giovedì 30 dicembre 2010

La presentazione del “Pizzino della legalità”


Il Vespro, giugno 2010
Flavia Fontana

Il 25 giugno 2010, presso il Castello di Carini, alle ore 19,00, si svolgerà la presentazione del “Pizzino della legalità” di Augusto Cavadi (Editore Salvatore Coppola, Trapani) dal titolo “L’amore è cieco ma la mafia ci vede benissimo”. In occasione di questo evento, con ingresso libero, si parlerà e si racconterà una storia dai contenuti davvero raccapriccianti. “Protagonista è una giovane donna di nome Lucia - spiega il professore di storia e filosofia, Augusto Cavadi - che si innamora di un uomo che appartiene ad una cosca mafiosa. Lucia, per amore, lascia tutto, la carriera, la città dove si era appena trasferita per dedicarsi a una nuova vita insieme con il compagno. Quest’ultimo non riesce a liberarsi dai vincoli precedenti e preferisce seppellire questo amore piuttosto che rinunciare al potere e al denaro. E’ il racconto di una donna che ama, che soffre e che - con piena dignità e forza - riesce a dominare il sentimento, andando avanti per la sua strada e cercando di dare un piccolo contributo per la sconfitta del sistema mafioso. Ma in questo racconto c’è dell’altro: vorrei che, per quella data, fosse il pubblico interessato a scoprire il resto e a esprimere la propria opinione. Inoltre, conclude il professore Augusto Cavadi, abbiamo scelto questa location per fare conoscere a tutte le persone impegnate a questo evento e che vengono da Palermo, il noto Castello di Carini, che tutti conoscono ma che non tutti hanno visitato”. Questo evento è organizzato dall’Associazione di volontariato culturale “Scuola di Formazione Etico-Politica Giovanni Falcone” di Palermo; quest’ultima si propone di portare avanti delle iniziative di sensibilizzazione e coscientizzazione rivolte ad una cittadinanza attiva, democratica e antimafiosa (su invito di scuole, parrocchie, enti locali, centri sociali, ecc). In questa serata, musica e recitazione si fonderanno insieme per dare corpo e anima a questa storia. Le canzoni e le musiche saranno cantate e suonate rispettivamente da Rosalia Billeci e Nicola Marchese. E poi ci saranno due attori, Claudia Palazzolo e Salvatore Castiglia, menbri del circolo culturale di Palermo, che si cimenteranno insieme a Rosalia Billeci per interpretare l’anima inquieta e sofferente di Lucia

Intervista di Marco Ambrosini e Marco Graziotti


TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 420 del 30 dicembre 2010
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Sommario di questo numero:
1. Un crimine
2. Marco Ambrosini e Marco Graziotti intervistano Augusto Cavadi
3. Marco Ambrosini e Marco Graziotti intervistano Alberto L’Abate
4. Marco Ambrosini e Marco Graziotti intervistano Roberto Mancini
5. Marco Ambrosini e Marco Graziotti intervistano Enrico Peyretti
6. Per sostenere il Movimento Nonviolento
7. “Azione nonviolenta”
8. Segnalazioni librarie
9. La “Carta” del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu’

