mercoledì 24 febbraio 2021

E' NATO UN BLOG, O UN NON-BLOG, CUGINO ARISTOCRATICO DEL MIO. BENVENUTO NEL FANTASTICO MONDO DEL WEB !

 



Alcuni dei miei amici meno raccomandabili, in combutta con altri loro amici (suppongo della stessa risma), hanno dato vita a un non meglio definito sito web. Li coordina Davide Miccione, con cui è gradevole trovarsi d'accordo (raramente) e ancor più gradevole trovarsi in disaccordo (frequentemente). Nel primo 'post' che apre - suppongo aprirà sempre - la lista degli interventi, egli spiega il manifesto programmatico dell'iniziativa. Poiché, per coerenza con i principi che espone, è un manifesto esteso in modo da selezionare subito i lettori pazienti da attrarre (separandoli dai frettolosi di cui liberarsi), ne riporto solo un capoverso:

"Aldous non è infatti nelle nostre intenzioni un webmagazine, non è una rivista culturale generalista, non è un sito di informazione filosofica o culturale, non è un blog sui libri. Se fosse una di queste cose non ci sarebbe nulla di male ma si aggiungerebbe ad una offerta già abnorme oltre ad annoiarci e non somigliarci. La cosa a cui vorremmo Aldous somigliasse, per come speriamo possa diventare, sono le riviste dei primi venticinque anni del Novecento. Riviste che non erano magazzini o supermarket come oggi ma pretendevano, nella loro esigua mole, di esercitare una critica e una visione del mondo. Nonostante fossero vivaio di individualità fortissime e spiccate vi era in loro una aria di famiglia che dava una coesione stilistica e filosofica a ogni testata. Penso, si parva licet, a La Voce, a Il Leonardo, a La Critica, tutte riviste che non otterrebbero alcuna classificazione nell’attuale sistema di valutazione-neutralizzazione del sistema accademico-scientifico odierno dove ci si divide per discipline (quasi il mondo fosse una biblioteca da riordinare) e non per posizioni sul mondo". 

Chi non si è già scoraggiato può accedere al sito e, addirittura, iscriversi alle newsletter che da esso partiranno con gli aggiornamenti progressivi:

https://www.aldousblog.it/



lunedì 22 febbraio 2021

BEPPE PAVAN SU "ESSERE MASCHI LIBERA/MENTE. LA GABBIA DEL PATRIARCATO" DI AUGUSTO CAVADI

 

www.maschileplurale.it

 

n° 1 – 2021                                                                                                       ISSN  1720-4577

 

 

 Augusto Cavadi, L’arte di essere maschi – libera/mente. La gabbia del                                          patriarcato, Di Girolamo ed., Trapani 2020 

 

Evangelizzare: la parola è emersa inopinatamente qualche sera fa, durante l’incontro online tra noi Uomini in Cammino di Pinerolo e il Gruppo Uomini di Palermo. La tesi di chi l’ha pronunciata corrispondeva a quanto scrive Cavadi a pagina 111, citando Stefano Ciccone: “Ci collochiamo consapevolmente in quella minoranza di esseri umani che prima di assumersi il compito di cambiare il mondo preferiscono tentare di cambiare se stessi (...)”. E corrisponde perfettamente alla mia esperienza personale, che altrettanto consapevolmente metto in parole dicendo che questo cambiamento del maschile impegnerà tutta la vita di ciascuno e tutta la vita dell’umanità. E’ un “cammino”, appunto, che ci dona benessere e felicità mentre camminiamo, non quando saremo arrivati... dove?

Questo libro di Augusto, piccolo di formato ma denso di contenuti – analisi, riflessioni e proposte – a mio avviso si inscrive esattamente nella pratica “evangelizzatrice” che negli anni ha seminato in molti uomini il desiderio di dar vita a nuovi gruppi di autocoscienza maschile, perché non basta che cambi io, per migliorare il mondo: deve cambiare tutto il genere maschile, tutta la parte maschile dell’umanità. La strada non è che una: questo cambiamento avverrà a mano a mano che un uomo, poi un altro, poi un altro... si metteranno in cammino di cambiamento di sé. Non ci sono scorciatoie, palingenesi miracolose di massa... Ecco perché il cammino durerà tutta la vita dell’umanità. Perché l’aggressività maschile, agita in mille forme di violenza, viene da lontano ed è dura a finire. Cavadi dedica i capitoli dal 4 al 7 all’analisi delle sue diverse radici.

