martedì 30 giugno 2020

PIU' INSEGNANTI NELLA SCUOLA ITALIANA. BENE, MA CHI NE VERIFICHERA' LA QUALITA' ?


"Repubblica - Palermo"
30.6.2020

NUOVE AMMISSIONI IN RUOLO DI DOCENTI: MA LA QUALITA' PROFESSIONALE?

La ripresa autunnale della scuola è condizionata tra l’altro – come sottolineato in  varie manifestazioni di piazza anche a Palermo – dall’assunzione in ruolo di un notevole gruppo di docenti precari. Dagli slogan issati sui cartelli alle dichiarazioni governative sembrerebbe, essenzialmente, una questione di soldi: per parafrasare nonno Libero, un miliardo è poco e due sono troppi…Ovviamente l’aspetto finanziario è imprescindibile e, ogni volta che le statistiche evidenziano le disparità di investimento nel campo dell’istruzione tra l’Italia e gli altri Stati, si resta stupiti e amareggiati. Ma su questo il consenso generale è facile da raccogliere.

  C’è un risvolto della questione, invece, talmente scottante che si evita perfino di nominarlo: la qualità professionale degli insegnanti da assumere. La logica, sinora seguita dalla fondazione della Repubblica, è di genere emergenziale: ci sono cattedre vacanti, intanto occupiamole e poi cercheremo di capire l’idoneità di chi le occupa. Tra l’altro, con questa politica, si catturano due piccioni con una sola fava: infatti si soddisfa la fame di insegnanti, ma si dà anche un posto di lavoro a giovani laureati. Naturalmente, saltando, ora per un’emergenza ora per un’altra, i meccanismi ordinari di selezione (i concorsi a cattedra o gli equivalenti funzionali che si sono succeduti negli ultimi decenni), è stato più facile trovare docenti; ma, proprio il numero notevole di essi ha in qualche modo legittimato delle remunerazioni non certo appetibili.

 Il risultato è sotto gli occhi di tutti perché tutti siamo stati alunni, spesso genitori, talora insegnanti: una grande disparità di livello delle prestazioni professionali. Ci siamo abituati, come fosse una sorte ineluttabile, a giocare al lotto: qua una maestra elementare o un professore di liceo preparati, appassionati, comunicativi, pazienti; là un maestro di scuola materna o una docente di scuola media che si esprimono in un italiano approssimativo, che arrivano in classe sbadigliando, concentrati sul secondo o terzo lavoro che svolgono più o meno illegalmente…Questa disparità di attitudini ci scandalizza quando la soffriamo nell’ambito della sanità o della giustizia e la riterremmo pazzesca se riguardasse i capitani delle navi o il piloti degli aerei, ma la tolleriamo molto facilmente quando si tratta della salute mentale e psichica dei nostri ragazzi. 

   Non invidio l’attuale ministra dell’istruzione e ritengo che solo in malafede si possano dettare disinvoltamente ricette sul da farsi nei prossimi tre mesi. Ma sono certo che, al di là delle risposte d’urgenza  alle necessità imposte dall’epidemia, qualsiasi governo attuale o futuro non potrà differire ulteriormente la questione della qualità culturale e etica degli insegnanti, dalla scuola materna all’università. In concreto ci sono almeno tre  punti da determinare con coraggio innovativo:

a)    i giovani laureati che aspirano all’insegnamento hanno diritto ad affrontare almeno ogni due anni una prova abilitante che assicuri una cattedra, senza dover attendere decenni in condizioni di precariato e di incertezza sul futuro;

b)   i meccanismi selettivi devono essere rigorosi almeno quanto i concorsi per entrare in magistratura o per diventare notai, ma – superati – devono assicurare una retribuzione mensile da professionisti;

c)    nessun docente dovrà considerarsi, come oggi, praticamente inamovibile e illicenziabile: un organo di autogoverno dei docenti deve essere in grado di trasferire ad altri impieghi, o di licenziare, gli insegnanti che per i motivi più vari (di salute fisica, di equilibrio psichico, di demotivazione esistenziale, di disonestà morale…) non sono più – o non sono mai stati – capaci di svolgere con decoro ed efficacia pedagogica i propri delicatissimi compiti istituzionali. 

   So già le diffidenze e le obiezioni che ogni proposta di questo genere suscita soprattutto fra i colleghi che scambiano la libertà d’insegnamento – garantita dalla costituzione italiana – con l’insindacabilità del proprio operato didattico. Ma se mi è chiaro quanto a loro che un genitore commercialista o psicoterapeuta non è legittimato a criticare l’adozione di un testo di letteratura greca o le modalità di un’esercitazione di chimica in laboratorio, mi è altrettanto chiaro – a differenza di alcuni di loro – che i docenti non siamo i padroni della scuola: non possiamo arrivare regolarmente in ritardo, riconsegnare i compiti scritti corretti dopo mesi, intimorire gli studenti con improperi e minacce, esonerarci dalla fatica delle spiegazioni chiacchierando di moda o di sport, valutare gli alunni anche in base a simpatie e antipatie caratteriali…Soprattutto, ed essenzialmente, non abbiamo il diritto di mostrarci insensibili al fascino delle discipline che insegniamo, suggerendo così l’idea che studiare sia un dovere ineluttabile, funzionale al diploma cartaceo,  anziché una gioia da privilegiati che dà senso alla vita e rende cittadini/e dalla schiena dritta.