1. RIFLESSIONE. UN CRIMINE
(…)

2. RIFLESSIONE. MARCO AMBROSINI E MARCO GRAZIOTTI INTERVISTANO AUGUSTO CAVADI
[Ringraziamo Marco Ambrosini (per contatti: agrcasetta@inventati.org) e Marco Graziotti (per contatti: graziottimarco@gmail.com) per averci messo a disposizione questa intervista ad Augusto Cavadi.
Marco Ambrosini e Marco Graziotti fanno parte della redazione di “Viterbo oltre il muro. Spazio di informazione nonviolenta”, un’esperienza nata dagli incontri di formazione nonviolenta che si svolgono settimanalmente a Viterbo.
(…)
- Marco Ambrosini e Marco Graziotti: Nella storia del Novecento la nonviolenza ha caratterizzato importanti esperienze, dalle lotte condotte da Gandhi dapprima in Sudafrica e successivamente in India, alle esperienze di resistenza nonviolenta contro il nazifascismo, alle lotte di Martin Luther King contro il razzismo, fino alla lotta di Aung San Suu Kyi. Come definirebbe e descriverebbe il contributo della nonviolenza alla storia degli ultimi cento anni?
- Augusto Cavadi: Un seme. Come tutti i semi puo’ essere spazzato via - e’ stato spazzato via tante volte - dai venti avversi, ma potrebbe - puo’ - maturare e diventare albero. Fuor di metafora: da esperienza minoritaria e profetica potrebbe diventare mentalita’ diffusa, anzi comune. Il contrassegno di una nuova tappa evolutiva nella storia dell’animale umano.
*
- Marco Ambrosini e Marco Graziotti: La riflessione nonviolenta si e’ intrecciata con varie tradizioni del pensiero politico, ha apportato contributi fondamentali, ed ha costituito e costituisce una delle esperienze maggiori della filosofia politica odierna. Come definirebbe e descriverebbe il contributo della nonviolenza al pensiero politico?
- Augusto Cavadi: Non sono uno specialista, ma cerco di leggere con qualche attenzione. Ho l’impressione che, nell’ambito della produzione intellettuale sul tema, ci sia ancora molta strada da fare. Il pensiero politico pacifista ha fruito di apporti gia’ abbastanza significativi; non altrettanto il pensiero politico nonviolento. Comunque altri colleghi da voi interpellati potranno regalarci nomi, testimonianze e titoli e a me ignoti.
*
- Marco Ambrosini e Marco Graziotti: La riflessione nonviolenta si e’ intrecciata anche con la ricerca e la riflessione sociologica, dando contributi rilevantissimi. Come definirebbe e descriverebbe il contributo della nonviolenza al pensiero sociologico e alla ricerca sociale?
- Augusto Cavadi: Anche in questo settore le mie conoscenze sono assai limitate. Oltre che il “solito” Danilo Dolci (e, per giunta, limitatamente a una certa data della sua vicenda umana e intellettuale) ci sono sociologi che esplicitamente imperniano nei principi della nonviolenza la loro ricerca?
*
- Marco Ambrosini e Marco Graziotti: La riflessione e le esperienze nonviolente hanno potentemente investito anche l’economia sia come realta’ strutturale sia come relativo campo del sapere. Come definirebbe e descriverebbe il contributo della nonviolenza al pensiero economico?
- Augusto Cavadi: In questo ambito (dove non ho certo competenze piu’ ampie che negli altri toccati dalle vostre domande) direi che molte teorie economiche (alla Amartya Sen) e molte iniziative economiche (alla Muhammad Yunus) che provano a relativizzare il capitalismo - senza ne’ fughe in avanti appassionanti ma irrealistiche (anarchismo) ne’ tantomeno cadute in rimedi peggiori del male (socialismo di transizione verso il comunismo) - sono da considerare patrimonio della cultura nonviolenta.
*
- Marco Ambrosini e Marco Graziotti: La teoria-prassi nonviolenta ha recentemente avuto uno svolgimento importantissimo nel campo del diritto e specificamente del diritto penale, con l’esperienza sudafricana della “Commissione per la verita’ e la riconciliazione” e con le numerose altre iniziative e successive teorizzazioni che ad essa si sono ispirate. Come definirebbe e descriverebbe il contributo della nonviolenza al pensiero giuridico e alla pratica del diritto?
- Augusto Cavadi: Nella mia citta’ (Palermo) abbiamo provato a immaginare, e a raccontare in un libro (”Nonviolenza e mafia”, a cura di V. Sanfilippo, Di Girolamo, Trapani 2005), cosa potrebbe significare affiancare (non sostituire!) l’attuale apparato giudiziario-repressivo con un sistema di prevenzione e di recupero sociale dei criminali mafiosi e, soprattutto, della cerchia di familiari e simpatizzanti che ruota intorno a ciascuno di loro. Successivamente qualcuno di noi e’ stato invitato anche a lavorare in iniziative di dialogo con adulti condannati (per reati minori) a pene alternative alla reclusione carceraria. Ma si tratta di micro-esperimenti che difficilmente, a mio avviso, potranno compensare il peso schiacciante del pessimo “esempio” di Stati grandi e potenti che praticano la tortura e la pena di morte. Non vedo spiragli sino a quando l’elettorato non imporra’ ai partiti politici di inserire queste tematiche nei programmi elettorali fra cui scegliere e, tramite i loro rappresentanti in Parlamento, al Governo di occuparsene . Certo, l’Italia o la Spagna non potranno convincere la Cina o l’Iran a cancellare pratiche violente e disumane; ma, almeno, potranno denunziare a chiare lettere l’ipocrisia di Stati occidentali, come gli Stati Uniti d’America, che criticano quanti preparano ordigni nucleari come se ne fossero privi essi per primi; o come quegli Stati europei che vedono nella pena di morte un ostacolo insormontabile alla cooptazione della Turchia, ma non alla sinergia politica e militare con gli Stati Uniti d’America.

