sabato 28 novembre 2015

INTERVISTA A SERGE LATOUCHE

“Una città”, ottobre 2015

LA FRENATA
Augusto Cavadi intervista Serge Latouche

Serge, è un brutto momento per l’Europa e per il mondo. Cosa può dire la teoria della decrescita alla gente sfiduciata?
Che dobbiamo imparare dai Greci il senso del limite. Abbiamo uno stomaco da riempire, sete di acqua e di buon vino da soddisfare: il cibo e le bevande che sorpassano i nostri bisogni sono in eccesso, sono un eccesso. L’illuminismo e il positivismo hanno eretto la crescita continua, illimitata, a meta dell’umanità: questa è , secondo la saggezza degli antichi filosofi, ybris, tracotanza. Aristotele distingueva l’economia dalla crematistica: la prima produceva la ricchezza necessaria (che non è mai né troppo né troppo poco); la seconda perseguiva l’arricchimento fine a sé stesso, potenzialmente indefinito. E’ urgente recuperare questa differenza se non si vuole precipitare nel baratro. Qualcuno parla di “decrescita felice”: personalmente non pretendo che la decrescita ci regali “felicità”, mi basterebbe che ci consentisse la serenità.
Prima di teorizzare la decrescita, negli anni giovanili, sei stato un comunista marxista. In che rapporto stanno le tue idee di oggi con le tue idee di ieri?
Con una battuta potrei rispondere dicendo che se a vent’anni non si è comunisti, non si ha cuore e che, se lo si è oltre i quaranta, non si ha testa. Fuori dall’umorismo, dico che  sono stato comunista ed ho molti marxisti fra i miei interlocutori attuali. Quando discuto con loro è quasi inevitabile sentirmi dire: “Marx sì, ma un certo Marx”. La storia del marxismo è costellata da questo ritornello: c’è sempre un altro Marx cui appellarsi quando delle tesi marxiste risultano indifendibili. Per la tematica che mi interessa, non c’è dubbio che Marx sia stato un produttivista; anche se si possono rintracciare, qua e là, delle critiche al modo capitalistico di intendere il lavoro. Ne ho discusso recentemente in un libro appena tradotto in italiano, Uscire dall’economia (Mimesis), con un marxista intelligente, Jappe Anselm. Ciò che chiedo ai marxisti di oggi è di non restare talmente prigionieri di un’ottica produttivistica da rendersi incapaci di una critica del lavoro quale senso e fondamento dell’esistenza umana. Bisogna partire da Marx, ma operando quell’aufhebung hegeliana che consiste nel negare qualcosa, nell’inverare ciò che essa contiene di valido e nell’oltrepassarla verso posizioni più vere.
Le nuove generazioni sembrano schiacciate dalla crisi che attraversiamo. Secondo te, c’è un futuro per loro?
La mia generazione sapeva che, preparandosi a un mestiere, l’avrebbe potuto svolgere. Si era molto vicini alla piena occupazione. Con buone ragioni, molti giovani ritenevano che li aspettava un lavoro di merda con uno stipendio di merda: non certo la inoccupazione. La società dei consumi, come una droga, riusciva a far accettare condizioni di lavoro e di salario che, comunque, permettavano di comprare casa, mettere su famiglia e spesso anche acquistare l’utilitaria.  Oggi questo compromesso è venuto meno. La disoccupazione è una tragedia, ma non ci deve fare dimenticare che in passato anche molti tipi di occupazione lo erano.
Ai giovani che si chiedono che fare, rispondo: innanzitutto prova a pensare con la tua testa. La crisi che attraversiamo (economica, finanziaria, sociale, culturale) potrebbe insegnarci la necessità di pensare da sé stessi, sapendo che non c’è più una strada prefissata. Se fossi un giovane, mi comprerei un giardino e mi preparei al disastro imminente. Molti giovani, invece, preferiscono iscriversi alla Bocconi e prepararsi a saper fare speculazione in Borsa: facciano pure, ma non si stupiscano se resteranno delusi. Siamo davanti a un bivio: o decrescita o barbarie (e che questa formula richiami la precedente “o socialismo o barbarie” non è un caso perché la decrescita è una forma di socialismo ecologico). Per fortuna non tutte le generazioni sono istupidite dalle fase promesse del capitalismo: nel mondo ci sono giovani che si dedicano all’agricoltura ecologica, che creano GAS (gruppi di acquisto soidali), che si organizzano in associazioni di difesa dell’ambiente e di sperimentazione di nuove modalità di lavoro. E’ molto probabile che non diventeranno ricchi nel senso finanziario, come i loro coetanei che si impadroniscono dei meccanismi bancari: ma, a differenza di questi ultimi,  è molto più probabile che trovino un senso della vita.
Anche nel recente “Festival della filosofia d’a-Mare” alle isole Egadi, cui hai partecipato nei giorni a cavallo fra aprile e maggio con Chiara Zanella e Diego Fusaro, è ritornata una domanda che forse ti risuona ormai ossessivamente: come si può tradurre in pratica la teoria della decrescita?
La domanda ha un suo senso e penso che occorra sapervi rispondere con chiarezza e pazienza. La mia parola d’ordine è provocatoria, ma non prescrittiva.
