giovedì 30 giugno 2016

MARIA D'ASARO INTERVISTA AUGUSTO CAVADI SU "FILOSOFARE IN CARCERE"



“Centonove” 23.6.2016

MARIA D’ASARO INTERVISTA AUGUSTO CAVADI SU “FILOSOFARE IN CARCERE”


In Filosofare in carcere (Diogene Multimedia, Bologna, 2016, €5) Augusto Cavadi - come recita il sottotitolo del libretto - ci racconta un’esperienza di filosofia in pratica nel carcere dell’Ucciardone di Palermo, esperienza  resa possibile da un’idea di filosofia che, destrutturando lo schema usuale up e down vigente tra insegnante e alunno, viene intesa come dialogo e scambio paritetico tra un filosofo e uno o più interlocutori disposti a con-filosofare su tematiche di rilevanza esistenziale. Dunque una filosofia (…) come ricerca in comune di risposte a domande condivise. E così i filosofi Augusto Cavadi e Antonietta Spinosa, attraverso l’ASVOPE – Associazione di volontariato penitenziario – hanno discusso con un gruppo di detenuti dell’amore, dell’amicizia, della fedeltà, della libertà, del codice mafioso.

Augusto, il tuo racconto dell’esperienza di filosofia ‘pratica’ in un carcere di Palermo è piuttosto breve. Supponi che possa essere utile, per il lettore interessato,  qualche informazione di contesto?
Augusto Cavadi: Innanzitutto direi che, per capire gli interventi dei detenuti, sarebbe istruttivo conoscere un po’ la mentalità ‘media’ dei siciliani. La maggior parte dei partecipanti agli incontri è, infatti, nata e cresciuta nell’isola. Alcuni anni fa ho provato a tratteggiare il modo di pensare, alquanto contraddittorio, di noi siciliani nel libretto I siciliani spiegati ai turisti .
Chi dice Sicilia non può non pensare, per associazione d’idee, alla mafia. Specie se è si tratta di un’area sociale relativa alla criminalità …
A.: La cultura siciliana non è, ovviamente, tout court una cultura mafiosa: tuttavia non è neppure estranea alla formazione, al suo interno, tra altre visioni del mondo, di una mentalità mafiosa (che, secondo un’espressione del compianto magistrato Giovanni Falcone, è quasi un “precipitato” degli elementi peggiori della cultura siciliana). Per capire la differenza, pur con alcune preoccupanti affinità, fra il modo di intendere la vita del siciliano ‘medio’, da una parte,  e del mafioso che aderisce formalmente a Cosa nostra, dall’altra, ho pubblicato due scritti: uno, molto breve e accessibile, La mafia spiegata ai turisti e un altro più impegnativo, Il Dio dei mafiosi.
Ma ci spieghi come un ambiente così particolare, ai margini della società, come il carcere può essere adatto all’esercizio della filosofia?
A. : Innanzitutto premetterei che la proposta di sperimentare delle sessioni di filosofia-in-pratica con alcuni detenuti dell’Ucciardone mi è venuta da Franco Chinnici, presidente dell’Asvope, l’associazione di volontariato penitenziario che opera da molti anni a Palermo. Franco e gli amici dell’associazione intendono il volontariato non come mera “beneficenza”, ma come strategia di promozione umana (dei detenuti) e di stimolo critico nei confronti delle istituzioni (carcerarie): insomma lo intendono, e lo praticano, nella prospettiva  di cittadinanza adulta su cui mi trovo totalmente d’accordo, in armonia con le riflessioni di vari studiosi e operatori. Senza questa premessa non si capisce il clima di fiducia, di rispetto reciproco, in cui si è potuto realizzare l’esperimento.
E’ importante sottolineare che fare volontariato non è elargire beneficenza ma promuovere e accrescere umanità, specie in un contesto carcerario. Ma perché proprio la filosofia?
A.: Mi rendo conto che, in un Paese di tradizione storicistica come il nostro, chi sente pronunziare “filosofia” pensa subito alla “storia delle filosofie” elaborate dai Greci a oggi. Ma la filosofia per me è anche, anzi soprattutto, uso critico della ragione: in questo senso originario, radicale, forse potremmo dire socratico, ogni uomo e ogni donna ha il diritto/dovere di praticarla. Dunque il politico come il cittadino elettore; l’imprenditore come l’operaio; il magistrato come il detenuto … E’ quanto intendo mostrare con la mia attività di filosofo in pratica, finalizzata a dialogare e a confrontarmi innanzitutto con chi filosofo di professione non è, ma è alla ricerca di un senso nella sua vita individuale e negli accadimenti sociali e politici. Che succede quando a un gruppo di persone – con modestissimi livelli d’istruzione, storie di vita travagliate, scarsa educazione al confronto democratico – si propone di pensare con la propria testa e di parlare liberamente di ciò che vanno pensando? Come ha sottolineato Maria Antonietta Spinosa che ha condiviso gli incontri con i detenuti: filosofare assieme ai detenuti è valso il dono reciproco di attivare la rilettura critica della propria esperienza, muovendo dalla condizione più paradigmatica per il pensare: (…) le situazioni-limite, la situazione del limite. In questo piccolo libretto, Filosofare in carcere - che ha l’onore di aprire una nuova, agile, collana della coraggiosa casa editrice bolognese Diogene Multimedia - ho voluto raccontare un esperimento di questo genere. Non è stato il primo (Giuseppe Ferraro ci ha preceduto in Italia) e, spero, non sarà neppure l’ultimo. Perché proprio la povertà estrema del carcere può aprire paradossalmente la possibilità di intuire per la prima volta il valore delle relazioni umane e di ripartire dalla propria fragilità come prospettiva per esplorare con coraggio se stessi e il mondo. 

                                                                                       Maria D’Asaro


mercoledì 29 giugno 2016

CI VEDIAMO A VILLABATE (PALERMO) GIOVEDI' 30 GIUGNO 2016 ALLE ORE 18 ?