 

Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com


Breve avvertenza ai gentili critici: l'autore ha pubblicato un libro intitolato Presidi da bocciare ? (Di Girolamo) ma non intendeva contestare l'intera categoria dei dirigenti scolastici (anzi, ha chiesto a due di loro di scrivere due saggi nel volume e ha dedicato l'intero libro ai presidi in gamba che aveva incontrato nella vita). Intendeva invece criticare l'attuale sistema di selezione dei dirigenti scolastici di cui nessuno misura, in entrata, il livello di maturità psichica e di capacità relazionali. Eppure qualcuno ha parlato di invidia nei confronti di colleghi che avevano fatto carriera !

Qualche giorno fa ha pubblicato, sempre sulla pagina siciliana di "Repubblica", un intervento sulla necessità di sciogliere lo status giuridicamente ambiguo dei 'bidelli', costretti a fare di tutto (dalla assistenza agli alunni alla pulizia dei locali): dunque, in non pochi casi, a svolgere male qualcuna di queste mansioni. Insomma, pochi commentatori hanno mostrato di aver capito che in questione era un sistema, non una somma di individui (dotati ciascuno di una propria identità e di una propria storia): e che una riforma in questo settore gioverebbe prima di tutto ai più seri collaboratori scolastici che sono vittime dell'equivoco. Così qualcuno lo ha accusato di  'classismo', di atteggiamenti di superiorità e di disprezzo dell'intera categoria dei collaboratori scolastici!

Oggi, con questo articolo sugli insegnanti, non potrà essere considerato né 'inferiore' invidioso né 'superiore' altezzoso, visto che parla della  categoria dei colleghi cui è appartenuto per oltre 40 anni (e a cui, in certa misura, appartiene quando viene chiamato per docenze brevi in istituti universitari). Cosa resta, allora? Dopo i numerosi interventi dello stesso taglio, pubblicati nei quattro decenni precedenti, insieme al consenso di alcuni colleghi, ha raccolto l'accusa di essere un 'traditore' dei suoi pari. Pazienza! Se questo è il prezzo per mettere in questione il metodo con cui si arruolano i docenti (non la professionalità di questo o di quell'altro), sono disposto a pagarlo. Se avessi voluto piacere a tutti, sarei nato Nutella.  Poiché sono uno che cerca di pensare liberamente, posso solo desiderare di essere contestato con argomenti ragionevoli (sempre accetti): offese gratuite e accuse basate su bugie continuerò a lasciarle cadere senza replicare. 


sabato 27 giugno 2020

DOPO IL CORONA VIRUS: RIPENSARE RADICALMENTE LA TEOLOGIA TRADIZIONALE




COSA E’ CAMBIATO NELLA NOSTRA IDEA DI DIO IN TEMPO DI PANDEMIA?

 

Ciò che leggiamo nel vangelo secondo Luca (2,34- 35) a proposito di Gesù (“segno di contraddizione, perché siano svelati i pensieri di molti cuori”) lo possiamo ripetere per ogni “spada che trafigge l’anima” (ivi) dell’umanità, come la pandemia in corso nel mondo. Nell’ordinarietà del quotidiano possiamo procedere ambiguamente, in una sorta di zona grigia fra incredulità e fede, rimandando a data da destinarsi le domande cruciali sulla vita e sulla morte: ma, quando alcune calamità ci colpiscono più direttamente e più insistentemente, siamo costretti a sbilanciarci. Se non col pensiero, almeno nei fatti: con i gesti, i comportamenti privati e pubblici.

Abbiamo assistito così, in questi mesi, alla divaricazione più netta delle correnti compresenti nel vasto mondo della cattolicità. Negli ambienti conservatori, tradizionalisti (le cui opinioni – espresse per esempio negli articoli di “Corrispondenza romana” - riesco a seguire solo per dovere di informazione), è stato un tripudio di suppliche, rosari, novene, processioni più o meno clandestine, benedizioni impartite per via aerea da elicotteri appositamente noleggiati…Gli ambienti più inquieti, più critici, sono stati spiazzati da questa sorta di “rivincita” del sacro che è apparsa come un salto indietro di alcuni secoli nella storia della devozione cattolica. Troppo ovvia la domanda: se Dio può fermare l’epidemia, perché aspetta le nostre preghiere per agire? Ha forse bisogno del sacrificio di migliaia di uomini e donne prima di muoversi a pietà? Nel mezzo, per così dire, papa Francesco: se la scena di questo vecchio che avanza claudicante, sotto la pioggia sferzante,  in una piazza san Pietro deserta, ha senza dubbio impressionato l’immaginario collettivo, non si può negare che per alcuni di noi il suo pellegrinaggio ad un’icona della Madonna per chiedere la fine dell’epidemia è risultato sconcertante.  

Questo scenario ci suggerisce molte riflessioni di cui posso qui evocarne solo qualcuna.