sabato 25 dicembre 2010

La Scuola di formazione “Falcone” al servizio di Palermo


Rivista telematica “Diritti negati”
www.dirittinegati.eu

Numero 12 - 19 novembre 2010
INTERVENTI
Un servizio all’intelligenza
Augusto Cavadi
Palermo. Quando abbiamo deciso di costituire l’associazione di volontariato culturale “Scuola di formazione etico-politica Giovanni Falcone” era l’orribile estate 1992. Che cosa intendevamo fare? Eravamo immersi in un arcipelago di movimenti cittadini, di centri sociali, di iniziative collettive spontanee: alta l’indignazione, direi anche la disperazione, ma bassa la progettualità strategica. La proposta ai miei amici di ogni orientamento ideale e politico (ma a destra non trovai molte adesioni) fu di dare una forma più stabile a un Laboratorio di cultura politica pluralistico e itinerante che avevo avviato alcuni anni prima. Ritenemmo fondamentale offrire, al variegato movimento di riscatto morale e sociale palermitano (ma poi non solo), una struttura permanente di informazione, di riflessione, di studio, di confronto critico, di elaborazione propositiva.
Da 18 anni, fra errori e delusioni, non abbiamo desistito: migliaia di cittadine e cittadini hanno partecipato a seminari, presentazioni di libri, convegni di uno o più giorni, sulle questioni cruciali dell’impegno civico: la storia del Meridione, la sociologia del Mediterraneo, l’analisi del potere mafioso, le possibilità di superamento della disoccupazione strutturale nel sistema capitalistico…La varietà delle iniziative realizzate (presso scuole, centri sociali, parrocchie, sedi comunali…) ha avuto e ha un obiettivo prioritario: alfabetizzare (eticamente e politicamente) i cittadini che intendono resistere alla barbarie e capovolgere i rapporti di potere fra corrotti e onesti. Non basta “andare dove ci porta il cuore”: bisogna usare la testa. La criminalità politico-affaristico-mafiosa che ha reso difficilmente vivibile una delle terre più belle del mondo ha un’organizzazione e una strategia: se la legalità democratica non si organizza e non si dà una strategia, resterà inevitabilmente soccombente e delusa.
Senza queste rapide pennellate sul passato recente, non si capirebbe il senso dell’invito che la Scuola Falcone ha rivolto in questi giorni agli esponenti di “Movimento per Palermo” e di “Muovi Palermo” affinché partecipassero alla “Tre giorni” di Castelbuono (16 – 18 luglio) sulla situazione politica in Sicilia e raccontassero cosa stanno facendo – e come lo stanno facendo – per rompere l’immobilismo asfissiante di una metropoli in ostaggio a una classe dirigente in cui (tranne rare e mai troppo lodate eccezioni) i confini fra maggioranza che governa e opposizione che critica e contro- propone vanno sfumando disastrosamente. Abbiamo ascoltato, abbiamo apprezzato, abbiamo espresso interrogativi e segnalato rischi. Ma, poiché non ci piace stare alla finestra della storia, desideriamo esplicitare la nostra disponibilità a investire energie, tempo, risorse finanziarie in questa scommessa civile. Vorrei ribadirlo adesso: non siamo onnipotenti, sappiamo fare poche cose. Ma queste poche competenze, radicate su esperienze ormai pluridecennali, vogliamo metterle a servizio dell’intelligenza creativa di chi ha scelto, meritoriamente, il piano dell’azione pratica. I fallimenti di una cultura che non si lascia coinvolgere dalla vita e di una vitalità che non si concede momenti di consapevolezza culturale li abbiamo registrati in abbondanza: se non vogliamo andare incontro a un ennesimo fallimento dobbiamo provare a innescare il circolo virtuoso fra teoria che analizza e pratica che verifica.
In attesa di un cortese riscontro, auguriamo un’estate serena ma gravida di progetti operativi.
Augusto Cavadi

