In molti, graziosamente, mi avete chiesto delle notizie sulla Cina più dettagliate rispetto al report di due mesi fa. Sono lieto di accontentarvi riportando un pezzo chiestomi dalla rivista
“Le Siciliane”
Settembre- ottobre 2017
SOTTO IL
CIELO DI PECHINO
Grazie
all’associazione interculturale di Palermo
“Casa Officina” ho potuto realizzare – in compagnia di Adriana- un
viaggio in Cina abbastanza diverso dalle mere visite turistiche. Abbiamo
infatti toccato non solo le mete celebri, per così dire obbligatorie (dalla
Città proibita a piazza Tian’ anmen, dalla Grande Muraglia all’esercito dei
guerrieri in terracotta di XI’an), ma anche zone del Paese che vedevano per la
prima volta degli Occidentali – infatti venivamo fotografati molto più di
quanto non fotografassimo ! – e anche piccole esperienze comunitarie sia di
carattere pedagogico-didattico sia di carattere socio-economico.
Se dovessi
riassumere in una parola l’impressione globale – pur non avendo modo di
giustificarla esaurientemente – ricorrerei a: “smarrimento”. Come mai?
Il dato
immediato, macroscopico, è che mi si è parato innanzi un mondo dove tutto è
sproporzionato rispetto alle mie misure abituali o, per lo meno, oggettivamente
colossale. Sbarchiamo a Pechino e il bus che ci preleva impiega ore per
raggiungere l’albergo: già le distanze sono ciclopiche (la circonvallazione più
esterna della città è di circa 900 kilometri !), cui si aggiunge il caos del
traffico automobilistico (gli abitanti ufficialmente registrati sono circa 20
milioni, senza considerare i secondi geniti che per decenni non potevano essere
dichiarati all’anagrafe). Ma distanze e popolazione non colpiscono quanto il
numero e la mole dei grattacieli: edifici di una bellezza spesso abbagliante,
che si slanciano arditamente ad altezze vertiginose che non ho mai visto in
presenza (forse perché non sono mai stato a New York). Comunque popolazione e
architetture di Pechino sono solo un antipasto rispetto ai 30 milioni di
cittadini di Shangai e ai suoi mirabolanti edifici, tra i più alti ed eleganti
del mondo.
Una prima
razionalizzazione del mio senso di disorientamento potrei definirla di ordine ecologico. Per
decenni avevo sentito affermare, e avevo qualche volta ripetuto, che i cinesi
avessero il diritto di godere delle nostre comodità e dei nostri consumi di
Occidentali, ma che – quando ciò si fosse avverato – il pianeta sarebbe entrato
in una fase terminale. Ebbene, dopo poche ore hai la certezza che quel momento
di occidentalizzazione dell’Oriente è già arrivato: che le automobili di lusso,
le moto, i condizionatori d’aria, le luci notturne per ornamento o per
pubblicità…sono già una diffusa, imperante, tracimante realtà. Te lo conferma
il cielo di Pechino o, per essere più esatti, quella coltre di nuvole e di smog
che si frappone senza fessure fra te e il cielo. Una sorta di illuminazione ti
fa intuire perché molti, soprattutto fra i giovani, camminano con il viso
bendato e gli occhialoni: un estremo, forse vano, tentativo di difendersi da
un’atmosfera innaturale. E allora è come se vedessi, in anticipo rispetto al
prossimo futuro, il panorama – surreale e inquietante – delle città che sei
solito abitare.
Quando il tuo
sguardo si volge verso la quotidianità noti dappertutto i simboli della più
sfacciata ricchezza capitalistica: ristoranti di lusso, banche di ogni genere,
negozi del made in Italy, cellulari
diffusi capillarmente. Non solo nei buffet
degli alberghi la mattina, ma anche
in tutti i locali – di media categoria – in cui siamo andati a mangiare,
vengono servite al centro della tavola portate gustosissime e abbondantissime:
con stupore, prima, con amarezza dopo, constato che tutto il cibo che rimane
viene raccolto indistintamente in sacchi di rifiuti. In alcuni ristoranti mi
dicono che servono sino a seimila pasti a ogni pranzo: quanti chili di roba
vengono gettati (spero, almeno, per nutrire animali)? Né la situazione è
differente quando i turisti sono, o mi sembrano, indiani: il mio immaginario è
fermo a quando in Italia raccoglievamo soldi per contrastare la carestia in
quella zona meridionale dell’Asia, adesso vedo ospiti provenienti da quelle
aree che, alla colazione mattutina negli alberghi, riempiono i vassoi del doppio o del triplo di quello che poi
effettivamente consumano. Di contro a tanto spreco ti aspetteresti, almeno, che
ciò accompagnasse la scomparsa dei casi eclatanti di miseria. Ma non è così. Né
in città grandi (dove ho visto con i miei occhi rovistare tra i cestini della
spazzatura per racimolare qualcosa da rosicchiare o da succhiare) né in zone
naturalistiche montuose ( per i sentieri impervi della Montagna Gialla, presso
Huangshan, ho visto salire e scendere uomini di varia età che trasportavano in
spalla turisti e merce varia: in un caso un poveruomo – icona plastica del
Nazareno sulla via del Calvario – portava sulla spalla delle travi di ferro
incrociate).