Che ne sarà della chiesa di papa Bergoglio? Ad ogni enciclica, ad ogni sinodo, ad ogni omelia siamo costretti a constatare che il bicchiere è mezzo pieno e mezzo vuoto: un passo avanti e uno indietro, un passo a sinistra e uno a destra, un saltello in alto e una flessione in basso. Ci siamo ripetuti a vicenda che da solo un papa non può riformare una chiesa e che c’è bisogno di un movimento dal basso che lo sostenga e lo solleciti. Vero. Ma questo movimento dal basso che strumenti deve mettere in atto? Raccogliere firme, organizzare cortei, promuovere convegni, convocare assemblee, scrivere sui quotidiani, esprimersi sui social network…tutto giusto. Ma anche sufficiente?  Non so se per deformazione professionale, ma mi sento obbligato a precisare che è urgente anche, e per certi versi prioritariamente, una rivoluzione mentale. Nessuna riforma ecclesiale sarà incisiva e duratura senza una riforma del pensiero, del mondo di concepire Dio e il mondo. Insomma: senza una nuova teologia.

E qui casca l’asino. 

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https://www.zerozeronews.it/che-ne-sara-della-chiesa-senza-una-nuova-teologia/




mercoledì 24 giugno 2020

PIU' BIDELLI PER TUTTI ?


“Repubblica – Palermo”

23.6.2020

 

PIU’ BIDELLI PER TUTTI ?

 

Per assicurare un sereno avvio del prossimo anno scolastico servirebbe assumere molti professori e molti bidelli: così il ritornello di questi giorni sui massmedia. Si tratta di due tematiche che andrebbero affrontate distintamente. Tralasciando la prima (concernente gli insegnanti) che è la più complessa, qualcuno dovrebbe avere il coraggio di trattare almeno la seconda (riguardante i bidelli). 

Chi di noi ha frequentato da alunno o da docente gli istituti scolastici avrà notato che la figura professionale del bidello è di difficile definizione. Che qualcuno abiti con la famiglia dentro l’edificio è certamente utile, se non necessario: un custode che vigili giorno e notte sarebbe il deterrente più efficace rispetto agli episodi di vandalismo. Che lo stesso custode svolga – da solo o con l’aiuto di un sostituto – mansioni di portierato durante le ore di lezione, per controllare chi entra e chi esce dai locali, è altrettanto sensato. Ma, oltre a ciò, a chi giovano le decine di altri bidelli in servizio?

Il pensiero va innanzitutto alla pulizia degli ambienti. Ma - a parte l’incertezza dal punto di vista giuslavorista sulla pertinenza contrattuale di questa mansione – i fatti, che ho registrato in oltre quarant’anni di presenza nelle scuole, attestano un circolo vizioso: gli alunni, nonostante i cortei in appoggio alle battaglie di Greta, lasciano le aule in condizioni pietose; i bidelli, un po’ per stanchezza e un po’ per protesta, puliscono solo approssimativamente lasciando sotto i banchi fazzoletti sporchi o lattine di bibite; gli alunni, ritrovando il giorno dopo parte della sporcizia  che hanno lasciato il giorno prima, continuano a sporcare…e così via, in attesa delle pulizie straordinarie natalizie e di fine anno. Più di un dirigente scolastico, alle mie rimostranze, ha allargato le braccia: la normativa cambia secondo i tipi di scuola e spesso la gestione di questo settore spetta al dirigente amministrativo…Ci sarà una ragione per cui in tutti gli Stati europei che ho visitato nel corso dei gemellaggi scolastici non ho mai trovato la figura del bidello ? Con risparmio notevole dal punto di vista economico, e con risultati più efficienti, la pulizia viene affidata a imprese esterne con cui si rescinde il contratto ogni volta che si constatano inadempienze.

Ma – si potrebbe obiettare – senza bidelli chi girerebbe per le classi con le circolari da leggere agli alunni?    Evidentemente nessuno. E ciò sarebbe un sollievo impagabile. Quante volte, entrato in aula, l’insegnante ha appena avviato i motori dell’attenzione e del dialogo e…zac! Una, anche due volte, a lezione, entra un bidello con una circolare da leggere  agli studenti (tra la distrazione e il fastidio generali). Nell’era del digitale questa piaga didattica andrebbe eliminata radicalmente: le circolari, per docenti o studenti o familiari, vanno pubblicate su un sito apposito (dal quale potrebbe partire l’avviso per ogni nuovo ‘post’ ) e chi le ignorasse se ne assumerebbe la responsabilità. Non ci ripetiamo da secoli che la legge non ammette ignoranza?

  Forse i bidelli potrebbero svolgere almeno una terza funzione: di co-educatori dei ragazzi. Ho conosciuto del personale ausiliario che, con maturità e tatto, ha svolto egregiamente questo compito, dispensando consigli sull’uso degli stupefacenti o sulla necessità di non marinare le lezioni, spesso con maggior efficacia dei genitori o degli insegnanti. Ma – se devo essere oggettivo – si è trattato di lodevoli eccezioni. La norma statistica registra, invece, una sorta di complicità tra bidelli e alunni, alleati tattici per proteggersi dall’occhiuta sorveglianza di quei (pochi) dirigenti e di quei (pochi) docenti anacronisticamente convinti che il regolamento d’istituto va o rispettato o modificato nell’ipotesi di prescrizioni inopportune: se, ad esempio,  all’interno dell’edificio scolastico è vietato fumare, scambiarsi sigarette e accendini con gli studenti non è il metodo migliore per educarli al senso civico. 

 Quando mi è capitato di avanzare considerazioni del genere, mi sono state opposte soprattutto due obiezioni. La prima viene dai colleghi delle scuole elementari e delle prime classi della scuola media: il bidello è insostituibile per accompagnare i piccoli in bagno o per vigilare sulla classe in caso di imprevista assenza temporanea del docente. Non ho difficoltà ad ammettere la necessità di funzioni del genere, per le quali basterebbe ovviamente un numero limitato di ‘assistenti’ professionalmente qualificati. 