domenica 19 dicembre 2010

Forze dell’ordine, amministratori e senso della legalità


“Centonove” 17.12.2010
TRAFFICO, SE LE FORZE DELL’ORDINE SE NE FREGANO

Alla vigilia delle ferie natalizie, ritorna puntuale l’allarme sul calo delle presenze turistiche in Sicilia. Abbiamo il sole, abbiamo il mare, abbiamo l’arte: che cosa ci manca? Ogni volta si prova a stilare la lista (dagli scippi ai posteggiatori abusivi; dal costo proibitivo dei taxi alla immondizia abbandonata; dagli orari impossibili di chiese e siti archeologici alla scarsezza disarmante dei collegamenti ferroviari); ma, ogni volta, ci si accorge di essere stati incompleti. Le ragioni che demotivano i turisti sono le stesse che rendono faticosa la quotidianità di noi siciliani e, sinora, non è stata una strategia intelligente trascurare di intervenire sul micro solo perché c’è sempre un macro più preoccupante.
Un esempio fra mille: la tolleranza estrema verso ogni forma di infrazione del codice stradale. Le cui norme sono dettate da sadismo o finalizzate alla protezione dei cittadini? Conosciamo già la risposta del figlio di papà sul bolide da corsa in autostrada e della ragazzina di estrazione proletaria che scorazza senza casco per i vicoli dei quartieri popolari. Ma è la stessa del signore anziano che si sposta per andare dal medico o della giovane casalinga in giro per le spese di casa? A giudicare da ciò che si nota in giro, si direbbe di sì: la maleducazione nel posteggiare in terza fila o l’irresponsabilità nell’esonerarsi dall’obbligo di stop non conoscono differenze anagrafiche né sociologiche. Ogni tanto ci scappa persino il morto, ma poi tutto riprende a scorrere come prima: cioè senza regole né sanzioni.
In questo contesto caotico ci si aspetterebbe almeno alcuni punti fermi di riferimento, in primis gli uomini delle Forze dell’ordine e gli amministratori pubblici. Ma sarebbe un’attesa illusoria. Osservate le auto della polizia, dei carabinieri, dei finanzieri, dei vigili urbani; persino della polizia penitenziaria, delle guardie forestali e dei vigilantes di ditte private: che in situazioni di emergenza procedano senza rispettare le strisce pedonali o senza allacciarsi le cinture di sicurezza è sin troppo ovvio. Lo è altrettanto quando non sono impegnati nel vivo di interventi operativi? C’è una ragione valida per disattendere le regole quando si muovono tranquillamente nel traffico, magari in borghese, perché stanno consegnando delle notifiche o verificando l’effettiva residenza di cittadini? E’ logico che, per comprare le sigarette o consumare il caffè a metà mattinata, sostino dove capita, anche a costo di complicare il già faticoso traffico stradale? Lo spettacolo fa supporre che, fra le tante ragioni per cui il cittadino medio può fare ciò che vuole, è che quanti dovrebbero intervenire avvertono una segreta affinità comportamentale: divisa o meno, siamo fatti della stessa stoffa ed esposti alle stesse allergie.
Ancora più odiosa, se possibile, è questa esibizione sfacciata d’impunità nelle centinaia di auto blu che attraversano da un capo all’altro i nostri capoluoghi di provincia, soprattutto Palermo. Il messaggio (certo inconsapevole, non per questo meno deleterio) che politici e superburocrati trasmettono all’opinione pubblica è radicalmente incivile: l’obbligo di allacciare la cintura di sicurezza o il divieto di usare il cellulare quando si guida sono prescrizioni assurde, arbitrarie. Non si basano su nessuna ragione sensata: né la nostra incolumità né l’ incolumità altrui. Voi, popolo anonimo, lo sapete quanto noi: ma, a differenza di noi, dovete rispettarle. Infatti, contravvenendole, voi rischiate ammende, multe, cancellazione di punti dalla patente automobilistica; noi , invece, possiamo esonerare noi stessi, i familiari che viaggiano con noi, gli stessi autisti al nostro servizio. Conosco l’obiezione: ma con tanti gravi problemi che affliggono la Sicilia, perché preoccuparsi di questi dettagli? Non penso certo che vadano sconvolte le gerarchie dei crimini. Più semplicemente, sono convinto che nel tessuto civile “tutto si tiene” e che gli effetti di messaggi subliminari continui, insistenti, pervasivi possono risultare alla lunga più disastrosi di quanto si supponga. Oggi, ostentare strafottenza verso le leggi è lo status symbol che accomuna funzionari in autorità e mafiosi in attività: siamo sicuri che ciò renda sopportabile il soggiorno nella nostra terra agli occhi dei visitatori e, prima ancora, di noi residenti?

Augusto Cavadi

lunedì 13 dicembre 2010

Sulla teologia trinitaria di Abelardo


“Repubblica – Palermo” 12.12.2010

ABELARDO SENZA ELOISA

Augusto Cavadi

Giuseppe Allegro
TEOLOGIA E METODO
IN PIETRO ABELARDO

Officina di studi medievali
pagine 342
euro 32

Di Abelardo, fine dialettico del XII secolo, il pubblico colto ricordo soprattutto le disavventure amorose con Eloisa e, soprattutto, la severa punizione subita nelle parti pudende dai familiari della ragazza. Chi volesse andare oltre il gossip storiografico ha ora a disposizione un corposo, ma leggibile, studio di Giuseppe Allegro (Teologia e metodo in Pietro Abelardo) edito dall’Officina di studi medievali di Palermo. Certo, non è il libro che si porta dal barbiere per ingannare l’attesa del proprio turno: ma chi abbia un po’ d’interesse per la storia della cultura occidentale troverà intrigante conoscere questo pensatore formidabile a cui si deve nulla di meno che la fondazione della theologia come nuova disciplina accademica. Egli ha avuto il coraggio, o l’impudenza, di tuffarsi dritto nell’enigma trinitario con le armi della logica (suo il celebre metodo di evocare, per ogni questione, il “così” e il “non”): pur avendo letto, in Agostino, proprio a proposito della trinità, che “non c’è altro argomento a proposito del quale l’errore sia più pericoloso, la ricerca più ardua, la scoperta più feconda”. E, come scrive nella Presentazione Constant J. Mews, Abelardo lo ha fatto in modo tanto geniale da “aprire una nuova maniera di pensare che Dante proseguirà nella prima metà del XIV secolo e che ancora provoca il pensiero nel nostro proprio tempo”.

sabato 11 dicembre 2010

Bruno Vergani recensisce “Non lasciate che i bambini...”


