martedì 29 marzo 2005

LA VIA MAESTRA DELLA FELICITA’


“Repubblica – Palermo”
29.3.05
Augusto Cavadi 

Prima o poi tutti ci chiediamo che senso abbia la nostra vita. Le risposte sono miriadi e – dopo Freud - la più frequente sembra che non sia neppure il caso di porsi la domanda. Lev Toltoj, invece, se l’è posta con insistenza. Il gruppo italiano “Amici di Tolsoj” ha voluto raccogliere - in un elegante ed agile volume che inaugura la collana “Il pellicano” - una scelta delle sue pagine più luminose in proposito. Luminose ma spiazzanti perché, infrangendo un pregiudizio diffuso, attestano che si può essere – insieme – cristiani ed anarchici, rivoluzionari e nonviolenti, fini letterati e appassionati operatori sociali: “Che Dio esista o no, che esista o no la vita futura, in tutti i casi la cosa migliore che io possa fare è aumentare in me l’amore. E questo perché l’accrescimento dell’amore accresce la felicità” (p. 72). Ovviamente le chiese cristiane e i partiti di sinistra si sono trovati concordi nell’emarginare questo insolito messaggio anticonformista che però, come attestato dallo stesso Gandhi, può liberare chi lo accoglie dall’indifferenza e dal disimpegno.

LEV TOLSTOJ
Perché vivo?

L’Epos
Pagine 146
Euro 12,80 

domenica 20 marzo 2005

INNOVAZIONI E ARRETRATEZZE DELLA CHIESA IN SICILIA


“Repubblica – Palermo” 20.3.05
Augusto Cavadi

La Chiesa siciliana al bivio

L’intervista al vescovo di Trapani, pubblicata martedì, suggerisce più di una considerazione incoraggiante. La prima è che ogni tanto qualche voce ‘profetica’ dice a voce alta ciò che molti benpensanti preferiscono tacere (o misconoscono davvero): che qui in Sicilia – non solamente nel Terzo o Quarto Mondo – “ci sono sempre più ricchi e sempre più poveri, la forbice si è allargata a dismisura. A troppa gente continua a mancare l’indispensabile. Ne sanno qualcosa che i nostri parroci che vedono bussare alla loro porta poveracci che chiedono i soldi per pagare la bolletta dell’Enel. Chiedono latte per i figli”.

Una seconda considerazione riguarda la capacità di autorigenerazione dimostrata da un apparato bimillenario come la Chiesa cattolica. Nella stessa isola dove i partiti, i sindacati, l’associazionismo laico mostrano l’estrema difficoltà  - diciamo pure: la totale incapacità – di mutare mentalità, metodi e soprattutto leaders, la Chiesa cattolica ha dato prova negli ultimi anni di saper sostituire ambigue figure di presuli impastoiati in viscide relazioni sociali con vescovi giovani, schietti, colti, coraggiosi. Così, per fare solo qualche esempio, è avvenuto a Monreale, a Mazara del Vallo, ad Acireale, a Caltanissetta…Niente di paragonabile rispetto allo Jurassic Park dei palazzi del potere dove le nuove generazioni, di veramente ‘nuovo’, hanno – quando ce l’hanno -  l’età anagrafica. Non è un po’ triste constatare che la cooptazione gerarchica dall’alto funziona meglio, almeno dalle nostre parti, del ricambio del ceto dirigente operato dai meccanismi democratici dal basso?

Proprio questi segnali di novità provenienti dal mondo ecclesiale rendono più triste la constatazione che permangono tuttora dei segnali opposti di ritardo culturale rispetto ai progressi dell’esegesi biblica – o per lo meno di resistenza al cambiamento. Mi riferisco a quei passaggi dell’intervista in cui mons. Micciché definisce “il divorzio” un istituto che “va in direzione opposta ai dieci comandamenti di Dio”  e dichiara che la Chiesa cattolica non potrebbe cambiare la normativa attuale  perché dipendente dal “progetto di Dio sulla famiglia, che ha voluto una e indissolubile”.

