domenica 27 dicembre 2009

Il “lato B” della mafia


“Repubblica - Palermo”
27. 12. 2009

Augusto Cavadi

Angelo Vecchio
LA MAFIA DEL CULO
Nuova Ipsa
pagine 176
euro 15

La cronaca registra giri sempre più frenetici di “utilizzatori finali” di donnine allegre, transessuali seducenti e persino minori più o meno plagiati. E’ ovvio che un cronista di nera con la passione letteraria, come Angelo Vecchio, abbia avvertito il desiderio di trasporre in un romanzo - leggibile e a tratti avvincente - le notizie con cui lavora quotidianamente. La mafia del culo è il risultato di questo desiderio. Il racconto è costruito come la sceneggiatura di una puntata delle tante serie poliziesche televisive: e di questo taglio possiede pregi (ritmo incalzante, intreccio di vicende private e scenari sociali, fruibilità popolare) e limiti (soprattutto la fisionomia dei vari personaggi, un po’ troppo prevedibili, quasi riproduzioni di tipologie già viste, specie dopo l’inizio dell’era camilleriana). Nonostante il titolo, la mafia in senso tecnico (per intenderci: “Cosa nostra”) non entra nella trama. C’entra un’organizzazione segreta che delle associazioni mafiose possiede più di un tratto: dispone di denaro a fiumi, manovra uomini delle istituzioni e, se necessario, usa la violenza. Di specifico ha un’attrazione verso il lato B dei maschietti: il che la rende più pruriginosa, non meno pericolosa della mafia di cui l’autore si è a lungo occupato - con facilità di penna e zelo civico - su altri registri di scrittura.

giovedì 24 dicembre 2009

“Il Dio dei mafiosi” recensito su “Repubblica - Palermo”


Gabriele Barone mi ha recensito “Il Dio dei mafiosi”:

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2009/11/29/il-dio-dei-boss.html

domenica 20 dicembre 2009

LA SECONDA MODERNITA’


Repubblica – Palermo 20.12.2009

Sébastien Charles

L’IPERMODERNO SPIEGATO AI BAMBINI

Bonanno
pagine 155
euro 14

Quanti tra noi hanno i capelli brizzolati ritenevano, negli anni del liceo, di vivere la modernità. Poi, dopo il 1968, all’università hanno imparato di esser transitati in un’epoca successiva: la post-modernità. Da qualche tempo però gli viene notificato un contro-ordine: ne L’ipermoderno spiegato ai bambini, per esempio, Sebastien Charles, sostiene che “noi abbiamo oramai a che fare non con una rottura nei confronti della modernità ma con la sua radicalizzazione, non col postmoderno ma con l’ipermoderno”. Infatti i “princìpi costitutivi della modernità” (quali “la razionalizzazione tecnica del mondo, l’economia di mercato, la democratizzazione dello spazio pubblico e l’estendersi della logica individualistica”) non solo non sono rifluiti, ma anzi non hanno cessato di guadagnare terreno. Che è poi un altro modo di chiamare il nostro tempo “ultra-moderno” o “metamoderno”: insomma la “seconda modernità” in cui siamo immersi senza aver mai abbandonato la prima.
Come spiega nella nota introduttiva Davide Miccione, acuto curatore dell’edizione italiana, l’autore canadese dà prova di un pensiero “umile-presuntuoso”: presuntuoso perché cerca di definire la multiformità del contemporaneo; umile perché sa di non poter includere tutto in una sola categoria e che “ciò che c’è da capire sembra essere il fatto che non ci sia granché da capire”.

sabato 19 dicembre 2009

Nicola Lo Bianco recensisce “Chiedete e non vi sarà dato”