Dal sito http://blognew.aruba.it/blog.brunovergani.it:

Il Vescovo di Grosseto, Mons. Babini, dichiara alla stampa: “… Se mi fosse capitato un pedofilo non lo avrei denunciato, ma cercato di redimere. Un padre come é il Vescovo per un sacerdote, non denuncia i figli che sbagliano e si pentono. Ma con i viziosi [gli omosessuali N.d.a.] bisogna essere intransigenti”.
Pedofili assolti, omosessuali condannati.
Augusto Cavadi, filosofo e teologo palermitano, legge e non può tacere perché avverte che ogni omissione di parola equivarrebbe a complicità, così procrastina gli impegni presi per iniziare la scrittura del libro “Non lasciate che i bambini vadano a loro” con sottotitolo “Chiesa cattolica e abusi su minori”, oggi in libreria edito da Falzea.
Lo scrive su due registri, che si compenetrano: quello del saggio-inchiesta, dove partendo dai fatti accaduti e dai documenti ecclesiali espone il problema e quello filosofico, teologico-ecclesiologico dove con lucidità enuclea “qual è, esattamente, il problema”. Una prima lettura d’un fiato ci condurrà pertanto ad una “ruminazione” post lettura; il boccone è amaro e Vito Mancuso, che scrive la prefazione, denuncia la causa: “La peculiarità dello scandalo non è tanto la pedofilia di preti e Vescovi, quanto l’insabbiamento da parte delle gerarchie”.

Cavadi spiega nello specifico i motivi di fondo, le problematiche strutturali e gli automatismi concettuali, che hanno portato, troppo spesso, gran parte della gerarchia ecclesiastica a bypassare con assoluta disinvoltura quanto realmente accaduto, in nome di una autorità umano-divina che giudica e interpreta autoreferenzialmente la triste realtà degli abusi in ambito ecclesiale: i panni sporchi si lavano in casa e la faccenda finisce lì, anestetizzata da pentimenti tardivi, coperta da ipocrisie sistematiche, omissioni, insabbiamenti, reticenze, connivenze e complicità: peccato da perdonare invece che reato da sanzionare. Qui individua i meccanismi strutturali che all’interno della Chiesa cattolica prima favoriscono poi coprono deviazioni individuali e collettive: obbedienze inevitabili, confessioni private, processi formativi dei presbiteri, sacralità separata, dualismi gerarchici e la relazione sesso-potere.
L’Autore non solo spiega esaurientemente il perché e il come sia potuto accadere che minori siano stati abusati in ambienti cattolici, luoghi deputati alla cura dei minori, ma offre indicazioni e proposte operative perché non abbia ad accadere in futuro. Libro da leggere ed approfondire per non fermarsi ad una denuncia ideologica, generica, intermittente, superficiale.

Bruno Vergani

Non lasciate che i bambini vadano a loro
Chiesa cattolica e abusi su minori
Augusto Cavadi
€ 11,90 Editore Falzea

giovedì 9 dicembre 2010

Intervista su chiesa cattolica e pedofilia


“Newz.it”
Mercoledì 24 novembre 2010
TONINO NOCERA INTERVISTA AUGUSTO CAVADI

Augusto Cavadi è un filosofo e teologo; insegna filosofia in un liceo di Palermo e collabora stabilmente con l’edizione siciliana di “Repubblica”. E’ appena uscito il suo ultimo libro Non lasciate che i bambini vadano a loro. Chiesa Cattolica e abusi sui minori (pp. 144 € 11,90). Il libro, con prefazione di Vito Mancuso, è edito da Falzea. Con la casa editrice di Reggio Calabria Cavadi ha pubblicato nel 2008 In verità ci disse altro. Oltre i fondamentalismi cristiani. Abbiamo posto qualche domanda all’autore.

- Lei si definisce un teologo laico: cosa vuol dire?
- L’autodefinizione vuole sintetizzare molte precisazioni (anche se non mi illudo di riuscirci solo perché ricorro a un aggettivo…): ‘laico’ perché non sono prete e non lo sono mai stato; ‘laico’, soprattutto, perché ritengo che si possa fare teologia non solo all’interno di una confessione religiosa, ma anche fuori dai recinti istituzionali di questa o di quell’altra chiesa. Ovviamente non parlo di una teologia privata, da individui isolati, che non servirebbe a molto: il teologo laico è inserito in una comunità che vive, lotta, spera, soffre, ama, progetta e costruisce. Solo che questa comunità non è la sua parrocchia o la sua diocesi e neppure la sua sinagoga o la sua moschea: piuttosto è l’umanità nella sua interezza. L’umanità di ieri, di oggi e - per quanto ci si riesca – di domani.

- Qual è l’elemento che più colpisce nei casi di pedofilia all’interno della Chiesa cattolica?
- Direi la contraddizione fra ciò che i preti predicano con tono spocchioso e ciò che, alcuni di loro, vivono nel segreto dei confessionali e nel buio delle sacrestie. Questa sorta di ipocrisia sistematica è deleteria perché mi pare che sia l’unico insegnamento che il mondo cattolico - penso in particolare ai politici che si proclamano fedeli e obbedienti - recepisce dal magistero clericale.

- Si ha l’impressione che all’interno della Chiesa ci siano forze che si contrappongono e che l’attuale Pontefice, intellettuale di alta levatura, abbia difficoltà a gestire?