Se queste affermazioni fossero teologicamente fondate, si dovrebbe concludere che tutte le chiese cristiane diverse da quella cattolica (le ortodosse, le protestanti, l’anglicana e così via), dal momento che prevedono la possibilità del divorzio, sono tutte quante in contrasto con “i comandamenti di Dio” e col suo “progetto sulla famiglia”. Ma appunto gli studiosi più accreditati mettono in dubbio queste granitiche certezze del magistero ufficiale cattolico (molto differente dall’opinione statisticamente maggioritaria fra i fedeli cattolici).  Per esempio, già più di venti anni fa, il padre gesuita G. Lofhink  ha spiegato che  Gesù non era un legislatore che stabiliva nuove regole, ma un predicatore che additava mete utopiche. Egli sognava una società in cui ad uno schiaffo si rispondesse porgendo l’altra guancia, in cui a chi  chiedesse un mantello si desse anche la tunica…Ma certamente non prevedeva di trasformare questi ideali in articoli di legge. Tanto è vero che la stessa Chiesa cattolica non ha mai ipotizzato di rendere obbligatoria la nonviolenza o la misericordia. Perché allora impuntarsi solo su questo punto del matrimonio sognato come storia d’amore eterno?  Perché riconoscere in tutti i campi il diritto del credente di avanzare per prove ed errori, di avanzare verso la perfezione per successive approssimazioni, ma non nell’ambito della vita coniugale? Perché ammettere alla comunione eucaristica ladri, assassini, evasori fiscali, sfruttatori di operai, collusi di organizzazioni criminali, corruttori di funzionari pubblici…e alzare barriere insormontabili a chi si accorge di essersi sbagliato nella scelta del partner e vuole avere una seconda possibilità di felicità?  Come scrive il citato padre gesuita - a p. 140 del pluritradotto Ora capisco la Bibbia -  Gesù, “equiparando divorzio e adulterio, intende formulare una vera provocazione. Egli vuole scuotere, smascherare, scoprire il vero contenuto della prassi giuridica sul divorzio. Tutto ciò però non s’accorda affatto con una legge, perché la legge non deve mai provocare se deve essere accettata. Il loghion sul divorzio non sarebbe in realtà una legge, ma una parola profetica” . Insomma: coloro che non riescono a portare a termine una vicenda matrimoniale non sono rei da sottoporre ad alcun genere di giudizio ‘istituzionale’, ma persone che – per le ragioni più diverse – non sono riuscite a raggiungere una méta che pure si erano prefissi.

Il giorno in cui le acquisizioni delle scienze bibliche diventeranno patrimonio comune di tutte le chiese, compresa la gerarchia cattolica, sarà possibile riscoprire il vangelo di Cristo in tutta la sua portata liberatrice: come parola che cura le ferite della vita, non che colpevolizza e affossa i tentativi di rimettersi in cammino nonostante gli inevitabili imprevisti.

Augusto Cavadi

mercoledì 9 marzo 2005

STATO SOCIALE IN SICILIA


Repubblica – Palermo 9.3.05
Augusto Cavadi

IN SICILIA UN LIBERISMO SENZA LIBERISTI

Quando per l’Europa cominciò ad aggirarsi lo spettro del comunismo, un conservatore quasi reazionario – il cancelliere prussiano Bismark – pensò di difendersi giocando in contropiede. Per evitare che le sirene del socialismo collettivista potessero abbindolare le masse dei lavoratori decise di mostrare coi fatti che il sistema capitalistico aveva in sé la preveggenza di soddisfare le esigenze primarie di chi possedeva come unica ricchezza le proprie braccia: promosse assicurazione contro gli infortuni e le malattie; pensione di anzianità; assistenza sanitaria; istruzione elementare. Nasceva così il moderno Welfare State: letteralmente lo Stato del benessere, più comunemente lo Stato sociale.

