venerdì 27 ottobre 2023

FRANZ JAEGERSTAETTER, MARTIRE DELL'OBIEZIONE DI COSCIENZA: UNA STORIA DI BRUCIANTE ATTUALIA'

 

DISOBBEDIRE AGLI ORDINI INGIUSTI SOLA VIA PER LA PACE

Ci sono libri che fanno male al cuore, ti raggiungono come un pugno sotto lo sterno. Eppure – o forse proprio per questo – vanno letti. E’ il caso di Solo contro Hitler. Franz Jägerstätter, il primato della coscienza (EMI, Verona 2021, pp. 176, euro 16,00) di Francesco Comina: un testo che, illuminando retrospettivamente la figura di un grande obiettore di coscienza, lancia inquietanti interrogativi a noi contemporanei di troppe “inutili stragi” (Benedetto XV). 

La vicenda di questo contadino austriaco che, chiamato alle armi dall’esercito nazista tedesco, nonostante il fortissimo amore per la moglie Franziska e le tre figliolette, dichiara incompatibile con la sua fede cristiana l’arruolamento in un esercito che combatte guerre immorali e accetta la conseguente decapitazione, sarebbe da sola intrigante: “Credo che sia impossibile dire che è un reato o un peccato rifiutare, come cattolici, di prestare oggi il servizio militare. Anche se ciò comporta la morte, non è forse più cristiano offrire se stessi in sacrificio piuttosto che, per salvarsi la vita, dover prima uccidere altri che hanno comunque diritto di vivere?” (p. 82).

Diventa ancor più indispensabile la narrazione di questa vicenda – a lungo taciuta perché, per contrasto, evidenzia la diplomatica accondiscendenza dell’episcopato austriaco e tedesco ai deliri razzisti e imperialistici di Hitler – perché Comina la intreccia con altre storie simili. Alcune note come la vita del pastore protestante Dietrich Bonhoeffer (“La chiesa confessa di aver assistito all’uso arbitrario della forza brutale, alle sofferenze fisiche e spirituali di innumerevoli innocenti, all’oppressione, all’odio, all’assassinio, senza elevare la propria voce in favore delle vittime, senza aver trovato vie per correre loro in aiuto. Essa è resa colpevole della vita dei fratelli più deboli e indifesi di Gesù Cristo”, p. 101); altre meno note e meritevoli di “memoria sovversiva” (J. B. Metz). Vengono, infatti, evocati Joseph Mayr-Nusser (“Ci tocca oggi assistere a un culto del leader (Fűhrer) che rasenta l’idolatria. Tanto più può stupirci questa cieca fiducia nei leader se consideriamo che viviamo in un’epoca piena delle più straordinarie realizzazioni dello spirito umano in tutti i campi della scienza e della tecnica”, p. 24); Edith Stein (“Da settimane siamo spettatori, in Germania, di avvenimenti che comportano un totale disprezzo della giustizia e dell’umanità, per non parlare dell’amore del prossimo”, p. 26); Johannes Maria Gfőllner (“Il punto di vista nazionalsocialista sulle razze è totalmente incompatibile col cristianesimo e perciò deve essere risolutamente rifiutato. Questo vale anche per il radicale antisemitismo che il nazionalsocialismo predica. E’ inumano e non cristiano disprezzare, odiare, perseguitare il popolo ebraico soltanto per la sua origine”, p. 36); Michael Lerpscher (giovane contadino legato alla comunità religiosa di Max Joseph Metzger, prete pacifista radicale, di cui leggiamo: “Sono e rimango un uomo libero/ mi si possa anche incatenare. /La verità continua a sventolare,/ e io continuerò ad annunciarla coraggiosamente./ E se mi verrà tagliata la lingua,/allora parlerò col mio silenzio”, p. 79 );  il francescano Josepf Ruf (“Mai in nessun modo mi è lecito conciliare il servizio armato con l’insegnamento nonviolento di Cristo!”, p. 40); Franz (detto Pater) Reinisch (“So che molti ecclesiastici pensano diversamente da me, ma non importa. Per quanto tenti di controllare la mia coscienza io non posso giungere a nessun altro giudizio. Con la grazia di Dio, non agirò mai contro la mia coscienza. Come cristiano e come austriaco mi sento nel pieno diritto di coscienza di non prestare giuramento di fedeltà a un uomo come Hitler”, p. 81); i giovani della “Rosa Bianca” (Hans e Sophie Scholl, Cristoph Probst, Willi Graf, Alexander Schmorell) ed il loro professore di filosofia Kurt Huber; padre Friedrich Lorenz, don Herbert Simpleit, mons. Carl Lampert; i coniugi Elise e Otto Hampel (distributori clandestini di inviti alla ribellione: “L’hitlerismo significa che la violenza spadroneggia in tutto il mondo. Rimarrà per l’eternità un’ingiustizia e non porterà mai i popoli alla pace. Abbi fiducia in te stesso e non nella banda di Hitler”, p. 113).

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giovedì 26 ottobre 2023

L'AUTORITA' GERARCHICA NELLA CHIESA CATTOLICA SECONDO ORTENSIO DA SPINETOLI

 

LA LEADERSHIP NELLA CHIESA CATTOLICA: UNA RIFORMA ORMAI INDIFFERIBILE

Tra i fenomeni più curiosi che si registrano negli ambienti ecclesiali si può annoverare la discrasia fra l’evoluzione teorica (esegetico-teologica) e la stasi della pratica (pastorale-organizzativa). I tre saggi di Ortensio da Spinetoli, originariamente editi negli anni Settanta del secolo scorso ed ora ripubblicati nell’agile volumetto Tra voi non sarà così…Autorità, servizio, ispirazione nel Nuovo Testamento (Servitium, Milano 2023, pp. 140, euro 15,00),  illuminano un caso esemplare di tale discrasia: la leadership in una comunità di credenti.