La seconda, più frequente, obiezione è dettata da lodevoli preoccupazioni sociali e si incentra sull’aspetto occupazionale: potrai avere qualche ragione, ma non si possono cancellare migliaia di posti di lavoro. La questione è seria e certamente non si tratta di gettare nessuno sul lastrico; se mai, di ricollocare i lavoratori in altri settori dell’amministrazione statale. Spendere più risorse finanziare per l’istruzione è necessario, ma non sufficiente: vanno spese per migliorare la qualità, non solo la quantità, delle prestazioni di tutti gli operatori. Trasformare il sistema scolastico in una sorta di ammortizzatore sociale per ridurre la disoccupazione è stata, nei decenni, una scelta disastrosa. Ci sono segnali che indicano la persistenza di questa linea politica. Che si rischi di  perpetuarla anche nei confronti del personale docente la rende ancor più disastrosa: ma questo è un altro, più spinoso, capitolo. 

  

Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com


lunedì 22 giugno 2020

PARCO DEGLI ABRUZZI: FILOSOFIA PER TUTTI A ROCCARASO (21-27 AGOSTO)




INVITO
 
Il gruppo editoriale “Il pozzo di Giacobbe”- “Di Girolamo” di Trapani


organizza la

XXIII

SETTIMANA FILOSOFICA

PER… NON FILOSOFI



Per chi:

Destinatari della proposta non sono professionisti della filosofia ma tutti coloro che desiderano coniugare i propri interessi intellettuali con una rilassante permanenza in uno dei luoghi tra i più gradevoli del Bel Paese, cogliendo l’occasione di riflettere criticamente su alcuni temi di grande rilevanza teorica ed esistenziale. 

Dove e quando:

Roccaraso (L’Aquila) a 1.200 metri,
dal 21 al 27 agosto 2020

Su che tema:


LA SOCIETÀ DEMOCRATICA E I SUOI NEMICI


Le "vacanze filosofiche per...non filosofi", avviate sperimentalmente sin dal 1983, si sono svolte regolarmente dal 1998. Per saperne di più si possono leggere: Autori vari, Filosofia praticata. Su consulenza filosofica e dintorni (Di Girolamo, Trapani 2008) oppure, A. Cavadi, Filosofia di strada. La filosofia-in-pratica e le sue pratiche (Di Girolamo, Trapani 2010) oppure A. Cavadi, Mosaici di saggezze (Diogene Multimedia, Bologna 2015).
È attivo anche il sito http://vacanze.domandefilosofiche.it curato da Salvatore Fricano (Bagheria).


Programma orientativo


Arrivo nel pomeriggio (possibilmente entro le 19) di venerdì 21 agosto e primo incontro alle ore 21. La partecipazione alle riunioni è ovviamente libera, ma le stesse non subiranno spostamenti per far posto a iniziative private.

Sono previsti due seminari giornalieri, dalle 9.00 alle 10.30 e dalle 18.15 alle 19.45, sui seguenti temi:


* Platone teorico del totalitarismo?
* Hegel teorico del totalitarismo?
* Marx teorico del totalitarismo?
* Antidoti a ogni totalitarismo che non voglia presentarsi come tale


I seminari saranno introdotti a turno da Augusto Cavadi (Palermo), Francesco Dipalo (Bracciano), Elio Rindone (Roma), Giacomo Vaiarelli (Palermo)


È possibile chiedere di anticipare e/o posticipare di qualche giorno il soggiorno in albergo.

Partenza dopo il pranzo di giovedì 27 agosto.

Costo


L'iscrizione al corso (comprensiva dei materiali didattici) è di euro 180 a persona. Chi si iscrive entro il 30 giugno ha diritto a uno sconto di 30 euro. Le coppie che si iscrivono entro tale data avranno un ulteriore sconto di 15 euro a persona.

Eccezionalmente si può partecipare a uno dei 12 incontri (euro 15).

Ognuno è libero di trovare il genere di sistemazione (albergo, camping o altro) che preferisce.

Chi vuole, può usufruire di una speciale convenzione che il comitato organizzatore (che come sempre non può escludere eventuali sorprese positive o negative) ha stipulato con:

Hotel Trieste, Via C. Mori 15, 67037 Roccaraso, Tel. 0864.602346, Mail: info@hoteltrieste.it – (a cui ci si può rivolgere per la prenotazione delle camere e il versamento del relativo acconto).

Si consiglia di chiedere l’iscrizione per tempo, poiché il numero delle camere è limitato, facendo riferimento alla convenzione particolare col gruppo di filosofia.

La pensione completa, comprensiva di bevande, costa:

* in camera singola (con bagno) € 74 al giorno.
* in camera doppia (con bagno) € 64 al giorno.
tassa di soggiorno, Euro 1,50 a persona a notte

Avvertenze tecniche


·      Per l'iscrizione ai seminari, dopo aver risolto la questione logistica, inviare l’acclusa scheda d’iscrizione e la copia (anche mediante scanner) del versamento di € 50,00 a persona, a titolo di anticipo sulla quota complessiva, a: prof. Elio Rindone (tel 0699928326 - fax 0623313760 - email: eliorindone@tiscali.it oppure a.cavadi@libero.it). In caso di mancata partecipazione alla vacanza-studio, detta somma non verrà restituita. La prenotazione al seminario non è valida finché non è stato effettuato il versamento e la data del bonifico fa fede per lo sconto!