Vuole smascherare le bugie in campo economico, convinto  - come è stato  già affermato – che si può fregare qualcuno per sempre e tutti gli altri per una volta, ma non è possibile ingannare tutti e per sempre. La decrescita è prima di tutto una ribellione alla teologia del mercato capitalistico basato sul dogma della produzione e del consumo senza limiti. Certe volte ricorro al vocabolo a-crescita ricalcato su a-teismo. Con questo non intendo aggiungere una dottrina economica alle tante sinora esposte, da Adam Smith ai nostri giorni. Direi che intendo indicare un orizzonte di senso all’interno del quale ognuno deve inventare creativamente un proprio modo di concretizzarlo.  E’ ovvio che la prima concretizzazione dovrebbe avvenire nel proprio stile di vita quotidiano e nel raggio delle proprie relazioni sociali più prossime, dalla famiglia al quartiere. Tuttavia la sfera individuale, per quanto necessaria, non è sufficiente. La testimonianza personale dovrebbe contagiare tanti altri e diventare movimento, azione politica. Cosa significa ciò in dettaglio? Non sono un profeta né ritengo che il futuro della storia lo si possa prevedere come se si trattasse di una concatenazione di eventi ineluttabili. Penso piuttosto, come suggerisce il titolo di un mio testo, che si tratti di una “scommessa”: riuscità l’umanità a salvarsi dall’autodistruzione irreversibile, comprendendo finalmente ciò che un bambino di cinque anni può già da ora comprendere, vale a dire che un pianeta finito non può sopportare una crescita infinita? Non lo so. Ovviamente, però, mi auguro di sì. Spetterà poi ai governi, ma soprattutto alle organizzazioni non governative e alle associazioni dei cittadini, tradurre in progetti legislativi e in buone pratiche amministrative l’orizzonte di senso della a-crescita. E ciò che sarà urgente in Canada non lo sarà altrettanto in Congo, ciò che sarà possibile in Giappone non lo sarà in Guatemala. So che la ricaduta politica della mia proposta è indispensabile, ma non ho ricette per tutte le tavole e per tutte le date del calendario.
La tua formazione è fondamentalmente nutrita di antropologia culturale, economia e altre scienze umane.  Perché allora hai accettato di partecipare a un festival di filosofia?
Non sono interessato a costruire nuovi sistemi filosofici, concettualmente elaborati. Ma la “filosofia di strada”, come la chiami tu, è molto vicina alla mia convinzione che non ci sarà opposizione, resistenza, alla crescita senza un mutamento di mentalità, di desideri, di norme morali, di comportamenti effettivi. Vivere a Favignana tre giorni in compagnia di  persone convenute per passione gratuita, disinteressata, verso la ricerca di senso, le bellezze naturali, il buon cibo… è stato come vivere in piccolo un’esperienza di cosa potrebbe essere un mondo liberato dall’ossessione del profitto e della carriera. La filosofia intesa così mi interessa, e come !
Proprio in questi giorni, a proposito del tuo soggiorno in Sicilia, si sono scatenate in internet delle critiche verso di te. Tra le più gravi: saresti un fascista mascherato che vuole convincere la gente a restare povera, anche per mantenere il tuo privilegio di ricco.
A settantacinque anni non sono attacchi inediti per me. Certamente chi propone delle nuove idee deve essere disposto a ricevere critiche. Ma una cosa sono le obiezioni e le riserve che mi avete avanzato a Favignana, in un’atmosfera – direbbe il mio maestro Ivan Illich – di  “convivialità”; e tutt’altra cosa sono le invettive. Dare del fascista a chi la pensa diversamente da me è il mero ribaltamento del vezzo di dargli del comunista: in entrambi i casi, più degli insulti, valgono gli argomenti. Una frenata alla crescita economica e finanziaria sarebbe, nella mia prospettiva, benefica non solo dal punto di vista ecologico, ma anche sociale: si tratterebbe, infatti, di rivedere gli attuali sistemi di distribuzione dei beni materiali per stemperare  - e tendere ad abolire – le attuali, fortissime, differenze fra una fascia e l’altra dei cittadini. Certo, questa tesi è eretica rispetto al marxismo ufficiale che non vede come l’accumulazione capitalistica abbia raggiunto il proprio vertice e non sarebbe né possibile né auspicabile che andasse oltre per far scoppiare la rivoluzione proletaria. Ma basta contestare un aspetto della dottrina di Marx per essere definito fascista?
   Quanto poi al riferimento alla mia vita privata, forse poco elegante, mi limiterei a precisare che non mi sono mai ritenuto un perfetto, impeccabile,  seguace della teoria della decrescita. Sono però uno che si interroga e si propone, ogni giorno, di avvicinarsi sempre di più alla coerenza  fra ciò che dice e ciò che fa. Non so se questo sia sufficiente per essere riconosciuto come un santo da venerare sugli altari, ma penso che lo sia per essere annoverato fra quelli che definisci “filosofi-in-pratica”.