Che l’idea fosse geniale lo conferma un dato storico impressionante: lungo il XX secolo l’hanno adottata, con leggere varianti, i regimi politici ideologicamente più disparati. Che lo Stato debba assumersi  - per quanto riguarda i bisogni essenziali - la cura dei cittadini dalla culla alla tomba, lo proclamarono e tentarono di realizzare democrazie liberali e regimi fascisti, socialdemocrazie e governi comunisti. In Italia rappresentò il frutto più maturo – e più ‘miracoloso’ – della convergenza fra partito cattolico e partiti laici minori. Tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, Reagan in America e la Thatcher in Gran Bretagna decretarono la fine di un’impostazione politico-economica che pure, secondo la maggioranza degli storici, aveva assicurato all’Occidente la sua epoca d’oro. Keynes perse lo scettro di nume ispiratore delle teorie economiche mondiali. 
Che tutto ciò avvenga alla luce del sole, con argomenti più o meno convincenti e con decisioni politiche programmatiche, può dispiacere ma fa parte della dialettica democratica. Il pendolo elettorale, che  può allontanarsi da una visione statalista a causa di sprechi e inefficienze, allo stesso modo può farvi ritorno man mano che si toccano con mano i disastri  - certo non minori – del mercato senza regole e dell’ossessiva caccia al profitto dei privati.  Nei Paesi civili le maggioranze si alternano proprio perché i cittadini hanno il diritto di misurare gli effetti delle opposte strategie. Ma in Sicilia stiamo assistendo ad un fenomeno per alcuni versi inedito. Lo smantellamento dello Stato assistenziale non è portato avanti da una classe dirigente liberista, individualista, fautrice della concorrenza competitiva, arrivata al potere proprio per aver promesso questo. Al contrario. In particolare la dottrina sociale cattolica, cui dice di ispirarsi il partito attuale del governatore (con ‘attuale’ mi riferisco proprio alla data odierna: domani mattina potrebbe non essere più così), sostiene molto insistentemente il dovere dell’apparato pubblico di moderare gli interessi individuali e di subordinarli al Bene comune. Sostiene che la persona umana non è una merce come le altre. Che il diritto ad essere curato nel corpo e istruito nella mente ed educato nell’interezza del proprio essere è innato: la società non può riservarsi l’arbitrio di attribuirlo a questo o a quell’altro cittadino, ma deve riconoscerlo a ciascuno. Nonostante simili premesse ideali, la pratica quotidiana di questa amministrazione regionale procede in direzione di uno sfascio dei servizi sociali. Le recentissime vicende delle nomine dei responsabili delle Aziende sanitarie locali ne costituiscono una tristemente eloquente conferma. Che uno abbia dato prova di incapacità manageriali o di disinvoltura morale o, in qualche caso, di entrambe, non viene considerato un elemento sufficiente per  invitarlo a farsi da parte. La fedeltà elettorale al proprio patrono di riferimento oscura ogni altro parametro di valutazione. Come meravigliarsi che, in questo quadro, ruscelli e ruscelletti di euro scorrano dalle casse pubbliche senza benefici per la collettività? Aumentano i ticket per le prestazioni mediche, i medicinali da acquistare a spese proprie, le prebende per consulenti e collaboratori vari dei politici; diminuiscono i presìdi ospedalieri, le campagne di prevenzione, i finanziamenti per la ricerca di base. Ogni tanto – come a proposito della Villa Santa Teresa di Bagheria - esplode qualche bubbone di proporzioni gigantesche. Intercettazioni ambientali e testimonianze processuali svelano intrecci tecnicamente mafiosi che non per caso hanno sempre più spesso, fra i protagonisti principali, operatori della sanità. Ci si chiede, non senza stupore, come mai l’Ordine dei medici non abbia nulla da dichiarare: eppure la maggioranza degli iscritti sgobba onestamente negli ambulatori convenzionati e nelle guardie mediche notturne e festive. Per non parlare della folla di laureati del settore in cerca di prima occupazione che di questo andazzo clientelare e spartitorio rappresentano le prime vittime. All’osservatore, come all’uomo della strada, torna in mente l’adagio popolare solo apparentemente qualunquista: chi ruba poco va in galera, chi ruba molto fa carriera.

Augusto Cavadi