martedì 30 marzo 2021

IRA E ACCIDIA: ESPLORIAMOLE CON DANTE E UN PO' DI PITTORI...POI SE VOGLIAMO CI SCAMBIAMO LE RIFLESSIONI



IRA E ACCIDIA: INTERROGHIAMOCI CON DANTE E VARI PITTORI 

La "Casa dell'equità e della bellezza" apre virtualmente le porte per il consueto appuntamento di meditazione laica. 

Cosa ci riserva la meditazione di mercoledì 31 marzo 2021 ? 

Laura Mollica e Maurizio Muraglia, nel terzo incontro del ciclo dedicato ai 7 vizi capitali, ci svelano i volti dell'IRA E DELL’ACCIDIA in un viaggio che va dall'arte figurativa a Dante. 

Sin da subito potete ascoltare il video: 

poi, se volete condividere le vostre riflessioni esistenziali, potrete collegarvi in diretta su Zoom con noi 

alle ore 18,30 di mercoledì 31 marzo 2021: 


                                                                            Adriana e Augusto 


lunedì 29 marzo 2021

SERGE LATOUCHE E IL RE-INCANTAMENTO DEL MONDO


 “Adista- Segni Nuovi”

27.3.2021

COME REINCATARE IL MONDO: L’ULTIMO LIBRO DI SERGE LATOUCHE 

Serge Latouche (che, in parallelo con Maurizio Pallante) guida la schiera – non particolarmente numerosa, ma particolarmente agguerrita – degli “obiettori della crescita” ha pubblicato un libro poco voluminoso e molto intenso su Come reincantare il mondo. La decrescita e il sacro (Bollati Boringhieri, Torino 2020, pp.93, euro 10,00). Il testo è nettamente diviso in due parti.

Nella prima l’autore, dichiaratamente ‘laico’ nell’accezione comune del termine, riprende e rilancia in maniera organica l’accusa già altre volte lanciata contro la Modernità di aver fatto del plesso “”progresso, tecnica e economia” i “tre pilastri” di una nuova “religione”: un’accusa che si comprende meglio se si tiene presente che – almeno a giudizio di Latouche – il motore del “progresso” sarebbe “lo sviluppo, in altre parole la crescita del PIL pro capite” (p. 35). Siamo dentro il “paradosso” dell’Illuminismo (di stampo liberale, dal punto di vista ideologico, e borghese, dal punto di vista dell’estrazione sociale) che “pretendeva di demistificare gli idoli, e effettivamente ha distrutto la tradizione, i vecchi pregiudizi e i vecchi dei. Ma lo ha fatto in nome di nuove divinità ancora più potenti e più tiranniche: la Razionalità, il Progresso, la Scienza, la Tecnica, lo Sviluppo e la Crescita economica. Questi idoli sono oggetto di un culto, di una devozione e di una sacralizzazione inauditi. E le vittime offerte in sacrificio a questi falsi idoli sono innumerevoli” (p. 30). A proposito di essi – di ciascuno e di tutti nel loro insieme – l’autore ripete ciò che ha osservato Dany-Robert Dufour riferendosi al Divin Marché: “Sarebbe il colmo crederci liberi da ogni dio nel momento stesso in cui non ce n’è stato mai uno più potente!” (p. 28). 

  “Dato che la crescita è diventata una religione laica o un’antireligione, con una fede nel progresso e il culto feticista del PIL [], la decrescita per reazione si vede costretta a reincantare il mondo e a reintrodurre la spiritualità”, anche per bocca di quei suoi teorici che “si reclamano atei” (p. 41). Ciò significa – tanto per lasciare un paradosso ed entrare in un altro – fare della teoria e della pratica della decrescita una nuova “religione”? La seconda parte del libro è dedicata alla risposta a questa domanda, risposta che si può sinteticamente formulare così: “La principale difficoltà di realizzare il progetto di una società della decrescita non può essere risolta con l’argomentazione, per quanto convincente possa essere. L’uomo non è soltanto un animale razionale, è anche un essere sensibile in carne e ossa, e dunque attraversato da passioni. Anche se il teorico si rivolge necessariamente all’intelligenza del suo lettore, non può ignorare questo fatto, senza comunque per questo doversi trasformare in profeta o in guru. Poiché il fondamento della società della crescita sta nella sfera della religione, le dimostrazioni e i ragionamenti scalfiscono poco la fede del carbonaio. Ogni religione si caratterizza per la propria autoimmunizzazione , e questo è vero in particolare per la religione della crescita. Stando così le cose, si tratta di realizzare una sorta di conversione di massa” (pp. 75 -76). Tale processo non ha bisogno di miti, di sacerdoti, di gerarchie. L’obiettivo di “reincantare il mondo e aggiungere degli ingredienti di natura spirituale alle argomentazioni filosofiche e scientifiche” lo si può perseguire benissimo “impegnandosi nel senso del recupero della capacità di meraviglia”: “la via della decrescita non si propone né come una religione né come una religione né come un’antireligione, ma piuttosto come una saggezza” (p. 78).  

  Come ricorda lo stesso Latouche, Pier Paolo Pasolini aveva chiesto alla Chiesa cattolica di guidare la rivolta contro “il nuovo potere consumistico, che è completamente irreligioso; totalitario; violento” (p. 79): mezzo secolo dopo si può replicare lo stesso appello? L’autore dedica una sezione consistente del libro per rispondere in maniera sostanzialmente negativa. A suo avviso, infatti, la Caritas in veritate di Benedetto XVI, del 2009,  sarebbe il tentativo diplomatico di giustificare un “ossimoro”: la “«buona» economia” (p. 43). Ma anche l’enciclica di papa Francesco, Laudato si’, del 2015, pur rappresentando “una incontestabile rottura, in quanto costituisce, secondo i termini impiegati, un appello per una ecologia integrale”, è segno di “una radicalità che non si spinge tanto lontano quanto il progetto classico della decrescita” (p. 54). 

 Questi rilievi critici ai papi Ratzinger e Bergoglio meritano un approfondimento, possibile solo distinguendo i due imputati. 