·      Il saldo della quota di partecipazione sarà versato all'arrivo in albergo.



Scheda di iscrizione

Nome_______________________

Cognome____________________

Via o piazza_________________

N. civico____________________

c.a.p. e Città_________________

Prov._______________________

tf.__________________________

e-mail______________________

fax_________________________

Ho spedito € 50 a persona
mediante bonifico bancario*
intestato a:
Elio Rindone
conto cor. n° 1071306
presso Monte dei Paschi,
agenzia 96, Roma

Codice IBAN del conto corrente:

IT43L0103003278000001071306

Anticipo per Roccaraso


Firma______________________

* I versamenti possono essere
unificati per due o più iscrizioni

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sabato 20 giugno 2020

GLI OTTANT'ANNI DI UN ERETICO GENIALE


“ADISTA”

                                                      27.6.2020

 

IL RE E’ NUDO. GLI OTTANT’ANNI DI DREWERMANN

 

Da molti  teologi, cattolici e protestanti, sono arrivate critiche e obiezioni: troppa psicologia – anzi, perfino psicoanalisi – nella sua teologia. Anche da molti psicologici gli sono arrivate contestazioni: troppa teologia nella sua psicologia. Così, stretto fra due fuochi, Eugen Drewermann è arrivato il 20 giugno 2020 ai suoi primi ottant’anni. La gerarchia cattolica, dopo avergli tolto la licentia docendi, lo ha anche sospeso a divinis : infine, e siamo al 2005, egli stesso ha deciso di uscire fuori dalla sua chiesa con una dichiarazione pubblica. 

   Personalmente ritengo che per alcune sue posizioni, soprattutto in ambito cristologico e morale, il magistero ecclesiastico non avrebbe potuto agire diversamente: egli, infatti, ha maturato delle convinzioni incompatibili con molti dogmi e con tutta l’ottica cattolica sulle questioni etiche. La questione dunque si sposta dalla periferia (una maggiore elasticità dell’episcopato tedesco e una migliore arte diplomatica di Drewermann avrebbero potuto evitargli i provvedimenti punitivi?) al centro: le tesi del teologo di Paderborn sono più lontane o più vicine alla verità delle cose rispetto alle tesi del magistero cattolico? A questa domanda cruciale non possono rispondere le bolle della Congregazione per la dottrina della fede (a meno di accettare un circolo vizioso), ma solo la paziente ricerca di ciascuno di noi e il libero confronto intellettuale fra esperti delle diverse discipline teologiche.

  In decine di libri – alcuni agili, altri ponderosi e impegnativi – tradotti in molte lingue egli offre delle indicazioni più o meno condivisibili, ma sempre innovative e meritevoli di attenta considerazione. In campo biblico, avendo con chiarezza capito che il metodo storico-critico riduce a pochissimo la veridicità storica dei racconti del Primo e del Secondo Testamento, egli si dedica ad una ermeneutica esistenziale concentrata sul significato che quei racconti poetici, simbolici, possono risvegliare nel lettore: in Psicologia del profondo e esegesi espone le linee metodologiche generali e ne Il vangelo di Marco. Immagini di redenzione le mette alla prova in maniera intrigante, talora geniale.

  In campo etico egli integra la lezione di Gesù, mediata da Kierkegaard, con i suggerimenti provenienti tanto dall’Oriente (buddista e taoista) quanto dalla psicoanalisi (soprattutto freudiana).  In Psicanalisi e teologia morale espone la prospettiva che sarà modulata in tanti altri scritti ‘minori’, spesso trascrizione delle sue omelie: l’essere umano non è disperato perché cattivo (assetato di denaro e di potere), ma è cattivo perché è disperato. E’ disposto a tutto pur di non precipitare nell’insignificanza ontologica e, in ultima analisi, nella morte da lui concepita come fine definitiva e irreversibile.

  Sarebbe bello che nell’anno del suo ottantesimo genetliaco la Chiesa cattolica gli rivolgesse un saluto di stima e di gratitudine: il tuo approccio è troppo diverso dal nostro (almeno dal nostro negli ultimi cinque secoli, dal Concilio di Trento in poi), ma hai tante cose da insegnarci nel nostro modo di leggere la Bibbia e di affrontare i drammi della gente concreta. Sarebbe bello, ma è improbabile: almeno sino a quando resterà nella memoria dei vivi il suo famigerato volume Funzionari di Dio. Psicogramma di un ideale (ormai introvabile nella traduzione italiana). Difficilmente il clero potrà perdonargli le critiche davvero radicali al sistema di reclutamento e di formazione dei preti, dei religiosi e delle suore: un sistema che “ruba amore, restituisce angoscia”.  Eppure in quelle centinaia di pagine l’autore non si concede neppure un solo attacco ad personam:  da prete e da psicoterapeuta, è infatti convinto che bisogna astenersi dal condannare i singoli soggetti, ma , quando è il caso, limitarsi a stigmatizzare quegli aspetti delle strutture istituzionali (famiglia, scuola, chiesa, esercito, partito, sindacato…) che ne mortificano la dignità, l’autonomia e la fioritura. 