Le radici biologiche, innanzitutto: non solo la genitalità intrusiva del maschio, ma “più in generale, la sua struttura anatomica (...) non sono estranee alla divisione arcaica dei compiti, attestata dalle ricerche antropologiche, fra le donne – allevatrici di prole e coltivatrici della terra – e gli uomini, cacciatori e guerrieri” (p 27). Ma questa differenza biologica tra i due sessi, che consegna al maschio un vantaggio in forza bruta, attesta invece un vantaggio della donna sull’uomo: gravidanza, parto e allattamento sono una asimmetria tra i due sessi che “può risolversi – per vie inconsce – in una ragione in più di astio nei confronti del mondo femminile, di volontà di rivalsa” (p 35). Come possiamo uscirne bene? Smettendo di confrontarci con le donne in termini di competizione e di conflitto, ma scegliendo di riconoscere e nominare questa irriducibile differenza: solo così possiamo dare senso alla vita di uomini e donne. Perché “anche sotto le gerarchie maschili il nucleo matricentrico della società umana rimane” (p 38): riconoscerlo ci aiuta a superare con riconoscenza l’insicurezza e il risentimento che ha sempre generato nei maschi, e ci può avviare sui sentieri del possibile nuovo itinerario che è la trama del capitolo 8.

Le altre radici della violenza maschile contro le donne, analizzate da Cavadi, sono socio-economiche (cap 5),giuridico-culturali (cap 6) simbolico-religiose (cap 7). La tesi di fondo, che condivido con convinzione, è che “le credenze, le convinzioni, i dogmi, i riti incidono nell’immaginario collettivo dei credenti quanto dei non-credenti e degli agnostici” (p 63).

Il carattere e lo spirito “evangelizzatore” del libro lo colgo in pieno nel capitolo 8, nel quale Augusto traccia le linee di un possibile itinerario per il cambiamento maschile, raccogliendo e spargendo i semi buoni delle esperienze che si stanno consolidando da qualche decina d’anni. E’ l’invito ad abbandonare la dipendenza dai modelli stereotipati di virilità maschilista predominante, alla ricerca del “nostro modo personale di interpretare la maschilità”, scegliendo, nel confronto con uomini e donne, “quali siano i comportamenti che ci sembrano più convincenti e più corretti” (p 83). Ecco il senso del titolo del libro: liberarci dalla gabbia del patriarcato e imparare l’arte di essere maschi liberamente, non cloni stereotipati funzionali a logiche di dominio che non ci appartengono.

Il gruppo, disponibile alla sinergia operativa, si rivela sostegno decisivo e prezioso per questo cammino personale di libertà: “E’ necessario l’apporto di altre persone con cui confrontarsi, scambiarsi le esperienze, le critiche vicendevoli, i suggerimenti, gli incoraggiamenti” (p 92).

I frutti dell’autocoscienza maschile, praticata sia individualmente che collettivamente, vanno registrati osservando il comportamento effettivo quotidiano di chi la intraprende” (p 96). La consapevolezza acquisita si manifesta necessariamente nell’adozione di modi attenti di stare nelle relazioni con il corpo e con le parole: battute pesanti e barzellette sessiste sono armi tremende, che fatichiamo a deporre. E’ una questione di giustizia sociale, che ci chiede anche di “ridare valore al lavoro domestico e di cura (...) importante per la crescita personale – di uomini e di donne -, perché (...) cresciamo in autonomia e (...) rafforziamo l’empatia e il sentimento di solidarietà” (p 100).

Infine, Augusto rileva che questa pratica di autocoscienza personale in piccoli gruppi di maschi è, sì, essenziale, ma limitata sociologicamente. I numeri sono ancora sempre piccoli, anche se in costante lenta ascesa... “Da qui l’impegno – secondo le forze e i carismi di ciascuno – di farsi promotori di un’azione pedagogica e politica a più ampio raggio possibile, attivando occasioni di informazione e di formazione nelle scuole, negli uffici, nelle fabbriche, nelle associazioni laiche e religiose, nei sindacati, nei partiti...” (p 101). E’ l’essenza dell’evangelizzazione: parola che mi piace molto da quando ho maturato, grazie alle donne del femminismo e nella ricerca comunitaria, la convinzione che la buona notiziaannunciata da Gesù è che la felicità è possibile se uomini e donne riconoscono la matrice matriarcale della vita e scelgono di stare in tutte le loro relazioni con amore, cura e rispetto reciproco. Per noi maschi si tratta di abbandonare, consapevolmente e definitivamente, la cultura e le pratiche di stampo patriarcale, con tutto ciò che questo significa e che continueremo a indagare fino all’ultimo dei nostri giorni. La felicità sta nel cammino quotidiano, non al suo termine, che non vedremo.

Il capitolo 9 rilancia e risponde ad alcune obiezioni che sempre ci vengono rivolte:

·    La violenza non ha sesso – o, meglio, ha tutti i sessi... ma “nel caso della violenza maschile contro le femmine (...) ci troviamo probabilmente alla radice di tutte le manifestazioni: alla madre di tutte le violenze” (p 109).

·    Il maschilismo patriarcale è ormai superato. “L’esperienza diretta di molti e molte di noi attesta che (...) permane una visione delle cose assai poco progredita” (p 112).