giovedì 26 novembre 2015

NINO CANGEMI SULLA SPIRITUALITA' LAICA

 
“Siciliainformazioni”
24 novembre 2015


Libriamoci: Augusto Cavadi, Mosaici di saggezze, Diogene Multimedia, Bologna 2015

di     ANTONINO CANGEMI

“La filosofia è quella cosa con la quale e senza la quale si rimane tale e quale”. Chi non ricorda quel ritornello che si ripeteva nei Licei (e che forse si ripete ancora) con dispettosa irriverenza nei confronti della “scienza delle scienze”?

Vi era e vi è qualcosa di vero nel goliardico gioco di parole? Probabilmente sì a leggere certi trattati o saggi di filosofia in cui gli autori discettano, con linguaggio esoterico (talora incomprensibile agli stessi “addetti ai lavori”), su temi di sterile consistenza avulsi dalla realtà; certamente no se si prova a riflettere sul significato del “filosofare” sganciato da formulette imparate a memoria da manuali scolastici fuorvianti e radicalmente ancorato alle esperienze di vita di ciascuno di noi.

Augusto Cavadi, intellettuale poliedrico e “consulente filosofico” (membro dell’associazione nazionale di “filosofia-in-pratica” “Phronesis”), col saggio Mosaici di saggezze. Filosofia come nuov antichissima spiritualità  edito da Diogene Multimedia di Bologna - la sua ultima fatica  - offre un significativo contributo alla causa della filosofia. Nel suo libro, infatti, Cavadi ci rivela il valore della filosofia, che è insito nell’etimologia stessa del termine: amore per la sapienza, sete del sapere. Cavadi ci fa comprendere, attraverso una lunga conversazione con i lettori costellata di numerosi richiami a filosofi di ogni epoca –dagli antichi greci ai contemporanei- a che cosa serve la filosofia, perché tra le varie discipline dello scibile assume un posto di primissimo piano. Ce lo fa capire senza mai alzare la voce con affermazioni apodittiche e cattedratiche, ma, al contrario, argomentando con ragionamenti sottili e dotti, esposti con chiarezza e semplicità, talvolta con amabile leggerezza (diverse le metafore che rendono accattivante un testo assai ricco di contenuti).
La filosofia –ci spiega Cavadi- non è un’astrazione, ci regala una visione critica e consapevole della realtà che ci circonda, postula, attraverso la mediazione della ragione, un esercizio costante e concreto utile a interrogarci e a dare un senso allo scorrere delle nostre esistenze. In una parola la filosofia esplora le frontiere della nostra intelligenza in un confronto aperto con gli altri nemico dei dogmi e dei fanatismi. Né la filosofia –insegna Cavadi- è fine a se stessa: aiuta a vivere meglio, ad affrontare la vita, e persino il suo epilogo, con saggezza. Non solo: il ragionamento filosofico si rivela nella sua pienezza se è accompagnato dalla coerenza delle azioni, da comportamenti sorretti dall’etica, dall’impegno solidale e civile.
Il sottotitolo del libro di Cavadi è eloquente: “Filosofia come nuova antichissima spiritualità”. La spiritualità richiamata da Cavadi ha solide radici nel pensiero dei classici e si perpetua nella speculazione moderna e contemporanea: è la ricchezza interiore che nasce dalla conoscenza; ed è una spiritualità laica diversa da quella religiosa (di certo riconosciuta dall’autore, peraltro fine teologo, quando non soffocata dagli integralismi di ogni sorta).
Come detto, il saggio di Cavadi è attraversato da molteplici rimandi a filosofi di ogni età. Ma le citazioni, lungi dall’essere un gratuito sfoggio di cultura, rafforzano le argomentazioni e vivacizzano la conversazione.

Da segnalare, inoltre, in un libro che, per confessione dell’autore, non ha pretesa di originalità, e che invece si rivela originalissimo, la concezione della “laicità”. La laicità, infatti, piuttosto dall’essere intesa, come lo è comunemente, nel senso  - di per sé limitativo -   di “non confessionale”, assume un significato più pregnante e “positivo”, quale appartenenza a un universo proiettato in una spiritualità aperta e integrale.

L’interessantissimo saggio di Cavadi, per la scorrevolezza della scrittura coniugata alla profondità di analisi, si rivolge ad un’amplia platea di lettori: filosofi, intellettuali delle più varie discipline, studenti, ma anche persone di media cultura desiderose di accostarsi alla filosofia.

Il link a www.siciliainformzioni.com :

http://www.siciliainformazioni.com/antonino-cangemi/220643/augusto-cavadi-mosaici-di-saggezze
 
 

martedì 24 novembre 2015

CI VEDIAMO A CASTELLAMMARE DEL GOLFO MARTEDI' 24 NOVEMBRE?

Oggi, martedì 24 novembre 2015, alle ore 17,30, presso il teatro"Apollo" di Castellammare del Golfo presenterò il mio ultimo libro: Mosaici di saggezze. Filosofia come nuova antichissima spiritualità (Diogene Multimedia, Bologna 2015).
Avrò la gioia di essere affiancato da Enza Valenti e da don Cosimo Scordato.

sabato 21 novembre 2015

LE STRAGI DELL'IS: ALCUNE SEMPLICI VERITA'

Su cortese richiesta dei colleghi dell'agenzia di stampa "Adista" ho inviato queste poche righe apparse on line il 20 novembre (http://www.adista.it/articolo/55692) e sull'edizione cartacea del 28 novembre:

DOPO PARIGI, INVERSIONE A "U"

La nuova strage a Parigi non può che tappare le bocche. Il silenzio sgomento è la reazione più spontanea, ma anche la più dignitosa. La razionalità umana impone però di non restare paralizzati in attesa fatalistica di ciò che avverrà, come se ciò che ci aspetta non dipendesse da ciò che decidiamo adesso. Insieme.