Dal sito internet www.ilportaledelsud.org/approfondimenti.htm#1107

A. Cavadi, Chiedete e non vi sarà dato. Per una filosofia (pratica) dell’amore,
Editrice Petite plaisance, Pistoia 2009.

Recensione

La rivoluzione indifferibile
Cosa è stato, che cos’è, quale amore?
Augusto Cavadi, in questo agile, intelligente volume di poco più di cento pagine(oltre ad un’orientante Appendice di recensioni relative all’argomento) mette in circolazione una problematica di grande interesse in un periodo di inestricabile confusione morale che Galimberti, riferendosi ai giovani, definisce di “analfabetismo emotivo”, ma che sarebbe più propriamente da definire “analfabetismo sentimentale”.
Risponde, almeno secondo il mio punto di vista, alla esigenza, già in atto in alcuni limitati settori culturali, di riconsiderare alcuni fondamenti della cultura occidentale, come ad es., in ambito storico/ideologico, il “relativismo”, che ci ha portati fatalmente al “nichilismo”, a questo, dice il poeta Andrea Zanzotto, “ricchissimo nihil”.
La “rivoluzione indifferibile” è il capitolo sul quale è opportuno soffermarsi maggiormente, perché appare come la sintesi, il senso e la proposta filosofico/teologica di tutto il libro.
Nei capitoli precedenti, dopo una necessaria ed utile delucidazione delle concezioni storicamente fondamentali dell’amore, dall’eros/desiderio, all’amore/carità, all’amore agàpe/fratellanza, Cavadi, sulle orme delle riflessioni di Armido Rizzi (Dio in cerca dell’uomo. Rifare la spiritualità, Ediz. Paoline), mostra quanto sia confacente al nostro tempo prendere in attiva considerazione il messaggio etico/religioso di una possibile “liberazione spirituale”.

La domanda, fondamentale, alla quale l’Autore cerca di dare una risposta di per sé problematica, è –che significa “amare il prossimo”?-.
E’ possibile che secoli di devozione per “meritare” l’amore di Dio abbiano distorto l’evangelico amore agapico, l’amore/fratellanza? Che anche il sentimento religioso si sia radicato come egoistico amore di sé, prima e a discapito dell’amore per “gli altri”?
L’amore di sé è ontologico, ineludibile:ma l’amore per gli “altri” davvero diminuisce l’amore di sé, o, al contrario, lo accresce?
Si tratta di rivedere il rapporto uomo/Dio, di assumere un “nuovo” modo di amare Dio:non Dio “desiderio infinito di sé”, un Dio che si attende “adorazione e gratitudine”, ma Dio/donazione, “amore divino per l’uomo”, Dio che ama “nel dargli quei beni di cui un uomo abbisogna:un mondo dove vi sia pane e casa, affetto e bellezza, lavoro e cultura”.(p.41)
Il riflesso religioso, culturale, nel comportamento umano sarebbe non più “la priorità della cura di sé”, ma “la precedenza alla preoccupazione di saziare negli altri la fame di pane e di poesia, di compagnia e di contemplazione”.(p.46)
Riconoscere nell’altro il “povero”, “l’indigente”, cioè colui al quale manca o è sottratto qualcosa per essere uomo “compiutamente umano”, “mi fa trovare in me il povero che Dio ama…il bisogno dell’altro fa assurgere anche il mio bisogno, di riflesso, a mio diritto”.(46)
“Liberazione” è, perciò, la possibilità/volontà di infrangere quel grumo di egocentrismo che, in definitiva, porta, entro una cerchia più o meno ampia, ad amare solo “i nostri” e ad escludere, se non a perseguitare, chi “nostro” non è:benevolenza, ad es., soccorso, difesa, rispetto, solo se “fa parte” del mio ambiente, della mia classe, del mio partito, della mia ideologia, della mia religione…
E’ il secolare atteggiamento che, portato alle estreme conseguenze, calato nel nostro tempo in un sistema di arbitrio e di controllo totale(tranne, si capisce, l’infinita libertà di consumo), ha reso possibile, ieri come oggi, i campi di concentramento.
“Ridefinire tutto”, a partire dal concetto di soggetto individuale, non “come il fine a cui tende la storia del cosmo…”, ma come “unicità di ciascuno da restituire al grembo originario della collettività… che è locale, nazionale, planetaria”.(p.48)
Insomma, non un chiuso, esclusivo, asfittico amore di sé, ma come sentimento circolare, dall’amore/eros all’amore/carità, che nasce e si riverbera dalla e nella collettività, che trova pienezza e valore dalla e nella corrispondenza, come una molteplicità di specchi che si riflettono gli uni sugli altri.
Si potrebbe richiamare, seppure in ambito più propriamente formativo, l’antico proverbio cinese, secondo il quale “per fare un uomo ci vuole un intero villaggio”.
Un amore che è espressione di una più ampia e confortante socialità.
Che è come dire, per usare le parole di Garcia Marquez, che “anche l’amore s’impara”, e perciò la responsabilità dell’amore/agape è del singolo, ma anche della collettività, di un rapporto dialettico, che, infine, è primaria responsabilità della politica, di una “radicalmente diversa” prassi politica che “ha bisogno dell’amore per non sclerotizzarsi in amministrazione dell’esistente”.E che ciò sia giusto necessario e possibile ce lo dimostra l’esempio luminoso del “sindaco santo” di Firenze, Giorgio La Pira, il cui principio coerentemente praticato, pur nelle sconcezze della politica, era “ogni movimento è un commovimento”.
E questo aspetto, amore/politica/amore, che mi sembra imprescindibile per dare autenticità alla speranza che il pensiero di Cavadi sottintende, dovrebbe trovare più ampia ed approfondita trattazione.
Un pregio ancora vorrei sottolineare:oltre al fervido contenuto, ed in conformità alle intenzioni dell’Autore, l’argomento è trattato con un approccio divulgativo, quasi un andamento didattico che avvince i lettori che , come me, non hanno dimestichezza con la filosofia, e tanto meno con la teologia.
Nicola Lo Bianco