Giovedì 30 giugno 2016, alle ore 18, presso la ex Sala Gatto Verde - ora Club degli Anziani in Corso Vittorio Emanuele 394 di Villabate (Pa) Augusto Cavadi e Vincenzo Barba (con la partecipazione della corale "Canto di gioia") introdurranno la riflessione pubblica su "La strage della Giulietta. In memoria delle vittime villabatesi Pietro Cannizzaro e Giuseppe Tesauro" (consumatasi il 30 giugno 1963).
L'iniziativa è del Comune di Villabate e dell'Associazione culturale "Verso Paideia. Percorsi di cultura e legalità".

martedì 28 giugno 2016

DONNE MALTRATTATE. E NOI UOMINI ?


“Repubblica-Palermo”
12.6.2016


LE RESPONSABILITA’ DEI MASCHI E LA VIOLENZA SULLE DONNE

      Ci sono tragedie che, se reiterate,  diventano ordinaria quotidianità. Sino alla noia. I femminicidi – o come meglio si vogliano chiamare gli assassini di donne in quanto donne- non sono ancora tra queste tragedie: ma sono sulla buona strada. Per quanto doverosi, i ‘soliti’ commenti degli ‘esperti’ di turno contribuiscono – oggettivamente – all’anestesia. E’ necessario, tuttavia, aiutarsi a vedere le radici più profonde (alla fonte)  e a individuare qualche strategia concreta (alla foce)?  Proviamoci.
      Per quanto riguarda le cause remote (che, in quanto remote, causano altri fenomeni analoghi al femminicidio) può essere utile la provocazione di un Thomas Merton: “ Per molti uomini un albero non ha alcuna consistenza finché non pensano di abbatterlo, per i quali un animale non ha valore fino a che non entra nel macello, uomini che non guardano nulla finché non decidono di abusarne e che neppure notano quello che non desiderano distruggere“. Una società che non sa guardare, apprezzare, rispettare ciò che non serve qui e ora in senso utilitaristico o edonistico è una società che nota la bellezza fisica, corporea, sessuale solo se può contare di impadronirsene. E, qualora un fattore qualsiasi (soprattutto se si tratta della libertà del corpo desiderato) si frappone fra lo sguardo cosificante e il soggetto cosificato, scatta la rabbia. Spesso una rabbia che si fa violenza, materiale o psicologica, giustificata da chi la perpetra come se fosse la rivendicazione di un diritto indiscusso.
      Ma possiamo attendere, mentre viene uccisa una donna al giorno, che la società iperproduttiva e iperconsumista impari il gusto della contemplazione pacifica e pacificante? Ovviamente no. Occorre mobilitarsi nell’immediato con iniziative mirate sul piano culturale, sociale e politico. Le donne lo fanno da decenni, ma anche alcuni maschi ci stanno provando. Solo poche settimane fa è venuto da Roma a Palermo e a Catania, per un ciclo di seminari, Stefano Ciccone, leader nazionale di “Maschile plurale” (www.maschileplurale.it) ; nei mesi precedenti un giro simile di incontri era stato realizzato da Beppe Pavan, leader a Pinerolo di “Uomini in cammino” (web.tiscali.it/uominincammino) , su iniziativa di alcune associazioni locali come, a Palermo,  il piccolissimo “Gruppo uomini contro la violenza sulle donne” (vedi relativa pagina FB). Queste, e altre organizzazioni, lavorano a vari livelli, nella comune convinzione che la violenza sulle donne è prima di tutto ed essenzialmente un problema dei maschi (anche se spesso, paradossalmente, alle loro iniziative pubbliche sono presenti più donne che maschi). Intanto, in chiave riparativa,  offrendo spazi di auto-aiuto ai maschi che cedono abitualmente alla tentazione di maltrattare le proprie compagne, le proprie figlie. Poi sollevando la problematica , in chiave preventiva, nelle scuole e nelle università mediante seminari, mostre fotografiche, concorsi letterari…Infine collaborando con partiti e sindacati che vogliano perfezionare la legislazione nazionale e regionale per difendere meglio  la dignità delle cittadine: le quali – come ha scritto qualcuno in questi giorni -  da settanta anni hanno ottenuto il diritto di votare ma ancora attendono il diritto di lasciare un partner senza essere uccise.

  Augusto Cavadi

domenica 26 giugno 2016

"MOSAICI DI SAGGEZZE" SECONDO FABIO BONAFE'

“Il cristallo. Rassegna di varia umanità”,
anno LVIII, n. 1, aprile 2016-06-25


LA RECENSIONE DI FABIO BONAFE’

Augusto Cavadi,    Mosaici di saggezze. La filosofia come nuova antichissima spiritualità    
Diogene Multimedia, Bologna 2015, pp. 357, euro 25,00.