·    Il separatismo perpetua la lotta tra i sessi. In realtà il movimento femminista e i gruppi di autocoscienza maschile sono nati dalla constatazione dell’esistenza di questa lotta tra i sessi che, visto il numero di vittime, viene spesso chiamata “guerra”; e - scrive Augusto – entrambi questi movimenti “lavorano per il proprio tramonto, per diventare superflui: per una società talmente equa da non aver bisogno di essi” (p 116).

·    La liberazione delle donne è un problema delle donne. Certo che no: è anche un problema degli uomini, perchè “la mentalità patriarcale è una grande gabbia da cui le donne devono liberarsi non meno degli uomini”. Serve un’azione sinergica e convergente di uomini e donne (p 117).

La Postfazione di Francesco Seminara – animatore del gruppo di Palermo, che non a caso si chiama “Noi uomini di Palermo contro la violenza sulle donne” – fa luce su tre grandi vantaggi che possono venire agli uomini dalla consapevole e convinta destrutturazione degli stereotipi di genere:

1.      Scoprire la propria dimensione sentimentale, abbandonando gli atteggiamenti predatori e scoprendo il bello della tenerezza, dell’intimità nelle relazioni, tra maschi e con le donne.

2.      Praticare professioni tradizionalmente vietate, “che comportino dedizione e cura nei confronti degli altri sia in ambito lavorativo che amicale (..) educatore, maestro d’infanzia, infermiere...” (p 126). Sono professioni poco attraenti anche perché poco retribuite a causa del pregiudizio patriarcale che affida all’uomo il dovere di mantenere la famiglia.

3.      Riacquistare la parità genitoriale in caso di separazione: “se il maschio si impegnasse seriamente in un ripensamento del proprio ruolo, dedicando – durante gli anni di convivenza dei coniugi – alla cura dei figli un’attenzione e un tempo pari a quanto abitualmente vi dedica la madre. I giudici potrebbero, con maggiore facilità, decidere per l’affido condiviso (...) disinnescando così un conflitto in cui spesso le vittime sono i soggetti più deboli, i figli” (p 128).

 

Il volumetto è completato da alcuni allegati, tra i quali desidero evidenziare il quarto: “I pregiudizi nelle frasi di noi giudici”. Si tratta di un articolo – scritto per un quotidiano di grande tiratura - a firma di Paola Di Nicola, magistrata a Roma, che ha raccolto in un suo pesante (simbolicamente e istituzionalmente) archivio i pregiudizi a carico delle donne che si possono leggere in alcune sentenze di “giudici del Nord e del Sud, uomini e donne, giovani e anziani”. Li elenco soltanto: “Le donne sono bugiarde – Le donne causano la violenza – Le donne esagerano – Le donne sono vittimiste – Le donne acconsentono”.

Commenta Paola Di Nicola: “Qui non c’è logica giuridica, ma un’inconsapevole condivisione degli stereotipi assorbiti dal contesto sociale e culturale in cui tutti si riconoscono. (...) Solo nei reati di violenza maschile la vittima non è creduta. (...) La ragione è che la struttura della violenza e la sua normalità sono talmente dentro di noi che non riusciamo a leggerla e reggerla, nemmeno se facciamo i giudici” (p 146).

Scrivere e divulgare, come fa Augusto Cavadi con indubbia maestria, le proprie riflessioni maturate e approfondite in gruppo e facendo tesoro di scritti altrui... anche questo si inscrive nelle pratiche di evangelizzazione, della diffusione della bellissima notizia agli uomini di tutto il mondo: la felicità è possibile! Mettiamoci tutti in cammino alla sua ricerca!

Beppe Pavan

 

sabato 20 febbraio 2021

L'INVIDIA. ESPLORAZIONE FRA DANTE E PITTURA


La "Casa dell'equità e della bellezza" apre virtualmente le porte per il consueto appuntamento settimanale di meditazione laica. Cosa ci riserva la meditazione di mercoledì 24 febbraio? Laura Mollica e Maurizio Muraglia, nel secondo incontro del ciclo dedicato ai 7 vizi capitali, ci svelano i volti dell'INVIDIA in un viaggio che va dall'arte figurativa a Dante.

Sin da subito potete ascoltare il video; poi, se volete condividere le vostre riflessioni, potrete collegarvi in diretta su Zoom con noi alle ore 18,30 di mercoledì 24 febbraio 2021:

lunedì 15 febbraio 2021

VATICANO E LAICITA' DELLO STATO ITALIANO: UN NUOVO LIBRO DI ELIO RINDONE

 

Elio Rindone ha pubblicato Italia colonia del Vaticano? In difesa della laicità dello Stato, www.ilmiolibro.it, Roma 2019, pp. 215, euro 15,00.

