giovedì 29 aprile 2021

Chiesa e mafia in Sicilia (ieri e oggi) : incontro virtuale domenica 2 maggio 2021 ore 18,30


Quinto Tavolo Tematico del Forum Antimafia Castellammare con:


Padre Francesco Michele Stabile (Vicario della Parr. di San Giovanni Bosco a Bagheria)
Gregorio Porcaro (vice-parroco di Don Pino Puglisi)
Augusto Cavadi (docente, saggista e consulente filosofico)


Modera Piero Rappa 

Per partecipare, basta cliccare qua:

https://fb.me/e/56QOBixj5


lunedì 26 aprile 2021

E' GIA' DISPONIBILE on line LA VIDEO-REGISTRAZIONE SULL' AVARIZIA NELLA "DIVINA COMMEDIA". MERCOLEDI' 28 APRILE ALLE 18,30 POSSIBILITà DI UNO SCAMBIO IN DIRETTA

 

Care e cari,

   anche se a distanza, la "Casa dell'equità e della bellezza" continua a offrire la meditazione 'laica' mensile sui vizi capitali nella "Commedia" di Dante. La formula, già felicemente collaudata, prevede due tempi. Sin da ora ci si può ritagliare una pausa di silenzio per fruire della proposta iconica, musicale e vocale di Maurizio Muraglia e di Laura Mollica. Questa volta il tema è l'avarizia:

https://casadellaequitaebellezza.blogspot.com/2021/04/meditazione-sui-sette-vizi-capitali.html

Poi, chi lo desideri, può collegarsi mercoledì 28 aprile 2021 alle 18,30 per condividere qualche riflessione personale sulla video-registrazione ascoltata e 'ruminata':

Clicca qui qualche minuto prima delle 18,30

Approfitto dell'occasione per segnalare che Maurizio e Laura hanno raccolto alcune di queste esperienze estetico-meditative in un libro distribuito nelle migliori librerie fisiche e on line:

https://mauriziomuraglia.com/2021/04/16/il-lockdown-genero-un-libro/




venerdì 23 aprile 2021

RIFLESSIONI 'LAICHE' SUL BRANO EVANGELICO (GV 10, 11-18) DI DOMENICA 25 APRILE 2'021

 


Con questo terzo e ultimo commento chiudo il breve ciclo richiestomi dagli amici romani dell'agenzia di stampa "Adista" per la loro rubrica "Omelie fuori dal tempio".

Da "ADISTA - NOTIZIE" 12

27.3.2021

IL MITO DEL BUON PASTORE E L'EFFETTIVA REALTA' DELL'AMORE

Gv 10, 11-18

QUARTA DOMENICA DI PASQUA.  - 25 APRILE 2021               



Quanti strati bisogna attraversare per arrivare a cogliere, in questa pagina, un messaggio significativo per noi uomini e donne del XXI secolo? 

Innanzitutto c’è una difficoltà di ambientazione: la figura del pastore che trascorre giorni e notti con il suo gregge è in via di sparizione. Intere generazioni di cittadini non ne hanno mai visto uno. Comunque, anche chi come me è arrivato a incontrarlo nello sperduto paese di montagna dei genitori, se ne è fatto un’idea un po’ diversa rispetto a questo testo evangelico: non c’è pastore, per quanto “buono”, che sia disposto a “dare la propria vita per le pecore”. Certo, ne ha cura, ma come di cosa propria: le preserva dai lupi e dai ladri, sì, ma perché vuole essere solo lui a tosarle, a mungerle, a mangiarne la carne (sia loro che degli agnellini). Se è vero che è più sollecito del “mercenario” è perché ogni perdita incide sulle sue tasche, non su quelle dell’aiutante a giornata. Insomma: più che un pastore dalle fattezze realistiche, ci troviamo davanti un pastore idealizzato. 

Ottima icona per evocare non il Gesù della storia, dalle fattezze solo umane, quanto il Cristo della fede di cui l’autore di questa pagina parla a settanta e più anni dalla morte. Infatti il rabbi nomade sulle strade della Galilea avrebbe potuto -  nel migliore dei casi - conoscere personalmente, singolarmente, le “pecore” a lui prossime nella contemporaneità, non certo anche quelle che, nei decenni successivi, sarebbero provenute da altri “recinti” culturali, etnici, religiosi. La dichiarazione che Pascal nel XVII secolo  pone sulle labbra del Crocifisso – “Una goccia del tuo sangue è stata versata proprio per me!” – è tanto commovente quanto inattendibile. A meno che…A meno che non si riferisca, più che al Gesù terrestre, dal raggio di conoscenza e di azione limitato, al Cristo celeste: a colui che, avendo donato sé stesso per i diritti di Dio e degli altri esseri umani, è stato accolto dall’Eterno nel suo abbraccio e costituito “figlio” prediletto. 