  Se dovesse mancare il grazie della Chiesa cattolica (di oggi: non sappiamo di domani) per questo suo figlio, ribelle per amore, non gli mancherà però la gratitudine di milioni di lettori che si sono lasciati provocare dalla sua prosa appassionata e risvegliare provvidenzialmente dal sonno dogmatico. 

 

  Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com

  

giovedì 18 giugno 2020

TRA GESU' E FREUD. BUON COMPLEANNO, DOCTOR DREWERMANN !

TRA GESU’ E FREUD. BUON COMPLEANNO, DOCTOR DREWERMANN !

 

Il 20 giugno Eugen Drewermann compie ottant’anni. E’ uno degli autori tedeschi più prolifici e più tradotti nel mondo, celebre per il suo titanico tentativo di coniugare la teologia con la psicoanalisi come nei volumi Psicologia del profondo e esegesiPsicanalisi e teologia moraleIl vangelo di Marco. Immagini di redenzione (tradotti in italiano dalla editrice Queriniana). Questa operazione intellettuale ha incontrato le riserve, talora anche severe, da parte sia di teologi (preoccupati di una lettura riduttiva del messaggio cristiano) che di psicoanalisti (gelosi della propria scienza che temono di veder utilizzata come una sorta di nuova ancilla theologiae): ma ciò non ha certo scoraggiato milioni di lettori dal lasciarsi provocare da un linguaggio evocativo, poetico, spiazzante.

 Dopo aver ricevuto il divieto di insegnare teologia cattolica e successivamente di presiedere le celebrazioni eucaristiche come presbitero, nel  2005 Drewermann ha infine pubblicamente dichiarato di uscire dalla Chiesa cattolica. Questa decisione, per quanto dolorosa, ha contribuito a fare chiarezza: che le si apprezzino o meno, le affermazioni di Drewermann non possono essere considerate ufficialmente consone al Magistero ecclesiale. Ma, ciò chiarito senza ombra di dubbio, possono essere ignorate come irrilevanti dagli studiosi di psicologia e di teologia?

 Trascurarle sarebbe, a mio avviso, un errore madornale:


PER COMPLETARE LA LETTURA, CLICCA QUI:

 https://www.zerozeronews.it/eugen-drewermann-fra-gesu-e-freud/

martedì 16 giugno 2020

L'ASSESSORE FILO-NAZISTA E L'ARTE DI CAMBIARE WELTANSCHAUUNG


“Repubblica-Palermo”

                                                   14.6.2020

 

SE L’ASSESSORE SAMONA’ HA CAMBIATO LE VECCHIE IDEE, PERCHE’ NON RENDE NOTE LE NUOVE?

 

        A  quarant’anni si può avere una visione-del-mondo molto differente di quando si era ventenni? La domanda è emersa in questi giorni a proposito delle mutazioni che secondo il neo-assessore alla cultura della Regione siciliana, Alberto Samonà, sarebbero avvenute nella sua concezione della vita. Personalmente sono convinto che queste trasformazioni di prospettiva ‘filosofica’ siano non solo possibili, ma anche frequenti. Nella mia generazione è capitato molto spesso che a vent’anni (nel fatidico Sessantotto !) si avesse una certa interpretazione della storia e che a quaranta la si fosse abbandonata del tutto o modificata su aspetti rilevanti o addirittura capovolta. Alcuni casi, come Giuliano Ferrara o  Paolo Liguori, sono noti alle cronache. Aggiungerei che – a prescindere dal merito di queste ‘conversioni’ -  il fatto che si registrino è positivo: vi immaginate che noia sarebbe se una persona che da giovane è cattolica, marxista o fascista,  restasse necessariamente tale, senza ripensamenti, lungo l’intera esistenza? Chi muore da vecchio esattamente con le stesse convinzioni maturate da adolescente o è un genio che l’ha azzeccata subito o è un cretino. E la seconda ipotesi è statisticamente più probabile. 

    Per queste ragioni mi viene facile capire l’insofferenza del neo-assessore leghista in reazione alla campagna mediatica che lo inchioda ad alcune composizioni letterarie di due decenni fa in cui esaltava la fedeltà ad Hitler e al nazismo dei “monaci dell’onore”. Molti di noi proverebbero un fastidio simile se qualcuno ci attribuisse come attuali delle affermazioni scritte in altre fasi della nostra vicenda umana e intellettuale. Ma c’è un modo per evitare questo (o, per lo meno, per limitare questa operazione di ripescaggio a scopi polemici di tesi vecchie in cui non ci riconosciamo più): ed è esternare le nostre nuove, effettive, convinzioni. Quando, negli anni dei miei studi universitari,  un docente, Armando Plebe, decise di passare dalla militanza nel Partico comunista al Movimento sociale italiano (che per premiarlo lo fece eleggere senatore) ne rese di pubblico dominio le ragioni: così l’autore di Che cosa ha veramente detto  Marx diede alle stampe l’altrettanto fortunato Quel che non ha capito Carlo Marx.