Riporto qui la mia Presentazione (pp. 7 - 11):

PRESENTAZIONE

 

Secondo Hegel,  il filosofo - attento scrutatore della Totalità -  per decifrarne il Senso nascosto non può che concentrare lo sguardo sull’umanità e sulla sua storia che dell’Assoluto sarebbero la manifestazione progressiva. In questa prospettiva non è difficile riconoscere una connotazione fortemente – direi eccessivamente – antropocentrica: almeno a me, sembra improbabile che il Tutto (Hegel lo chiamava anche Dio) abbia atteso miliardi di anni  per individuare un ‘luogo’ in cui rivelarsi, per giunta sapendo che si tratta di un ‘luogo’ destinato a scomparire dopo qualche battito di ali. Tuttavia, operate le debite riduzioni speculative, Hegel e i suoi prosecutori ‘storicisti’ (fra cui Marx e Gramsci non sono tra i minori) hanno lanciato un messaggio irreversibile: non si può fare filosofia ignorando il proprio tempo, le sue tensioni, i suoi drammi, le sue conquiste. 

  Elio Rindone, anche in questo quarto volume di una serie che si sarebbe potuta intitolare “Il Vaticano: sguardi dall’altra sponda del Tevere”, conferma che non si può riflettere sulle grandi tematiche filosofiche come se si vivesse in una bolla d’aria, isolati dal contesto  territoriale e dalla successione degli avvenimenti, come se fosse indifferente pensare il mondo dall’Africa o dalla Scandinavia. 

     Pensare in Italia, nel XXI secolo, può prescindere radicalmente dal fare i conti con il cattolicesimo (dal punto di vista delle idee) e dalla chiesa cattolica (dal punto di vista delle dinamiche socio-politiche)? Qualcuno, ancora infatuato dalle ondate della secolarizzazione, lo suppone. Non così chi è convinto che la secolarizzazione è stata un fenomeno strano: più che eliminare la sacralità, l’ha dislocata su altri templi, su altre liturgie, su altri dogmi (non necessariamente migliori dei precedenti), finendo con l’aprire la strada a una temperie che i sociologi sempre più spesso definiscono post-secolare. 

Se, dunque, almeno dalle nostre parti (ma forse in tutto l’Occidente, ma forse in tutto il pianeta), al manto del “religioso” non ci siamo mai veramente sottratti – e, se per caso ciò è avvenuto, sotto di  esso ci affrettiamo a ritornare -  la ragione critica non può esonerarsi dall’osservare, dall’analizzare, dal discernere, dal proporre piste inedite.  Non per aggredire pregiudizialmente né per difendere, altrettanto pregiudizialmente, istituzioni e personaggi che le hanno rappresentate o le rappresentano al presente; bensì per capire e – se si raggiungono orecchie e occhi ancora aperti – per far capire. 

       E’ con questo spirito di distacco ‘scientifico’ e, non di rado, ‘ironico’ che l’autore ripercorre gli ultimi decenni del Magistero cattolico, da Benedetto XV a Francesco, attraverso una serie di interventi che egli raccoglie seguendo la successione diacronica della pubblicazione originaria. A chi ne desiderasse una chiave di lettura  differente dalla cronologica, proporrei tre tematiche principali.

       In una prima sezione inserirei i saggi che sondano problematiche teologico-pastorali “interne” all’organismo ecclesiale: Sacra presunzione, Papa Francesco: ma i fatti?Un biennio di pontificato, Difficile rinnovare la Chiesa!

       In una seconda sezione catalogherei i saggi che riguardano le problematiche legate alla presenza, nel cuore dello Stato italiano, repubblicano e democratico, di uno Stato straniero fortemente connotato in senso monocratico e confessionale: Una passione per Costantino,  Il papa e la storia italianaVaticano e libertà di stampaA Scola di laicitàViva la scuola privata!, Una modesta proposta.

  Infine, dedicherei una terza sezione a due   saggi sulle posizioni del Magistero cattolico riguardo le tematiche planetarie epocali: Un comunista in Vaticano! e L’ONU, il papa e i migranti. Questi ultimi ci ricordano che bisogna non ingigantire le questioni locali – “nel cortile di casa nostra” – e tenere aperto lo sguardo anche, e soprattutto, sui processi di lunga durata. E’ proprio quando i segmenti della nostra piccola storia vengono restituiti al contesto delle tendenze mondiali che la filosofia mostra, insieme ai suoi limiti, i suoi compiti specifici: con i rischi del caso, essa – ed essa sola – può, dopo aver ascoltato docilmente storici e sociologi, antropologi e psicologi, cosmologi e biologi, sbilanciarsi al punto da riproporre le domande fondamentali dell’umanità e da valutare le principali strade (fra di esse alternative) che essa intraprende con maggiore o minore consapevolezza. In questo lavoro di orientamento, la filosofia sa di non doversi subordinare a nessun dogma e a nessun divieto; ma anche, sin dalle sue origini greche, di poter prestare ascolto alle indicazioni provenienti dalla dalle tradizioni mitologiche del passato, dalle profezie religiose e laiche del presente, dalla poesia di ogni tempo. 