 I responsabili politici, in particolare, non possono sottrarsi al dovere di assumere decisioni: ed è forte, per loro, la tentazione di assumerle assecondando l’emozione popolare piuttosto che seguendo la lungimiranza della saggezza. E’ il caso di Hollande in linea con la reazione che fu di Bush dopo l’11 settembre del 2001: stato di guerra, stretta ai confini, bombe contro  bombe. E’ il principio veterotestamentario (originariamente teso a porre un limite alla vendetta) “occhio per occhio” che, chiosava Gandhi, renderà il mondo cieco.
  Chi non ha il peso delle decisioni politiche ha però la possibilità, e dunque il dovere, di fare un passo indietro per guardare la situazione con un minimo di prospettiva: e di dire, senza infingimenti, la verità. Per fedeltà alla storia ma, almeno altrettanto, per cura del futuro. E la verità è che gli innocenti di Parigi sono vittime, prima di tutto, degli Occidentali. E’ dal Quattrocento che, con tutti i mezzi del terrore, conquistiamo, stupriamo, sfruttiamo, imprigioniamo, deportiamo quanti hanno la sfortuna di non essere bianchi né cristiani né tecnologicamente attrezzati. In particolare è dalla fine dell’Ottocento che conduciamo ai danni di Paesi a maggioranza islamica politiche colonialiste e imperialiste, suscitando ogni genere di meccanismi difensivi: tra cui l’invenzione (recente) dell’ideologia fondamentalista di matrice islamica. Come se ciò non bastasse, ancora oggi siamo in ottimi affari con Stati, quali l’Arabia Saudita e alcuni Emirati Arabi, che con alto grado di certezza finanziano i gruppi terroristi (consentendo loro, tra l’altro, di acquistare le armi che l’Europa – in primis l’Italia – produce e vende senza chiedere a nessuno come intenda adoperarle). Se un marziano osservasse tutto ciò si stupirebbe del nostro stupore: perché sorprendersi se ancestrali e attuali politiche da folli producono – del tutto logicamente - conseguenze altrettanto folli?
   Che fare, dunque? L’agenda è semplice da redigere, assai ardua da attuare. Implicherebbe una inversione a “U” del nostro modo di concepire e di vivere la nostra condizione (sinora, e non sappiamo per quanto tempo ancora) di privilegiati. Innanzitutto dovremmo cominciare a cancellare dalle nostre teste la graduatoria delle vittime: chi perde la vita per il “terrore” degli eserciti occidentali (a causa di errori più o meno evitabili) non vale meno di chi la perde a causa del “terrorismo”. Così come chi perde la vita a causa del “terrorismo” in Africa (o in volo di ritorno in Russia dalle vacanze)  non vale meno di chi la perde nelle Torri Gemelle o a teatro a Parigi. Secondariamente, dovremmo rassegnarci all’idea che ogni popolo ha gli stessi diritti degli altri: non c’è chi ha diritto all’atomica e chi no; chi ha diritto a sfruttare il proprio petrolio e chi no; chi ha diritto all’autodeterminazione politica (anche nelle forme più discutibili come la democrazia formale borghese) e chi no; chi ha diritto a viaggiare per il pianeta e stabilire dimora dove ritiene più conveniente e chi deve restare a casa (anche se è una casa che languisce per le carestie o brucia per le guerre civili). Certo l’elenco degli obiettivi perseguibili per fare marcia indietro nella storia di cinque o sei secoli sarebbe molto lungo: ma sarebbero tutti obiettivi troppo ovvi per essere anche condivisi. La situazione, insomma, è la medesima fotografata da Pascal nel XVII secolo: le buone massime ci sono tutte, si tratta solo di praticarle.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
 

giovedì 19 novembre 2015

CI VEDIAMO LUNEDI' 23 NOVEMBRE 2015 A PALERMO ?

Lunedi 23 novembre ore 18.30 nel salone del Centro Evangelico di Cultura "Giacomo Bonelli", 
via dello Spezio 43, adiacente alla Chiesa dei Valdesi dietro il teatro Politeama, 
Augusto Cavadi e Cosimo Scordato presentano il libro di 
Hans Kung "Libertà nel mondo" (Il Pozzo di Giacobbe editore).

********************
Hans Kung è uno dei massimi teologi viventi. I suoi studi, pubblicati in decine di lingue, gli hanno procurato la condanna della Chiesa cattolica così che da decenni si autopresenta come teologo ecumenico.
Questo libretto è un profilo storico-esistenziale di san Tommaso Moro, martirizzato dal re inglese Enrico VIII perché - nonostante ne fosse amico e consigliere - si era rifiutato di condivedere lo scisma anglicano a causa del dibattito sul divorzio del monarca dalla prima moglie. Al di là della circostanza concreta, Thomas More testimonia che la libertà di coscienza non può essere svenduta per fare carriera assecondando i capricci dei potenti.
Il volumetto che si presenta è stato pubblicato in Italia negli anni Sessanta ed è ormai da tempo introvabile. Come racconta Augusto Cavadi nell'introduzione, quando egli ha proposto a Kung la ripubblicazione del testo in italiano, il teologo svizzero ha subito acconsentito con entusiasmo. Questa nuova edizione è impreziosita da una bella post-fazione di mons.  Alessandro Plotti (l'arcivescovo emerito di Pisa che è stato chiamato a reggere la diocesi di Trapani subito dopo il licenziamento del vescovo Micciché , implicato in indagini giudiziarie).

sabato 14 novembre 2015

I POETI E LA CRISI

Giovanni Dino, infaticabile promotore di iniziative culturali, mi ha chiesto tempo fa una lirica da inserire in un'antologia da lui curata: I poeti e la crisi (Fondazione Thule Cultura, Palermo 2015, edizione no profit fuori commercio). Poiché non sono un poeta, abbiamo concordato alla fine che inviassi almeno una prosa di qualche musicalità. Il risultato è stato pubblicato, con qualche mio imbarazzo, a p. 66. Per ovvie ragioni sono righe dedicate alla "maestra" Adriana :

A SENTIR LA MAESTRA SIAMO IN CRISI


“A sentir la maestra siamo in  crisi:
che significa, babbo?”

“ Che ieri popoli ricchi non sfruttavano i poveri;
che in ogni popolo ricco tutti eran ricchi in modo uguale;
che non c’erano bimbi senza scuola,
malati senza cure,
famiglie senza tetto,
giovani senza lavoro.
Da ciascuno alla mensa comune secondo possibilità,
a ciascuno dalla mensa comune secondo necessità”.

“ Era così ai tempi  in cui eri piccolino come me?”

“Ad esser sincero, devo dirti di no.
E neppure ai tempi dei nonni o dei bisnonni.
Ogni generazione idealizza le precedenti,
si culla nel ricordo di un passato che non è stato mai presente.
Ho proiettato su ieri ciò che vorrei fosse il tuo domani,
ma che sarà domani solo se lo vogliamo, insieme, oggi.
Crisi, mia piccolina, è parola antica:
significa – in origine – giudizio.
Ogni giorno siamo tutti sotto il giudizio della storia:
chi ruba e chi lavora, chi paga le tasse e chi le evade,
chi è felice del necessario e chi rincorre, infelice, il superfluo.
Ogni giorno, bimba mia, siamo in crisi.
E anche noi, ogni giorno, dobbiamo esercitare giudizio:
discernere, tra tanti arruffoni,
l’amico con cui dividere la sorte,
il socio di cui fidarci negli affari,
il sindaco cui affidare la città.
Solo quando ogni giorno sarà davvero crisi
ne saremo davver fuori per sempre”.