- * Se intende dire che il papa è per la ‘tolleranza zero’ con i pedofili e alcune correnti ecclesiali sono più comprensive e permissive, condividerei solo in parte l’analisi. Infatti è vero che in questi ultimissimi anni Ratzinger ha levato alta e forte la sua voce di condanna, ma dove è stato nei trent’anni precedenti? Sappiamo che da vescovo di Monaco prima, da cardinal prefetto della Congregazione per la fede a Roma dopo, è stato molto poco rigoroso. La sua severità di oggi sarebbe più credibile se fosse preceduta da un’autocritica sincera sui suoi atteggiamenti pregressi. Capisco pure che qualche vescovo possa rimanere infastidito del brusco mutamento di tono: un po’ come quei politici che, alla Andreotti, dopo anni di connivenza con i mafiosi, decidono di punto in bianco di fare le crociate contro la mafia (e, per giunta, con l’aria innocente di chi è stato sempre dalla parte giusta).

- Perché la Chiesa è così ossessionata dal sesso?

- Sono stati scritti volumi e la questione non è stata ancora esaminata in tutti i suoi aspetti. Alcune cose le ho scritto anch’io sui due scritti che ho pubblicato con l’editore Falzea. Una risposta molto parziale: la Chiesa, come ogni individuo e ogni comunità, viene ossessionata da ciò che vuole rimuovere. Pascal, nel Seicento, l’aveva detto con la sua proverbiale icasticità: chi vuol fare l’angelo, dimenticando di essere uomo, finirà col comportarsi da diavolo. Spero che a questo punto Lei non mi faccia la domanda logicamente successiva (“E perché la Chiesa rimuove la dimensione sessuale?”) perché non saprei come risponderle in poche battute.

- La lotta contro i DICO o i PACS non è una manifestazione di debolezza? In fondo non riguarderebbe i cattolici che continuerebbero a sposarsi in chiesa?

- * Di debolezza? Direi di insipienza. Il riconoscimento delle coppie di fatto non solo non toglie nulla all’istituto del matrimonio, ma anzi costituisce un possibile ponte di passaggio dalla situazione di totale anomia delle convivenze ‘selvagge’ alla celebrazione del matrimonio (civile o cattolico). Se fossi papa suggerirei ai politici cattolici di non opporsi, anzi di favorire, l’istituzione di DICO o di PACS: ma Dio acceca coloro che vuole mandare in malora…

- Spesso si torna a parlare del Discorso di Ratisbona: cosa ne pensa?

- Va letto nella sua interezza perché la versione integrale è meno assurda dei passaggi estrapolati dalla stampa internazionale. Ma proprio letto integralmente, quel discorso rivela che il papa cita l’autore medievale sui rapporti fra cristiani e musulmani in maniera parziale, selettiva. Insomma: i massmedia non hanno fatto un buon servizio a Benedetto XVI citandolo fuori contesto, ma prima ancora era stato Benedetto XVI a dare il cattivo esempio estrapolando mozziconi di frasi dal testo medievale. Insomma: chi di citazione colpisce, di citazione perisce.

- Talvolta si mette – erroneamente – in relazione l’omosessualità con la pedofilia che alcuni collegano al celibato dei sacerdoti. Anche questo mi sembra un accostamento errato. Condivide?

- Lo condivido al punto che, ironicamente, chiudo il libro con un ringraziamento a quel vescovo toscano che ha dichiarato più grave per un prete essere gay che essere pedofilo. Lo ringrazio perché stavo rimandando a periodi di maggiore disponibilità di tempo la stesura del libro sulla pedofilia nella Chiesa: ma devo a quella sua dichiarazione la spinta decisiva a stringere i denti e, nonostante altre scadenze editoriali, a portare a termine con diritto di precedenza il mio saggio sull’argomento.

- Di quali cambiamenti, a suo avvio, ha bisogno la Chiesa Cattolica?
- L’anno scorso ho pubblicato con la San Paolo un libro intitolato Il Dio dei mafiosi che proprio nella vostra Calabria è stato recentemente onorato con il primo premio per la saggistica “Città di Siderno”. Ebbene quasi tutta la seconda metà del libro è dedicata a tracciare le linee essenziali della chiesa che sogno: una chiesa talmente ‘cattolica’, cioè universale, da non avere paura di entrare in osmosi con tutte le comunità credenti nel divino che si trovano sul pianeta. Ma soprattutto una chiesa fraterna, democratica, attenta alle donne, solidale anche con gli altri esseri viventi (animali o pesci): una chiesa, insomma, che sia almeno ad altezza del vangelo di Gesù. Dico ‘almeno’ perché il cristianesimo è antico di duemila anni e secondo me può costituire una tappa importante del cammino evolutivo dell’umanità, non certo una meta da considerare definitiva e insuperabile.

domenica 5 dicembre 2010

Marta Ragusa su “Non lasciate che i bambini...”


