicono la propria opinione sulla diminuzione delle spese militari o sulla progressività delle imposizioni fiscali, non devono pronunziarsi col tono di “padri e maestri”, ma di fratelli e compagni di strada: devono sottoporre la propria opinione al dibattito pubblico, alla critica razionale. La secolarizzazione implica anche questo: che ogni autorità religiosa può contare non sugli anatemi, ma sulla validità intrinseca di ciò che propone ad una società variegata anche dal punto di vista teologico e filosofico. E che, dunque, sia disposta non solo ad insegnare, ma anche ad imparare: o, almeno, ad accettare lealmente la ‘bocciatura’ di tesi che la maggioranza dei cittadini ritiene moralmente inaccettabili.
* La terza condizione: non proporre per la società civile nessuna riforma che non sia prima, sperimentata, dentro la comunità ecclesiale. Le librerie cattoliche sono strapiene di testi di teologi che lamentano, dentro le strutture ecclesiastiche, asimmetrie di potere, di ricchezza, di libertà di opinione. Prima di proporre ai siciliani una società di “uguali e partecipi”, sarebbe proprio fuori luogo chiedersi se dentro le parrocchie, i movimenti ecclesiali, le diocesi, si viva davvero l’uguaglianza dei diritti e la libertà di partecipare alle decisioni comunitarie?
* La quarta condizione: rispettare l’autonomia dei laici-credenti. Senza andare lontano, l’esperienza della Primavera di Palermo è stata indebolita fortemente anche dal paternalismo di quei gesuiti che avevano meritoriamente contribuito ad avviarla. Padre Sorge con più tatto, padre Pintacuda con mano più pesante, non hanno ritenuto di doversi limitare a ispirare, a sollecitare, a consigliare: hanno voluto, in troppi casi, mantenere il timone del comando. Hanno così cominciato con il litigare fra loro due e, poi, chi è rimasto più vicino ad Orlando, ha contribuito a sfasciare la Rete. Non abbiamo bisogno di Rasputin, di Eminenze grigie: ma di testimoni del vangelo che si limitino (si limitino?) a ricordare il messaggio rivoluzionario del profeta di Galilea. Egli non è stato un ‘moderato’ né, ancor meno, un equilibrista fra lobby diverse. Ha optato decisamente per chi era impoverito, intimorito, emarginato, sfruttato. Amare tutti, ricchi e poveri, non significa raccomandare ai ricchi di restare ricchi e ai poveri di restare poveri.
Il movimento di cui si parla in queste ore ha scelto come slogan il versetto biblico “Il lupo dormirà accanto all’agnello”. Il lupo rinunzierà a vivere sbranando i deboli della società? Woody Allen ci ha avvertito : “Non sono sicuro che l’agnello riuscirà a chiudere occhio”.