venerdì 18 dicembre 2009

TRADIZIONI


GIOVANE MUSICA SICILIANA ALL’ UNESCO DI PARIGI

Il 25 novembre, a Parigi, presso la sede dell’ UNESCO (l’ Organizzazione educativa, scientifica e culturale delle Nazioni Unite), 200 ragazzini di tutto il mondo hanno festeggiato il ventesimo anniversario della Convenzione ONU sui Diritti dei bambini ( eguaglianza, identità, educazione, gioco, salute, protezione, libertà di pensiero, di opinione e di religione, lavoro, difesa nei conflitti armati, etc.). Per ogni diritto menzionato si sono succeduti interventi e testimonianze (canti, letture di testi, danze, film, montaggi, foto, etc.) di Organizzazioni non governative che hanno rappresentato la società civile nella sua diversità culturale. Anche i bambini che hanno partecipato alla manifestazione provenivano da strutture scolastiche e associative rispettanti la diversità culturale e geografica. Ogni intervento è stato seguito da un dialogo con la sala, specialmente con i bambini presenti.

Sono state presentate le storie di bambini-simbolo quali Iqbal Masih (1983-1995, Pakistan, vittima dello sfruttamento minorile, consacratosi all’età di 10 anni alla lotta contro la schiavitù dei bambini ed assassinato a 12 anni) e di grandi pedagogisti che hanno trasformato la pedagogia, Maria Montessori, Janus Korczak, Célestin Freinet, Stanislas Tomkiewicz.
I diritti del bambino sono stati interpretati anche da una delegazione di giovani musicisti siciliani di 12 e 13 anni, guidata dal maestro Alessandro Valenza e dalla rappresentante all’UNESCO dell’ International Fellowship of Reconciliation-Movimento Internazionale della Riconciliazione (IFOR-MIR), Maria Antonietta Malleo. Il gruppetto di siciliani si è esibito nell’ esecuzione di brani a sostegno dei diritti all’eguaglianza e alla scuola, affinchè ogni bambino possa sviluppare ed esprimere i propri talenti; di giocare, di ridere, di sognare; di non partecipare ai conflitti armati, riscuotendo numerosi consensi ed apprezzamenti. Ispirandosi alla genialità di Mozart, enfant prodige, il Quartetto di flauti, “Aulòs” composto dai tredicenni Giuseppe Attinasi, Giuseppe Di Gangi, Angelo Di Figlia, Antonio Cristiano Guerra, (Istituto comprensivo di Petralia Soprana, sezione di Blufi, Palermo), ha eseguito una Suite barocca per sottolineare il diritto all’eguaglianza e alla scuola, affinchè ogni bambino possa sviluppare ed esprimere i propri talenti. Una presenza, questa, anche a supporto della lotta che essi conducono per la sopravvivenza della scuola della loro piccola comunità montana nel Parco delle Madonie, che rischia di essere soppressa. I diritti di giocare, di ridere, di sognare, e di non partecipare ai conflitti armati sono stati sottolineati con il Tema de “La vita è bella” (Benigni-Piovani), eseguito su immagini dal film dal Quartetto Aulòs, e con la Danza araba, eseguita al piano dal dodicenne Enrico Lo Baido (Scuola media “Vittorio Emanuele Orlando” Palermo) quale espressione di pace e nonviolenza per i bambini che vivono in zone di conflitto e della multiculturalità della Sicilia mediterranea.
Al loro ritorno gli stessi partecipanti saranno protagonisti ed animatori di uno o più incontri sulla Convenzione, rivolti alle scuole, alle associazioni di appartenenza, ai coetanei, vivendo un’ esperienza di progettualità partecipata che garantirà una ricaduta locale al lavoro di sensibilizzazione internazionale sui diritti del bambino nel ventesimo anniversario della Convenzione dell’ONU.