 Infatti, da una parte, gli studi biblici sono sempre più espliciti nello spiegare che Gesù – ammesso che la convinzione di un’imminenza del Regno non lo abbia distolto da qualsiasi progettualità a lungo termine – non ha certo immaginato una Chiesa gerarchica, verticale, piramidale; ma, dall’altra, il diritto canonico (anche nelle sue riformulazioni più recenti, sotto il pontificato di Francesco) e la prassi quotidiana a tutti i livelli (Chiesa universale, diocesi, parrocchie, comunità di persone consacrate, associazioni cattoliche) non hanno scalfito, al di là di qualche maquillage, l’impostazione istituzionale bimillenaria. Nella Introduzione (secondo il suo stile abituale lucida e franca) don Ferdinando Sudati cita quei passaggi della nuova “Legge fondamentale dello Stato della Città del Vaticano” (del 13 maggio 2023 !) secondo cui il papa sarebbe “chiamato ad esercitare in forza del munus petrino poteri sovrani anche sullo Stato della Città del Vaticano” (p. 10). Si noti l’avverbio anche: nella Città del Vaticano come, in generale, nella Chiesa cattolica.  E in cosa consisterebbero tali poteri sovrani? Nella “pienezza della potestà di governo, che comprende il potere legislativo, esecutivo e giudiziario” (ivi). Dunque: la ricerca biblica appura che Gesù di Nazareth non si è attribuito, e tanto meno ha trasmesso ad altri, il potere legislativo né l’esecutivo né il giudiziario; ma il più evangelico, anzi francescano, dei papi moderni (forse come estrema arma di difesa dai nemici interni del suo processo riformatore) ribadisce che un Capo supremo li può, anzi li deve, esercitare e per giunta in maniera indivisa, autocratica, totalitaria. Ma ciò che avviene a Roma, molti di noi l’hanno sperimentato in periferia: preti che teologicamente fanno passi da giganti in avanti, poi di fatto continuano a comportarsi con l’atteggiamento paternalistico – quando non autoritario – dei Superiori nei seminari da loro frequentati più di mezzo secolo prima! Ortensio da Spinetoli, sulla scia del Vaticano II, toglie ogni base biblica al modello imperiale romano della Chiesa latina: “l’autorità ha lungo i secoli fagocitato la comunità, i diritti e le aspirazioni dell’uomo. Il conflitto che essa ha sostenuto con la libertà degli individui si è chiuso sempre a suo vantaggio”, ma “gli indirizzi attuali cercano di riesaminare il problema per giungere a una soluzione più rispondente alle fonti evangeliche e agli intenti di Cristo” (p. 53), nella convinzione di fondo che “la libertà è il dono inalienabile che Dio ha accordato alle creature intelligenti e che egli stesso rispetta. Egli non può perciò permettere ad altri di ignorarla o di calpestarla; tanto meno in suo nome” (p. 54).

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martedì 24 ottobre 2023

LA VIOLENZA DI GENERE: SPECIFICA, MA ALL’INTERNO DI UN QUADRO GENERALE

 

LA VIOLENZA DI GENERE: SPECIFICA, MA ALL’INTERNO DI UN QUADRO GENERALE

In medicina il contrasto alle forme di cancro dovrebbe contemperare un doppio sguardo: sulla specificità della patologia (che esige conoscenze e terapie specifiche) e sulla globalità del soggetto umano che ne soffre.  Concentrarsi sulla specificità comporterebbe ignorare la costellazione della cause, remote e prossime, del cancro e dunque restringere riduttivamente l’area degli interventi curativi; d’altra parte, se si cercano soltanto le cause genetiche, alimentari, psicologiche, ambientali, socio-relazionali… - per contrastarle - si rischia con altissima probabilità che, intanto, quel paziente determinato muoia tra sofferenze atroci.

Qualcosa di simile avviene con molti fenomeni sociali quali la violenza maschile ai danni delle donne di cui le cronache sono zeppe. Indubbiamente essa presenta caratteri determinati, originali, che vanno analizzati al microscopio: considerarla una delle tante facce della violenza,  atteggiamento radicato nell’essere umano e diffuso lungo i millenni su tutto il pianeta, significa annegarla in un indistinto mare oscuro e rinunziare a ipotizzare diagnosi e terapie mirate. Per questo è necessario che le istituzioni e la società abbiano al loro interno settori (per esempio  di magistrati e di polizia giudiziaria) e associazioni (per esempio il coordinamento nazionale “Maschile plurale”: www.maschileplurale.it ) specializzati, formati appositamente: come avviene rispetto alla criminalità mafiosa o ai reati ambientali.

La focalizzazione della violenza di genere sarebbe – ed è stata sinora – fallimentare se non procedesse, contemporaneamente, con una contestualizzazione generale: essa non è il tumore imprevedibile che si manifesta in un organismo sano. Debellarla come dato isolato sarebbe illusorio. Come ignorare che tale modalità specifica si inserisce, perfettamente, all’interno di un sistema culturale-politico-economico in cui la maggioranza dei cittadini, degli intellettuali, degli esponenti partitici e sindacali accetta come inevitabile (in qualche caso come positiva e auspicabile) la violenza quotidiana, strutturale, metodica ai danni di miliardi di animali senzienti; di milioni di lavoratori esposti a incidenti mortali e a sfruttamento economico; di centinaia di migliaia di migranti in fuga da guerre e carestie; di decine di migliaia di omosessuali e di transessuali oggetto di aggressioni fisiche e derisioni…Il filo rosso che collega tutte queste perle di violenza è la riduzione di soggetti a oggetti, più specificamente a merci. E’ una conseguenza inevitabile del capitalismo liberale o del nazionalsocialismo o del socialcomunismo? Intanto abbiamo l’attestazione inequivoca della storia mondiale anche contemporanea: con accentuazioni differenti, tutti i regimi dei grandi Stati moderni hanno esercitato violenza sistemica ai danni degli animali, dei lavoratori alle dipendenze dello Stato o di imprese private, degli stranieri immigrati, delle minoranze sessuali. La brutalità dei governi statunitense o russo o ucraino non è certo paragonabile all’egoismo nazionalistico dei governi svizzero o tedesco o finlandese: ma il conflitto russo-ucraino sta tragicamente dimostrando che la 'civilissima' Unione Europea non ha gli strumenti culturali e organizzativi anche solo per immaginare alternative alla risoluzione delle controversie internazionali  mediante la guerra.