 

Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com


venerdì 12 febbraio 2021

GRAZIE, MARILINA !


 Rilancio volentieri questo saluto rivolto alla mia amica Marilina Graziano da suo figlio Fabio Giannetto e da don Cosimo Scordato . Un'altra vittima del covid-19 che ci precede nel Mistero da cui  il nostro "io"  più intimo proviene e nel quale alla fine confluisce.

GRAZIE, MARILINA IMMENSA !

Non sempre bellezza fisica, psichica, morale e spirituale stanno insieme; ma quando questo avviene  allora non ti stanchi di 'riguardare' quella persona come quando sei dinanzi a un'opera d'arte. 
È il caso di Maria Angela Graziano, per tutti Marilina, nata il 13 gennaio del 1958 e volata al cielo il 31 gennaio a 63 anni.
La bellezza fisica la coglievi sul suo volto sorridente, liscio e splendido che portava alla luce, senza pieghe, vibrazioni che le scaturivano dal profondo, ma anche riflessi di luminosità provenienti d'Altrove.
La bellezza psichica prorompeva dallo sguardo attento e penetrante, che anticipava l'espressione del suo interlocutore come a metterlo a suo agio, spianando la strada a un dialogo amichevole.
La bellezza etica si coglieva nel suo gesto, netto e chiaro, nel quale traspariva la coerenza tra il suo atteggiamento interiore e le scelte di vita senza ambiguità; lo sapevi che Marilina stava dalla parte della gente sincera, dei bisognosi e delle persone più disagiate.
La sua bellezza spirituale coniugava le istanze della concretezza con quelle della idealità, aperta verso orizzonti sempre più ampi e belli, mettendo in conto il rischio della libertà creatrice verso un futuro nuovo e sorprendente.
Tutto questo ha preso corpo anche nell'insegnamento appassionato della teologia (Scuola teologica di base), nelle catechesi ispirate all'amore della Parola di Dio; ma, altrettanto, promuovendo le persone un tempo più marginali nella Chiesa come i separati, i risposati; e, più recentemente, gli LGBT attraverso confronti tematici, la veglia contro l'omofobia... Per non dire del suo prezioso lavoro di counseling, col quale ha potuto promuovere libertà e benessere in centinaia di persone, che hanno attinto alla sua cura intelligente e al suo accompagnamento empatico e affettuoso.  Un noto film di Christopher Nolan cita: "Non importa come si cade, ma come ci si rialza". Insegnamento più grande non avrebbe potuto darci Marilina. Una donna che ha sempre accolto la vita per ciò che era: un pendolo tra gioia e dolore, ma sempre apprezzando le piccole gioie quotidiane e la semplice bellezza di essere vivi. Adesso impareremo nuovamente da lei a rialzarci e ad onorare la vita. La sua memoria, e di coloro che come lei hanno lottato e si sono rialzati, non sarà dimenticata: la memoria è vita.
Grazie Marilina immensa!

Fabio Giannetto

Cosimo Scordato

 


giovedì 11 febbraio 2021

BRUNO GABRIELLI E AUGUSTO CAVADI: DIALOGO ON LINE SULLA SICILIA CROCEVIA DI RELIGIONI E AGNOSTICISMI

 



Venerdì 12 febbraio 2021, dalle ore 18.30  alle ore 19,30,
il pastore della Chiesa valdese-metodista di Palermo Bruno Gabrielli discuterà con Augusto Cavadi, autore del libro: 

DIO VISTO DA SUD
La Sicilia crocevia di religioni e agnosticismi 

Post-fazione di don Cosimo Scordato

Spazio Cultura Edizioni
(Palermo 2019, pp. 172, euro 10,00)
 

Il libro è disponibile in tutte le migliori librerie fisiche e on line d’Italia. 

La conversazione sarà visibile sul canale Facebook dello Spazio Cultura Edizioni accessibile anche a chi non è iscritto a Facebook. Basta cliccare qui:
 

lunedì 8 febbraio 2021

I MATTARELLA: DUE SICILIANI PER BENE


 “Il Gattopardo”

Dicembre 2020

 

UNA LEGITTIMA SPERANZA

 

Ci sono politici italiani famosi in tutto il mondo più per la vivacità scoppiettante della  vita privata che per le attività istituzionali. Ma non è questa la regola generale. L’attuale presidente della Repubblica italiana, ad esempio, è apprezzato – e non solo all’interno dei confini nazionali – per la  sobrietà dello stile di vita, il rispetto rigoroso delle regole formali e informali, la signorilità del tratto. Quando un attore comico vuole ironizzare  su di lui, può soltanto enfatizzarne la serietà del carattere e la misurata compostezza dei gesti. 