Augusto Cavadi

Per tre giorni i Sibillini diventano
capitale della filosofia di strada



martedì 4 settembre 2012

Arnaldo Nesti: un’autobiografia del Novecento


“Centonove”
31.8.2012

NESTI SECONDO NESTI

Nato il 14 marzo del 1932, a S. Pietro Agliana (fra Pistoia e Prato), Arnaldo Nesti è stato – e continua gagliardamente a essere – uno dei protagonisti della storia culturale e civile italiana. Come molti abitati dalla consapevolezza di aver iniziato a percorrere il terzo ‘terzo’ della strada terrena, ha avvertito l’esigenza di raccontarsi in una sorta di autobiografia: per trovare il senso conduttore della sua vita (suppongo), ma offrendo così (ne sono certo) squarci interessanti agli storici del Novecento.
Entrato giovanissimo in seminario, vi studia per prete negli anni del fascismo e della seconda guerra mondiale. L’addizione dei condizionamenti ambientali ai condizionamenti familiari ne fa un piccolo bigotto con tendenze reazionarie: “Al tempo consideravo la guerra partigiana un mero fatto di ‘ribelli’ e di ‘sovversivi’ e di ‘comunisti’ ”. Dopo la liberazione dai nazi-fascisti, il comportamento di alcune bande partigiane (“Andavano armati come la banda Brancaleone, incutendo non poca paura”) non lo aiutano certo a mutare opinione: “il mio sdegno era destinato a crescere”. Addirittura, con un compagno, decide di fondare un giornale che potesse fungere da organo di un nuovo partito: “non più il PNF ma il PRN (Partito della Reazione Nazionale)”. Qualche anno dopo, in vista delle elezioni politiche del 18 aprile 1948, “tutti i seminaristi del Liceo e di Teologia furono mandati a casa per fare la campagna elettorale in funzione anticomunista”, ma Arnaldo ha solo 16 anni, frequenta la V ginnasiale e, con disappunto, non può essere inviato in missione propagandistica a favore della Democrazia Cristiana.
Gli anni del Liceo iniziano a provocare le prime crepe: è attratto da padre Lombardi, il “microfono di Dio”, zio dell’attuale portavoce del Vaticano, che nelle sue crociate radiofoniche e nelle piazze insegna – integralisticamente - che “tutti gli aspetti della società possono essere chiariti e risolti alla luce del Vangelo”; tuttavia conosce anche cattolici più progressisti che lo inducono a rivedere le sue “posizioni assai emozionali” e a “pensare che, al di là del comunismo e del fascismo nazionalista, ci voleva un ‘nuovo umanesimo cristiano’ ”. Negli anni successivi, durante la formazione teologica, scopre la sociologia che diventerà la sua passione principale e che praticherà sia da prete sia, una volta rinunziato al servizio presbiterale, da docente universitario. Letture, incontri, osservazioni sul campo modificano intanto la visione politica del giovane prete: particolarmente significativa una vacanza, in Vespa 125, a Grenoble, che gli svela le “profonde differenze in atto fra il cattolicesimo di qua e quello al di à delle Alpi”. Dal 1958 al 1963 è incaricato di fondare e dirigere a Pistoia il Centro di Studi Sociali: un’altra esperienza stimolante che si chiude però per il disaccordo fra le sue posizioni, ormai vicine al “centro sinistra”, e l’integrismo cattolico di stampo conservatore dei Gesuiti romani che avevano una sorta di supervisione nazionale dei Centri di studio sociali diocesani. Quasi in esilio, a 32 anni, viene spedito a Roma, per riprendere e approfondire gli studi di teologia: ma all’università del Laterano vi trova “una problematica soffocante, apologetica, presuntuosamente estranea rispetto al dibattito conciliare” (dal 1962 al 1965 vi si svolgeva, infatti, il Concilio Ecumenico Vaticano II). Per fortuna Roma è più grande dell’università del papa e Nesti incontra persone, organizzazioni, movimenti da tutte le parti del mondo. In particolare stringe relazioni con gli ambienti dei preti-operai francesi, dei teologi ribelli olandesi, dell’opposizione socialista e democratica al regime di Tito in Jugoslavia. La dissertazione di dottorato del 1967, su Il pensiero religioso di Antonio Gramsci , segna un punto di svolta: Nesti attraversa il ’68 ecclesiale e sociale e ne esce con un libro, curato da lui e edito da Mondadori, su L’altra Chiesa in Italia (1970). E’ la chiesa-comunità che contesta la chiesa-istituzione in nome non di ideologie esterne ed estranee, ma dello stesso vangelo di Cristo. Il libro viene pesantemente attaccato dalle autorità ecclesiastiche e Nesti si trova nelle condizioni di dover optare fra restare prete, piegandosi, o affrontare – in totale assenza di prospettive – una fase nuova della vita. Due opportunità (l’offerta di lavorare alla rivista Idoc internazionale di Roma e di insegnare sociologia all’università statale di Firenze) lo inducono verso la seconda direzione. Si intensificano i viaggi di studio per il mondo: indimenticabile il viaggio a Mosca, nel 1973, su invito del “Forum mondiale delle forze della pace”, con personaggi del calibro di Giorgio La Pira e padre Davide Maria Turoldo. Nel mondo degli insegnanti universitari Nesti non respira un’atmosfera molto più sana e libera rispetto alle strutture gerarchiche cattoliche. All’ennesima ‘bocciatura’ per il concorso di ordinario, Franco Ferrarotti, il padre della sociologia in Italia, gli scrive senza mezzi termini: “So che ormai siamo nelle mani della ‘Malavita accademica organizzata’ ma il tuo caso supera ogni fosca previsione”. L’incarico di docente gli viene comunque riconfermato per trenta lunghi e proficui anni, dal 1972 al 2002: dopo egli si concentra nella direzione della rivista Religioni e società e dell’Asfer (Associazione per lo studio del fenomeno religioso) nonché nell’organizzazione annuale delle settimane di studio (adesso nella splendida cornice di San Gimignano) dell’ International Summer School on Religions in Europe (intestate al Cisreco). Il volume di memorie (Il mio Novecento. Passioni. Dentro e fuori il mondo cattolico, Felici, Ghezzzano [Pistoia] 2010) si chiude con un capitolo dedicato ai viaggi in Sicilia e agli interrogativi posti dalla contiguità fra chiesa cattolica e clan mafiosi. E con l’evocazione della cantora popular argentina Mercedes Sosa: “Gracias a la vida” che mi ha dato tanto, mi ha dato il riso e m’ha dato il pianto.