“L’obiettivo”
8.12.2010

“Non lasciate che i bambini vadano a loro”: trattato sulla “santa omertà” della Chiesa

Come scrivere un trattato sulla violenza contro i bambini sine ira? Ce lo dimostra Augusto Cavadi, la cui ultima pubblicazione, “Non lasciate che i bambini vadano a loro. Chiesa cattolica e abusi sessuali” (Falzea editore), è stata presentata il 29 ottobre presso il salone della Chiesa Valdese di Palermo. Il tema centrale del libro è la “santa omertà” di cui si è macchiata la Chiesa di fronte agli scandali sessuali che hanno investito e investono alcuni dei suoi membri e che vedono come vittime proprio i bambini. Gli stessi bambini che, ricorda padre Cosimo Scordato (tra i partecipanti alla presentazione), Gesù indica come esempio da seguire per raggiungere il regno dei Cieli, quello che dovrebbe essere l’obiettivo di tutti i fedeli e, a maggior ragione, degli uomini di religione. I preti che hanno abusato sessualmente dei bambini, le cui vite e anime avrebbero dovuto proteggere, hanno l’obbligo di essere giudicati secondo la legge degli uomini e non solo secondo la legge di quel dio nel quale affermano di credere. Tuttavia, nonostante la rabbia che un simile reato desta normalmente nell’opinione pubblica, hanno anche diritto a essere curati e riabilitati poiché malati. Riabilitazione che dovrebbe avvenire rigorosamente dietro le sbarre, come succede a tutto il resto dei pedofili. Nel quadro dipinto dal libro, condito di accurate documentazioni, il dato che emerge è senza dubbio la colpevolezza delle alte gerarchie ecclesiastiche che, invece di proteggere le vittime, proteggono i loro carnefici, come fossero povere pecorelle uscite dall’ovile.

Marta Ragusa

venerdì 3 dicembre 2010

OCCUPARE LE SCUOLE FA IL GIOCO DELLA DESTRA


“Repubblica – Palermo”
3 . 12. 2010

OCCUPARE LE SCUOLE FA IL GIOCO DELLA DESTRA

L’ondata delle occupazioni (e agitazioni studentesche affini) è arrivata. Le obiezioni di quanti – fra docenti, genitori e studenti – si riconoscono nella visione della società dell’attuale maggioranza parlamentare sono note e ovvie. E anche da posizioni diverse bisogna dare atto a questo governo di essere stato, sul punto, coerente: aveva promesso una scuola conservatrice, moderata, tecnologica e ha mantenuto la promessa (a differenza, potremmo aggiungere sottovoce, di governi di centro-sinistra che hanno lavorato nella stessa direzione, ma dopo aver promesso l’opposto).
Meno note le obiezioni a questo metodo di protesta da parte di alcuni osservatori progressisti. I quali condividono, certamente, la mèta ma ritengono che sia totalmente errata la strada per raggiungerla.
Partiamo da un dato storico indubbio: come mai dal ’68 a oggi, generazione dopo generazione, questo genere di proteste ha portato a governi (e dunque a politiche scolastiche) sempre peggiori? Forse le intenzioni erano sacrosante, ma i metodi inadeguati. Riflettiamo su alcune ragioni di questa “eterogenesi dei fini”.
In democrazia la maggioranza vince, ma nelle nostre scuole la formazione politica è vicina allo zero. Con il pretesto del principio (condivisibile) che a scuola non si fa politica (nel senso di lotta fra schieramenti elettorali), in effetti non si fa neppure cultura politica: milioni di ragazzi escono senza avere mai sfogliato una volta la Costituzione; senza aver mai esaminato i progetti dei liberali, dei comunisti, dei socialdemocratici o dei conservatori; senza aver mai incontrato dal vivo i protagonisti della Resistenza antifascista o della lotta contro la mafia. Milioni di ragazzi escono dalla scuola senza aver mai letto in classe un quotidiano o un settimanale. Milioni di ragazzi escono dalla scuola con la convinzione che Fede o Vespa siano il pendant equivalente di Biagi o di Fazio. Che fare la guerra in Afghanistan o esimersi dal versare i contributi promessi in sede internazionale per lenire la fame e la sete nel mondo siano comportamenti ‘normali’ su cui il cittadino comune non ha nulla da obiettare.
In questo contesto, l’elettorato impegnato a cambiare le cose - e che dunque potrebbe pretendere che anche i suoi rappresentanti in Parlamento lavorino nello stesso senso – si riduce drasticamente e va a ingrossare le fila o della maggioranza reazionaria o della sempre più nutrita minoranza degli astensionisti.
La diagnosi stessa suggerisce, punto per punto, la terapia. Non è facile né poco faticosa: ma senza una riforma intellettuale e morale della società non si va da nessuna parte. Illudersi che occupare delle scuole (per decisione di piccole minoranze di studenti a cui gli altri si accodano, non disinteressatamente) possa incidere sulle decisioni di un governo alle soglie delle dimissioni è davvero da ingenui. Voler fare la rivoluzione è facile, prepararsi per esserne degni costa fatica, impegno,: ben al di là di una settimana l’anno. E se gli effetti politici sono incerti, certissimi sono i danni che si auto-infliggono i nostri ragazzi rinunziando a giorni preziosi di diritto allo studio. Ma una cittadinanza poco informata, poco istruita e soprattutto poco critica, non è proprio ciò che le destre di ogni tempo e di ogni paese auspicano? E’ la vecchia storia del marito che, per dare una lezione alla moglie, decide di tagliarsi i genitali, per poi magari stupirsi che la signora si attrezzi con un amante un po’ più efficiente.