Pochi turisti sanno che Sergio Mattarella è palermitano e che a Palermo ha iniziato la sua carriera professionale e politica: una testimonianza preziosa per compensare, nell’immaginario comune, altre figure di siciliani molto meno rispettosi della legalità democratica e molto meno dediti al bene della società. Ancor meno numerosi sono i visitatori stranieri  che conoscono l’origine della decisione di Mattarella di impegnarsi  a tempo pieno nell’agone politico.

L’evento decisivo avvenne esattamente 40 anni fa, il 6 gennaio del 1980, quando un complotto politico-mafioso trucidò il fratello Piersanti che, nonostante la giovane età (non aveva ancora compiuto i 45 anni), occupava già la poltrona di presidente della giunta di governo regionale siciliana. Aurelio Grimaldi ha in questi mesi dedicato a Il delitto Mattarella un libro e un film. Per il più giovane Sergio, l’assassinio di Piersanti costituì una ferita dolorosa e non più rimarginabile, ma anche una sfida a raccogliere il testimone e proseguire la fatica del rinnovamento etico e politico. Infatti il presidente ucciso non era solo una presenza affettiva, ma anche una guida e un modello: a differenza di altri leader, prima e dopo di lui, Piersanti aveva voluto creare un vivaio di giovani che si preparassero – intellettualmente e moralmente – a servire la ‘polis’ (la ‘città’) mediante ruoli più o meno direttamente politici. Sono state raccolte recentissimamente  (Piersanti Mattarella. La persona, il politico, l’innovatore, a cura di A. La Spina, edito da Il pozzo di Giacobbe) una ventina di testimonianze di amici e collaboratori che ne evidenziano i legami con protagonisti di primo piano della storia italiana del Secondo dopoguerra : da Luigi Sturzo a Giorgio La Pira, da Sandro Pertini ad Aldo Moro. 

Piersanti Mattarella riuscì, nel suo tempo, a fare della Sicilia un laboratorio politico di rilevanza nazionale (anticipando i processi di avvicinamento del cattolicesimo democratico al socialismo dal volto umano), rinunziando a protagonismi infantili e a settarismi provinciali. Che il ‘miracolo’ si ripeta, nell’era della demagogia populista in cui i leader dei vari schieramenti sembrano cercare fan più che compagni di strada, costituisce una speranza legittima. Ma una previsione improbabile.

 

Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com

sabato 6 febbraio 2021

SPIRITUALITA' LAICA: RACCONTO DI ALCUNE ESPERIENZE EFFETTIVE


 “Viottoli”

Anno XXIII, N. 2/2020

 

OLTRE, MA ANCHE  PRIMA, DI OGNI OPZIONE RELIGIOSA: LA SPIRITUALITA’ LAICA

 

In un Paese di bimillenarie tradizioni cattoliche la parola ‘spiritualità’ ha finito col coincidere – e con l’essere sostituita – dalla parola ‘religione’: si dà per scontato che chi pratica una religione sia dotato spiritualmente e che, se qualcuno coltiva la spiritualità, sia anche un religioso nell’accezione confessionale, istituzionale, ecclesiale del termine. Agli inizi di questo secolo alcune amiche e alcuni amici, interessati alla dimensione spirituale piuttosto che alla pratica religiosa, mi hanno interpellato come “filosofo-in-pratica”: che potremmo inventarci quante/i di noi non accettano l’alternativa secca o il plesso inscindibile vita spirituale/religiosa o il deserto dell’edonismo consumistico? Non accettano l’alternativa scoraggiante domenicale fra la messa in parrocchia (dove il mondo sembra fermo al Medioevo, ma si avverte qualche alito spirituale) e  la giornata al centro commerciale (dove devi fingere di divertirti perché sgranocchi popcorn e succhi coca-cola) ? 

 

Le domeniche di chi non ha chiesa

La risposta che abbiamo costruito dialogando è stato un appuntamento mensile che perdura dall’autunno del 2002 e che, con un pizzico di auto-ironia, abbiamo chiamato  “la domenica di chi non ha chiesa”.  Alle 11 ci si vede (di solito non siamo meno di 12-14 né più di 28-30) e ci si accoglie a vicenda; alle 11,30 una persona che si è offerta il mese precedente (a giro: altrimenti diventa la domenica di chi non ha chiesa, ma ha un guru) dispone di un quarto d’ora per proporre un tema di meditazione (una poesia, un brano musicale, uno spezzone di film, un commento a un’opera pittorica, una pagina di diario da lui stesso scritta, un mix di queste sollecitazioni…) e, per circa un’altra ora, in clima di raccoglimento, chi vuole condivide le proprie risonanze interiori all’input ricevuto (senza dibattiti né contro-relazioni: abbiamo gli altri 29 giorni al mese per dialettizzare). Verso le 13 si rompe il silenzio e si condivide, in allegria, ciò che ognuno ha voluto cucinare e mettere sulla tavola. Dopo il pranzo c’è chi resta a chiacchierare, chi preferisce seguire il campionato di calcio agitandosi con gli amici, chi ritorna a casa per il riposino pomeridiano (secondo la buona tradizione mediterranea e latino-americana).