 Del primo, Latouche denunzia l’ambiguità “vaticanesca” : “Né il capitalismo, né il profitto, né la globalizzazione, né lo sfruttamento della natura, né le esportazioni di capitale, né la finanza, né naturalmente la crescita e lo sviluppo sono condannati di per sé. Accanto agli eccessi e alle perversioni ci sarebbero dunque un buon profitto, una buona divisione internazionale del lavoro, una buonaglobalizzazione, una buona finanza e un buon capitale. Sarebbero dunque soltanto le deviazioni, gli abusi, gli stravolgimenti di queste «cose», né buone né cattive in sé, ad essere condannabili” (pp. 43 – 44). Che il papa tedesco, tenace avversario della Teologia della liberazione di origine latino-americana, abbia annacquato le sue critiche alla società capitalistica con passaggi caratterizzati da “vaghezza e astrattezza” (p. 48) è vero. Come è vero che alcuni suoi silenzi hanno pesato come macigni: “Non una parola per denunciare la perversione della pubblicità” o “l’indecenza del marketing”  (p. 53). Tuttavia come negare che con Francesco la musica è cambiata? Se così non fosse, non si spiegherebbe per quali ragioni i sostenitori entusiastici di Benedetto XVI si sono scandalizzati non appena le stesse critiche alla società dei consumi, ma con accuratezza di dettagli e concretezza di esemplificazioni, sono state rilanciate dal suo successore sulla cattedra di Pietro.

Latouche, pur concedendo qualche attestato di stima a papa Francesco, lo ritiene comunque “prigioniero dell’ideologia lavorista” (p. 71),  mira al cuore della questione: dal Magistero cattolico ufficiale, e dai suoi consiglieri come Stefano Zamagni, Luigino Bruni, Leonardo Becchetti e altri (cfr. pp. 50 - 52), egli si sarebbe aspettato una condanna della “logica del sistema, perché incompatibile con la morale cristiana, o più semplicemente con quella che Orwell chiama la common decency (la decenza comune)” (p. 44). Insomma: una condanna del capitalismo o della “economia di mercato” (p. 49). E’ legittima questa sua aspettativa? Con tutto il rispetto, anzi  l’ammirazione, per l’opera di Latouche (e di tanti altri miei amici impegnati come lui nella critica al sistema capitalistico), non posso che rispondere con un doppio ‘no’.

Innanzitutto per una questione di metodo. Le Chiese – come tutte le altre agenzie culturali e pedagogiche operanti nella società – hanno il diritto, anzi il dovere, di esprimere le proprie opinioni meditate e argomentate (dunque, senza facili ricorsi al  principio di autorità) dal punto di vista etico, non dal punto di vista tecnico. In ambito di teoria economica ciò significa essere chiari – senza i “compromessi” diplomatici denunziati da Latouche – sui fini ultimi (la Terra e le sue ricchezze potenziali sono destinate all’intera umanità, a tutti gli esseri umani e a ciascuno di essi), ma misurati e cauti sui mezzi per raggiungere i fini prefissati (proprietà individuale dei mezzi di produzione? Proprietà statale? Proprietà sociale mediante cooperative di lavoro più o meno federate? Regime misto di proprietà individuali, collettive e statali?). La scelta dei mezzi, delle soluzioni tecniche, delle sperimentazioni pratiche appartiene al campo dell’opinabile e del variabile: una parola pontificia costituirebbe, a mio parere, un’ingerenza inopportuna, degna di epoche di integralismo clericale che si spera tramontate per sempre.

Ma ammettiamo che questa distinzione (di metodo) da me proposta non regga e che le Chiese abbiano il diritto/dovere di pronunziarsi anche sui sistemi economici: considerato nel merito, il sistema capitalistico, fondato sul diritto di proprietà privata e sulla libertà di mercato, è intrinsecamente immorale e incompatibile con il vangelo? Latouche ne è convinto e fa sua la dichiarazione di Frédéric Lordon: “L’impresa capitalistica è, per costruzione, e la cosa è rimasta identica da quando Marx l’ha analizzata, il luogo del dispotismo padronale. E’ ozioso obiettare che a volte ci possono essere despoti illuminati, gentili, forse anche dirigenti attenti a non arrivare all’estremo del potenziale dispotico che i rapporti sociali di produzione mettono oggettivamente nelle loro mani” (p. 44). 

  Personalmente, invece, non mi sento di sottoscrivere l’apoditticità di questa condanna del capitalismo. Capisco benissimo, perché l’avverto nel mio stesso animo, l’indignazione per le sperequazioni insopportabili tuttora vigenti fra ceti sociali trasversali rispetto agli stessi confini nazionali. Ma le reazioni emotive, per quanto rispettabili, se non diventano analisi razionale e progettazione attuabile, o lasciano le cose come stanno o addirittura le peggiorano. Il capitalismo va smascherato nella sua   “logica” intrinsecamente sfruttatrice grazie agli strumenti scientifici fornitici irreversibilmente da Marx (ed è un disastro che le sue opere non siano più oggetto di  studio neppure nelle formazioni partitiche e sindacali che sarebbero di “sinistra”). Anzi, a quasi due secoli da Marx, possiamo aggiungere che il capitalismo sfrutta tanto la forza-lavoro dei salariati quanto le risorse (limitate) del pianeta. 

Ciò chiarito, però, bisogna specificare – se non si vogliono prendere in giro né gli altri né se stessi – in che direzione si vuole lavorare per condizionare il corso della storia. In altri termini, non ritengo si abbia diritto a criticare il capitalismo se si elude una domanda: che cosa proporre come alternativa a questo sistema socio-economico? Non dico in prospettiva escatologica (perché viene entusiasmante anche a me sognare una società in cui si arrivi, gradualmente e consensualmente, a un meccanismo istituzionale che distribuisca a ciascuno secondo i suoi bisogni quanto sia stato prodotto da ognuno secondo le sue capacità fisiche, psichiche, intellettuali), ma nel breve-medio periodo. Qui le strade restano, come duecento anni fa, le stesse: o la via rivoluzionaria o il riformismo. 

La prima strada, non certo inedita, passa per il ‘socialismo’ come fase (dittatoriale) di ‘transizione’ al ‘comunismo’: sappiamo che disastri ha provocato chi l’ha intrapresa. Più ragionevole e meno pericolosa  - sempre in ottica ‘rivoluzionaria’ - l’alternativa dell’ ‘anarchismo’ come approdo universale di un’evoluzione che non conosca pericolose fasi intermedie di ‘capitalismi di Stato’ né di partiti ‘unici’. Tuttavia essa implica una pazienza secolare se non si vuole ricorrere alla violenza terroristica né all’intimidazione delle maggioranze conservatrici. 

La seconda strada praticabile  - dopo le macerie del XX secolo in cui liberismo individualistico, statalismo fascista, collettivismo socialcomunista e conservatorismo cristiano-borghese hanno dato il peggio di sé – è lavorare, sin da subito e nella limitatezza degli spazi agibili, per imbrigliare il sistema economico capitalistico con le redini di un sistema politico che miri al ben-essere sociale (non solo delle micro-società locali ma della macro-società che è l’umanità) mediante la partecipazione progressiva di un numero crescente di uomini e donne (metodo democratico). Una strada meno romantica, certamente, ma non condannata a diventare grigia perpetuazione dell’esistente. Anche al riformismo sarebbe possibile (a mio avviso, anzi, necessario) darsi un’utopia: è stata già fissata nei “sacri princìpi dell’Ottantanove” (libertà-eguaglianza-fraternità). 