           Augusto Cavadi
   www.augustocavadi.com

mercoledì 11 novembre 2015

DIFFERENZA FRA VIVERE L'OMOSESSUALITA' E VIVERE IL FONDAMENTALISMO ISLAMICO

"tuttavia.eu"
(Per chi volesse commentare direttamente sul sito che ha ospitato il mio intervento:
http://www.tuttavia.eu/1023-gender-e-dintorni.html)

GENDER   E   DINTORNI 


   L’ampio salone-teatro dell’istituto “Don Bosco – Ranchibile” ha ospitato, la sera di venerdì 6 novembre, un interessantissimo dibattito sulla teoria ‘gender’ avviato, con la moderazione di suor Fernanda Del Monte, da Giuseppe Savagnone (intellettuale di punta del cattolicesimo italiano) e da Giuseppe Burgio (pedagogista molto attivo nella difesa dei diritti degli omosessuali e dei transsessuali). Nel corso del civilissimo confronto, Savagnone si è servito di una analogia fra islamofobia e omofobia per illustrare il punto di vista dei cattolici più aperti: “Se incontro un gruppo di fondamentalisti islamici, che pratichino l’infibulazione e impongono lo chador alle donne, mi si può chiedere di rispettare le loro convinzioni e la loro prassi: non certo di condividerle. Così, io eterosessuale, ho il dovere di rispettare chi vive l’omosessualità: ma non mi si può chiedere di condividerla”.
  La similitudine suggerisce delle considerazioni istruttive.
  La prima è che il proprio orientamento religioso-morale si sceglie, mentre il proprio orientamento sessuale-affettivo lo si scopre come innato. La seconda considerazione è che il fondamentalismo islamico (a differenza dell’islamismo ortodosso) è criticabile perché esercita violenza su altri, laddove l’omo-affettività se mai la subisce da parte degli intolleranti.
    L’esemplificazione sarebbe risultata più pertinente se si fosse posto il parallelo fra islamismo (corretto, pacifico) e ‘genere’ omosessuale: come dovrebbe porsi una società a maggioranza cristiana nei confronti dei due fenomeni? Una prima ipotesi è stata (per fortuna) scartata da entrambi i relatori come antidemocratica e anacronistica: la crociata contro gli uni (islamici) e contro gli altri (gli omofili) portata avanti da frange reazionarie e clerico-fasciste.  Una seconda ipotesi è  condivisa da molti ambienti cattolici progressisti: islamismo e omofilia sono modi di intendere e condurre la vita erronei, gravemente deficitari, ma uno Stato democratico deve rispettare (nel senso di tollerare) anche le minoranze ‘eretiche’ rispetto alle ortodossie teologiche e morali. Ci si può accontentare di questa prospettiva? Secondo alcune concezioni filosofiche e teologiche contemporanee, la risposta è negativa.
L’islamismo – nelle sue versioni fedeli al Corano – possiede una intrinseca dignità teologica: perciò ai cittadini che lo professano va riconosciuta, da parte dell Stato laico, la piena legittimità della scelta religiosa. I cristiani, più che tentare di distogliere i concittadini islamici dalla loro fede, dovrebbero sollecitarli a viverla in maniera sempre più consapevole, critica, pura. Similmente, l’omosessualità costituisce un ‘genere’ ontologicamente e eticamente paritario rispetto al ‘genere’ eterosessuale: chi la incarna ha diritto di essere riconosciuto come cittadino a tutti gli effetti da parte dello Stato laico. Quanto ai cristiani, più che tentare di distogliere gay e lesbiche dalla propria condizione sessuale e affettiva, dovrebbero registrare come volontà divina la presenza “in natura” di questi fratelli e di queste sorelle e, se mai, sollecitarli a vivere la propria omofilia alla luce dell’amore disinteressato e creativo (l’agape) a cui il vangelo del Maestro di Nazareth invita tutti e tutte, a prescindere dai propri orientamenti sessuali. Per dirla con sant’Agostino, che non era certo un lassista in morale: “Ama e fa’ ciò che vuoi”.

Augusto Cavadi
www.augustocavadi.eu



domenica 8 novembre 2015

CI VEDIAMO MARTEDI' 10 ALLA FELTRINELLI DI PALERMO?

Martedì 10 novembre, alle ore 18, presso la Feltrinelli di Palermo, avrò la gioia di presentare alla città il mio "Mosaici di saggezze. Filosofia come nuova antichissima spiritualità", Diogene Multimedia, Bologna 2015. Introdurranno la conversazione Maria D'Asaro e Marcello Benfante. 