Attiviamo dunque tutte le misure pedagogico-educative che riteniamo funzionali a limitare la pratica quotidiana della violenza maschile sulle donne (cioè di uomini che, in quanto uomini, umiliano o eliminano donne in quanto donne): ma senza dimenticare che tale violenza specifica è tutta interna a un “pensiero unico” che dal Canada alla Cina, dalla Francia all’India, dall’Italia all’Argentina, accetta come ovvio che minoranze sempre più ristrette di miliardari sempre più ricchi dispongano - come diritto naturale indiscutibile -  della vita, della salute, della dignità, della morte del resto dell’umanità e, a maggior ragione, del resto degli altri animali. Non si è predatori- sfruttatori a ore alterne: se è questa la visione di sé nell’universo, e dunque la conseguente postura rispetto a ciò che vive, i limiti che ci porremo saranno labili e spostabili all’infinito.

Augusto Cavadi

7.9.2023

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venerdì 20 ottobre 2023

LA MELONI LASCIA IL COMPAGNO. SPERO ANCHE IL MASCHILISMO

 

LA MELONI LASCIA IL COMPAGNO. SPERO ANCHE IL MASCHILISMO SESSISTA.

In quanto maschio, provo vergogna per i comportamenti sessisti e fedifraghi di altri maschi (come il marito di Alessandra Mussolini o il compagno di Giorgia Meloni). Questa vergogna non mi impedisce, però, di considerare quanta doppiezza morale ci possa essere in personaggi pubblici (come la Mussolini e la Meloni) che sbandierano ai quattro venti un certo modello di famiglia, ne fanno un acchiappa-voti della gente più ingenua e disinformata, ma nel privato si accompagnano con partner non certo in linea con quel modello. Anzi - il che è più grave - in Parlamento votano a favore della tesi di un Berlusconi secondo cui la ragazza marocchina dei suoi festini era la nipote del presidente egiziano Mubarak. Insomma: in democrazia ognuno ha le sue idee sulla morale in genere e sulla morale sessuale in particolare. Ma adottarne una (a scopi elettoralistici) e praticarne un'altra opposta (per i propri comodi) è ipocrisia inaccettabile. (Ovviamente ciò vale non solo per donne pubbliche, ma anche per uomini pubblici come Casini o Salvini: ma la lista dei maschi ipocriti in questo ambito sarebbe molto più lunga...).

Come ho avuto modo di precisare ad alcune interlocutrici su FB, so per esperienza personale che tutti facciamo errori nella vita, soprattutto nel campo delle relazioni sentimentali. Non è certo questo che mi scandalizza in Giorgia Meloni, anzi – per quanto le è capitato – solidarizzo da maschio etico con lei e ne condivido la decisione di sano orgoglio. (Magari tutte le donne avessero questa decisione nel troncare rapporti tossici!).

Ma sarei insincero se non aggiungessi che la stessa Meloni è stata per molti anni con un uomo (con cui ha procreato anche una figlia) difendendone il diritto di esprimere pubblicamente idee maschiliste, sessiste, violente (ricordiamo la storiella delle giovanette che, se non si ubriacano, il lupo non l’incontrano mai? E le giornaliste Mediaset erano tutte ubriache quando egli le ha disturbate, allettate, tentate di sedurre in cambio di lavoro?).

La Meloni ha condiviso la vita con un maschio che  non ha espresso la sua visione della donna e della dimensione sessuale solo all’ombra di telecamere, ma chi sa quante volte nei discorsi in famiglia e tra amici. E lei non solo non ha protestato prima di essere ferita direttamente e personalmente, ma lo ha anche raccomandato per avere visibilità alla TV. No, questi non sono comportamenti privati insindacabili se in pubblico chiedi voti per difendere “il modello della famiglia cattolica” (che, intanto, eviti di seguire restando nubile). Puoi chiedere voti per mille ragioni, ma non per combattere legislativamente le persone omosessuali che chiedono il riconoscimento civile della loro unione, le femministe che chiedono la parità dei diritti con gli uomini, i pacifisti che contestano il militarismo bellicista…No, è questa ipocrisia – questa doppia morale – che ritengo inaccettabile e che spero – in un domani non troppo lontano – possa suscitare la risposta più logica da parte degli elettori (di Destra, di Sinistra e di Centro).

                                                                 Augusto Cavadi

                                                                                                     www.augustocavadi.com

 

mercoledì 18 ottobre 2023

LA FILOSOFIA COME BUSSOLA NEL LABIRINTO DELLA STORIA SECONDO STEFANO ZAMPIERI

 Progettare la propria esistenza per orientarsi nel labirinto del mondo

A giudicare dal titolo (La filosofia spiegata ai giovani) e dal sottotitolo (Come costruire la propria esistenza e orientarsi nella vita), l’ultimo libro di Stefano Zampieri (Diarkos Editore,  Santarcangelo di Romagna 2023, pp. 204, euro 17,00) potrebbe essere scambiato per l’ennesimo manuale propedeutico, ad uso di studenti che si avvicinino per la prima volta alla storia e alle tematiche principali della filosofia. In realtà è qualcosa di diverso: uno scritto originale, raffinato e articolato, al punto da risultare, a mio avviso, adatto a lettori adulti (o a giovani che, però, abbiano acquisito una notevole familiarità con l’ordine del discorso filosofico).