Quali di queste due strade imbocca Latouche (in questo come nei precedenti scritti)? La risposta non (mi) è chiara. Ho l’impressione che la sua proposta non sia del tutto immune da quelle “vaghezza e astrattezza” (p. 48) che egli denunzia nei testi del mondo culturale cattolico. Tuttavia sono convinto che egli può contribuire, con ingredienti apprezzabili, a preparare i pasti “le osterie dell’avvenire”. Ad esempio quando caldeggia “il progetto di costruzione” (promosso dal “movimento della decrescita”), “al nord come al sud, di società conviviali autonome ed econome” implicanti, “a rigor di termini, più una «a-crescita»” che “una «decrescita» in senso letterale” (p. 77). Pur con le cautele realistiche del caso (ed è ai miei occhi importante che Latouche, forse per la prima volta, accetti di sostituire il provocatorio termine “decrescita” con il più comprensibile e condivisibile “a-crescita”) è irrinunziabile che anche oggi, come nel passato, vi siano nel deserto dell’utilitarismo delle oasi dove si sperimenti e si testimoni l’ulteriorità  - rispetto all’ineliminabile dimensione economica – di altri bisogni e di altri desideri. 

 

Augusto Cavadi  

 www.augustocavadi.com

venerdì 26 marzo 2021

NE' PRINCIPI AZZURRI NE' CENERENTOLE. LE RELAZIONI DI 'GENERE' NELLA SOCIETA' DEL FUTURO

 

Vi è piaciuto il libretto L'arte di essere maschi libera/mente. La gabbia del patriarcato che ho scritto con gli amici del Gruppo "Noi uomini a Palermo contro la violenza sulle donne"?

Se sì, sappiate che è uscito un suo omologo, più piccolo ancora, destinato ai ragazzi e alle ragazze delle scuole medie superiori (14 - 19 anni): Né principi azzurri né cenerentole. Le relazioni di 'genere' nella società del futuro (Di Girolamo, Trapani 2021, pp. 76, euro 8,00).

La prima recensione è di una ragazza di sedici anni, Giorgia Saladino (figlia maggiore di Rosario): eccovela !

Per una liceale sedicenne come me non era stato per nulla agevole leggere il libro di Augusto Cavadi su L’arte di essere maschi libera/mente. La gabbia del patriarcato (Di Girolamo, Trapani 2020) (vedi, in questo stesso sito, https://www.zerozeronews.it/lorigine-antropologica-della-violenza-sulle-donne/). E’ stato dunque con curiosità che mi sono accinta alla lettura di questo suo secondo testo, Né principi azzurri né cenerentole. Le relazioni di “genere” nella società del futuro (Di Girolamo, Trapani 2021), scritto proprio per ‘tradurre’ le tematiche del primo libro a beneficio dei giovani come me. Dico subito che l'ho trovato interessante, anzi molto coinvolgente, perché ricco di concetti da analizzare con cura e di spunti per ulteriori  riflessioni. E sono grata non solo all’autore, ma anche al “Gruppo noi uomini a Palermo contro la violenza sulle donne” che ha partecipato alla stesura di queste pagine.

"L'originaria angoscia maschile, legata anche al fatto di avere un corpo che non può generare, è stata fonte di insicurezza e paura, e ha prodotto ansie di controllo del corpo altrui. Tracce di quell'angoscia le ritroviamo nella sessualità, pensata e vissuta, nella cultura del dominio maschile, come strumento di controllo delle donne e di negazione dei diversi orientamenti sessuali": questa considerazione riportata da un documento-appello mi ha colpita particolarmente perché, al contrario, avevo sempre creduto che nei secoli gli uomini si sentissero più potenti, migliori delle donne e che per tali ragioni avessero adottato un atteggiamento di superiorità nei confronti di quest'ultime. 

 Questo è soltanto uno dei tanti concetti che ho trovato illuminanti. Dunque  mi limito a dire che il libro mi è risuonato come un grido di libertà. Vi ho riconosciuto l’eco di una verità che troppo spesso viene celata: la voce di tutte quelle persone, senza distinzione di alcun tipo, che subiscono l'oppressione della società che impone loro dei precisi modelli da seguire, soprattutto se ritenute "diverse" per il colore della pelle, per l’orientamento sessuale e o religioso, per l’insofferenza verso gli schemi loro imposti; soprattutto la voce di tutte quelle donne che non hanno mai avuto l'occasione di urlare al mondo intero i loro pensieri e che non avranno mai più l'occasione di farlo, poiché è stata rubata la voce, la dignità in quanto esseri umani, spesso la stessa vita. 

Ascoltiamo o leggiamo spesso di donne succubi del partner e vittime di violenza: il dolore per queste storie viene accentuato dal fatto che poche persone esprimono solidarietà, numerose altre  - sia uomini sia perfino donne – difendono il carnefice, addossano alla donna la colpa del crimine subito e rilasciano commenti sprezzanti e pieni di odio. Trovo davvero triste e deplorevole che ancora oggi accadano queste cose e che la vittima non riceva il giusto supporto da gran parte della società. Oggi dovrebbe essere scontata l'idea di uguaglianza e di rispetto reciproco ma, ahimè !|, ci sono persone che credono ancora che l'uomo debba prevalere sulla donna.  Il libro di Cavadi spiega perfettamente questo fenomeno e fa riflettere su quanto ancora questo tema sia, purtroppo, ancora attuale.  


PER COMPLETARE LA LETTURA E AMMIRARE IL CORREDO FOTOGRAFICO, BASTA UN CLICK:

https://www.zerozeronews.it/laccelerazione-esponenziale-del-pensiero-tutto-al-futuro-delle-teenagers/

mercoledì 24 marzo 2021

MARIA D'ASARO SU " CHI CERCA...CERCA" (ora anche nelle librerie)


* Il libro che alcuni amici molto cari hanno voluto confezionare per i miei primi (e... ultimi) 70 anni, dopo alcune peripezie, è arrivato persino nelle librerie. Pubblico dunque l'affettuosa e arguta presentazione che ne ha fatto, a suo tempo, Maria D'Asaro sul suo blog leggendario😊


                                                                 ***


  Il 2 ottobre è il giorno natale del Mahatma Gandhi, la giornata internazionale della nonviolenza, la festa degli Angeli custodi e la celebrazione della ‘sacralità’ dei nonni. In questa data bella e importante, il 2 ottobre scorso il professore Augusto Cavadi ha festeggiato il suo 70° compleanno.