lunedì 3 settembre 2012

Dopo la Filofest 2012 ad Amandola (Marche)


Dopo la Festa della “Filosofia di strada” ad Amandola
(31 agosto – 2 settembre)

Chi mi conosce sa che non sono facile alla commozione, ma questa volta devo confessarvi di sentirmi un po’ “toccato” dal regalo che la Vita - e molti amici – mi hanno riservato consentendomi di attuare un sogno che coltivavo da anni. Infatti la Prima edizione della “Filofest” (il Festival della filosofia per non…filosofi”) in provincia di Fermo è stato un successo al di là di ogni ragionevole previsione.
Grazie al lavoro di preparazione, di promozione e di accoglienza di Domenico Baratto, dei suoi familiari, dei suoi collaboratori nell’associazione “Wega” (in sinergia con la Fondazione della Cassa di Risarmio di Ascoli Piceno) , sono arrivati da tutta Italia centinaia di partecipanti. Quanti? Poiché gli eventi erano aperti a tutti e gratuiti, non abbiamo un conteggio esatto: ma, tenendo conto della somma dei presenti ai vari eventi in programma (alcuni dei quali sono stati presenti a più di un evento, altri a uno solo), abbiamo calcolat
fra quattrocento e cinquecento partecipanti.
Il numero non direbbe nulla se la stragrande maggioranza dei filosofi di professione e dei filosofi occasionali non avesse dimostrato un interesse straordinario e non avesse esternato, ripetutamente, entusiasmo e gratitudine.
Indubbiamente chi mangia fa molliche (e solo chi digiuna non corre il rischio di lasciare tracce sgradevoli): faremo tesoro di qualche piccola svista organizzativa per la prossima edizione, in programma per il luglio 2013.
Tutti i materiali prodotti (rassegna stampa, testi distribuiti, registrazioni in audio e in video…) saranno nei prossimi giorni accessibili sul sito www.wegaformazione.com . Manterremo con chi lo desidera i contatti, inoltre, sia attraverso il mio blog personale (www.augustocavadi.eu) sia attraverso il sito www.vacanzefilosofiche.it sia attraverso la rivista cartacea “Diogene. La filosofia per i non…filosofi” (che è pure attiva come sito: www.diogenemagazine.eu ).

Augusto Cavadi