Precisiamo subito: “la” filosofia in questione è, inevitabilmente, “una” delle innumerevoli declinazioni della pratica filosofica. Sul modello delle scuole greche ed ellenistiche, infatti, viene qui presentata non come un’attività esclusivamente intellettuale, bensì come  “un vero e proprio stile di vita” (p. 14). Di conseguenza, “una filosofia pensante e dialogante”, “una filosofia nella vita quotidiana, capace di rischiarare le oscure immagini della nostra identità” (p. 23), purché non la si concepisca “come una medicina, come la pillola che prendiamo per il mal di testa”: essa, infatti, “ci aiuta dall’interno, nel senso che ci mette sulla strada, e poi tocca a noi camminare, tocca a noi scegliere la direzione definitiva. La filosofia ci mostra lo spazio che abbiamo di fronte, ci indica l’orizzonte, ci aiuta a fissare dei punti di riferimento utili per non perdersi, ma poi tocca a noi. Saremo noi, infatti, a decidere quale sentiero imboccare, saremo noi a decidere quanto in fretta vorremo camminare, saremo noi a decidere quali svolte vorremmo prendere, e saremo sempre noi a sceglierci i compagni di viaggio migliori” (p. 24).

Le coordinate che Zampieri propone sono la ricerca della propria identità (ovviamente in senso integrale, non puramente psicologico)  (pp. 27 – 122) caratterizzata , anche, dai punti di riferimento (i “valori”) che adottiamo (auspicabilmente dopo aver sottoposto a vaglio critico quanto ereditato in modo da accettare ciò che davvero “vale” e da scartare il resto) (pp. 123 – 155). Solo quando si sia chiarito cosa si è e cosa si vuole diventare ci si può – e ci si deve – interrogare sulla “strada” più opportuna da percorrere (i Greci la chiamavano metodo), che – nella tradizione sapienziale non solo occidentale – è la “saggezza” (pp. 157 – 192), intesa quale “agire fondato sulla persuasione che un mondo migliore di quello in cui ci si trova a vivere sia non solo possibile ma anche auspicabile” (p. 161).

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domenica 15 ottobre 2023

LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DELLA GIUNTA REGIONALE SICILIANA

LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DELLA GIUNTA REGIONALE SICILIANA

 

Egregio avv.to Schifani,

la proiezione serale  della bandiera israeliana sulla facciata del Palazzo d’Orleans di Palermo (sede della Presidenza della nostra Regione) ci ha sorpresi e addolorati.

Lei, da persona colta, sa dunque benissimo che l’azione di Hamas è una

reazione indiscutibilmente feroce, autolesionistica e ingiustificabile, da condannare assolutamente, ma è una reazione ad un lunghissimo periodo di oppressione altrettanto ingiustificabile, in molte occasioni altrettanto feroce e anch'essa in definitiva autolesionistica. Oppressione portata avanti nel tempo dallo Stato d’Israele su territori che – secondo varie deliberazioni dell’ONU – non gli appartengono.

Perciò, solo se per anni fosse stata proiettata ogni sera la bandiera della Palestina in segno di solidarietà con le vittime quotidiane della politica di “terrore” israeliano avrebbe senso adesso proiettare la bandiera d’Israele in segno di solidarietà con le vittime di questi giorni del terrorismo di Hamas. Ad oggi si contano purtroppo più di 1200 vittime israeliane, prevalentemente civili, falciate dalla furia di Hamas negli insediamenti dei coloni vicini alla striscia di fuori Gaza e altrettante o più vittime palestinesi, prevalentemente civili, schiacciate dalle bombe israeliane nella striscia di Gaza. A nostro avviso, non si possono usare due pesi e due misure: le vittime innocenti hanno la medesima dignità e il medesimo diritto alla solidarietà internazionale.

La nostra città di Palermo ha ospitato per secoli musulmani ed ebrei e anche ai nostri

giorni ha l’ambizione di aprire le sue porte – e le porte della sua Università – a

studenti provenienti da tutto il pianeta. La invitiamo dunque a ordinare la

cessazione della proiezione di quel simbolo che esprime unilateralità invece che equidistanza.

Le chiediamo, se vorrà proiettare bandiere, un’eventuale esposizione di entrambe le bandiere dei due popoli dolorosamente in conflitto, affinché non ci siano dubbi sull’equivicinanza umana dei cittadini palermitani alle vittime innocenti dell’atroce conflitto. Bellissimo sarebbe, poi, se proiettasse anche la bandiera multicolore della pace!

Nella scia della cultura e della prassi nonviolenta, siamo convinti che l’unica via d’uscita dalla barbarie è nelle mani di chi romperà la spirale di odio, rifiutando la logica perversa omicida e suicida della guerra. Solo i civili israeliani e palestinesi che sceglieranno, anche con il nostro aiuto, la via della nonviolenza, dell'agire comune per la pace, potranno ridare speranza al futuro di Israele e Palestina, che hanno un destino sicuro solo nella convivenza.

Grati in anticipo della sua attenzione, porgiamo distinti saluti.