   Vi chiederete come sia stata festeggiata la ricorrenza. Ce lo racconta lui stesso qui.
      Dal testo che amiche e amici hanno composto per lui, ecco una sintesi del contributo di Omero Dellistorti (alias Peppe Sini, direttore del giornale telematico “Telegrammi della nonviolenza in cammino”) che, dietro la sua proverbiale caustica ironia, traccia questo profilo a tutto tondo del professore Cavadi.

Veridica soluzione ed autentico disvelamento dell’abominevole segreto e fin qui impenetrabile mistero di Augusto Cavadi:
"Non so se sono autorizzato a rivelare quest'orribile segreto […]: Augusto Cavadi sono otto gemelli che fingono di essere una sola persona. L'ho sempre sospettato, ma la conferma l'ho avuta navigando (navigare necesse est) nel sito www.augustocavadi.com:
C'e' un Augusto Cavadi che fa il professore (povere le giovani menti dei suoi sventurati allievi), il pubblicista [...], il volontario (partecipera' ad almeno otto miliardi di associazioni di disturbatori della quiete pubblica), il militante antimafia (e ti pareva: non finira' dunque mai questa eterna diffamazione nei confronti di chi fa girare l'economia, garantisce la mobilita' sociale dei meritevoli, tiene in riga il popolo basso e sopperisce a tutte le deficienze dello stato ladrone e pelandrone?).
      E gia' questo basterebbe e avanzerebbe per porsi una domandina semplice semplice: come puo' riuscire una sola persona a giocare tante parti in commedia […]: dove lo trova il tempo? Non ce l'ha anche una vita normale? Non si deve tagliare le unghie, andare dal barbiere, lucidarsi le scarpe, giocare la schedina? Non la guarda la televisione? Non li segue il calcio e i varieta'? Non ci va in vacanza o al bar? Non ci gioca a dama e a bocce? Andiamo, qui c'e' sotto qualcosa di strano, di inquietante, di barbarico ed antipatriottico; lo vedrebbe anche un cieco, figurarsi un occhio attento.
Ma poi c'e' anche un Augusto Cavadi che fa il filosofo, il teologo, il pedagogista, il moralista, il politologo, il signor So-tutto-io: e chi si crede di essere, Tommaso d'Aquino? Archimede Pitagorico? Mike Bongiorno? Quello svevo fissato con l'Aufhebung?
       Poi c'e' un altro Augusto Cavadi che dopo averne combinate piu' di Carlo in Francia, dopo aver fatto piu' danni di Campanella e Babeuf messi insieme, organizza ogni par di settimane certe "cenette filosofiche", come le chiama lui […].
Poi c'e' un certo Augusto Cavadi che una volta al mese conciona alla "Casa dell'equita' e della bellezza", che non so che posto sia ma suggerirei al bargello di tenerlo d'occhio, dal nome pare uno di quei posti frequentati da Maupassant e da Dostoevskij, non so se mi spiego.
            E non vogliamo dir niente dell'Augusto Cavadi che sempre una volta al mese a casa sua conversa di "teologia critica" dopo il pasto serale e relative libagioni fin verso mezzanotte? […]
Infine, sempre una volta al mese, ora di qua ora di la' (evidentemente per far perdere le tracce a chi in pro del pubblico bene, dell'ordine e della morale ha il dovere d'ufficio di sorvegliare lui e i suoi sodali), c'e' un Augusto Cavadi che discetta di "spiritualita' laica", che gia' solo l'ossimorica denominazione fa capire l'intento sovversivo (come quel Capitini e quel Dolci che al casellario centrale non bastavano piu’ i faldoni) e i relativi profili psichiatrici e criminologici che avrebbero fatto la gioia di Lombroso.
E poi, non vorrei dimenticarlo, c'e' l'Augusto Cavadi socio fondatore della Scuola di formazione etico-politica "Giovanni Falcone", intitolata a un notorio persecutore di onorati galantuomini che si facevano solo gli affari loro e che aspiravano come ogni persona dabbene a progredire in societa' senza falsi buonismi e sciocche ipocrisie.
E ancora, last but not least, l'Augusto Cavadi socio di una fantomatica Associazione italiana per la consulenza filosofica, che non solo ha un nome impronunciabile che comincia per "Fro" (ma lo scrivono "Phro", che le sanno tutte le callide trovate i mestatori internazionalisti e incendiari) che come minimo sara' una parolaccia sconcia in turcomanno o in ostrogoto, ma che ha anche per ragione sociale - a voler parlar pulito e senza offesa per nessuno - un binomio a cui nessuna persona assennata saprebbe dare un senso decente, un ragionevole significato: "consulenza filosofica"; e da quando in qua una roba da perdigiorno acchiappanuvole [...] potrebbe esser atta a consigliare o consolare qualcuno? […]
Li avete contati? Sono otto. E ditemi voi se e' possibile che una persona (e non dico certo una persona perbene) possa condurre non dico tre, ma neppure due, ma neppure una di queste esistenze, o possa svolgere contemporaneamente piu' d'una di tali funamboliche allucinate dissennate scellerate attivita'. […] ma questi otto messeri che tutti si firmano Augusto Cavadi le pagano tutti le tasse, o fingono di essere una sola persona e quindi ci sono ben sette evasori? Eh? Lo vogliamo fare un controllino? Dorme la Finanza? E' appisolata la Benemerita? [...] La piantassero di dare fastidio a chi fa girare l'economia e garantisce urbi et orbi l'approvvigionamento delle sostanze che rendono felice l'infelice umanita', e si occupassero piuttosto dei sovversivi come il clan degli Augusti Cavadi o come quell'immigrato clandestino figlio di emigrati clandestini che siede nientepopodimenoche' sul soglio di Pietro e che ne dice certe, ma certe, che neanche Mazzini, Marx e Bakunin in combutta tra loro quando fanno a chi le spara piu' grosse, e vorrei vedere se ce li ha i documenti in regola, lo vogliamo fare un controllino anche li'? Eh? C'e' o non c'e' lo stato di diritto? Sara' ora o no di ripristinare lo stato etico?
         Non solo: ma vi e' mai capitato di sfogliarli i libelli di questi messeri che abusano dell'omonimia augustea-cavadiana? Perche' l'orda grafomane degli Augusti Cavadi di libracci ereticali e anarchici ne spaccia piu' delle presunte tipografie di Amsterdam ai tempi del nipote di Rameau; […] sentite un po' qua:
Un libro e' intitolato "Strappare una generazione alla mafia". E non e' violenza questa? Si vuole negare alla mafia il diritto umano e universale a crescere e moltiplicarsi? E' parlare da cristiani, questo?
Un altro libro e' intitolato "Filosofare in carcere": che dimostra ad abundantiam come l'autore lo sappia fin troppo bene quale sia il posto giusto per gente come lui.
Un altro libro ancora ha per sottotitolo "La gabbia del patriarcato": e da quando in qua si possono insultare impunemente i patriarchi? Non ce lo sanno gli Augusti Cavadi riuniti che il fondamento del diritto e' il diritto romano, e il fondamento del diritto romano e' il potere di vita e di morte da parte del pater familias? Ecco che succede a non coltivare le patrie lettere e le gesta imperiali. E le pubbliche autorita' fanno finta di niente?
Non voglio aggiungere altro, ma il Cavadi, ovvero i Cavadi riuniti e nascosti l'un dietro l'altro, questo signor uno-nessuno-e-centomila, questa one-man-band, questa sinagoga di gioachimiti e durrutiani, se la prende sempre con la mafia, come se non lo sapesse che alla mafia l'economia italiana deve tutto; se la prende con i preti pedofili, che ci avranno diritto pure loro a torturare qualcuno o devono solo e sempre fare i bravi? E che sono, Superman? Se la prende con i patrioti della Lega che portano il fardello dell'uomo bianco, difendono il nostro paese e l'italica stirpe dalle razze inferiori nonche' schiave di Roma per natura, e garantiscono nutrimento pregiato al pesce azzurro proibendo di soccorrere i naufraghi nel Mediterraneo.
        E mentre gli Augusti Cavadi […] spargono il loro veleno contro la civilta' dell'Urbe e le glorie littorie, contro tutti i poteri costituiti ufficiali e ufficiosi, contro la societa' fondata sull'onore e l'obbedienza, contro le liturgie sacrificali che tanta parte sono di ogni cultura superiore, il Provveditorato agli studi ronfa? la Questura se la dorme? la Prefettura non si accorge di niente? la Diocesi volge lo sguardo da un'altra parte? La Pro loco, la Procura, la Forestale, l'Asl, l'Inps, la Filarmonica, il Circolo di cucito e quello di scacchi, l'Universitas studiorum nonche' Alma Mater e le Accademie tutte, il Coni, le associazioni dell'industria, dell'artigianato e del commercio, gli ordini professionali, le Forze armate, i cavalieri del lavoro e i commendatori della repubblica, le associazioni di combattenti e reduci, fino al Quirinale, alla Presidente della Commissione europea e al Segretario dell'Onu, tutti in catalessi? Il Comune, la Regione, i competenti Ministeri tutti distratti dagli spogliarelli in tivu'? Ma fatemi il santo piacere. O tempora, o mores. […] Il clan degli Augusti Cavadi continua ad attoscarci con i suoi proclami e le sue concioni come se niente fosse. Poi ditemi voi se qui non ci vorrebbe il duce, o almeno quel bravo ragazzo dei porti chiusi e le ruspe in azione."