Augusto Cavadi

Nota: Questo pezzo è stato ospitato, con qualche lieve taglio redazionale, solo come ‘lettera’ perché non esprime la linea editoriale del giornale (favorevole, a differenza di me, alle modalità di lotta scelte dagli studenti): meglio di niente...

giovedì 2 dicembre 2010

Non sporcate la memoria di Fufo Gennaro


“Centonove”
26. 11. 2010

“Non dite bugie su Nino Gennaro”

Quando combattere la mafia significa combattere i mafiosi, vis a vis, ci vuole una dose di coraggio e di fantasia in più. Lo sapeva Peppino Impastato a Cinisi; tanti altri - rimasti per fortuna vivi – in comuni di provincia e in quartieri cittadini; lo sapeva negli anni Settanta Nino Gennaro a Corleone. Fufo, come lo chiamavano gli amici, ha costituito per la città di Riina e Provenzano un segno di contraddizione che ha spaccato in due la cittadinanza. In due parti non eguali: la maggior parte della popolazione ha trovato pericolosa, anzi inaccettabile, la presenza di un omosessuale dichiarato che faceva del Circolo socialista un luogo di discussione politica, ma anche di aggregazione sociale e di animazione culturale; una sparuta minoranza, specie giovanile, seguiva come una sorta di messia laico questa figura carismatica che scriveva pezzi teatrali d’avanguardia e organizzava manifestazioni pubbliche di protesta contro il sistema politico-mafioso imperante a Corleone. A Maria Di Carlo, una diciassettenne studentessa del liceo, il padre - medico autorevole che, impegnato anche in politica nella corrente vizziniana del PSDI, finirà condannato per mafia - proibirà severamente di uscire da casa per evitare che frequentasse Nino; ma Maria non accetterà la segregazione né tanto meno le percosse e, con l’aiuto di alcuni professori e di un magistrato progressista, porterà il genitore in tribunale ottenendo che gli fosse sottratta la patria potestà. Stampa e televisione, anche a livello nazionale, diedero rilievo alla notizia che interrompeva una secolare tradizione di sottomissione femminile e adolescenziale.
Gennaro, trasferitosi a Palermo dove fonderà una comune imperniata su “Teatro madre”, girerà le case degli amici per rappresentarvi gratuitamente le sue piece d’impatto civile; poi, agli inizi degli anni Ottanta, sarà tra i promotori del Cocipa (un coordinamento cittadino di numerose associazioni che inventerà, in anticipo su Porto Alegre, i “bilanci partecipativi”); infine, a metà degli anni Novanta, morirà di Aids dopo aver regalato agli amici che si recavano in visita dei bigliettini autografi d’ispirazione mistica e poetica. Massimo Verdastro, suo amico e compagno d’arte, da allora porta gli spettacoli di Fufo in giro per l’Italia.
A più di quindici anni dalla scomparsa, è stato proposto al Consiglio comunale di Corleone di intestargli un centro multimediale, ma la proposta è stata bocciata con una raffica di motivazioni contrarie. Il fatto merita qualche considerazione critica. La prima è che in democrazia la maggioranza vince: dunque fanno bene gli estimatori di Fufo a raccogliere firme, ma senza troppe illusioni. La seconda è che ho conosciuto e frequentato Fufo da vicino e per anni: insieme a tanti pregi e meriti, mostrava anche aspetti caratteriali e relazionali che non condividevo e che, qualche volta, gli ho contestato aspramente anche in pubblico. Ciò premesso, c’è qualcosa - ed è la terza, ultima considerazione – che rende odiosa l’attuale decisione del consiglio comunale di Corleone: tanto odiosa da strapparla agli angusti limiti di una polemica locale e farne un eloquente segno dei tempi. Ed è l’intreccio di motivazioni vere, ma inaccettabili, con altre condivisibili in linea di principio ma false. Si sostiene che Nino Gennaro non merita di essere onorato dai concittadini perché ostentava la sua omosessualità e la sua tossicodipendenza. Che ostentasse la sua omosessualità è vero, ma non costituisce un titolo di demerito: era il suo modo di lottare per una società liberata dai pregiudizi moralistici più vieti. Che facesse uso di droghe leggere e pesanti e costituisse un pessimo esempio per le nuove generazioni è falso: di una falsità radicale, palese, infamante. Chi è contrario alla proposta di ricordare, istituzionalmente, Fufo, ha tutto il diritto di esprimerlo: ma se, per farlo, ne infanga la memoria, dimostra solo di essere portavoce del peggio che l’Italia di oggi (ipocritamente impantanata fra proclamazione pubblica di dubbie virtù e pratica privata di indubbi vizi) sa esprimere.

Augusto Cavadi