venerdì 6 novembre 2015

GIOCARE ALLE CARTE CON IL VANGELO


   
“Centonove” 5 novembre 2015

GIOCARE  ALLE  CARTE  CON IL  VANGELO

Alla cartomanzia c’è molta gente che ci crede. Purtroppo. Ma c’è anche chi, con le carte che contengono messaggi, riesce a divertirsi. Per fortuna. E’ il caso del cofanetto (un libretto e 36 carte) confezionato da Fabio Bonafé e pubblicato dalle Edizioni Amrita di Torino (Le carte del Vangelo, euro 15,00) nella originale Collana “ librincarte”. Sul “verso” di ogni carta c’è un breve brano tratto da uno dei quattro vangeli canonici e, poiché il “retro” è sempre uguale, il lettore può scegliere se togliere dal mazzo una carta a caso oppure, al contrario, sfogliarle tutte per concentrarsi – di volta in volta – sulla carta che riporta le righe che più lo colpiscono. Se è solo, si limiterà a meditare su quel passo biblico; se è in coppia o in piccoli gruppi, potrà usare la perìcope evangelica come pretesto per una conversazione amichevole. Se si vuole, si può cercare - nel volumetto allegato al mazzo di carte - la pagina in cui l’Autore propone il proprio, breve e spesso incisivo, commento.
    Già così questo prodotto editoriale sarebbe abbastanza intrigante. A renderlo ancora più accattivante è il tipo di commenti proposti da Fabio Bonafé. E’ un professore di filosofia da poco in quiescenza che coltiva, fra altri interessi, la teologia (in particolare la cristologia): e ciò spiega perché – sia pure sullo sfondo, senza neppure una citazione esplicita – egli sia sostenuto da una letteraura ampia e aggiornata dal punto di vista esegetico (di cui la bibliografia essenziale alle pp. 19 – 22 offre un’idea). Ma Fabio Bonafé non è un cristiano ‘normale’. Basti evocare il titolo di uno dei suoi ultimi saggi (Il Rabbi molesto. Sul lato antipatico di Gesù , Italic, Ancona 2014, pp. 170, euro 16) per capire quanto problematica, sofferta, ma nello stesso tempo arguta e divertita, sia la sua relazione col Maestro di Nazareth.
    Perciò chi si aspetti delle pie righe ‘edificanti’ eviti di acquistare il libro e il suo corredo di carte.  All’Autore non interessa, almeno in questa sede, determinare che cosa intendesse davvero Gesù (o il redattore del testo evangelico) con questa o con quell’altra frase: bensì che cosa tale frase possa suggerire alla mente del lettore (credente, ateo o agnostico che sia). Solo qualche esempio per spiegarmi meglio.
    In Luca 1, 34 – 38 si racconta dell’arcangelo  Gabriele  che annunzia a Maria la sua gravidanza. Senza cedere alla leziosità buonista, Bonafé chiosa secco: “Non tutti quelli che incontriamo sono angeli, ogni giorno dobbiamo saper dire di no. Per dire sì altrove”.
    In Luca 2, 50 si dice che i parenti di Gesù “non capirono le parole che egli aveva detto”. E l’Autore commenta sornione: “Pensiamo sempre che sia facile capirsi. E’ vero il contrario. Se si insegnasse questo fin da bambini, la gente direbbe: ‘Perbacco! Mi hai capito!’ e non ‘Non mi capisci mai’. Tutti sarebbero più gentili e riconoscenti” dal momento che l’incomprensione fra noi umani è la regola, l’intesa reciproca l’eccezione.
    Da questi brevi cenni si intuisce che questo cofanetto è intriso di laicità. Che significa equidistanza da un confessionalismo propagandistico quanto da una chiusura pregiudiziale nei confronti di biblioteche, come la Bibbia ebraico-cristiana, che non si conoscono solo perché chiese di ogni genere ne hanno preteso – illegittimamente – la proprietà e la gestione. Insomma laicità come rifiuto degli opposti bigottismi.

Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com

martedì 3 novembre 2015

IN VISTA DELLE PRESENTAZIONI DI MERCOLEDI' 4 E DI MARTEDI' 10 NOVEMBRE 2015

Continuano le presentazioni di Mosaici di saggezze. Filosofia come nuova antichissima spiritualità. Mercoledì 4 novembre appuntamento alle 20.15 presso la comunità di ricerca cristiana “El Shaddai” (via Cesare Beccaria 9, Palermo) per parlare insieme ad Augusto Cavadi del senso di una “spiritualità laica” oggi. Il 10 novembre alle 18.00 l’appuntamento sarà invece presso la Feltrinelli di Palermo (via Cavour 133): Maria D’Asaro e Marcello Benfante presenteranno il volume insieme all’autore, cui abbiamo rivolto in anticipo qualche domanda.
Come mai "Mosaici di saggezze"?Come avviene di solito, la scelta è stata dell'editore. Fotografa il futuro dell'umanità come lo immagino, come lo spero, come vorrei contribuire a realizzarlo mediante questo libro. Un futuro nel quale, come le tessere di un mosaico, le grandi tradizioni sapienziali dell'umanità (la greca, la biblica, l'islamica, l'indiana, la cinese…) si integrino armoniosamente in modo da offrire una guida ampia e articolata all'uomo in ricerca di un senso nella vita. Affinché il mosaico riesca, però, ogni tradizione deve liberarsi dalle proprie scorie e offrire - il disegno comune - il meglio di sé. Anche la filosofia occidentale ha molto da cui liberarsi e molto da offrire.
Il sottotitolo - "Filosofia come nuova antichissima spiritualità" - lascia intendere che la filosofia è stata a stretto contatto con la spiritualità e che ora questo aspetto andrebbe riscoperto. Qual è, quindi, il rapporto tra filosofia e spiritualità? E di che tipo di filosofia e di spiritualità si tratta nel volume?Dire che la filosofia è stata "a stretto contatto con la spiritualità" è riduttivo. Se per spiritualità intendiamo il nostro modo di vivere e di relazionarci a uomini e cose, dobbiamo dire (dopo gli studi di Pierre Hadot) che la filosofia è nata come una spiritualità, come un modo per coltivare il meglio di sé e di rapportarci alla società e al cosmo. Poi, dal Medioevo e con qualche eccezione sino ai nostri giorni, si è verificata una divaricazione disastrosa: le chiese cristiane si sono assunte il monopolio della dimensione spirituale e i filosofi si sono concentrati sulla dimensione intellettuale. Con il risultato di credenti devoti, ma poco critici, e di pensatori lucidi, ma poco attenti a vivere ciò che pensano. La proposta centrale del mio testo è di riconciliare la dimensione spirituale (gusto del silenzio, senso della bellezza, passione per la giustizia…) con la dimensione razionale (che accetta solo ciò che è evidente o per lo meno ragionevole): solo insieme, queste due dimensioni, fanno il vero filosofo. Ovviamente questa spiritualità filosofica è una spiritualità laica, naturale, basica. Non è in competizione con le spiritualità religiose o di matrice psicologica, ma si autointerpreta come il fondamento - la condizione di possibilità - di ogni altra eventuale spiritualità specifica (per esempio, confessionale).
Notevole importanza sembra data al dialogo e alla pratica "in comune" della filosofia. In che termini? Quali sono le modalità concrete, al giorno d’oggi, tramite cui ciò può avvenire? E che aspetti positivi può apportare nella vita del singolo così come in quella della società?Ogni spiritualità è un intreccio di idee e di azioni, di princìpi ispiratori e di esperienze pratiche. Per questo, prima di pubblicare il libro, ho voluto sperimentare per alcuni decenni (più precisamente dal 1983) delle pratiche filosofico-spirituali di cui racconto nella parte finale del libro: le vacanze filosofiche per non… filosofi; i week-end filosofici; le cenette filosofiche per non… filosofi; le domeniche di chi non ha chiesa e così via. Sono state coinvolte, in questo trentennio e più, centinaia - forse sarebbe più preciso dire migliaia - di persone di ogni età, professione, orientamento politico. Molti arrivano e vanno via per sempre; alcuni vanno via per anni ma poi tornano; altri ancora cercando di essere presenti più che possono perché hanno intuito che la vita spirituale è anche vita comunitaria. Si parte dall'intimo, dall'io, ma se si resta nella sfera individuale si rischia l'autismo: solo il noi ci garantisce una (sia pur relativa) oggettività.
A chi è rivolto il volume?A chi cerca una strada spirituale e, sinora, non l'ha trovata. A chi ha sperimentato le proposte spirituali oggi più diffuse (ebraica, cattolica, protestante, islamica, induista, buddhista, junghiana, new age…) e, pur apprezzandone alcuni aspetti, nel complesso è rimasto deluso. A chi crede che spiritualità laica non sia un ossimoro perché la laicità non è assenza di valori, ma costellazione di valori umanamente decisivi.
Redazione Diogene Magazine
03/10/2015