Il clan Cavadi, Chi cerca... cerca. Un profilo a tutto tondo di Augusto Cavadi,
 Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2020, pp. 220, euro 20,00 

FONTE: 


martedì 23 marzo 2021

PERCHE' IL TEOLOGO ANDREA GRILLO E' IN DISACCORDO CON IL RIFIUTO DELLA BENEDIZIONE AGLI OMOSESSUALI


Matrimonio (Pixabay)

Sul recentissimo documento, il cosiddetto “responsum”, della Congregazione per la dottrina della Fede sulla possibilità di benedire le unioni formate da persone dello sesso, si sta sviluppando un forte dibattito all’interno della Chiesa Cattolica romana. Infatti la risposta negativa della Congregazione ha suscitato sconcerto in alcuni episcopati europei (in particolare quello tedesco, da segnalare anche la presa di posizione di molti teologi tedeschi ). Nella giornata ieri alcune testate internazionali hanno riportato le voci, da fonti anonime vaticane non si sa quanto credibili, che anche il papa si sarebbe distanziato da quel documento. Insomma si tratta di un documento che merita un approfondimento. Per questo abbiamo sentito il parere qualificato del professor Andrea Grillo. Grillo è docente di Teologia al Pontificio Istituto “Sant’Anselmo” di Roma.

Professor Grillo, nell’opinione pubblica c’è un grande dibattito sul recente Responsum della CDF sulla liceità di concedere, da parte della Chiesa cattolica, alle coppie dello stesso sesso la benedizione alla loro unione. Sappiamo che il responso è stato negativo. Il papa stesso ha condiviso questo. Una decisione per alcuni cattolici, e anche cristiani di altre confessioni, assai controversa. Al di là di alcune parole positive sulle unioni, resta la chiusura? Perché?

Credo che si debba considerare un doppio aspetto della questione. Il primo riguarda la
inerzia di una comprensione della sessualità e del matrimonio basata essenzialmente su una prospettiva morale e legalista. E’ facile che, anche nelle Congregazioni, prevalga un modo di ragionare su ogni novità di tipo puramente difensivo. L’idea stessa di benedizione viene così fraintesa e ricondotta semplicemente al potere della Chiesa, come se benedire significasse prima di tutto “autorizzare” e “convalidare”. La illiceità della benedizione di tutto ciò che non sia “integralmente buono” diventa perciò uno scandalo insopportabile e da evitare. Ma qui è in gioco proprio la nozione di benedizione e la relazione con il bene. Da un lato benedire è più un atto di riconoscimento che di regolarizzazione, dall’altro riguarda un aspetto della esistenza e non la sua integralità. Ma il riconoscimento è un atto difficile quando una Chiesa si è abituata, da 150 anni, a combattere sul matrimonio e sulla sessualità come se fosse sua competenza esclusiva. In ogni questione in cui vi sia in gioco una forma di “comunione di vita e di amore” immediatamente scatta una volontà di potenza più forte di ogni riconoscimento. Ogni altro potere è negato: anche quello di benedire una coppia di uomini o di donne. Del passaggio ad una lettura escatologica della
“letizia dell’amore” e della autocritica delle forme ottocentesche di pastorale familiare, che Amoris Laetitia aveva sancito con forza nei suoi numeri 34-37, non sembra esservi traccia nella mens del responsum.

Non c’era da aspettarsi una evoluzione dopo il Sinodo sulla famiglia?
Senza dubbio l’evoluzione, sul piano generale di lettura della esperienza familiare, vi è
stata, sia sul piano pastorale, sia sul piano teologico. La inerzia delle Congregazioni è nota e non è sorprendente che possa esprimere una lettura della vita personale e della
relazione sessuale tanto chiusa in una lettura meramente “funzionale”. Certo, a leggere
bene il responsum, non tutto è arretrato. Ci sono anche piccole apertura, che però non
hanno potuto incidere sulla decisione, che appare rinserrata nelle evidenze di una società tradizionale, che non ha conosciuto il passaggio dal sesso alla sessualità.
Sostanzialmente continua a ragionare con l’idea che il matrimonio sia esercizio legittimo di uno “ius in corpus”.