     La prima cosa che succede prendendo in mano questo libro è  scoprire che è un libro “quadrato”, 21 cm.  x 21 cm. : un formato che diremmo più tipico per un libro di fotografie o di altre immagini. La seconda cosa che troviamo è che si tratta di un enorme repertorio di citazioni, note e riferimenti bibliografici: infatti, leggendolo, si continua a sottolineare e a spostarsi da una parte all'altra, rimandati ad autori e libri da leggere o rileggere, che ritroviamo nelle ultime 50 pagine. Comunque sia, questo è un libro molto quadrato che disegna un articolato e appassionato percorso nel cercare di fare dell'amare la saggezza un modo di vivere, uno stile e una pratica di vita.
      In questa ultima frase stanno nascoste le due parole chiave del libro -  “filosofia” e “spiritualità” -  che si ritrovano subito nel sottotitolo. Difficile dire quale delle due sia oggi la più oltraggiata e screditata. Entrambe lasciano spesso perplessi, e a ragione. Nonostante il successo di iniziative turistico-culturali  (festival della filosofia e della spiritualità ce ne sono ormai diversi e assai frequentati) e di iniziative editoriali, spesso collegate a testate giornalistiche (libri e libretti che affollano gli scaffali e poi le bancarelle dei mercatini). Ecco, ciononostante, la filosofia pare restare un labirinto di grandi nomi e teorie fortemente inconcludenti, mentre la spiritualità, a parte la soffocante parentela con le pratiche religiose, sembra qualcosa di vezzoso, un lusso ambiguo e forse ipocrita, la scelta illusoriamente profonda e fintamente devota di chi ha già vissuto e forse si consola o si sta separando dalla vita (fosse pure buddhisticamente). Succede spesso che i professori di matematica facciano odiare ciò che insegnano, così avviene per molti che insegnano la filosofia a un pubblico coatto; peggio ancora è avvenuto per quelli che usavano lo spirituale come rimedio del carnale e fuga dalla vita. Ecco perché le due parolette del sottotitolo possono metterci a disagio, vi sentiamo ancora da una parte la tediosità scolastica stampata nell'animo adolescente e dall'altra l'aria chiusa e infelice della dottrina e del moralismo.
         Ma, se superiamo questo onesto ribrezzo e resettiamo i giusti pregiudizi, potremmo avvicinarci con vantaggio a questo libro quadrato, del quale forse sopportiamo poco anche il titolo. La parola saggezza richiama un po' la vecchiaia: quale giovane vuole essere saggio? Chi vorrebbe usare della vita con moderazione e prudenza? La saggezza sembra un estintore appeso nel corridoio di un ospedale, uno strumento atto a spegnere le passioni, a raffreddare l'amore, a rinnegare il coraggio e a deridere i sogni.  Eppure, c'è stato un tempo in cui ..., o, meglio, c'è la possibilità che addentare la vita con gusto e avidità sia cosa saggia. C'è la possibilità che lasciare il pubblico dei devoti che si commuovono alla vista del santo cadavere ed entrare nel lavoro sporco della vita e nella contraddizione contaminante dell'impegno sociale e degli affetti sia cosa pienamente umana: carne, corpo, spirito, mente, relazioni, sogni, sangue, errori e bagliori di felicità o sconfitte. Se si smette di cercare luoghi e recinti in cui depositare teorie di pensiero e ricerche di senso, se si smette di fare museo e archeologia, tabernacoli e convegni nei quali rispecchiarci e pubblicizzare il saputo e il creduto, forse si scopre che tutto questo era mezzo per vivere bene, non per credere di sapere, ma per vivere in mezzo agli altri, abbastanza uguali agli altri, con umiltà e con quanto basta di consapevolezza e di verità. Cioè quanto è transitoriamente e incertamente possibile.
          Alla fine sembra che qui non si sia detto quasi niente del libro di Cavadi, ma, se leggerete il libro, capirete che non è così. Avrete tra le mani un libro che rifiuta di far finta. Un libro che, se ve lo meritate, vi avrà dato gioia e tanta voglia di fare e di essere, non ancora di più, ma un po' meglio.
  Nelle mani di chi dovrebbe arrivare questo libro? Me lo sono chiesto. Ecco, proprio nelle mani di chi rifiuta di far finta, per esempio di chi rifiuta l'aziendalismo scolastico (quello delle formulette in inglese, delle sigle abbrevianti da POF in avanti, in cui solitamente si smarrisce la qualità e si fa finta di averla protocollata). Nelle mani di persone “cardio-dotate”, magari con l'animo dilettante, che provano diletto/piacere in quello che fanno. C'è molto disorientamento e molta sofferenza nelle vite normali, nella vita dei “sani”, e praticare percorsi di ricerca di senso e di consapevolezza è urgente oggi come al tempo di Socrate o di Buddha. Forse anche per questo sarebbe giusto assumere l'abito mentale del praticante più che del professionista, evitare lo sfolgorio dello spettacolo e del consumo (ma i festival di questo e di quello, non sono il surrogato moderno dei pellegrinaggi medievali e di altre pratiche pie? Anche se fatti in onore del Pil e sotto il controllo dell'assessorato al turismo e delle attività economiche?) e riprendere la responsabilità della condivisione.
     Il libro di Augusto Cavadi cerca di mostrare che la vera ricerca filosofica ha una significativa tradizione di cura della vita, e, in altre parole, di spiritualità. Il monopolio religioso della dimensione spirituale ha in qualche modo viziato e danneggiato la nostra storia. La caduta degli dei, la perdita di fedi e di mitologie, rischia di buttare nell'assurdo e nel nichilismo anche la vita degli uomini e le loro concrete speranze. Per questo motivo, e per altri ancora che si ritrovano dibattuti soprattutto nei primi dieci capitoli del libro, è necessario riprendere una tradizione filosofica già molto forte nell'antichità e poi smarritasi nel cristianesimo e nella modernità. Nel fare questo Cavadi, consulente filosofico e “filosofo di strada”, si ricollega al grande lavoro di Pierre Hadot (quello di La filosofia come modo di vivere, Einaudi 2008) e alla ricerca di Gerd Achenbach ( autore di Saper vivere e di La consulenza filosofica, entrambi delle edizioni Apogeo). Ma sono ancora molti altri gli autori/guida con i quali il libro si confronta: da Martha Nussbaum ad Hans-Georg Gadamer, da Hans Jonas a Jacques Ellul, senza escludere poeti e scrittori, sociologi, teologi e monaci buddhisti.
      Prima di concludere vorrei soffermarmi su una apparente obiezione: legare la “spiritualità”, nel suo senso più laico, alla filosofia e alla sua tradizione millenaria  non potrebbe farci credere che, messa da parte la spiritualità di carattere religioso, si debba passare a una spiritualità di carattere erudito, con tante letture da fare, corsi da seguire con diplomi e certificati finali? Non intendo certo fare l'elogio dell'ignoranza, anche se si possono elogiare la follia, la “dotta ignoranza” e lo spirito del principiante. Ci si può chiedere piuttosto se non esista già una “spiritualità” laica forse poco esplicitamente filosofica, diciamo pure incolta, ma non inconsapevole.  Come ogni uomo ha una vita interiore, allo stesso modo ogni persona può avere, collegata ad essa, una ricerca critica, un modo di valutare e distinguere il vero dal falso, separare i pregiudizi e i miti, collegati al proprio tempo e al proprio tornaconto, da una verità incerta e transitoria anch'essa, ma radicalmente coraggiosa e onesta, aperta.  Ecco, ho l'impressione che, da qualche parte del suo libro, Cavadi ci abbia già detto anche su questo qualcosa di utile.