giovedì 17 dicembre 2009

SCUOLA E MAFIA


Repubblica – Palermo 17.12.2009

LA SCUOLA ANTIMAFIA NON REGALA DIPLOMI

Il dibattito sui vuoti di organico nelle sedi giudiziarie più scottanti registra opinioni abbastanza discordanti fra il ministro della giustizia e alcuni magistrati impegnati in territori mafiosi. Un ricordo autobiografico può apportare, alla riflessione critica del cittadino, qualche elemento in più. Nel corso di un seminario, organizzato dalla Scuola di formazione etico-politica “G. Falcone” circa dieci anni fa, ebbi a chiedere al procuratore Grasso come mai il Csm lasciasse vacanti tanti posti di magistrati. “Lo chieda ai suoi colleghi che insegnano nelle scuole secondarie e all’università - fu la risposta- : come facciamo ad inserire nei ruoli candidati laureati che non sanno neppure scrivere in italiano decente?”.
Alla luce di indagini anche recentissime sul livello di istruzione degli alunni italiani - e meridionali in particolare - sarebbe difficile tacciare di esagerazione la risposta del magistrato. Noi insegnanti dovremmo dunque, accantonata la tentazione di reagire corporativisticamente, provare a fare il punto sulla situazione in maniera adulta e oggettiva.

Che in molti docenti di ogni ordine e grado vi sia una sincera volontà di servire la causa dell’antimafia mediante il proprio lavoro quotidiano, non è contestabile: a parte qualche rara eccezione di insegnante frustrato che cerca di utilizzare le attività di educazione alla legalità per compensare frustrazioni personali e professionali, la stragrande maggioranza è animata da una passione civile che in qualche caso trovo commovente. La questione vera è però un’altra: alle benemerite intenzioni corrisponde una saggezza pedagogica adeguata? Oppure proprio i maestri e i professori più ‘progressisti’ finiscono - certo senza volerlo - per abbassare il livello medio dell’istruzione dei loro alunni e per contribuire così a ritardare un autentico rinnovamento del tessuto sociale meridionale? Per limitarmi ad un solo aspetto: quanti stravolgono la lezione di don Milani sulla necessità di superare la scuola capitalisticamente selettiva? Il parroco di Barbiana era certo contro la scuola che boccia i figli dei poveri, ma per evitare che ciò accadesse non auspicava che venissero sfornati ignoranti ricchi e poveri alla stessa stregua: al contrario, faceva studiare i suoi ragazzini poveri dieci ore al giorno e persino la domenica.
Insomma: vogliamo davvero - come educatori (insegnanti, genitori, animatori sociali) - dare un piccolo, ma decisivo, contributo ad una amministrazione statale culturalmente più attrezzata contro il sistema di potere mafioso? Possiamo fare tanto (dai cineforum alle manifestazioni, dai convegni alle visite guidate, dall’incontro con testimoni ai seminari pomeridiani di aggiornamento), ma solo se non sorvoliamo la base di partenza: insegnare a leggere, a scrivere e a far di conto. Non mi voglio pronunziare sui criteri più opportuni per la scuola dell’obbligo: ma nelle scuole secondarie superiori e nelle facoltà universitarie non ci dovrebbe essere alcun dubbio nell’esigere dei livelli medi di preparazione. Non in nome di anacronistiche ed elitarie meritocrazie, ma per amore della democrazia e per difesa dai suoi nemici (che, non è un caso, spiccano quasi sempre per ignoranza e per odio all’istruzione). Che le scuole private (purtroppo anche tra quelle pochissime, cattoliche, che a Palermo erano tradizionalmente immuni dal lassismo più o meno mercificato) regalino pezzi di carta, è triste ma non evitabile nell’immediato. Che lo continuino a fare anche le scuole pubbliche statali è due volte triste ed è immediatamente evitabile. Quando un docente è tentato (per ‘raccomandazione’ o per pietismo o per solidarietà con le classi meno abbienti o per qualsiasi altra ragione) di chiudere un occhio sulle lacune dei propri alunni, si ricordi che - oltre a varie altre conseguenze - sta facendo un regalo all’illegalità sistemica. Non è detto che laureati in grado di capire un libro di sociologia - o di scrivere in italiano accettabile una tesi di diritto penale - saranno dei magistrati competenti e coraggiosi: ma è certo che, senza queste basi, non lo saranno.