Qual è il punto debole del responsum?
La debolezza non riguarda nello specifico la questione sollevata, ossia la questione della benedizione delle coppie omoaffettive. Riguarda invece la comprensione generale e strutturale del rapporto tra gioia dell’amore e esercizio della sessualità. Poiché, secondo la tradizionale posizione premoderna, l’unico luogo legittimo per l’esercizio del sesso è il matrimonio, e poiché l’esercizio del sesso tra due uomini o due donne è obiettivamente disordinato – ossia non finalizzato in alcun modo alla generazione – ecco che se ne deduce una duplice causa di illiceità: perché non può essere esercitato nel matrimonio e non può essere finalizzato alla generazione. Come è evidente, in questa prospettiva la comunità di vita e di amore, che può essere certo accessibile anche ad una coppia omoaffettiva, non entra neppure in considerazione, se non in modo talmente marginale, da non riuscire ad intaccare il giudizio drasticamente negativo. La “legge oggettiva” prevale in modo drastico su ogni considerazione soggettiva. Per questo, fin dal primo momento, mi è sembrato che fosse giusto definire la prospettiva di questo responsum con le parole di Amoris Laetitia 304: “pusilli animi est”, ossia “è meschino”, proprio perché si illude che una “legge oggettiva” possa scavalcare e determinare integralmente la logica della benedizione.

Tra le tante prese di posizione contrarie va segnalata quella del Vescovo di Anversa,
Johan Bonny, e anche di vescovi tedeschi (che stanno celebrando il loro sinodo). Per il
vescovo di Anversa il “Responsum” “manca di cura e attenzione pastorale, di fondamento scientifico e di precauzione etica”. Una stroncatura netta. Insomma tra chi vive nel concreto vivente della società questa presa di posizione è sentita come dottrinaria e astratta. Siamo lontani dalla Chiesa in uscita tante volte evocata in questi anni. È così Professore?

La reazione più sana, a mio avviso, è quella che nota come, 5 anni dopo Amoris Laetitia, e quasi in coincidenza della data anniversaria di quel documento, è possibile restare assolutamente chiusi in una comprensione formale, legalistica ed anche, me lo lasci dire, poco canonistica della questione. Ha avuto ragione il prof. Consorti ad affermare che, nella decisione, non si è considerata la questione sul piano più schiettamente canonico, il che avrebbe lasciato spazi di manovra più ampi, proprio per non anticipare il giudizio morale in un atto liturgico come la benedizione che “non chiede nulla ai soggetti” se non di essere testimoni del bene. Una lettura solo “pedagogica” ha bloccato ogni spazio di manovra, riducendo le persone al loro comportamento sessuale, inevitabilmente pregiudicato.

Quali sono invece le ragioni, dal suo punto di vista, per le quali la benedizione si potrebbe dare?

Proviamo a entrare diversamente nel problema, senza lasciarci condizionare da come è
stata posta la domanda sul “potere della Chiesa di benedire le coppie dello stesso sesso”. Mi sorprende che la CDF non abbia voluto imitare nemmeno un poco lo stile di Gesù, che non rispondeva mai alle domande, ma cambiava la domanda. Cambiamo la domanda e chiediamoci: “non può forse la Chiesa riconoscere il bene che c’è in una coppia, non importa come sia composta, nella quale la comunione di vita e di amore siano assunte come prospettive di dono reciproco e di una reale esistenza per l’altro”? Io credo che ad una tale domanda qualsiasi Congregazione non avrebbe difficoltà a rispondere: affermative. Aggiungerei, parafrasata, una frase famosa del Card. Martini, che potremmo applicare a questa condizione. Anche qui si tratta di cambiare la domanda: non dobbiamo chiederci “se si possano benedire queste coppie omoaffettive”, ma “se non siano soprattutto queste coppie a dover essere benedette”!

Sappiamo che la Chiesa Cattolica ha fatto un grande cammino verso la comprensione
della omosessualità, e questo è presente, in alcuni passaggi, del responsum.

 Non c’è il rischio di passi indietro?

I passi indietro sono evidenti nel momento in cui tutta la elaborazione compiuta, anche
solo rispetto al testo del CCC, non ha avuto alcuna incidenza su una decisione che è stata assunta con categorie che sono quelle della neoscolastica degli anni 50. Tuttavia, e questo dobbiamo saperlo bene, senza un nuovo sapere sistematico, che sappia coniugare a dovere aspetti oggettivi e soggettivi nuovi, non riusciremo a affrontare correttamente le questioni. E, lo ripeto, per integrare a dovere la “omo-sessualità”, dobbiamo comprendere in modo nuovo la sessualità. Per certi versi la fatica più grande dobbiamo farla con le coppie eterosessuali, per poter comprendere, in maniera nuova, anche le coppie omosessuali. Viceversa, la incomprensione della omoaffettività dipende da una teologia della eteroaffettività ancora troppo rozza, troppo moralistica e troppo legalistica. Potrei fare questo esempio: si osservi quanto impacciati siamo nell’affrontare istituzionalmente le crisi delle coppie eterosessuali per capire quanto arretrate sono le categorie con cui pensiamo matrimonio, famiglia, sessualità e vita comune. Da categorie arretrate nel pensare la eterosessualità difficilmente verremo a capo delle questioni, solo parzialmente diverse, che emergono dalle nuove forme di unione, che dovremmo anzitutto riconoscere come esistenti e non solo come perversioni manifeste.

Veniamo per finire al Papa Francesco. Sappiamo che papa Francesco è un uomo dai
grandi gesti. Sono davvero tanti. E dalla parola profonda e sincera. Domanda : ma questo responsum è in sintonia con il suo magistero?