 

Bongiorno Giovanna

Canepa Rosellina

Caruso Renato

Cavadi Augusto

Cozzo Andrea

D’Angelo Gabriella

D’Asaro Maria

Di Liberto Federica Gemma

Fabozzi Carmela

Gallo Roberto

Ganci Margherita

Giacovelli Francesco

Mariscalco Jan

Meci Silvana

Mignosi Elena

Mulé Mario

Musumeci Daniela

Nigrelli Concetta

Provenzano Lia

Ragonese Maria

Rosa Elvira

Russo Giusi

Saieva Adriana

Scarpulla Nino

Sena Giusy

                                                                            Palermo 14.10.2023


venerdì 13 ottobre 2023

LETTERA APERTA AL SINDACO DI PALERMO, PROFESSOR LAGALLA

 Egregio Professore,

l’affissione della bandiera israeliana sulla facciata del Municipio di Palermo ci ha
sorpresi e addolorati. Lei è una persona colta, un docente universitario, un ex-
rettore dell’ateneo palermitano: sa dunque benissimo che l’azione di Hamas è una
reazione indiscutibilmente feroce, autolesionistica e ingiustificabile, da condannare assolutamente, ma è una reazione ad un lunghissimo periodo di oppressione altrettanto ingiustificabile, in molte occasioni altrettanto feroce e anch'essa in definitiva autolesionistica. Oppressione portata avanti nel tempo dallo Stato d’Israele su territori che – secondo varie deliberazioni dell’ONU – non gli appartengono.
Perciò, solo se per anni fosse stata appesa la bandiera della Palestina in segno di
solidarietà con le vittime quotidiane della politica di “terrore” israeliano avrebbe senso adesso esporre la bandiera d’Israele in segno di solidarietà con le vittime di questi giorni del terrorismo di Hamas. Ad oggi si contano purtroppo più di 1200 vittime israeliane, prevalentemente civili, falciate dalla furia di Hamas negli insediamenti dei coloni vicini alla striscia di Gaza e altrettante o più vittime palestinesi, prevalentemente civili, schiacciate dalle bombe israeliane nella striscia di Gaza. A nostro avviso, non si possono usare due pesi e due misure: le vittime innocenti hanno la medesima dignità e il medesimo diritto alla solidarietà internazionale.
 
La nostra città di Palermo ha ospitato per secoli musulmani ed ebrei e anche ai nostri
giorni ha l’ambizione di aprire le sue porte – e le porte della sua Università – a
studenti provenienti da tutto il pianeta. La invitiamo dunque a ordinare la
rimozione di quel simbolo che esprime unilateralità invece che equidistanza.
 
Le chiediamo, se vorrà esporre delle bandiere, un’eventuale esposizione di entrambe le bandiere dei due popoli dolorosamente in conflitto, affinché non ci siano dubbi sull’equivicinanza umana dei cittadini palermitani alle vittime innocenti dell’atroce conflitto.
Nella scia della cultura e della prassi nonviolenta, siamo convinti che l’unica via d’uscita dalla barbarie è nelle mani di chi romperà la spirale di odio, rifiutando la logica perversa omicida e suicida della guerra. Solo i civili israeliani e palestinesi che sceglieranno, anche con il nostro aiuto, la via della nonviolenza, dell'agire comune per la pace, potranno ridare speranza al futuro di Israele e Palestina, che hanno un destino sicuro solo nella convivenza.
 
Grati in anticipo della sua attenzione, porgiamo distinti saluti.
 
Bongiorno Giovanna
Cavadi Augusto
Cozzo Andrea
D’Angelo Gabriella
D’Asaro Maria
Gallo Roberto
Ganci Margherita
Mariscalco Jan
Mulé Mario
Provenzano Lia
Ragonese Maria Rosa
Saieva Adriana
 
                                                                            Palermo 13.10.2023

sabato 7 ottobre 2023

COME SONO ANDATE LE VACANZE FILOSOFICHE PER NON...FILOSOFI DELL'AGOSTO 2023 IN VAL BREMBANA?


 LA MAGIA DI UN’ESPERIENZA DI FILOSOFIA-IN-PRATICA

Come è andata la XXVI settimana (annuale) di “Filosofia per non…filosofi” svoltasi a Piazzatorre (in Val Brembana, nella provincia di Bergamo)? Agli amici che affettuosamente in queste settimane mi hanno rivolto questa domanda ho risposto, un po’ laconicamente, “molto bene” ed ho rimandato agli abbondanti materiali – scritti e fotografici – che, con generosa pazienza, Salvo Fricano ha inserito nel sito da lui creato: https://vacanze.filosofiche.it/

Ma i documenti, per quanto chiari ed esplicativi, non riescono a rendere il clima, l’atmosfera, il sentimento condiviso di questi sette giorni (dal 22 al 28 agosto 2023) di esperimento filosofico integrale: ‘integrale’ perché si prova a coniugare la riflessione intellettuale, il dialogo senza pregiudizi né intenti propagandistici, la narrazione delle proprie biografie (talora anche nelle pieghe più intime), la fruizione in comune di bellezze naturali e artistiche, la condivisione della mensa e dei momenti di relax…E’ un po’ il modello del ‘con-filosofare’ delle scuole greche ed ellenistiche, eccezion fatta per un elemento che qualche volta le caratterizzava: la figura del maestro, un po’ guru e un po’ leader politico, talora perfino ‘divinizzato’ in vita e soprattutto in morte. Poiché in queste nostre convivenze tutto scorre pariteticamente, negli anni ci capita di ‘perdere’ qualche amico o perché deluso di non trovare la guida autorevole, sicura di sé, dispensatrice di verità predigerite o perché deluso di non poter svolgere egli stesso questa funzione magistrale, carismatica.  