                                                                                            Fabio Bonafé

venerdì 24 giugno 2016

RENZI EREDE DI BERLUSCONI SECONDO ELIO RINDONE


RENZI E BERLUSCONI: TROPPE AFFINITA’ ?
Pubblico la terza e ultima parte (vedi su questo stesso blog le prime due) di un articolato ragionamento di Elio Rindone sul pericolo che Renzi  - dopo il regime berlusconiano - rappresenta per la democrazia italiana. Ancora una volta invito i miei quattro lettori, soprattutto quanti NON sono d’accordo, a fornire elementi di giudizio integrativi.


 RENZI E BERLUSCONI: TROPPE AFFINITA’ ?


I nostri due illusionisti hanno ragione quando trattano i cittadini come bambini di dieci anni, e neanche troppo intelligenti, perché milioni di italiani non sono in condizione di distinguere la realtà dalle favole (le statistiche dicono che l'80 per cento della popolazione adulta ha difficoltà a comprendere un articolo di giornale) o, se lo sono, trovano più comodo per superficialità o per presunzione rinunciare alla fatica di informarsi e di riflettere criticamente e, sicuri di avere già capito tutto, scambiano per convinzione propria l'opinione dominante in un certo momento. Tanti elettori, in effetti, prendono per buone, a forza di sentirle ripetere all'infinito, le bugie più inverosimili e apprezzano come un autentico moralizzatore della vita politica chi si scaglia contro la corruzione. In realtà, dichiarare che 'chi sbaglia deve pagare', senza far nulla perché alle parole seguano i fatti, è un'ovvietà come dire che il sole è caldo e l'acqua bagna. Ma, si sa, più un'affermazione è ovvia più risulta persuasiva per chi non è abituato a riflettere.
E uno slogan è tanto più persuasivo quanto più risponde a un'esigenza, avvertita in maniera più o meno consapevole, dalla massa. Basta farla emergere - occultando bisogni, valori, conseguenze di altro genere - perché scatti la molla del consenso. Non si combatte l'evasione ma si promette di ridurre le tasse: e come cittadini tartassati potrebbero resistere al sogno di un fisco più mite? Si persevera nella politica di austerità ma si assicura che si sta cambiando verso al Paese: e come elettori sfiduciati potrebbero rinunciare a quella che appare l'ultima speranza per uscire dalla palude?
Entrambi, inoltre, usano il linguaggio più adatto per comunicare con le masse: quello delle immagini (indimenticabili quelle di Berlusconi con Dudù in braccio e quelle di Renzi col gelato in mano), mentre le parole sono ridotte a pochi slogan o ai 140 caratteri di un tweet. Come il Berlusconi dei tempi d'oro, oggi Renzi è sempre in televisione, come Matteo Salvini, il politico che l'establishment ha interesse ad accreditare come il suo principale oppositore. E, come Berlusconi, ama rivolgersi direttamente agli elettori, saltando la mediazione dei giornalisti, o almeno quella dei pochi che non sono disposti a fare da cassa di risonanza delle sue dichiarazioni. L'abuso del mezzo televisivo da parte dei leader politici, che ai tempi di Berlusconi, capo del governo e proprietario di tre reti private, aveva fatto gridare al conflitto d'interessi, oggi non suscita alcuna reazione nell'opinione pubblica. Eppure nulla è cambiato: Renzi non è proprietario di un impero televisivo ma vuole far approvare una legge che metta la RAI a servizio del governo di turno. Già ora, del resto, può dire ciò che vuole su tutte le reti grazie al servilismo di un apparato informativo che, non a caso, fa scivolare l'Italia, quanto a libertà di stampa, all'ultimo posto, fatta eccezione della Grecia, tra i Paesi dell'Unione europea.

Da tempo, ormai, tanto il servizio pubblico televisivo che la cosiddetta libera stampa sono quasi per intero alle dipendenze del potere politico ed economico, e il fenomeno, a causa della lunga assuefazione, non provoca più indignazione. L'opinione pubblica, infatti, nel ventennio berlusconiano è stata abituata a un degrado lento ma costante, e ormai non reagisce più: come la rana di un noto esperimento che, se gettata nell'acqua bollente, salta subito fuori, mentre, se si riscalda a poco a poco l'acqua della pentola, non tenta di saltar fuori se non quando è troppo tardi. In effetti, il disegno, attuato con perseveranza e rispondente a un ampio ventaglio d'interessi, di anestetizzare gli elettori pare proprio che sia giunto a compimento, dato che si riesce a far credere che Renzi - un premier che obbedisce agli ordini della troika, che è apprezzato dalla Confindustria ma non dai sindacati, e che dal Times, di proprietà di Rupert Murdoch, è accostato a Tony Blair ed elogiato come salvatore dell'Italia, in contrapposizione ad Alexis Tsipras, accusato di danneggiare la Grecia con le sue politiche distruttive - sia uno statista e il leader di una moderna sinistra. Solo i mezzi di comunicazione sono capaci oggi di simili miracoli!
Il problema dell'indipendenza dei media, è ovvio, riguarda non solo l'Italia ma tutti i Paesi industrializzati ed è altrettanto ovvio che su di essa si gioca la qualità democratica di un sistema politico. Infatti, se la democrazia presuppone che i governanti siano scelti dai cittadini, questi devono essere informati per essere in condizione di scegliere davvero, perché altrimenti le libere elezioni si riducono a una pura formalità. Quanto più, quindi, l'informazione si trasforma in propaganda e manipolazione, tanto più si riduce lo spazio della democrazia.
Come scriveva anni fa il grande linguista Chomsky, "il postulato democratico è che i media sono indipendenti e hanno il compito di scoprire e di riferire la verità, non già di presentare il mondo come i potenti desiderano che venga percepito [. ma questo presupposto] è in netto contrasto con la realtà" (N. Chomsky-E. Herman, La fabbrica del consenso, Milano 1998, p 9). Forse è il caso, allora, di mettere in discussione una delle certezze più comuni: cioè che l'Italia, come altri Stati europei, sia oggi una vera democrazia. Riguardo al comunismo, per esempio, è ormai opinione corrente che occorre distinguere l'ideale comunista dal comunismo reale. Parimenti, è scontato che la storia dei secoli cristiani non possa essere identificata tout court con l'ideale evangelico. È ragionevole, quindi, chiedersi quanto le democrazie realmente esistenti siano distanti dall'ideale democratico.
Non bastano, in effetti, le elezioni a suffragio universale per concedere a uno Stato la patente democratica. Come scrive un famoso politologo americano, infatti, è necessario garantire anche "diritti, libertà e opportunità di effettiva partecipazione; uguaglianza di voto; la capacità di acquisire una sufficiente conoscenza delle scelte politiche e delle loro conseguenze; i mezzi attraverso cui il corpus dei cittadini possa mantenere un adeguato controllo sull'agenda delle decisioni e delle politiche del governo" (Robert A. Dahl, Quanto è democratica la Costituzione americana?, Laterza 2003, p 95).