Fin dall’inizio io sono rimasto piuttosto perplesso per la insistenza con cui il responsum
veniva riferito direttamente al papa, cosa che in sé è tanto ovvia quanto sospetta. Dico
ovvia, perché il procedimento con cui si arriva ad un responsum prevede il passaggio
papale. Ma che un documento firmato da un Prefetto e un Segretario di Congregazione si pretenda di attribuirlo direttamente al papa dice una debolezza. E quando un documento, la cui forza starebbe nella argomentazione, pretende di valere direttamente per la autorità che rappresenta, mostra la corda prima ancora di aver parlato. Ad ogni modo, se anche fosse firmato dal papa, non sarebbe un documento definitivo. Nella sua qualità di responsum ha un valore dottrinale modesto. L’unico livello su cui potrebbe essere valorizzato è su ciò che non ha ritenuto rilevante per decidere in senso negativo. E un documento che dice no, ma diventa importante per i sì che non ha saputo argomentare come doveva, lasciando lo spazio perché colui, al servizio del quale è stato scritto, ma che non lo ha firmato, possa trovare il tempo e il modo per chiarire che cosa è veramente una benedizione e quanto è preziosa per entrare in relazione autentica con le vite di coloro che conoscono che cosa significa amare e vivere per l’altro. E non è detto che di fronte alla stessa coppia, la cui benedizione sarebbe giudicata illecita, non si trovi chi sia disposto a levarsi i calzari.

 ***

Versione italiana della dichiarazione dei 212 professori di teologia tedeschi sul responsum:

Dichiarazione sul “Responsum” della Congregazione per la Dottrina della Fede
Lunedì 15 marzo 2021, la Congregazione per la Dottrina della Fede ha pubblicato un responsum,
in cui nega la possibilità di benedizione da parte della chiesa delle unioni dello stesso sesso. Come professori di teologia cattolica, prendiamo posizione su questo.
La “Nota esplicativa” sul responsum e il “Commento” pubblicato con essa mancano di profondità teologica, comprensione ermeneutica e di rigore argomentativo.  Se rilevanti conoscenze scientifiche vengono ignorate e non recepite, come accade nel documento, il Magistero mina la propria autorità.
Il testo è caratterizzato da un gesto paternalistico di superiorità e discrimina le persone omosessuali e il loro stile di vita. Prendiamo decisamente le distanze da questa posizione. Al contrario, assumiamo che la vita e l’amore delle coppie dello stesso sesso valgono davanti a Dio non meno della vita e dell’amore di tutte le altre coppie.
In molte comunità, sacerdoti, diaconi e altri operatori e operatrici pastorali riconoscono le persone omosessuali, anche celebrando riti di benedizione per coppie dello stesso sesso e riflettendo sulle forme liturgiche appropriate di tali celebrazioni. Le riconosciamo espressamente come pratiche da valorizzare.

FONTE: 

sabato 20 marzo 2021

IL VESCOVO CATTOLICO DELLA DIOCESI DI ANVERSA (BELGIO) A PROPOSITO DELLA DICHIARAZIONE SULLE COPPIE OMO: "MI VERGOGNO"


 Il mio articolo dell'altro ieri su "Repubblica-Palermo"

 (https://www.augustocavadi.com/2021/03/lamore-fra-omosessuali-ha-bisogno-della.html) 

ha suscitato, del tutto legittimamente e prevedibilmente, non solo consensi, ma anche dissensi. 

Fra i primi segni di approvazione il w'app di una mia nipote assai cara che vive a Roma da anni: "Augusto caro, grazie per questo articolo bellissimo: il tuo punto di vista rende più leggero l'animo e può tranquillizzare  molti tormenti che alcun* mie amici e amiche stanno vivendo a causa di questa dichiarazione della Chiesa, più per quanto questa influenzi l'opinione pubblica che per altro.Molti di loro poi stanno insieme o hanno le così dette 'storie' con preti del Vaticano, o vengono coinvolti in festini lì dentro, quindi a maggior ragione sono amareggiati di fronte alla Dichiarazione ufficiale  rilasciata.Ma questa credo sia una storia vecchia secoli e tu la conosci benissimo. Intanto abbraccio forte forte te e Adriana e vi auguro buona primavera (quest'anno comincia oggi, il 20)".



A quanti, invece, hanno espresso dissenso    - nessuno di loro, a quanto mi risulta, ha mai seguito corsi regolari di studi teologici (come notava Hegel per la filosofia, ci sono campi in cui ritiene di potersi pronunziare con certezza anche una persona che se ne guarderebbe bene se si parlasse di cucina e non fosse cuoco o di scarpe e non fosse calzolaio) -  giro volentieri questa lettera pubblica del vescovo della diocesi cattolica di Anversa (Belgio):

"Nell’ottobre 2015 ho partecipato al Sinodo sul matrimonio e la famiglia in rappresentanza dei vescovi del Belgio. Ho ascoltato i vescovi in aula e nei corridoi, ho sentito tutti i discorsi, ho partecipato alle discussioni di gruppo e alla stesura degli emendamenti per il testo finale.

Il 15 marzo 2021 la Congregazione per la dottrina della fede ha risposto negativamente alla domanda se le unioni omosessuali possono essere benedette. Come mi sento dopo questo responsum?

Male. Provo vergogna per la mia Chiesa, come ha detto ieri un prete. E soprattutto, provo vergogna intellettuale e morale. Voglio chiedere scusa a tutti coloro per i quali questa risposta è dolorosa e incomprensibile: le coppie omosessuali credenti e impegnate nella fede cattolica; genitori e nonni di coppie omosessuali e dei loro figli; operatori pastorali e accompagnatori di coppie omosessuali. Il loro dolore per la Chiesa è oggi il mio dolore.

Il responsum manca di cura e attenzione pastorale, di fondamento scientifico, della sfumatura teologica e della precauzione etica che erano presenti nei padri sinodali che hanno approvato le conclusioni finali del Sinodo. Qui è all’opera un diverso processo di consultazione e di decisione. A titolo di esempio, vorrei citare solo tre passaggi.

In primo luogo, il paragrafo nel quale si afferma che nel piano di Dio non c’è la minima possibilità di somiglianza e nemmeno di analogia tra il matrimonio eterosessuale e quello omosessuale. Conosco personalmente coppie dello stesso sesso, sposate civilmente, con figli, che sono famiglie calde e stabili e sono attivamente coinvolte nella vita della loro parrocchia.

Alcuni di loro sono anche attivi a tempo pieno come assistenti pastorali o responsabili in varie aree della vita della Chiesa. Sono particolarmente grato a loro. Chi potrebbe negare che non c’è alcuna somiglianza o analogia con il matrimonio eterosessuale? Al Sinodo la falsità fattuale di una simile posizione è stata ripetutamente sottolineata.

In secondo luogo, il concetto di “peccato”. I paragrafi finali tirano fuori l’artiglieria morale più pesante. La logica è chiara: Dio non può approvare il peccato; le coppie omosessuali vivono nel peccato; quindi la Chiesa non può benedire la loro relazione.

Questo è esattamente il linguaggio che i padri sinodali non hanno voluto usare, sia in questo che in altri casi sotto il titolo generale di situazioni cosiddette “irregolari”.