In questi appuntamenti domenicali cerchiamo (non sempre riuscendoci) di privilegiare la dimensione esistenziale, intuitiva, evocativa. Ma la maggior parte di noi siamo convinti che una spiritualità ‘laica’ non possa evitare la ricerca continua dei propri fondamenti razionali o per le meno ragionevoli: non possa, in altre parole, bypassare con disinvoltura gli interrogativi sulla verità. So che il vocabolo non gode di buona fama, ma – al di là del vocabolo – c’è un dato oggettivo: non si può vivere nessuna spiritualità sulla base dell’ignoranza, dell’inconsapevolezza, del dogmatismo, del tradizionalismo, del conformismo. La mia vita spirituale (dunque interiore, ma anche sociale; solitaria, ma anche comunitaria) vale quanto valgono le sue radici antropologiche: e come essere umano – come uomo e come donna – non posso vivere ignorando le conquiste delle scienze, il patrimonio artistico, le ricerche filosofiche, le opere della letteratura mondiale, i dibattiti socio-politici, i travagli delle grandi sapienze religiose dell’umanità…La vita spirituale è più che emotività, sentimento, ragione, impegno attivo e fattivo nella storia: ma è ‘più’ perché ingloba, anima e fa lievitare queste varie dimensioni, non perché ne predilige alcune e ne cancella altre. Certo questa sintesi è più un progetto, un modello verso cui tendere, che l’esperienza effettiva di ciascuna e di ciascuno di noi: ma proprio se condivido questa méta utopica avvertirò intimamente la necessità della comunità. Avvertirò la necessità di imparare dall’altro/a le disposizioni, le attitudini, le inclinazioni che mi mancano o mi difettano: di essere contagiato dalle qualità  che vedo rivelarsi nei tratti del volto altrui, nel suo stile di relazionarsi, nei suoi gesti più abituali. 

 

Le cenette filosofiche per non…filosofi  (e iniziative affini)

Per questo desiderio di non restare estranei a nulla di ciò che è umano, tra un appuntamento mensile e il successivo, ci vediamo due sere al mese per le “cenette filosofiche per non…filosofi”. I partecipanti (fra dieci e venticinque) scelgono un libro (un dialogo di Platone, un racconto di Tolstoj, un saggio di Jung o di Maria Zambrano o di Carlo Rovelli o di Vito Mancuso…), ne leggono un capitolo per volta a casa e – quando si incontrano – ne discutono insieme. La consegna sarebbe: evitare erudizione, citazioni, sottigliezze esegetiche (la stragrande maggioranza dei presenti non è laureata in filosofia e si occupa di tutt’altro nella vita) per evidenziare le riflessioni personali che quelle pagine hanno provocato quasi maieuticamente. 

Con lo stesso spirito di semplicità – che non è semplicioneria – cerchiamo di vivere altri eventi, il cui elenco completo sarebbe troppo lungo: le meditazioni settimanali (a partire da uno dei canti della Divina Commedia o da una poesia di Tagore o di Edgar Lee Masters o della considerazioni a braccio di qualcuno/a di noi sull’invidia come fenomeno psicologico e morale…); i week-end in fattoria (per esempio sul tema della morte o dell’accoglienza degli stranieri); le vacanze annuali estive (sul tema dell’amore di coppia o dell’impegno politico o dei rischi di ogni regime democratico…);  i festival di filosofia di strada (con passeggiate, colazioni al bar, dibattiti in teatro, esecuzioni musicali, presentazioni di novità editoriali…). Tutte queste iniziative (di cui do conto, preventivamente e poi a titolo di consuntivo , sul mio blog: www.augustocavadi.it) cercano di tenere insieme la serietà della ricerca, la libertà dei partecipanti (a cui non si chiede nessuna condizione pregiudiziale, tranne il rispetto per la libertà degli altri), la condivisione dei pasti e dei momenti di distensione, una certa “leggerezza” (nel senso di Italo Calvino) dal momento che etimologicamente ‘spiritualità’ è connessa a ‘spiritosità’. Anche quando si è trattato di celebrare matrimoni e funerali ‘laici’ sperimentando creativamente formule, gesti, simboli inventati da noi su misura dei protagonisti e delle circostanze.