lunedì 14 dicembre 2009

Una doppia recensione (molto generosa) di Gino Adamo


Ricevo - e volentieri rendo pubblico - questo messaggio, sin troppo generoso, di un amico che è stato sempre un acuto lettore:

Caro Augusto,

mi rallegro vivamente per il successo che stanno raccogliendo i tuoi ultimi libri, “La Mafia spiegata ai turisti” e “Il Dio dei Mafiosi”, opere che era tempo che qualcuno si decidesse a scrivere, per chiarire le idee a molti visitatori che del fenomeno mafioso mostrano di possedere idee assai approssimative e confuse, e che, in parecchi casi (si è visto anche questo) sono sollecitati a compiere il viaggio in Sicilia da dépliant pubblicitari (a cura di spregiudicati tour operator) che, nel promuovere un certo turismo di massa nell’Isola, fanno scoperto assegnamento su quanto di truce, di colorito e di banalmente grottesco emerge dalle cronache giornalistiche, che, soprattutto all’estero(specialmente Germania e paesi scandinavi), risultano le meno adatte ad offrire un quadro vagamente attendibile di questo nostro tumore criminale. Ecco quindi che libri come il tuo aiutano a capire: con serietà e levità! aggiungerei, con un lampo di sorriso intelligente, penetrando tratti di un sistema di potere criminale che, di per sé, di attraente non avrebbe proprio nulla. Anzi. E che, tuttavia, costituisce una realtà che non va né celata né attenuata, ma resa digeribile e assimilabile da tanta gente, la quale difficilmente - lo sappiamo - si sobbarcherebbe alla lettura di saggi ponderosi sul tema.

L’altra opera - inerente al presunto spirito mistico di tanti volgari assassini - mi sembra non meno importante della prima, per illuminare desueti aspetti di Cosa Nostra, che anche molti italiani stentano tuttora a capire, e sui quali, ancora una volta, grazie all’incisiva chiarezza e ironica bonomia, che sono doni che ti appartengono, riesci a gettare ampi sprazzi di luce che illuminano una sconcertante “fede mafiosa”, fin dall’interno di ataviche spelonche psichiche (culturali e familiari): una credenza chiaramente vuota di contenuti cristiani, un altare blasfemo, che farebbe inorridire anche il più irriducibile agnostico. Eppure i pretesi “uomini d’onore” credono di poter incredibilmente conciliare una fede bimillenaria con il loro orrido, disgustoso mestiere di spietati assassini.