L'essenza della democrazia, in sostanza, è la seguente: il potere politico non si trasmette per via ereditaria né si conquista con la forza ma dipende dal voto degli elettori, che scelgono tra differenti alternative, controllano gli eletti ed eventualmente li sanzionano alle elezioni successive. Per scegliere tra le diverse proposte politiche, però, è evidente che i cittadini devono conoscerle, comprenderle e valutare adeguatamente quale di esse risponda meglio alle esigenze della società. Se ciò non accade, se l'informazione è manipolata e gli elettori non sono messi in grado di controllare i loro rappresentanti, i regimi democratici si distinguono da quelli dittatoriali solo perché non occorrono le armi per cacciare i governanti. Non è poca cosa, ma certo si resta molto lontani dall'ideale democratico che fa del popolo il vero sovrano. Ideale così difficile da realizzare da far dire a Gustavo Zagrebelsky: "Intendiamoci su un punto: la democrazia è la versione moderna del pensiero utopico. Non ne conosciamo alcuna realizzazione integrale" ("Pilati d'Italia, Giù la maschera", Repubblica.it, 31/8/1995). Certo, è possibile approssimarsi di più o di meno all'ideale, ed è possibile anche fare passi indietro, perché la democrazia è un sistema fragile, tanto che, pur rispettando formalmente le sue regole, è possibile svuotarla dall'interno. Forse, ignorando gli allarmi lanciati da personalità come Zagrebelsky e Rodotà sul pericolo di dare troppo potere a un uomo solo, è ciò che sta accadendo oggi in Italia: il centro-sinistra di Renzi sta completando il disegno di una modifica della Costituzione in senso autoritario già abbozzato dal centro-destra di Berlusconi, tanto che si può parlare del renzismo, riecheggiando una famosa espressione, come della fase suprema del berlusconismo. E scambiare il Pd per un partito di centro-sinistra e un regime autoritario per democrazia può comportare conseguenze ben più gravi che scambiare un lenzuolo medievale per la sindone di cui parlano i vangeli!
 


mercoledì 22 giugno 2016

CI VEDIAMO GIOVEDI' 23 GIUGNO 2016 ALLA "FELTRINELLI" DI PALERMO ?

Giovedì 23 Giugno 2016 alle ore 18,30 , presso la Libreria "Feltrinelli" di via Cavour 133 (a Palermo), presenterò con l'autore  il libro di Francesco Giardina La gratuità. Piacevole agli altri , ma senza un perché e senza scopo (Diogene Multimedia, Bologna 2016, pp. 219, euro 18).
Se non potete partecipare all'incontro, vi consiglio per lo meno di acquistare il libro che esamina il tema della gratuità dal punto di vista filosofico (Husserl, Derrida, Marion), teologico (Master Eickart, Moltmann), sapienziale-religioso (Buddhismo), letterario (Roth), sociologico (Dolci).

lunedì 20 giugno 2016

CI VEDIAMO A PALERMO MERCOLEDI' 22 GIUGNO 2016 ?

Mercoledi 22 giugno, alle ore 18.15, presso il Centro studi "Bonelli" della Chiesa Valdese di via Spezio 43 (a Palermo, dietro il teatro Politeama), avrò il piacere di discutere con Elio Rindone l'ultimo suo libro: Vivere la sessualità. Quanto ci condizionano le idee degli Antichi? (www.ilmiolibro.it, Roma 2015).

domenica 19 giugno 2016

20 - 26 AGOSTO IN VALTELLINA: FILOSOFIA PER NON SPECIALISTI


“Centonove” 16. 6.2016

VACANZE FILOSOFICHE PER TUTTI

Il primo esperimento risale al 1982. Da allora, quasi ogni anno, nei mesi estivi si è realizzata una “Vacanza filosofica per non…filosofi (di professione)” su una tematica di rilevanza generale, al di là di tecnicismi specialistici: la felicità, la politica, il dolore, l’amore, il linguaggio…Anche quest’anno, dal 20 al 26 agosto, a Santa Caterina Valfurva (in Valtellina, nelle Alpi lombarde), sarà possibile trascorrere una settimana alternando passeggiate, visite turistiche, seminari filosofici, momenti di serena allegria in compagnia di persone provenienti da varie regioni italiane [Vedi programma nel riquadro qui di seguito] .
  Quale il tema dell’anno? Il rapporto fra la dimensione di fede e l’esercizio del senso critico. Come è facile intuire, un tema che non interessa né quanti sono esenti da  qualsiasi esigenza religiosa né quanti vivono la propria esperienza religiosa senza porsi molte domande. Ma che può coinvolgere quanti, da una parte, sono attratti dalla dimensione intima della realtà cosmica e umana e, dall’altra, non intendono rinunziare alle acquisizioni della cultura contemporanea così come le recepisce un cittadino di media istruzione. Quanti, insomma, sono convinti con Albert Einstein che “la religione senza la scienza è cieca, la scienza senza la religione è fredda”.
   Elio Rindone (Roma) evocherà il modo in cui il mondo filosofico greco si è misurato con la diffusione del messaggio ebraico-cristiano. Augusto Cavadi (Palermo) focalizzerà la rivoluzione che il pensiero moderno ha comportato per la riflessione teologica. Giorgio Gargano (Palermo) esplorerà alcuni pensatori laici contemporanei che si sono confrontati con le tematiche religiose e, più in generale, spirituali. Maria Lupia (Cosenza), inspirandosi alla metodologia della philosophy for community, proverà a coinvolgere i partecipanti nell’esposizione  delle proprie convinzioni sul rapporto fra credere e pensare.
   Poiché il contesto è programmaticamente filosofico gli incontri saranno caratterizzati, secondo una tradizione ormai più che trentennale, da libertà d’opinione ma anche da rigore argomentativo. Libertà d’opinione perché nelle sessioni filosofiche ognuno deve sentirsi radicalmente libero di esprimere idee anche poco convenzionali, strane, eretiche; rigore argomentativo perché, a differenza delle chiacchiere da salotto, ognuno deve sforzarsi di portare “buone ragioni” a sostegno delle proprie tesi. Il tutto in un clima di tendenziale amicizia se è vero che la filo-sofia è phylia (amicizia) verso la sophia (sapienza), ma anche phylia fra quanti sono in tenace ricerca della sophia.