 

Per un bilancio

Mi rendo conto da solo che la proposta spirituale qui sommariamente abbozzata si presenta come una costellazione ambiziosa: sintetizzare già all’interno di ogni soggetto le varie potenzialità (affettive, intuitive, razionali, relazionali, operative…) e, per giunta, tentare una sorta di osmosi fra i vari soggetti (in modo che la povertà costitutiva di ciascuno venga in qualche modo compensata dalla contaminazione reciproca). Ma i più anziani fra noi sappiamo che per sperare di colpire un bersaglio, specie se lontano,  dobbiamo mirare sempre un po’ più in alto. Comunque, a parte i limiti della attrazione simpatetica  che la nostra cerchia di amici riesce a esercitare, forse è nella pretenziosità   del nostro progetto che va individuata una delle ragioni del fatto che, pur essendo aperti a ogni nuovo arrivo, in circa vent’anni non abbiamo raggiunto numeri da capogiro: una quindicina di fedelissimi onnipresenti intorno ai quali gravitano, fra un’iniziativa e l’altra, una cinquantina di persone. E’ ovvio che di persone ne siano passate molte di più: ma, da Marcuse a oggi, “l’uomo a una dimensione” domina l’immaginario collettivo. Chi propende per lo studio individuale approfondito può trovare dispersivo incontrare persone meno istruite; chi si trova a suo agio con una devozione  religiosa tradizionale può avvertire come  superflua ogni riflessione critica; chi propende per le gratificazioni della prassi  può ritenere sterile coltivare la contemplazione estetica…e così via. Ma noi accettiamo con realismo la precarietà costitutiva della nostra esperienza spirituale: se le nostre esistenze individuali sono effimere, perché non dovrebbero esserlo le nostre esperienze comunitarie? Una volta appreso che neppure Gesù aveva intenzione di fondare una chiesa che sfidasse i millenni, sarebbe grottesco che volessimo fondare la “chiesa”  di chi non ha… chiesa.

 

Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com

giovedì 4 febbraio 2021

" I QUATTRO MAESTRI " : VITO MANCUSO NE DISCUTE con AUGUSTO CAVADI on line VENERDI' 5 FEBBRAIO 2021, ORE 18,00


Venerdì 5 febbraio 2021 ON LINE dalle ore 18.00 alle ore 19.45

Spazio Cultura Libreria Macaione 

via Marchese di Villabianca 102, Palermo

si terrà la presentazione del nuovo libro di Vito Mancuso

 “I quattro maestri” (Garzanti 2020, euro 19,00).

Dopo i saluti introduttivi di Nicola Macaione

Augusto Cavadi 

dialogherà con l’Autore in remoto. 

Sarà possibile seguire l'evento sulla pagina Facebook

 di Spazio Cultura  Libreria  Macaione    https://www.facebook.com/spazioculturalibri

martedì 2 febbraio 2021

COMPITI (PIU' O MENO ADEMPIUTI) DELLA CHIESA CATTOLICA CONTRO LA MAFIA


 COSA HA FATTO (E COSA NON FA) LA CHIESA CONTRO LA  MAFIA

 

Alcuni liceali, simpaticamente curiosi, mi hanno chiesto un parere sul ruolo della chiesa cattolica nella lotta al sistema mafioso. La risposta è semplice e complessa. Semplice perché, a mio avviso, le spettano i compiti  che tutte le organizzazioni della società devono svolgere; complessa perché questi  compiti  sono poliedrici, articolati, tentacolari.

In una società pluralistica, a differenza del passato, la chiesa cattolica non gode di  nessuna forma di  monopolio strategico: ciò che può, e deve, fare è sulla stessa linea  di altre agenzie educative (come le comunità ebraiche, islamiche, induiste, buddhiste; la scuola e l’università; i centri di studio e i laboratori di ricerca; le reti radiotelevisive e i giornali sia cartacei che on line) e di altre forme associative (dai partiti politici ai sindacati, dai movimenti alle organizzazioni del Terzo settore). Direi di più: la chiesa cattolica dovrebbe lavorare non solo come le altre aggregazioni sociali ma – per quanto possibile concretamente di volta in volta -  in cooperazione con esse. La forza della mafia sta nella sua capacità di infiltrarsi, trasversalmente, nei gangli delle istituzioni e della società: solo un coordinamento altrettanto trasversale dei cittadini decisi a liberarsene potrebbe sperare di riuscirci. Qua la radice della tragedia: la criminalità è (quasi sempre) organizzata, la legalità democratica è (quasi sempre) disorganizzata. 

Quali sono i livelli più rilevanti in cui si può srotolare un impegno incisivamente antimafioso? 

Li richiamo brevemente esemplificando, per ciascuno di essi, alcune modalità specifiche in cui la chiesa cattolica potrebbe declinarli.

Innanzitutto il livello della conoscenza: la mafia prospera all’ombra dei luoghi comuni e dell’approssimazione analitica. Va smascherata nella sua ideologia di base, ma anche monitorata nelle sue continue trasformazioni. Sin dagli anni della formazione  teologico-pastorale si dovrebbero moltiplicare dunque per preti e suore, catechisti e catechiste,  le occasioni di studio, di riflessione e di aggiornamento. 

Grazie all’arma dell’intelligenza si scoprirebbe  che la mafia è un soggetto ‘politico’ e che non sarebbe mafia se non avesse, dall’origine, un rapporto intrinseco con lo Stato.