Immagine: Mosaici di saggezze esposto in Feltrinelli a Palermo.

CI VEDIAMO A PALERMO MERCOLEDI' 5 NOVEMBRE 2015 ?

La comunità di ricerca cristiana "El Shaddai" mi ha invitato a una conversazione sul senso di una "spiritualità laica" oggi a partire dal mio Mosaici di saggezza. La filosofia come nuova antichissima spiritualità (Diogene, Bologna 2015).
L'incontro è aperto a tutte/i e avrà luogo alle ore 20,15 di mercoledì 5 novembre presso i locali di via Cesare Beccaria 9 (vicino Palazzo Gamma, di fronte al Velodromo dello Zen).

domenica 1 novembre 2015

BRUNO VERGANI E I RISCHI DELLA MISTICA

Riporto dal blog www.brunovergani.it, felice di offrire spunti di riflessione a chi ama pensare:

MISTICHE
A pagina 233 del saggio sulla spiritualità filosofica «Mosaici di Saggezze» di Augusto Cavadi - chiedo scusa al lettore se sono ripetitivo, ma questo è il libro che da qualche tempo rumino con piacere - incontriamo pagine sul «Distacco dalla mera razionalità» che toccano i punti forse più estremi, sicuramente più rischiosi, della filosofia: distacco e rinunzia dalle idee non solo degli altri e proprie ma «in quanto tali». Da una parte Cavadi dice i limiti del dogma illuministico: uomo che poggiando sulla logica si percepisce libero dall’angoscia e luce del mondo, senza riconoscere che in questa presuntuosa antropocentrica smisuranza  «la terra interamente illuminata [dall’umana ragione] splende all’insegna di trionfale sventura» (Horkheimer e Adorno). L’Autore apprezza la diagnosi ma nel contempo prende pacata distanza dalla terapia d’emancipazione che Horkheimer e Adorno offrono valutandola nebulosa. Osserva che i due autori - e con loro numerosi altri filosofi - constatano l’evidenza che «il pensiero, quando pensa sino in fondo, riesce a pensare anche la propria limitatezza» e lì si fermano. Impasse irrisolvibile? Cavadi indica, procedendo coi piedi di piombo, la possibilità di oltrepassare la filosofia per mezzo della filosofia stessa. Come? E’ possibile immergersi filosoficamente nel solco e nelle tecniche delle tradizioni mistiche? Cavadi precisa che se con mistica intendiamo «isolamento solipsistico» (annoto che possono anche verificarsi isolamenti solipsistici collettivi con l’io di gruppo, come nella mistica nazista) tale approccio è valutato dall’Autore estraneo alla filosofia, se invece intendiamo con mistica la «ricerca di modi altri di entrare in contatto con l’Essere quale per noi accessibile nei, attraverso e oltre i fenomeni» è filosofia, sebbene al di là di come comunemente intesa, beninteso se delineata da vigile e razionale procedere così da non prendere lucciole per lanterne nell’incantesimo di «intellettuali autismi».
E qui domando cosa s’intende per “Essere” con la “E” maiuscola? E cosa significa procedere, di fatto, oltre i fenomeni? Alla prima domanda Cavadi, come nei bei film, lascia il finale aperto. Alla seconda risponde invitando a non separare spirito (volontà, libertà, amore) da pensiero, a non dividere la ragione dall’irrazionale, in quanto l’irrazionale compenetra con emozioni, fantasie, sogni e molto altro ancora che sfugge alla pura logica, la ragione stessa. Come dargli torto visto che perlomeno il cinquanta per cento dell’arte - pensiamo a esempio ad un film di Tarkovskij - è frutto di tale compenetrazione. Approccio capace di oltrepassare il mero empirismo per addentrarsi oltre in territori altri, abile nel dire attraverso «metafore-parole, simboli-parole». Integro osservando che anche qui, come prima ricordava Cavadi, occorre individuare insidiosi autismi intellettuali monitorando, di volta, in volta, quanto in tale approccio ci sia di pre-personale (incistamenti del bebè nell’adulto) e di trans-personale (mistico santo, però anche maturo e sano), onde evitare equivoci: la psicoanalisi insegna di madri e padri magari disgraziati che non di rado occhieggiano oltre il Velo di Maya in paradisiache o infernali apparizioni. Ricordo di un esercizio proposto in un corso di scrittura autobiografica: ci avevano invitato a scrivere l’ “indicibile” ed ero rimasto con la penna in mano e il foglio bianco, su una trentina di partecipanti solo due avevano scritto, poi un po' imbarazzati avevano letto le loro righe: due stringati resoconti mal scritti d’esperienze psicotiche avute nell’adolescenza. Se non si è Rainer Maria Rilke forse opportuno stare alla larga da quei territori, aveva ragione l’Odissea:
«Le Sirene sedendo in un bel prato/ mandano un canto dalle argute labbra