Un raro, rarissimo ritratto di Mao opera come un flash e intuisci che una seconda ragione
di scoramento è di ordine, per così dire, politico. Nel tuo immaginario,
implosa l’Unione Sovietica e morto Fidel
Castro, la Cina popolare era rimasta l’ultimo modello alternativo al
capitalismo: un modello certo criticabile, imperfetto, per molti versi crudele,
comunque alternativo alla dittatura del profitto ad ogni costo. Invece non c’è
neppure uno Stato sociale efficiente: mi spiegano che denti e occhi vengono
curati bene solo se si ha un’assicurazione sanitaria, quasi peggio che in
Italia. Un ragazzo di Berna incontrato per caso in un bar con i suoi genitori,
che studia musica in Cina, frequenta i coetanei e parla bene il cinese, lo
conferma senza esitazioni: “Qui non c’è un mezzo capitalismo moderato da un
mezzo socialismo, c’è il capitalismo puro. Di comunista c’è solo censura e
repressione, ma i giovani le sopportano sempre peggio: la Cina è una pentola in
ebollizione e, se il governo non darà maggiori concessioni anche sul versante
delle libertà civili, si troverà a dover fronteggiare delle rivolte
destabilizzanti”. Il padre, un docente di musica classica in quiescenza,
aggiunge una nota interessante: “In Italia avete ancora memoria della
solidarietà sociale: per questo vi fa ancora più impressione il divario fra
ricchi sempre più ricchi e poveri che restano tali”. Che la tanto sputtanata
socialdemocrazia europea non sia riuscita a raggiungere risultati più modesti,
ma effettivi e duraturi, rispetto ai progetti radicalmente rivoluzionari di
Lenin prima, di Mao dopo?
Sul clima di
censura trovo conferma in una corrispondenza (sul mensile “Una città”,
luglio-agosto 2017, p. 41) di Ilaria Maria Sala da Hangzhou, una delle città
visitate anche da noi: “Ho impiegato tanto tempo a capire che questi scambi
privi di qualsiasi interesse, se non quello di confermare di sapere tutti le
stesse cose (<<Hangzhou è la patria del tè longjin! E’ uno dei migliori
tè cinesi! Del resto, noi cinesi beviamo molto tè>>) sono anche del tutto
sicuri. Non si corre alcun rischio a snocciolarsi addosso le specialità
culinarie di ogni città, o nel raccontarsi fieri che le ragazze di Hangzhou e
Suzhou sarebbero le più belle della Cina (che sia una frase piuttosto irritante
ancora non è entrato a far parte della percezione comune). Ci si parla senza
dire nulla, senza scoprirsi, senza esporsi, e senza doversi pentire dopo. Si
resta all’interno di parametri di gentilezza e affabilità da tutti
raccomandabili. E’ l’equivalente del parlare del tempo incontrando qualcuno in
autobus o in ascensore. Ma a pensarci bene qui è un’altra cosa. A cosa
servirebbe scivolare in discussioni sull’attualità, o rischiare di accennare al
fatto che anche qui, nella comoda e soddisfatta Hangzhou, vengono arrestati gli
avvocati che difendono i diritti civili e quelli religiosi, con uno
sconosciuto? Perché mai criticare apertamente l’amministrazione locale dicendo
che sì, gli slogan per la strada dicono che Hangzhou è una città verde, ma l’inquinamento
è tale che non si vede il cielo, e basta un’app del cellulare a confermarlo?”. Anch’io
avevo colto, qua e là, tra le pieghe di un tessuto sociale apparentemente
gratificato, dei dettagli eloquenti: per esempio, sul punto di fare dono a una guida della traduzione in cinese di
un mio libretto sui siciliani, un mio amico cinese ha ritenuto opportuno
pre-avvertirlo per tranquillizzarlo: “Puoi accettare, non c’è nulla contro il
Partito né contro il Governo”.
Insomma, se
il progetto di Marx era attraversare il capitalismo maturo per arrivare al
socialismo (nell’accezione di dittatura statalista del Partito) prima, e al
comunismo (inteso come abolizione dello Stato e piena autodeterminazione
popolare) dopo, tutto si sta svolgendo come se la Cina stesse attraversando il
socialismo per arrivare al capitalismo maturo. Con buona pace, definitiva,
della meta finale comunista.
Ovviamente
in quindici giorni, per quanto intensi,
ci si può fare un’immagine monca se non addirittura errata. Dei segnali
in controtendenza ci sono: per esempio a Shangqiu abbiamo potuto incontrare i
promotori di un villaggio autogestito che, con l’incoraggiamento anche
finanziario del Governo, stanno provando a costruire uno spazio di condivisione
produttiva, di uguaglianza remunerativa, di pulizia ecologica e di recupero
dell’antica cultura cinese. Ci è stato presentato, tra gli altri, un giovane
laureato che aveva preferito vivere questa scommessa civica con 10 euro al
giorno piuttosto che restare immerso nello smog e nella frenesia della città a
40 euro.
Non so se si
deve a questo strano mix di
socialismo reale (in cui lo Stato ti assicura un lavoro, ma pretende che lo
svolga con diligenza) e di capitalismo galoppante (cui conviene che tutti i
cittadini abbiano un reddito mensile che gli consenta di trasformarsi da
parassiti disoccupati in clienti-consumatori delle immense quantità di merci
prodotte), ma un dato è evidente: gli spazi pubblici - dagli angoli delle strade ai gabinetti, dai
musei ai parchi - sono gestiti a meraviglia. Ogni centimetro è affidato a un
soggetto che lo deve mantenere costantemente pulito ed efficiente: per chi vive
in una Sicilia dove tutto è sporcato, inquinato, incendiato, ma nessuno
responsabile, davvero un altro mondo! Ma forse non è il caso di scomodare le
ideologie moderne: prima che comunisti o capitalisti, qui si è confuciani e si
sa che il senso della vita individuale è adempiere con precisione i propri
doveri e dedicarsi all’armonia del Tutto.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com