A.C.

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Il gruppo editoriale “Il pozzo di Giacobbe”-“Di Girolamo” di Trapani organizza la            XIX  SETTIMANA FILOSOFICA PER... NON FILOSOFI
Destinatari della proposta non sono professionisti della filosofia ma tutti coloro che desiderano coniugare i propri interessi intellettuali con una rilassante permanenza in uno dei luoghi più gradevoli del Bel Paese, cogliendo l’occasione di riflettere criticamente su alcuni temi di grande rilevanza teorica ed esistenziale.
* Dove e quando:

S. Caterina Valfurva (Sondrio) a 1.700 metri, dal 20 al 26 agosto 2016
* Su che tema:
Alla ricerca di senso: approccio filosofico e/o religioso?
 
Programma orientativo
Arrivo nel pomeriggio di sabato 20 agosto e primo incontro alle ore 21
Sono previsti due seminari giornalieri, dalle 9.00 alle 10.30 e dalle 18.15 alle 19.45.
Partenza dopo il pranzo di venerdì 26 agosto.
L'iscrizione al corso (comprensiva dei materiali didattici) è di euro 180 a persona. Chi si iscrive entro il 30 giugno ha diritto a uno sconto di 30 euro.
Ognuno è libero di trovare il genere di sistemazione (albergo, camping o altro) che preferisce. Chi vuole, può usufruire di una speciale convenzione che il comitato organizzatore ha stipulato con:
Hotel S. Caterina, Via Fraita, 9 - 23030 – S. Caterina Valfurva, Tel. 0342 925123, Fax 0342 925110, Mail: info@hotelsantacaterina.info - (cui ci si può rivolgere per la prenotazione delle camere e il versamento del relativo acconto).
La pensione completa, comprensiva di bevande, costa:
·      in camera singola (con bagno) € 65 al giorno.
In camera doppia (con bagno) € 58 al giorno (a persona).
·      
tassa di soggiorno € 1,30 al giorno per ogni ospite.
·       
Per altre informazioni: www.vacanzefilosofiche.altervista.org

giovedì 16 giugno 2016

NONNA MARIA E FELICETTA: UN GRAZIE ANCHE A NOME LORO

Nella notte fra domenica 12 e lunedì 13 giugno mia madre Maria si è addormentata serenamente, dopo essere stata circondata per tutto il giorno dalle persone a lei più care. La certezza che così ha evitato il tratto più duro che le restava da percorrere e l'affetto degli amici che ci ha sommerso, nei giorni successivi, in mille modi differenti hanno alleggerito - e di molto - la nostra pena. Vorrei ringraziarvi una ad una, uno ad uno: ho provato a farlo in presenza, per telefono, per email, per sms, per facebook...ma sicuramente resto in debito con tanti. Spero che la mia gratitudine raggiunga almeno alcuni di costoro mediante questo messaggio.
A 72 ore dalla dipartita di mamma Maria anche Felicetta, la nostra gattina ultraquindicenne, l'ha seguita nella dimensione dell'Oltre: l'abbiamo seppellita oggi in un giardino a Santo Stefano Quisquina all'ombra di mandorli e olivi. L'ultima carezza Adriana ed io gliela abbiamo regalata anche a nome delle centinaia di amici che, in tutti questi anni, passando dalla nostra casa, sono stati conquistati dalla mitezza e dall'affabilità di questo batuffolo peloso desideroso di dare e ricevere coccole.
In questi giorni, dunque, la Morte ha visitato la nostra famiglia: ma questa volta i suoi artigli tremendi non sono riusciti a straziare la nostra serenità di fondo. Talora c'è dolcezza persino nel dolore.

