Repubblica - Palermo 28.2.07
IL DISAGIO DIMENTICATO
“Se ognuno potesse scegliere il luogo della propria nascita ” - ha scritto Eric Linklater - “certi paesi sarebbero completamente disabitati”. Palermo rientrerebbe nel novero? Le risposte possibili sono, in genere, impressionistiche. Manca un’analisi scientifica sulle effettive condizioni di vita nella nostra città. Nel 1990 Amelia Crisantino, nella ormai introvabile La città spugna, ha provato a dare conto dei pochi studi sociologici sino a quella data dedicati al capoluogo siciliano: Danilo Dolci, Vincenzo Guarrasi, Judith Chubb, Costantino Caldo, Giacinto Lentini, Vincenzo Masini, P. Andolina con L. Fontana Russo, Cresm, Gaetano Ingrassia, Dipartimento Città e Territorio (V. Cabianca, D. Costantino, I. Pinzello, E. Stella), Gustavo Cecchini, Ada Becchi Collidà. Cosa si è prodotto in questi ultimi diciassette anni? Non molto. Alcuni studi sulle “vecchie strade” del centro storico (E. Sgroi, A. La Barbiera, G. Gerbino) ed un saggio di Michela Morello limitato al piano regolatore della città e al suo semi-fallimento.
In attesa che venga finalmente elaborata una visione complessiva, un gruppo di ricerca dell’Università di Palermo (costituito da statistici, economisti, architetti, sociologi, giuristi non senza l’apporto di operatori sociali volontari) ha intanto lavorato per due anni sul quartiere Albergheria. Il risultato è un corposo volume (Al centro del margine. Standard di vita in un quartiere del centro storico di Palermo, a cura di V. Capursi e O. Giambalvo, Franco Angeli, Milano 2006) di quasi quattrocento pagine (verrà presentato nella Chiesa di S. Francesco Saverio alle 17,30 di giovedì 1 marzo) che si caratterizza per almeno due ragioni.
La prima: nasce dalla felice circolarità tra le esigenze operative di un gruppo di volontari (desiderosi di procedere attraverso una progettualità lucida) e le competenze scientifiche di un gruppo di ricercatori (intenzionati a non restare chiusi all’interno dell’autoreferenzialità accademica). Come evidenzia nella premessa don Cosimo Scordato, “questa pubblicazione può servire da incoraggiamento sia all’università che alla società civile e, forse ancor di più, alla politica e ai politici nel momento in cui volessero finalmente avvalersi della ricerca sia per comprendere meglio la situazione locale sia, ancor di più, per cambiarla”.
Una seconda caratteristica del volume è che esso documenta la fecondità dell’approccio multiplo e convergente: come si legge nell’introduzione, costituisce “un caso di studio dal quale si evince che la conoscenza è un processo interdisciplinare, faticoso, lungo, ma sempre affascinante e appagante”.
Impossibile riassumere in tutte le articolazioni i passaggi della ricerca su un quartiere che, a differenza di certe periferie urbane, riesce a essere marginale antropologicamente pur essendo centrale spazialmente. Ma la prefazione di Lorenzo Bernardi suggerisce una chiave di lettura istruttiva: “quasi come un semplice pretesto esamina un quartiere della città di Palermo per spingere di fatto l’attenzione verso il tema generale dell’emarginazione sociale, accogliendo i paradigmi interpretativi più moderni, superando schematismi ideologici e letture a tesi, evitando la caduta in spesso comodi umori moralistici o addirittura colpevolisti”. Lo stato di “marginalità” si conferma come “condizione di libertà limitata per quanto riguarda opportunità nell’immediato, potenzialità di prospettiva, effettivo dominio della propria volontarietà“.
Ma il disagio di larga parte dei cittadini che abitano in questa zona - disagio che è “sanitario, economico, abitativo” e pure “umano”, connesso a carenza di “capitale sociale” - è un dato senza speranza? Gli autori, fedeli al rigore descrittivo del loro approccio, non si sbilanciano. Hanno diagnosticato i mali, ma non spetta loro proporre terapie. Preferiscono offrire dei punti di orientamento a quanti possano e vogliano agire, a vario titolo, per eliminarli. Convinti che “aggredirli senza la consapevolezza di una realistica fattibilità” e “affrontarli senza incisivi mezzi conoscitivi” possono essere “azioni più minacciose dell’immobilismo, capaci di generare nuovi, ignoti, più marcati conflitti, disagi, insicurezze”.
Augusto Cavadi