Anche in edizioni precedenti – in quasi tutte direi – è scattata una piccola ‘magia’: persone provenienti da ‘luoghi’ (non solo geografici) assai differenti, che in alcuni casi si incontrano per la prima volta, riescono a parlare delle proprie convinzioni con sincerità, senza preoccuparsi di sbagliare un congiuntivo o di offrire un’immagine falsamente raffinata di sé. Quest’anno, però, il tema proposto da noi organizzatori (“Vivere serenamente la propria finitudine”) costituiva una scommessa particolarmente ardua: ammesso che qualcuno desideri partecipare a una settimana di meditazione sulla morte propria e altrui, avrà poi la libertà interiore di esprimere pensieri intrecciati indissolubilmente a sentimenti?

La risposta a questo duplice interrogativo è stata, per alcuni versi, sorprendente. Intanto dal punto di vista numerico: le adesioni alla settimana sono state circa il doppio del solito ed è stato necessario chiedere ospitalità a strutture vicine all’albergo prenotato per accogliere una sessantina di iscritti.

Inoltre – ma è chiaramente l’aspetto più rilevante – dal punto di vista della qualità delle relazioni. A detta di persone che si avventuravano per la prima volta in questo genere di esperienze, già dopo poche ore soltanto avevano avvertito un senso di sollievo: si era dissolto il timore di restare isolate, di non essere accolte con cordialità. Nessuna parete divideva, dunque, gli ‘iniziati’ (i veterani alla loro decima o ventesima presenza) dai ‘neofiti’. Così, sin dalla prima sera, nell’incontro che viene previsto per rompere il ghiaccio, alcune persone hanno confidato il desiderio di poter conversare serenamente su una tematica considerata dai familiari e dagli amici tabù, quasi che tacendo della morte si riuscisse a esorcizzarla, a tenerla lontano. E, via via, sono rimaste piacevolmente sorprese nel constatare che se ne possa dire alternando l’emozione intensa con la battura umoristica, sdrammatizzante.

Grazie ad un gruppo whatsApp (che da provvisorio è diventato definitivo per volontà della maggior parte degli iscritti) ci siamo potuti scambiare, alla fine della settimana, opinioni e sensazioni. Riporto – tacendo il cognome per discrezione – alcune di queste testimonianze che mi hanno maggiormente colpito e che, forse, possono contribuire a dare un’idea, sia pur vaga, delle tracce incise negli animi.

“Cari amici,” – ha scritto Anna B. – “non ho potuto salutare e abbracciare ognuno di voi come avrei voluto, è stato bellissimo rivedere i vecchi amici e trovarne di nuovi. E’ stata un’esperienza di confronto e di crescita che mi ha arricchito come sempre mi succede nelle settimane filosofiche. (…) Vi abbraccio con tanto affetto e gratitudine”. Luciana F. si è associata sullo stesso registro: “Cari tutti, già mi mancate! Questa settimana è stata un’esperienza molto interessante e coinvolgente che mi ha veramente arricchito, ma è stata anche piacevole per il clima disteso e amichevole che ci ha accompagnato tutti i giorni. (…) E’ stato bello conoscervi, vi abbraccio tutti uno a uno e spero di rivedervi il prossimo anno”. Giammarco P. ha scritto: “Ciao a tutti noi! Mi mancate e…non mi mancate. Fisicamente non sento le vostre voci, ma eccome se ci sono! E l’emozione…eccome se c’è! Ciao Pietro, Salvo uno, Salvo due, Giuseppe, Augusto, Annamaria, Consuelo, Caterina, Rossana, Rossella, Christine e tanti altri che neanche vorrei salutare per non pensare che per un po’ non potrò vederli e sentirli, col fiato delle loro vivissime emozioni. Cari partecipanti, a presto su tutte le linee. Vi ringrazio tutti, relatori giornalieri, ma anche estemporanei, su temi fuori programma, che mi hanno comunque attratto e catturato intensamente. Un abbraccio a tutta la vostra spontaneità…E mi sa che mi son sentito proprio a casa mia insieme a voi”. Nino M. : “Carissimi, in primis desidero ringraziare tutti per avermi regalato una splendida settimana di riflessione e amicizia con la speranza che il futuro (mistero!) possa riservarci altri incontri. (…) Un affettuoso abbraccio ad ognuna e ognuno di voi”. Roberto B.: “Grazie a tutti voi per la bella esperienza che ripeterò senz’altro. Ho constatato per mezzo vostro che la filosofia non è solo mettere in diversi ‘cassettini’ quello che hanno detto i vari giganti del pensiero, ma anche un mezzo per esprimere il nostro vissuto, anche doloroso, per capirlo ed accettarlo, se ne abbiamo la forza. Vi abbraccio”. Marina S.: “Cari amici, anche noi arrivati ora a casa. Vorrei dirvi un sacco di cose…Non mi era mai capitato di trovarmi in un gruppo del vostro calibro: siete davvero, come ha detto qualcuno, ‘la crema dell’umanità’. Grazie, grazie e ancora grazie a tutti: per me e per Piero un’esperienza preziosa che spero di poter ripetere”. Luisa C.: “E’ stata una settimana molto intensa e piena di stimoli e di riflessioni. Il ringraziamento mio va innanzitutto agli organizzatori, poi ai relatori e infine a tutti i presenti, così numerosi quest’anno, che hanno dato contributi importanti nell’affrontare gli argomenti. Il mio rammarico è di non essere riuscita a relazionarmi con tutti…ma sicuramente è un’incapacità mia. Grazie, grazie a tutti e ad una prossima occasione d’incontro”. Tina P.: “Spero di avere altre occasioni di incontrarvi, forse non tutti insieme, ma anche a gruppi sparsi o singolarmente. Come sempre nella mia esperienza di ‘filosofia in vacanza’ sono state giornate gratificanti ed efficaci. Abbracci a tutti!”.  Franco R.: “Carissimi amici, solitamente al ritorno a casa da un viaggio o una vacanza si portano, con un po’ di nostalgia, ricordi di luoghi, paesaggi, persone conosciute, emozioni e momenti di allegria vissuti. Dopo l’esperienza condivisa con voi in questa settimana, mi sento di dire che è uno dei ricordi più belli della mia vita, grazie alle vostre sensibilità e profondità d’animo. Ha proprio ragione Marina: rappresentate la ‘crema dell’umanità’. Grazie di cuore a tutti di questa indimenticabile iniziativa e spero di poterla rivivere prossimamente. Un saluto affettuoso!”.