domenica 12 giugno 2016

VOLONTARIATO E MONDO DELLE CARCERI


“Repubblica – Palermo”
2 giugno 2016

COME IL VOLONTARIATO PUO’ AIUTARE IL MONDO CARCERARIO


Il dossier di “Repubblica” sulla situazione delle carceri siciliane serve ottimamente alla diagnosi. Ci sono prospettive anche per la terapia? Intanto si è trovato il medico (Giovanni Fiandaca) che non è solo un penalista di livello nazionale ma anche una persona sensibile e operativa.  Può essere istruttivo per i lettori aggiungere che la società civicamente evoluta può dare un contributo determinante.
 Non conosco la situazione delle altre città, ma a Palermo opera da decenni l’Asvope (Associazione di volontariato penitenziario: www.asvope.it) collegata con varie altre organizzazioni simili presenti in tutto il territorio nazionale. Essa agisce a quattro livelli distinti ma inseparabili.
  Innanzitutto prova a tappare i buchi affrontando le emergenze più urgenti e dolorose: si concentra sui detenuti (specie immigrati) che arrivano in carcere senza indumenti, senza scarpe, senza medicine, senza schede telefoniche. A un secondo livello d’intervento stimola e coordina progetti di formazione, di animazione culturale, di educazione sanitaria, di attività sportive: gestisce il servizio biblioteche, i corsi di teatro, i campionati di ping pong e persino un corso di filosofia-in-pratica. Là dove possibile accompagna i detenuti nel periodo successivo alla scarcerazione.
  Se si limitasse a questo genere di azione il volontariato (non solo gratuito, ma autofinanziato dai volontari stessi) troverebbe soltanto porte aperte o, per lo meno, resistenze istituzionali solo fisiologiche. Ma la cultura del volontariato in Occidente è ormai da anni molto oltre l’ottica dell’assistenzialismo surrogatorio. Consapevole che, così inteso, sarebbe il nuovo oppio dei popoli, il volontariato sa che deve avere il compito di esercitare uno sguardo critico sui contesti in cui opera. Non può non rilevare le lacune delle istituzioni, i ritardi dei responsabili a ogni livello, le pigrizie mentali, le lentezze burocratiche. E’ in questo spirito che l’Asvope ha cercato, e trovato, un canale diretto di comunicazione con il Presidente della Repubblica che, a sua volta, ha sollecitato il Ministro della Giustizia e i suoi funzionari.
  La critica, per quanto necessaria, sarebbe comunque insufficiente se non sapesse diventare proposta costruttiva. Per questo i volontari delle istituzioni carcerarie elaborano proposte di legge, suggeriscono modifiche nei regolamenti, regalano suggerimenti migliorativi. Questo livello di intervento è il più laborioso, ma anche il più incisivo. Mira a rendere il volontariato sempre meno necessario man mano che l’istituzione raggiunge la dignità e la maturità della propria mission: che, come tutti ripetiamo senza misurarne le conseguenze effettive, dovrebbe essere il contenimento della delinquenza ma anche (là dove umanamente possibile) la rieducazione e la risocializzazione dei detenuti.
  Come è facile intuire i cittadini consapevoli possono dare una mano a tutti questi quattro livelli: nessuno è troppo povero o troppo inetto da non poter regalare qualche ora del proprio tempo o qualche segmento della propria professionalità.
                                                                        Augusto Cavadi
                                                                www.augustocavadi.com

venerdì 10 giugno 2016

DAL "NIENTE" AL "NULLA": UN LIBRO ILLUMINANTE DI FRANCESCO DIPALO


“Comunicazione filosofica”
Maggio 2016-06-07

Francesco Dipalo, Nulla e dintorni. Aforismi per un anno, Diogene Multimedia, Bologna 2015, pp. 169, euro 22,00.