Questo impadronirsi di Cristo da parte di individui spregevoli che non conoscono pietà neanche verso innocenti (come il povero bambino strangolato e disciolto nell’acido) non può non richiamare alla memoria l’inferno del sistema concentrazionario dei Lager, dove donne e bambini all’arrivo nei campi di sterminio veniva subito avviati alle camere a gas e i corpi distrutti nei forni crematori. Anche nel Terzo Reich, agli antipodi di ogni credenza religiosa, pure, come sappiamo, si faceva largo uso del nome di Dio. E’ appena il caso di ricordare la frase stampigliata a fuovo sui cinturoni militari delle SS: “Gott mit uns”.
Per concludere.
Due libri belli e utilissimi, che vedrei molto volentieri adottati nelle scuole: ma sarà possibile, nello sfacelo di questa istituzione, riuscirci? Per amore verso l’attuale generazione, incrocio le dita perché l’auspicio si avveri.
Infine - sempre in tema di auspici - mi è adesso grato esprimere, a tua moglie e a te, i migliori auguri di trascorrere una serena festività natalizia, al contempo anticipandovi i più fervidi voti per il Nuovo Anno.

E che (!) Dio ce la mandi buona!
Un abbraccio,
Gino Adamo

domenica 13 dicembre 2009

Quando il Sud può dare una mano al Nord


“Centonove”
11.12.09

ANTIMAFIA: SE NORD CHIAMA SUD

“Che cosa può fare il Nord per aiutare il Sud a liberarsi dalla mafia? Da anni, qui in Lombardia, i cittadini più sensibili si rimpallano questa domanda. Ma, alla vigilia delle grandi opere pubbliche per Milano Expo, è forse arrivato il momento di invertire l’interrogativo: che cosa può fare il Sud per aiutare il Nord a prendere coscienza del pericolo mafioso e attrezzarsi per sradicare le infiltrazioni già in atto?”. Questo passaggio di un intervento al Convegno, organizzato dall’Università di Bergamo, su “Legalità è partecipazione” può dare un’idea del clima nel quale studiosi, ragazzi di “Addiopizzo”, artisti, soci delle cooperative di “Libera” che gestiscono terre confiscate a mafiosi, si sono incontrati negli ultimi giorni di novembre: fuori dai luoghi comuni, dalla retorica d’occasione, per provare a raccontare (anche grazie ad un docu-film efficace di Paolo Maselli e Daniela Gambino) una Sicilia che resiste. E che, con gesti concreti, sta rendendo possibile un futuro migliore.
Ma davvero l’isola mediterranea, così sfregiata dalla criminalità affaristico-politica, può dare una mano ai concittadini settentrionali? La premessa, per nulla ovvia, è che ce ne sia la necessità. Un imprenditore palermitano, trasferitosi di recente a Milano proprio perchè stanco di lottare contro il racket delle estorsioni, lo ha confidato nel corso di una conversazione privata: “Tutto potevo aspettarmi, tranne che nel capoluogo lombardo il negozio di fronte al mio e quello accanto pagassero mensilmente il pizzo”. E la Lombardia risulta fra le regioni d’Italia in cui più alti sono - per numero e per valore finanziario - immobili e aziende sequestrate a mafiosi.

Per ragioni del genere, la Filca-Cisl lombarda ha firmato proprio in queste settimane un protocollo d’intesa con la federazione omologa siciliana allo scopo di monitorare i trasferimenti sospetti di uomini, mezzi e materiali sì da individuare e denunziare, sin dalle prime mosse, le operazioni più sporche. Nonché per attivare, sinergicamente, percorsi di informazione e di formazione sul tema della legalità democratica e della contrapposizione sociale ai condizionamenti criminali dell’economia.
Che Bergamo, provincia ad alta densità leghista, dia segnali di viva sensibilità su questo versante è doppiamente significativo. Intanto perché, fra i Mille che hanno seguito Giuseppe Garibaldi nell’impresa di liberare il regno di Napoli dai Borbone, centinaia erano proprio volontari provenienti da quell’area geografica: davvero opportuno, dunque, che ci siano oggi bergamaschi impegnati a neutralizzare i tentativi ruspanti di separare ciò che i loro stessi avi (non senza l’apporto di picciotti locali) hanno contribuito ad unificare.
Una seconda ragione l’ha ‘rivelata’, con tono semiserio, don Luigi Ciotti conversando con mille studenti in un momento clou dei tre giorni: i corleonesi sono i più padani dei meridionali. Quando hanno avuto luogo i Vespri Siciliani, nella seconda metà del XIII secolo, a Corleone si parlava il dialetto bergamasco-bresciano: da quelle pianure e da quelle valli, infatti, erano partiti, circa cinquanta anni prima, i contadini scelti per subentrare - come coloni e come lavoratori della terra - agli arabi che ne erano stati allontanati. E’ molto probabile che Bossi, queste cose, non le sappia e non le sospetti neppure: ma se qualcuno un giorno gliele racconterà, anche il Senatùr sarà messo in grado di capire che nel dna dei cittadini di Corleone e dintorni non c’é alcuna propensione genetica al crimine. Anzi, la maggior parte di loro vive con laboriosa fatica la quotidianità; non pochi, da Bernardino Verro a Placido Rizzotto, hanno inoltre dedicato l’esistenza a fare della capitale morale della mafia un vessillo di antimafia.