Questo non è il linguaggio di Amoris laetitia, l’esortazione di papa Francesco del 2016.  Il “peccato” è una delle categorie teologiche e morali più difficili; e quindi una delle ultime a dover essere applicata alle persone e al modo di condividere la loro vita. E certamente non va fatto su categorie di persone in generale.

Ciò che le persone sono disposte e capaci di fare, in questo preciso momento della loro vita, con le migliori intenzioni che hanno per sé stesse e per i loro cari, davanti al Dio che amano e che le ama, non è una questione semplice da definire. In effetti, la teologia morale cattolica classica non ha mai affrontato queste questioni in modo così semplice. O tempora, o mores!

Infine, il concetto di “liturgia”. Questo mi mette ancora più in imbarazzo come vescovo e teologo. A causa della loro relazione, le coppie omosessuali non sono degne di partecipare alla preghiera liturgica o di ricevere una benedizione liturgica. Da quale nascondiglio ideologico è uscita questa affermazione sulla “verità del rito liturgico”?

Di nuovo, questa chiaramente non era la dinamica del Sinodo. Si è parlato ripetutamente di rituali e gesti appropriati per includere le coppie omosessuali, anche in ambito liturgico. Certo, questo rispettando la distinzione teologica e pastorale tra un matrimonio sacramentale e la benedizione di una relazione.

La maggioranza dei padri sinodali non ha optato per un approccio liturgico in bianco e nero, o un modello tutto o niente. Al contrario, il Sinodo ha dato l’impulso per esplorare con giudizio le forme intermedie, che rendono giustizia sia all’unicità di queste persone sia alla particolarità della loro relazione.  La liturgia è la liturgia del popolo di Dio, e anche le coppie dello stesso sesso appartengono a questo popolo.

Inoltre, sembra irrispettoso affrontare la questione di un’eventuale benedizione di coppie dello stesso sesso a partire dai cosiddetti sacramentalia o dei rituali di benedizioni, in cui è prevista anche la benedizione di animali, automobili ed edifici.

Un approccio rispettoso al matrimonio omosessuale può avvenire solo nel più ampio contesto del rito del matrimonio, come una possibile variazione sul tema del matrimonio e della vita familiare, con un onesto riconoscimento sia delle somiglianze sia delle reali differenze.

Con le sue benedizioni, Dio non è mai stato avaro o sospettoso. Egli è nostro Padre. Questo era l’approccio teologico e morale della maggior parte dei padri sinodali.

Insomma: nel presente responsum non trovo le linee principali – così come le ho vissute – del Sinodo dei vescovi del 2015 su matrimonio e famiglia. Si tratta di un danno per le coppie omosessuali credenti, le loro famiglie e i loro amici. Sentono di non essere stati trattati in modo sincero e onesto dalla Chiesa. Le reazioni in questo senso ci sono già.

È anche deplorevole per la Chiesa. Questo responsum non è un esempio di cammino comune. Il documento mina la credibilità sia della “via sinodale” fortemente voluta da papa Francesco, sia dell’anno dedicato alla ripresa di Amoris laetitia. Il vero Sinodo vuole sollevarsi?

Johan Bonny

vescovo di Anversa "

venerdì 19 marzo 2021

L'AMORE FRA OMOSESSUALI HA BISOGNO DELLA "BENEDIZIONE" DI QUALCUNO ?


 “Repubblica – Palermo”

18.3.2021

 

L’AMORE E’ SANTO IN SE’…

 

La Congregazione per la dottrina della fede (in termini laici, civili, si direbbe il Ministero vaticano per l’ortodossia) ha dichiarato “illecite” le benedizioni concesse alle coppie omosessuali. Sino a pochi decenni fa valeva l’adagio “Roma locuta, causa soluta est” (Roma ha parlato, la questione è risolta), ma oggi per fortuna non è più così. Gli interventi di vari preti palermitani – e non tra i meno autorevoli per dottrina e impegno pastorale - riportati sulla nostra edizione di ieri lo attestano: con toni solo leggermente diversificati, sono comunque unanimi nell’appellarsi al messaggio evangelico come istanza prioritaria rispetto ai documenti vaticani. Le opinioni che mi sono arrivate, attraverso vari canali anche diretti, di amiche e amici omosessuali che non hanno abbandonato la professione cristiana (sia cattolica che protestante) sono – ovviamente – sulla stessa lunghezza d’onda, anche se contrassegnate da una più marcata venatura di stupore (il documento è stato previamente approvato da papa Francesco), di amarezza e di indignazione.

Se da una parte condivido queste preoccupazioni del mondo delle persone impegnate in relazioni omoaffettive, dal momento che notizie come queste travalicano i confini della Chiesa cattolica e influenzano – più o meno consapevolmente – la mentalità dei cittadini in generale (accrescendo i rischi dei pregiudizi e dei conseguenti comportamenti omofobi) , dall’altra non posso evitare di chiedermi: ma non stiamo esagerando? In una fase storica in cui il numero dei matrimoni religiosi, in chiesa,  è in calo crescente rispetto ai matrimoni civili, in municipio, è davvero il caso di dare tanta importanza (sia pur nella contrapposizione dialettica) a ciò che opina un’istituzione ecclesiastica in palese crisi di consensi? 

A questa considerazione generale, di ordine sociologico, ne vorrei aggiungere un’altra più specifica, di ordine teologico. Probabilmente non è a tutti noto che la “benedizione”, secondo la Bibbia e la Tradizione più antica,  non è prima di tutto un’ azione di Dio né direttamente né attraverso suoi (veri o presunti) rappresentanti.  E’ piuttosto un’azione dell’essere umano che – davanti a un dono della vita – avverte l’esigenza spontanea di “dire bene” di Dio. Etimologicamente, ed essenzialmente, non è Dio che benedice il pane sulla nostra tavola o un neonato o una coppia di innamorati: siamo noi, se credenti in Lui, che ne “diciamo bene”, lo ringraziamo, lo lodiamo, per ciò che interpretiamo come manifestazione della sua benevolenza. L’amore – in tutte le sue forme – è già in sé stesso santo (anzi, secondo la Prima Lettera di S. Giovanni, è manifestazione nella storia del Dio che è Amore): ritenere che la “benedizione” di un prete lo possa legittimare o purificare o rinforzare è superstizione antropomorfica. Ciò che un prete, una madre di famiglia, un ragazzo possono fare è “bene-dire” di Dio per quell’amore che sta accadendo sotto il loro sguardo ammirato. Questo diritto-dovere, per un credente, di parlare bene di Dio, e Dio, nessuna istituzione umana (per quanto ‘sacra’ possa auto-interpretarsi) lo può strappare a chicchessìa.

 

Augusto Cavadi 

www.augustocavadi.com