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mercoledì 4 ottobre 2023

SI PUO' ESSERE CRISTIANI E MARXISTI? MEMORIA CRITICA DI UNA STAGIONE TROPPO PRESTO ARCHIVIATA

 


CRISTIANESIMO E SOCIALISMO: BREVE STORIA DI UN IDILLIO

Se per “cristianesimo” intendiamo l’ideologia della rassegnazione alle ingiustizie di questa vita, in attesa dei risarcimenti divini nell’altra, e per “socialismo” la lunga fase di “dittatura del proletariato” che, sinora, non è mai sfociata in regime di reale uguaglianza di opportunità per tutti, è intuitiva la radicale incompatibilità fra “cristianesimo” e “socialismo”.  Ma c’è stata (o c’è ancora ?) un’epoca in cui alcuni hanno capito che il cristianesimo, più che una religione (“cristianità”), è una fede (“vangelo del regno imminente”); e che il “socialismo”, più che un assetto istituzionale coercitivo, è un progetto utopico di giustizia e libertà intrecciate.  Così intesi, cristianesimo e socialismo non sono inconciliabili. Anzi, pur appartenendo a ordini di discorso distinti, possono completarsi reciprocamente: il socialismo può fornire analisi sociologiche e ipotesi di intervento politico a chi abbia abbracciato la proposta evangelica, la quale a sua volta può offrire un “supplemento d’anima” a chi abbia deciso di dedicare la vita al riscatto delle fasce più impoverite dell’umanità.

Agli inizi degli anni Settanta del secolo scorso la teoria della sinergia possibile fra fede cristiana e impegno politico per il socialismo si è fatta carne nel Cile di Salvador Allende, prima, in altre aree dell’America latina e in Spagna, poi: nacque così il movimento “Cristiani per il socialismo” (Cps) che, esattamente cinque decenni fa, fu varato anche in Italia. La vicenda, non lunga ma intensa, è stata ricostruita storiograficamente, con un accurato lavoro d’archivio sulle fonti documentali, da Luca Kocci nel recentissimo Cristiani per il socialismo 1973 – 1984. Un movimento fra fede e politica (Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2023, pp. 250, euro 23,00) che racconta, senza né toni trionfalistici né risentimento, gli avvenimenti dal Congresso fondativo di Bologna del 1973 allo sfarinamento che l’autore considera concluso nel 1984. Dalla narrazione emergono con chiarezza sia gli aspetti profetici, anticipatori, del movimento (che auspicava la fine dell’unità partitica dei cattolici nell’ovile democristiano, proprio come è avvenuto dal 1992 – 93 a oggi) che le sue contraddizioni interne (per esempio l’oscillazione fra l’intento di essere un laboratorio culturale e il progetto di diventare un vero e proprio partito). Quale che siano le convinzioni odierne di un lettore, difficilmente potrà sottrarsi all’ammirazione per quei personaggi del mondo intellettuale e associativo che accettarono di essere visti con diffidenza dalle Chiese (cattolica e riformate) perché socialisti e dalle organizzazioni partitiche di Sinistra (PCI e costellazione alla sinistra del PCI) perché cristiani.

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domenica 1 ottobre 2023

ROCCO GUMINA INTERVISTA AUGUSTO CAVADI SUL VOLUME "PADRE PINO PUGLISI"

 



L’ANTIMAFIA PRIMA SI FA, POI SI PROCLAMA

Il trentennale dall’uccisione di don Pino Puglisi mostra quanto sia attuale la lezione del suo martirio. La società siciliana è ancora abitata da problematiche sistemiche assai simili a quelle a cui si oppose il sacerdote palermitano dichiarato beato dalla Chiesa cattolica nel 2013. Dell’attualità del messaggio di Padre Puglisi parliamo con Augusto Cavadi. Filosofo, co-fondatore della “Scuola di formazione etico-politica G. Falcone” e con-direttore della “Casa dell’equità e della bellezza” di Palermo, Cavadi ha da poco pubblicato insieme a Cosimo Scordato il volume – edito dalla casa editrice “Il pozzo di Giacobbe” – Padre Pino Puglisi. Un leone che ruggisce per disperazione.

 

- Professore Cavadi il martirio di Puglisi ci testimonia che fra mafia e vangelo ci sia assoluta incompatibilità. Eppure, il percorso verso la consapevolezza della pericolosità del fenomeno mafioso che la Chiesa siciliana ha sviluppato nel secolo scorso è stato lungo e contraddistinto da zone in chiaroscuro. Quali sono le principali motivazioni di questo fenomeno?