Gli storici della filosofia si dedicano al compito, prezioso, di analizzare e commentare le opere di predecessori e contemporanei. Non meno prezioso il compito dei filosofi che, sfidando ogni genere di resistenze, osano proporre nuove idee, nuovi scenari complessivi: o, per lo meno, antiche concezioni in modo nuovo. In questa tipologia s’inscrive Nulla e dintorni. Aforismi per un anno (Diogenemultimedia, Bologna 2015, pp. 169, euro 22,00), frutto di un filosofo che, sulla base di una ricca conoscenza della storia del pensiero occidentale e orientale, vince la remora di risultare  presuntuoso o ingenuo e offre delle considerazioni personali sul mondo e sulla vita. Fa metafisica? Sì. E, quel che è più grave, non se ne vergogna, convinto che “anche l’antimetafisica militante del positivista o del nichilista” è un modo di fare metafisica in quanto  espone “una visione del mondo, prova a rispondere alle inaggirabili domande fondamentali” (p. 11).
 Ma procediamo con ordine.
   In principio – almeno per  noi Occidentali – è Parmenide. A suo avviso solo l’Essere è: il molteplice e il divenire sono opinione, se non addirittura falsità. Come possiamo nominare questo Assoluto che riposa immobile – “la ben rotonda sfera che nessun intelletto può penetrare” (p. 140)  -  al di là del “velo di Maya”? La mistica  - occidentale come orientale – ha moltiplicato metafore e allegorie (Uno, Nube oscura, Sole nero, Al di là di tutto…) ma sembra acquietarsi solo quando approda alla negazione di ogni ente e di ogni nome: Nulla. Erede della mistica renana, Heidegger preferisce Sein (Essere), ma ne parla  - o meglio ne tace – come se si trattasse del Nulla.
    Il silenzio al cospetto dell’Ineffabile è infranto da quanti non resistono a simili, stratosferiche, altezze e cedono alla tentazione di ritenere che (accanto, sotto o grazie a ) l’Essere si diano, realmente e non solo illusoriamente, gli enti. E’ la tentazione ricorrente nella filosofia occidentale, da Platone (teso a “salvare i fenomeni” dal rasoio implacabile del “tremendo” Parmenide) al neopositivismo contemporaneo (con l’eccezione di un pensatore che Dipalo non cita mai ma di cui in queste pagine si avverte continuamente la silenziosa presenza: Severino). Perché si tratta di una tentazione – e pericolosa per giunta ? Perché chi crede nell’ente, chi ritiene che un’innumerevole famiglia di enti origini per davvero, getta le basi per la credenza nell’annichilimento: la metafisica dell’ente implica, come risvolto inevitabile, la metafisica del ni-ente. L’orizzonte intellettuale contemporaneo è l’esito di questa parabola: dall’infondata esaltazione dell’ontologia al nichilismo.
    Il testo di Dipalo è un testardo, generoso, accompagnamento dalla foce del nichilismo alla sorgente che sola ce ne può guarire: la riscoperta dell’Indicibile. Dunque nel cammino dal “niente” al “Nulla”. Infatti “niente” è la bandiera del nichilismo, “il destino che si ritiene attenda  le cose che sono, ossia gli enti (persone, animali, piante, oggetti ecc.), cioè la prospettiva – considerata ineluttabile – del loro annientamento (del loro volgersi da enti a ‘ni-enti’) “ (p. 9); “nulla” allude, invece, allo “sfondo, che consente alle cose che sono di manifestarsi, per il tempo loro accordato” , “vuotezza” e non “annichilimento”, “utero, matrice ontologica” (pp. 9 – 10). 
    Questo accompagnamento dalla caverna degli enti (illusori) alla luce del Nulla avviene su due binari. Un primo livello è didattico, parenetico, quasi omiletico: ed è il tono (almeno alle mie orecchie) meno convincente. Molto più suggestivo e accattivante un secondo taglio: autobiografico ed esistenziale. Qui l’autore non intende insegnare, raccomandare o mettere in guardia, ma testimoniare. Vuole raccontare  - direi confessare – le fatiche e le gioie del proprio itinerario dal guazzabuglio della storia e del cosmo alla quieta consapevolezza che, essenzialmente, c’è solo da abbandonarsi alle braccia cullanti del Nulla.
   Coerentemente con questa pista teoretica neanche la lingua prescelta è filosofica in senso tecnico: “perché non si tratta esattamente d’un libro che <<parla di filosofia>> né in senso divulgativo né, tanto meno, accademico. Non un trattato  <<sul nichilismo>>, dunque, quanto piuttosto una rapsodia di testi, più o meno brevi, stesi utilizzando diversi registri filosofico-letterari, dall’aforisma alla prosa poetica, dall’intuizione brevemente argomentata al flusso di coscienza, dalla rammemorazione all’analisi concettuale ”(p. 12).
   Se il libro avesse avuto un suo “indice”, i diversi frammenti sarebbero stati scanditi in tre “fasi”: “apokalypsis” (scoperta, rivelazione) (“Corrisponde al momento in cui mi sono imbattuto, per la prima volta – ero giovane ! – nell’ospite inquietante”); “deiotes” (duello, scontro) (“Superato lo smarrimento iniziale, attutita la paura generata dall’ospite, viene il tempo della lotta, corpo a corpo, feroce di critiche e senza esclusioni di colpi”); “hyperbasis” (valico, oltrepassamento) (“Dal niente che tutto ottundendo riempie, addivenire, finalmente, alla meravigliosa vacuità del nulla. E’ un tempo poetico, vitale, perché dal nulla e nel nulla la creatività zampilla endemica”) (p. 13).
   Difficile non solidarizzare con l’autore quando si espone come ‘martire’ della ribellione all’   “incantesimo d’un certo sterile mentalismo  per “tornare a vivere pensando”, convinto che “il vero potere non sta nelle nozioni, ma nella capacità di sperimentare quel che si pensa”: nel “diventare quel che si pensa” (p. 141). Ma altrettanto difficile condividerne la prospettiva metafisica di fondo che, riprendendo con avvertita sensibilità contemporanea le linee essenziali dell’induismo e del buddhismo, ritiene fallace l’esperienza del mondo sensibile.
Più precisamente: la prospettiva metafisica secondo cui nessuna ‘cosa’  nasce davvero (infatti “appare” soltanto, “si mostra”)  e nessuna ‘cosa’  muore davvero (infatti “non può precipitare nel non-essere ciò che in nessuna maniera è”, p. 92). Che il mondo degli esseri sensibili non sia realissimus – pienamente e indefettibilmente reale – è una verità da richiamare instancabilmente a fronte dei materialismi di ogni risma; ma ciò non toglie che sia  quodammodo realis – almeno in certa misura reale- e che la sua consistenza sia preziosa proprio perché fragile e precaria.  Ben venga dalla fisica quantistica ogni conferma dell’intuizione orientale dell’impermanenza di ogni ente: entrambe – la scienza contemporanea e la sapienza antica -  ci aiuteranno a  liberarci da naturalismi grossolani; a capire che ciò che chiamiamo ‘materia’  è qualcosa di molto poroso, quasi trasparente; che essa è una sorta di energia condensata in perenne movimento. Ma una realtà effimera, volatile, intrinsecamente temporale, non cessa per queste caratteristiche d’essere reale. Forse il Nulla è l’Alfa e l’Omega della storia cosmica: ma ciò che trascorre dall’Origine alla Fine è più reale di un sogno.
 A un certo passaggio del libro l’autore focalizza il cuore speculativo del suo messaggio pratico. Chi sostiene la serietà de divenire, come passaggio dal niente all’essere e dall’essere al niente, la può  sostenere solo perché considera ogni ente nella sua individualità, nella sua unicità: ma proprio questo sarebbe l’errore radicale. Ogni ente è concepibile solo in relazione alla totalità degli enti: ed è questa totalità che, a fil di logica, non può ammettere né incremento (assoluto) né decremento (assoluto). “Relazione, prima di tutto” è intitolato l’aforisma 290 dove si legge, fra l’altro, che “l’essenza del reale è relazione. Essa precede ontologicamente il provvisorio intreccio di linee energetiche che costituisce i nuclei, provvisori, fatti di nulla, di ciò che s’indica col termine ‘sostanza’ o ‘ego’. ‘Io’, dunque,  è relazione in fieri, così come ‘io e tu’. Ignorare nella prassi quotidiana tale fondamentale dato ontologico significa aprire le porte a niente (poiché ci s’illude che il nucleo preceda la relazione, che qualcosa – un ente – si dia a prescindere dalla relazione o, finanche, che la fondi: solo ciò che si ritiene sia qualcosa, può infatti volgersi in ni-ente; nulla, invece, non può annientarsi” (p. 120). In linguaggio occidentale diremmo che ancora una volta emerge l’alternativa Hegel o Aristotele: al di là delle versioni caricaturali delle due proposte interpretative, è la relazione dialettica che costituisce (provvisoriamente) l’essere o è l’essere sostanziale che rende possibile (gnoseologicamente e ontologicamente) la relazione? A Dipalo le ragioni a favore dell’una o dell’altra tesi interessano, ma molto meno dei risvolti pratici (esistenziali e etico-politici) delle due teorie: al punto che qualche volta dà l’impressione che il criterio di giudizio sulle due sia proprio da rintracciare sul piano della preferenza pratica. Personalmente non condivido questo approccio, ma non posso negare che l’autore lo presenta in maniera talmente suggestiva da poter risultare convincente: “Ni-ente da realizzare, ni-ente da possedere, ni-ente da cui separarsi, ni-ente da dimostrare a nessuno. Nulla di nulla. Morire giocando, così pacificamente lontani da tutte le cose da riguardarle come balocchi e trastulli del tempo che fu, del tempo che non s’è perso, del tempo che è adesso. Morire tornando fanciulli. Nulleggiando” (p. 118).

Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
    
Chi vuole può scaricare gratuitamente il pdf. con l'intero numero della bella rivista della SFI (Società filosofica Italiana):
  http://www.sfi.it/archiviosfi/cf/cf36.pdf