  Proprio questo il dottor Samonà non ha fatto né negli ultimi anni né negli ultimi mesi né negli ultimi giorni. Ha davvero abbandonato la visione antropologica, etica e politica del nazifascismo? Liberissimo di farlo (e, dal mio punto di vista, anche apprezzabilissimo). Ma a chi, quando, dove l’ha comunicato? In quali articoli, saggi, libri ha spiegato i ragionamenti che lo hanno indotto a rinnegare le posizioni giovanili e ad abbracciare delle idee anche conservatrici, anche ‘moderate’, anche tradizionaliste, ma compatibili con la costituzione della Repubblica italiana? Forse questi documenti – cartacei o videoregistrati – esistono: se Samonà li renderà noti anche a quanti non siamo degli specialisti in samonalogia, e non abbiamo condotto approfondite ricerche d’archivio sulla sua opera omnia, saremo i primi a felicitarci con lui per la maturazione intellettuale e civile. In assenza di tale documentazione sarà inevitabile, per logica, oscillare fra due ipotesi. Se a vent’anni esalto l’esoterismo nazista, e sino ai quaranta non trovo il modo di autocriticarmi pubblicamente,  o sono rimasto davvero un fan di quel marciume o, pur avendo cambiato idee, preferisco per furbizia tattica che non lo si sappia in giro: potrebbe tornare utile rivendicarne la paternità nel caso che il nostalgico leader, duro e puro,  di una formazione partitica poco incline all’arte e alle lettere, fosse alla ricerca di un  intellettuale da proporre come assessore alla cultura. 

 

Augusto Cavadi

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domenica 14 giugno 2020

POSTE ITALIANE E IL DISPREZZO SOVRANO DEL CITTADINO UTENTE


“Repubblica – Palermo”

                                                       12.6.20

 

LO SPORTELLO DELLE POSTE E IL DISPREZZO DEL CITTADINO

 

Chi ha colpa se in tempi di epidemia si può entrare solo in due in ufficio postale? Nessuno. Chi ha colpa se questa restrizione provoca turni di ore? Nessuno. Chi ha colpa se gli uffici postali non sono attrezzati per proteggere dal sole né per offrire all’esterno una sedia agli utenti in coda ? Nessuno. Così, all’ufficio postale di Valdesi (via Azalea), ci si ritrova in questi giorni ad attendere pazientemente a debita distanza e con la mascherina prescritta. 

In questo contesto immaginate che, dopo due ore e dieci minuti, arrivi il vostro turno e che la signora allo sportello, apprendendo che volete spedire un pacchetto di libri, vi inviti a rimettervi in coda  presso l’altro (e unico)  sportello funzionante, dove già si trovava in attesa la coppia di stranieri che vi aveva preceduto per una raccomandata. Poco male: minuto più, minuto meno…Dopo dieci minuti vi colpisce un dettaglio: il signore che sta accuratamente pulendo la postazione non è, come avevate supposto, l’impiegato delle poste, ma un addetto alle pulizie (dipendente da una ditta esterna). Insomma: state facendo il turno davanti a uno sportello chiuso. Qui inizia il dialogo surreale: “Come mai mi chiede di fare un nuovo turno davanti a uno sportello senza operatore, invece di accettare il mio plico?” 

“Perché ho la bilancia rotta”

 “E perché allora la collega con la bilancia funzionante non è al suo posto?”

 “Perchè stanno sanificando la sua postazione”

 “Ma se tra venti minuti chiudete, perché non aspettate un po’, accontentate i clienti fuori in fila da ore evitando che alle 13,35 debbano andar via a bocca asciutta, e poi passate alle pulizie straordinarie?”

A questo punto l’addetto alle pulizie rivela la chiave del mistero: “Ho anch’io fretta, non posso stare qua ad aspettare che finisca l’orario di apertura dei locali”.

Confesso di non aver potuto trattenere le urla di stupore, di ira, di protesta: è logico igienizzare un ambiente di lavoro quando è ancora in corso il ricevimento del pubblico e non a saracinesca abbassata? E, comunque, questa opzione illogica dal punto di vista profilattico, non rivelava totale assenza di professionalità, di buon senso e di comprensione umana ? Soltanto dopo le mie urla l’impiegata rientra dal retro dell’ufficio, si rimette al posto di lavoro e prega l’addetto alle pulizie di dedicarsi al resto del locale (cominciando dalla sala d’aspetto). Pian pianino, anche gli utenti bisognosi di pesare i propri oggetti da spedire veniamo accontentati e la fila supplementare si esaurisce con me.

All’uscita un giovane, che dall’esterno ha seguito gli eventi, mi ringrazia: “Vengo dall’ufficio postale di Partanna dove, alla fine del lungo turno, mi hanno informato di non poter procedere all’operazione perché la stampante era rotta. Se Lei non avesse protestato, sarebbe scoccata l’ora della chiusura di questo ufficio e avrei fatto una seconda coda invano. Questa volta  perché a essere rotta era una bilancia”.

Non so se la Tunisia, la Colombia o l’Uzbekistan si possano considerare tecnicamente “Terzo Mondo”, ma so che mi è capitato di fruire di servizi pubblici in questi Stati e di non aver mai vissuto simili atteggiamenti di disprezzo dei cittadini. Per masochismo mi sono pure esposto alla frustrazione di non ricevere alcun cenno di scuse dopo aver  segnalato l’episodio all’unico indirizzo telematico trovato sul sito www.poste.it per comunicare via internet con l’amministrazione centrale: come diceva Alberto Sordi nelle vesti di un aristocratico romano, “Io sono io e voi non siete…”. 