* Ci sono state ragioni di vario ordine: sociale, politico, teologico. Il mio amico don Francesco Michele Stabile ha insistito, anche recentemente nel suo grosso volume La Chiesa sotto accusa, sulle motivazioni di ordine sociale (il prete che resta, sostanzialmente, nell’ambito della famiglia di origine) e politico (la Chiesa che vive lo Stato liberale prima, lo Stato fascista poi, il pericolo social-comunista infine come avversari più pericolosi della mafia così da preferire una certa neutralità quando la mafia si oppone ad altre istituzioni, come ad esempio ai partiti e ai sindacati di sinistra). Personalmente mi sono più interessato alle motivazioni teologiche, esposte soprattutto nel mio Il Dio dei mafiosi. Detto troppo sinteticamente, la Chiesa ha faticato nel riconoscere come organizzazione anti-evangelica un’organizzazione come Cosa nostra che ne mimava simboli, linguaggi, riti, norme di morale privata, parole d’ordine, metafore e così via. Sono convinto che una Chiesa riconvertita all’essenzialità del vangelo originario apparirebbe agli occhi dei mafiosi molto meno appetibile, molto meno imitabile. Non ci sarebbe bisogno di scomunicarli: se ne starebbero essi stessi lontani da una Chiesa in cui ci fosse più fraternità, più sobrietà nell’uso del denaro, più libertà di parola, più partecipazione popolare alle decisioni che riguardano tutti.

- Se il processo di consapevolezza ecclesiale dinanzi alla questione criminalità organizzata è stato problematico allo stesso modo la società siciliana ha a lungo accettato come parte del sistema la presenza della mafia. Quanto è importante la maturazione di una cittadinanza attiva e responsabile per arginare il fenomeno mafioso?

* Il mondo cattolico è un sotto-insieme della società complessiva. Esso non si è comportato in maniera né peggiore né migliore dell’intero di cui è parte. Il compito di un’educazione civica integrale spetta dunque sia al microcosmo cattolico (sempre più micro) e al macrocosmo siciliano (anzi, direi italiano ed europeo). Non è però un compito facile: coinvolge il piano intellettuale, ma anche quello sentimentale. E il sentimento altrui, soprattutto giovanile, lo si sveglia solo con l’esempio costante. Penso che ciascuno di noi – compreso me e Lei – non può essere soddisfatto del modello etico che offre a figli e alunni: di come ci atteggiamo nei confronti delle guerre, dei flussi migratori, dell’ambiente, della qualità della vita degli altri animali…Si resta quasi schiacciati da tanta follia imperante. Una volta si poteva contare sulla forza dei partiti e dei sindacati per sperare di realizzare ciò che non si poteva da individui isolati: adesso questa fiducia nelle grandi organizzazioni è, comprensibilmente, scemata. Papa Francesco sta tentando disperatamente di mostrare come la Chiesa cattolica potrebbe esercitare tale ruolo profetico e pedagogico, politico in senso alto: ma quanti lo seguono in questa direzione di marcia? Nel migliore dei casi, lo si accusa di ‘orizzontalismo’; nel peggiore, di minacciare lo status quo mondiale dove pochi miliardari, in pochi Stati, gestiscono la quasi totalità delle risorse materiali dell’umanità.

 

- Nel libro Padre Pino Puglisi. Un leone che ruggisce per disperazione, lei propone un percorso di formazione alla legalità integrale. Di che si tratta?

* Si tratta di una serie di iniziative concrete che le comunità ecclesiali potrebbero mettere in atto per fare la loro parte, inserendo la formazione civica all’interno di tutti i processi catechetici (dalla preparazione alla prima comunione sino alla preparazione al matrimonio sacramentale). Il filo rosso che seguo non è particolarmente originale, riprende la lezione di don Lorenzo Milani. Poiché è una lezione trascurata, il mio appello può suonare innovativo. Infatti sostengo che tutte le agenzie educative, dunque anche le comunità religiose cristiane e non cristiane operanti in Italia, dovrebbero informare i fedeli delle norme vigenti; spiegare la necessità morale di rispettare tali norme quando esse sono costituzionali e di disobbedire quando in coscienza le si ritiene incostituzionali; soprattutto impegnarsi, attraverso tutti gli strumenti previsti in un regime democratico, per modificare le norme ritenute immorali, ingiuste. Questo impegno a rendere sempre più ‘giusta’ la ‘legalità’ si chiama politica.

- La città di Palermo, a trent’anni alla morte di Puglisi, quale aspetto della profezia di 3P dovrebbe tenere in maggiore considerazione?

* Soprattutto due aspetti. Il primo: l’antimafia si fa, poi eventualmente si proclama. Troppo spesso avviene che prima la sia proclama, poi – in tempi ritardati e in modalità monche – la sia pratica. Succede anche di peggio (come dimostrano le vicende giudiziarie di politici, imprenditori, pubblici funzionari): ci si autonomina paladini dell’antimafia per avere visibilità pubblica e, perfino, denaro e potere.  Per parafrasare ancora una volta don Milani, pochi servono la causa della lotta al sistema mafioso, molti se ne servono.

Un secondo aspetto è che la criminalità organizzata non si combatte con la legalità democratica disorganizzata. Le cosche sanno coordinarsi, anche rinunziando a piccoli vantaggi in vista dell’obiettivo comune; istituzioni e soprattutto associazioni che vorrebbero contrastare il dominio della mafia sono incapaci, mediamente, di collaborare. La ragione principale è nella ossessiva ricerca di protagonismo cui ho fatto appena cenno: ogni gruppetto anti-mafia vuole essere in prima fila ai cortei, sulle prime pagine dei quotidiani, possibilmente in cima all’elenco dei destinatari di finanziamenti pubblici. Se qualche altro gruppetto – o qualche altro personaggio – gli fa, con più o meno merito, ombra, scatta la polemica e, se si può, la scomunica. Don Puglisi, milite ignoto dell’antimafia, proprio perché gli stava a cuore il bene comune, cercava la collaborazione di tutti: dal comitato condominiale di via Azon all’amministrazione comunale. Chi non ha ambizioni individuali può farsi lievito nella pasta. E scomparirvi.

Intervista a cura di Rocco Gumina



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https://www.tuttavia.eu/2023/09/20/lantimafia-si-fa-poi-eventualmente-si-proclama-intervista-ad-augusto-cavadi/