Augusto Cavadi

mercoledì 9 dicembre 2009

“L’Eco di Bergamo” parla de “Il Dio dei mafiosi”



Intervista su “La Sicilia” per “Il Dio dei mafiosi”


Il Vangelo dell’uomo d’onore
«La Chiesa offre troppe sponde», dice Augusto Cavadi autore del libro «Il Dio dei mafiosi»

di FRANCESCO MANNONI

“Dio solo è grande. Ma lo zio Totò neppure scherza”. E’ l’incipit di un minuscolo libriccino ricavato dai pizzini con cui Provenzano gestiva nell’era dell’informatica onnipervasiva, l’impero mafioso di cui era capo.
A far luce sui presunti intrecci tra mafia e religione, arriva un libro del professor Augusto Cavadi, studioso del fenomeno mafioso e autore di numerosi saggi, che si attesta come un’indagine a 360° gradi su questo spinoso problema: “Il Dio dei mafiosi” (San Paolo, pp. 243, € 18,00).
L’autore, che svolge attività di insegnamento e di consulenza filosofica presso scuole, università e altre istituzioni pubbliche, ed è membro dell’associazione teologica italiana, precisa che da lungo tempo studia il rapporto fra Chiese e mafie, o almeno fra alcuni uomini di Chiesa ed alcuni uomini di mafia.
“I rapporti fra mondo cattolico e ambienti mafiosi - spiega - ci sono stati e non senza conseguenze di rilievo. In alcuni casi si è trattato di rapporti di vera e propria complicità e preti e monaci hanno comunque coltivato relazioni pericolose con parenti e amici mafiosi. A queste situazioni spesso la Chiesa ha risposto con indifferenza disincantata rispetto ad una questione considerata - a torto - di competenza dello Stato.”

- Perché i mafiosi cercano di coinvolgere la Chiesa nelle loro azioni?
“Credo nasca dal fatto che la mafia non è soltanto una qualsiasi organizzazione criminale, ma in qualche modo si vuole auto legittimare e istituzionalizzare: vuole diventare un sistema di potere. Per far questo ha bisogno di una identità culturale all’interno, sia di un consenso sociale all’esterno. Non avendo grandi patrimoni culturali a cui attingere nella sua storia, la mafia è stata parassitaria, come lo è nei confronti delle richieste economiche e dei beni culturali, della simbologia e dei codici culturali. Quindi ha preso a prestito quello che ha trovato.”
- Da chi soprattutto, e dove principalmente?
“Nel Meridione italiano le due culture egemoni sono state quella cattolica che io chiamo cattolica mediterranea, perché provvista di una serie di lezioni che mi sembrano abbastanza differenti dal cattolicesimo francese o statunitense. L’altra cultura egemone è quella liberal borghese che ha vinto in Occidente e nel Sud d’Italia dal 1860 a oggi. La mafia attinge dal codice valoriale cattolico mediterraneo, più che dal codice valoriale borghese. Il mix che si crea è qualcosa che non è il solo cattolicesimo, non è il solo liberalismo borghese, ma un prodotto in qualche misura autonomo. Ed è questa cultura mafiosa che io cerco di analizzare, mettendo a fuoco un segmento che non è certamente l’unico, ed è appunto il segmento teologico.”
- Ma com’è il Dio dei Mafiosi?
“Trovano già confezionato il Dio cattolico mediterraneo che gli suggerisce troppi spunti. Chiederei ai cattolici mediterranei, alla Chiesa cattolica italiana e soprattutto alla Chiesa cattolica del Meridione di rivedere la loro teologia. E cercare di liberarsi di tutti i tratti che possano, anche indirettamente, fornire ai mafiosi un modo sbagliato di intendere il Vangelo. Secondo me se ci fosse una maggiore coerenza fra questo cattolicesimo e il cristianesimo di Gesù, la Mafia avrebbe meno sponde, troverebbe meno modelli teologici e avrebbe più difficoltà a dire noi siamo cristiani: e invece sono cattolici.”
- Come dovrebbe essere o cambiare la teologia cattolica visto che si trova ad essere imitata troppo facilmente dalla mafia?
“Dovrebbe fare un bagno di rigenerazione alle fonti del Vangelo. La teologia cattolica è forse più fedele al Vangelo dove si parla di vita e non di morte e di fratellanza. Una chiesa che voglia, senza esagerazioni, farsi presidio dell’antimafia del territorio, a mio avviso deve essere una chiesa che già al suo interno si auto interpreti e auto organizzi in maniera diversa da come è avvenuto almeno negli ultimi mille anni e sfati i pseudo valori diffusi dalla mafia.”
- Quali sarebbero?
“La famiglia basata sulla criminalità, la ricchezza, comandare gli altri. Il ragazzo pensa che se Cosa Nostra gli garantisce tutto ciò, vale la pena che lui abdichi alla sua libertà.