Che attira il passegger/ ma non lontano
D’ossa e di umani putrefatti corpi/ e di pelli marcite
Un monte s’alza
Tu veloce oltrepassa.»
Da giovane mi soffermavo invece di lasciar perdere e ventenne, siccome ognuno ha Le Sirene che si merita, suonavo ogni sabato il campanello del monastero brianzolo della Bernaga, quello delle monache Romite Ambrosiane, quelle di clausura stretta. Avrei potuto anche essere un serial killer ma le monache si fidavano a scatola chiusa, aprivano il portone e mi facevano entrare nella cappella, lì senza che nessuno mi rompesse i coglioni cercavo in ginocchio il distacco dalla mera razionalità, però nello stare in silenzio mi sentivo un deficiente allora meditavo sulle sacre scritture e il senso del vivere proprio come altri milioni di persone, però in quell’ambiente ieratico mi sentivo spiritualmente fighissimo. Anni dopo credevo di aver cambiato radicalmente rotta, ma invece frequentavo gli stessi territori partecipando a cerimonie con nativi americani incontrati per caso. Con loro ingurgitavo nottetempo piante psicotrope attorno a un fuoco. Quando il mix di Peyote e Ayahuasca andava in circolo il corpo vomitava, lo sciamano spiegava che succedeva perché il corpo si purificava: “La medicina va a limpiar todo el cuerpo”. Nella notte non consideravo che il vomito era procurato dalla tossicità della pianta, davo fede alle parole dello sciamano e mi sentivo davvero bene perché avevo un picco di consapevolezza: mi sentivo parte della natura e degli altri presenti come se fossimo un corpo solo, stato che senza il bisogno di ingurgitare sostanze psicoattive è frequentato e descritto dai filosofi del naturalismo, concezione che negli ultimi tempi hanno denominato “eco-appartenenza”. A sostanza smaltita il picco finiva e mi ricordavo ancora il mio nome e tutti i nomi che un qualche Creatore aveva forse inventato per differenziare le cose così da divertirsi a giudicarle, però se alzavo troppo il gomito la mescalina restava in circolo anche un paio di giorni. La cerimonia iniziava la sera e terminava all’alba, così dopo una doccia aprivo l’erboristeria; mi sembrava di sapere le richieste dei clienti in anticipo, così mettevo sul banco i rimedi prima che mi venissero richiesti, quasi sempre quelli giusti o almeno mi sembrava. Insoddisfatto avevo intrapreso percorsi “vedantini”, quelli dell’Advaita della lontana e ancestrale India che attaccavano frontalmente l’io invitando a dissolverlo nell'impersonalità universale fin da vivi.
Solo in seguito mi è accaduto un fattuale cambio di prospettiva e rotta, da una parte grazie alla lettura di Freud, dall’altra per l’invito alla misura proveniente dalla grecità classica. Ho così appurato che, almeno per me, tale desiderio mistico di sperimentare un metafisico oltre era in parte prodotto e sostenuto da una semplice e terrena sensazione di mancanza risalente all’infanzia poi esaltata ed espansa a teoria universale, anche grazie a rappresentanti del nichilismo filosofico e dei loro cugini esponenti dell'idealismo, eccellenti anabolizzanti al riguardo. Di fatto si trattava di personale circoscritto buco non di immensa voragine metafisica, faccenda agilmente risolvibile senza necessità di viaggi nelle alte sfere. Dall’altra, grazie ai greci, l’individuare in me tratti mica tanto sani d’inconsapevole e un po’ narcisistica smisuratezza, impotenti presupposte onnipotenze che il mito di Icaro ben esprime. Così mi ero attivato nell’individuarli e circoscriverli onorando e utilizzando l’unico capitale di cui dispongo e del quale disponiamo: l’io pensante. Capitale determinato eppure mezzo di produzione e correlata soddisfazione senza riserve e restrizioni. «Io sono io e la mia circostanza e se non salvo questa non salvo neppure me.» [1] «Non possiamo sapere, né congetturare di che cosa sia capace la natura umana messa in circostanze favorevoli.» [2]
Consapevole che la filosofia è tutt’altro, lontano da voler interpretare il mondo col mio metro e di inglobare gli altri nella circoscritta biografia individuale considero che, mistica o non mistica, è cosa buona e giusta partire da, e poggiare su, questo miracolo di un io che pensa, anche perché omessolo se godi alla grande dissolto nelle alte sfere manco lo sai.
___________________________________________
[1] José Ortega y Gasset , Meditazioni del Chisciotte.
[2] Sintesi di un brano dello Zibaldone da G.B. Contri, Una Logica chiamata uomo, Sic Edizioni.