 

Augusto Cavadi

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venerdì 12 giugno 2020

LA BATTAGLIA DELLA VISTOLA (1920) IN UN ROMANZO STORICO DI BRUNO DI MAIO


DALLA RESISTENZA CONTRO L'URSS ALL'ANTISEMITISMO IN POLONIA

Dopo ogni conflitto bellico, i moti di assestamento politico e socio-economico sono inevitabili. Alla regola non è sfuggita la Polonia dopo la Prima guerra mondiale nella quale fu coinvolta ob torto collo dai due Imperi centrali  (tedesco e austro-ungarico) nella cui orbita gravitava. A differenza di altri Stati, duramente impegnati contro la disoccupazione di massa e l’inflazione della moneta, la Polonia dovette – in aggiunta – fronteggiare una sfida ancora più grave: l’invasione da parte dell’Armata Rossa costituita, dopo la Rivoluzione d’Ottobre del 1917, nell’ingombrante e tracimante Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS). 

La battaglia decisiva fu combattuta sulla Vistola nell’agosto del 1920: contro tutte le previsioni, ma a conferma del fatto che quando si combatte per un ideale si possiede una riserva motivazionale in più rispetto a chi agisce solo per ubbidire a strategie di conquista, l’esercito polacco sconfisse la marea degli invasori. Le cronache del tempo – e da allora anche gli storici – parlarono di “miracolo della Vistola”.

 A 100 anni esatti, la vicenda viene riletta nel romanzo Sole sulla Vistola (Diogene Multimedia, Bologna 2020, pp. 122, euro 14,00) da Bruno Di Maio, poliedrica figura di intellettuale siciliano impegnato, nella sua lunga e feconda esistenza, sia come docente universitario di elettronica sia come senatore della Repubblica sia nel campo dell’ecumenismo religioso. E viene riletta dal punto di vista non dello storico che osserva i processi dall’alto e dall’esterno, quanto del romanziere che – manzonianamente – vuole prestare la voce ai protagonisti ‘comuni’, pressoché anonimi, di cui facilmente si smarrisce la memoria. 

SE TI INTERESSA COMPLETARE LA LETTURA, BASTA UN CLICK QUI:

https://www.zerozeronews.it/dalla-vistola-allantisemitismo-il-destino-della-polonia/


giovedì 11 giugno 2020

L'ULIVO SIMBOLO DEL MEDITERRANEO

“Il Gattopardo”
Maggio 2020

L’ULIVO E IL MEDITERRANEO

E’ almeno dai tempi dell’illuminista  Montesquieu che abbiamo imparato a vedere il nesso fra la configurazione fisica di un luogo e il carattere prevalente dei suoi abitanti. Oggi, molto probabilmente, il pensatore francese rivedrebbe alcune opinioni dal momento che i mezzi di comunicazione sociale ci fanno vivere, nel bene e nel male, in un mondo virtuale nel quale i condizionamenti ambientali originari sono fortemente modificati dai condizionamenti culturali (attraverso soprattutto televisione e internet).  Tuttavia resta vero che ogni popolo plasma il suo territorio e, sia pur in misura meno marcata, ne viene modellato.
 Nel caso dei popoli del Mediterraneo - dunque anche di noi siciliani che del Mare-tra-le-terre occupiamo un’area centrale (si potrebbe dire: una Terra-in-mezzo-ai-mari) - è stato notato il nesso fra l’ulivo e la loro storia complessiva. “Tutto quanto il Mediterraneo – sculture, palme, addobbi dorati, eroi barbuti, vino, idee, navi, luna, Gorgoni alate, figure bronzee, filosofi – è come se tutte queste cose passassero attraverso l’aspro e acerbo gusto dell’oliva nera fra i denti. Un sapore più antico di quello della carne e del vino rosso. Antico come l’acqua fresca”: così il viaggiatore britannico Lawrence Durrell esprime la convinzione che sia “proprio nell’olivo la sintesi del Mediterraneo” (la formula è di Predag Matvejeviç). 
    Sino ai nostri giorni ci sono famiglie siciliane – come la mia – che, sparse in giro per il mondo, si riuniscono per i quattro o cinque giorni della raccolta delle olive nel piccolo podere ereditato dai nonni: un rito di memoria, ma anche un’occasione di festa.  Che si prolunga per l’intero anno ogni volta che si utilizza l’olio di casa (più gustoso, almeno per ragioni affettive,  del più pregiato dei prodotti in commercio). 
   Anche un altro britannico, Aldous Huxley,  vede nell’ulivo “il simbolo della mediterraneità”: “Il Mediterraneo giunge fino agli orli della fascia desertica, e l’ulivo è il suo albero: l’albero del territorio della chiarezza solare che separa la tetraggine dell’equatore da quella del settentrione. Si tratta del simbolo della classicità in mezzo a due romanticismi”. Huxley si spinge ad affermare – un mediterraneo non oserebbe mai ! – che senza gli influssi mediterranei, rappresentati appunto dall’ulivo, “Chaucer e Shakespeare non sarebbero mai diventati scrittori autentici”. L’affermazione risale al 1936 e non so se abbia incoraggiato quegli studiosi che, dopo Santi Paladino (1927), sino  ai nostri giorni (Enrico Besta nel 1950, Martino Iuvara nel 2002, Antonio Socci nel 2017), identificano William Shakespeare con il messinese Michel Angnolo Florio, precettore a Londra di lingua italiana e latina della futura regina Elisabetta I…(I lettori curiosi trovano una buona sintesi di questa strana querelle in https://www.ilsicilia.it/william-shakespeare-era-in-realta-il-siciliano-michelangelo-florio/).

Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com