domenica 6 dicembre 2009

LA LEGGE NEL CUORE


Repubblica – Palermo 6.12.2009

Autori Vari

LA SAPIENZA SULLA BOCCA
Il pozzo di Giacobbe
pagine 61
euro 5,00

Ebraismo, cristianesimo e islamismo pretendono di essere religioni attraverso cui Dio stesso parla al
l’intera umanità e indica i criteri morali di fondo: ma come possono comporsi fra loro, in una società plurale e democratica, queste diverse etiche teologiche? E come possono convivere con le etiche che si basano su visioni filosofiche completamente differenti, ad esempio atee? Non è difficile intuire che si tratta di domande cruciali anche dal punto di vista legislativo, politico e sociale. Un team di filosofi, teologi, bioetici, giuristi e storici delle religioni (siciliani di nascita o di adozione) ha provato a rispondere a queste domande con serietà scientifica ma, quasi sempre, con linguaggio accessibile anche ai non-addetti-ai-lavori. Il risultato è un bel libro a dodici firme (tra cui Cosimo Scordato, Massimo Naro, Franco Viola) - curato da Mariano Crociata e Giuseppe Bellia - dal titolo suggestivo e invitante (La sapienza sulla bocca, la legge nel cuore. Antropologia, etica e religioni ‘rivelate’) che non dovrebbe mancare nella biblioteca di chi voglia interpretare l’incrocio attuale delle culture, “senza scivolare in accomodamenti evanescenti o in rigidità esclusiviste”, ricercandone il comune denominatore in una concezione dell’uomo realistica e pluridimensionale. Insomma: in una prospettiva razionale, dunque ‘laica’.

venerdì 4 dicembre 2009

Venerdì 4 dicembre, alle 18, conferenza al Cesmi di Palermo


Cari soci e simpatizzanti, proseguono le conferenze organizzate dal CeSMI nell’ambito del programma dell’anno 2009 – 10. Domani, venerdì 4 dicembre, presso la sede di via Dante 153, il filosofo Augusto Cavadi condurrà il dibattito dal titolo “É meglio lo psicoterapeuta, il confessore o il consulente filosofico? Breve risposta a una domanda insensata”, che si terrà a partire dalle 18,00.
Per tutti coloro che non sono soci del CeSMI, è previsto un contributo di dieci euro. Vi ricordiamo comunque che, per ricevere informazioni sull’attività del Centro è possibile rivolgersi ai numeri 091. 9820468, 339.6479999 e 338.1621899, oppure consultare il sito web www.cesmipalermo.com.

Vi aspettiamo,
Marianna La Barbera
Ufficio stampa e pub