In questa prospettiva, comunque, emergono molti elementi di riflessione.

Il primo: nessun altro essere umano, che non abbia affrontato l’abisso della morte, può arrogarsi il titolo di ‘pastore’ dei propri simili. Tale, forse, qualcuno/a può essere riconosciuto/a   a posteriori sulla base della propria dedizione alla comunità dei fratelli e delle sorelle (mai, neppure per un momento, trattati come “gregge”);  non certo in base a un decreto gerarchico né ad una elezione democratica. 

Un secondo elemento di riflessione è più inquietante: il pastore autentico è trasparenza e canale della divina ‘pastoralità’ originaria. Ma come conciliare l’idea di un Padre benevolo con la marea di sofferenze che hanno accompagnato l’evoluzione della vita sul pianeta Terra e, in particolare, la storia umana dalle caverne alle guerre attuali? Un’esistenza credente che s’illuda di ‘bypassare’ interrogativi laceranti del genere, ripiegando su una lettura bucolica della vicenda di Gesù e interpretandone come consolatorio happy end  il suo destino, non prende sul serio né la tragedia del mondo né la spregiudicatezza dell’annunzio evangelico.  Inchiodati anche noi davanti allo straziante spettacolo di dolori d’ogni specie, possiamo arrogarci il diritto di crederci pecore predilette solo nella misura in cui ci prendiamo, noi per primi, cura delle altre sorelle. Una fede inoperosa, a basso costo, ci servirebbe solo come anestetico passeggero.

                                                                                                  Augusto Cavadi                                                                                       www.augustocavadi.com

giovedì 22 aprile 2021

L'ARTE DI USARE BENE L'AGENDA PER NON SPRECARE (TROPPO) IL PROPRIO TEMPO

 


Un amico di Torino (Roberto Rosso) e un'amica di Milano (Claudia E. Muccinelli) mi hanno chiesto di leggere e commentare una loro pubblicazione (L'arte dell'agenda. Organizza il tuo tempo senza perdere tempo, Amazon Italia, 2021). 

Ho ottemperato volentieri al loro cordiale invito sia recensendo il libro (https://www.zerozeronews.it/lagenda-bussola-del-quotidiano/) che partecipando a una video-conversazione da loro organizzata e archiviata su YouTube: 

https://www.youtube.com/watch?v=2SaOcWK6rmc

PS: Mi permetto di ricordarvi che, se passate per i vostri ordini ad Amazon (libri o qualsiasi altro oggetto) attraverso il sito https://www.sicilybybooks.com/ , finanzierete - a costo zero per voi - una vetrina costantemente aggiornata sui libri che riguardano la Sicilia.





martedì 20 aprile 2021

HANS. KUNG HA SMESSO DI PUNGOLARE LE CHIESE CRISTIANE: CHI SE NE RALLEGRA, CHI LO RIMPIANGE


 In occasione del decesso di Hans Kung pubblico un mio ricordo di lui ospitato sul sito online www.zerozeronews.it e il podcast di una trasmissione di RAI RADIO 1 dove (tra i minuti 20 e 25) rispondo ad alcune domande all'interno della trasmissione "Mediterradio".

***

LA MORTE DI HANS KUNG

 

Per le tante persone (credenti in senso religioso o meno) che non amano aggiornarsi sull’evoluzione delle varie discipline, Hans Küng non dice nulla. Per chi, invece, legge almeno un po’, la sua morte (6 aprile 2021) è una data significativa. La Chiesa cattolica - da più di mezzo secolo spaccata a metà come una mela dal Concilio ecumenico Vaticano II (1962 – 1965) – ha perduto un riferimento, per alcuni polemico per altri luminoso, inevitabile.

Per una prima metà, il Concilio ha segnato il massimo dell’apertura possibile e dunque un punto di arrivo oltre il quale non si potrebbe andare: è la metà che scherzosamente chiamo ‘benedettina’ perché ha in Ratzinger, poi papa Benedetto XVI, il suo leader più prestigioso. Ai suoi occhi, Küng è stato un critico severo e appassionato, disposto a subire ogni genere di provvedimento disciplinare (ad esempio il ritiro dell’autorizzazione a insegnare teologia cattolica nelle università) pur di mantenersi libero di comunicare al pubblico i risultati – talora sconvolgenti – della ricerca biblica e sistematica. 

Per l’altra metà della Chiesa (intesa anche qui complessivamente:  non solo vescovi e preti, ma anche laici e laiche) il Vaticano II ha segnato solo l’inizio di un processo di apertura: è la metà che scherzosamente chiamo ‘francescana’ perché ha in papa Francesco l’esponente più prestigioso. Ma attenzione: non il suo leader. L’omologo di Ratzinger non è Bergoglio, ma Hans Küng: è lui che ha guidato chierici e laici verso nuovi orizzonti teologici e spirituali. Direi dunque, con la brutalità inevitabile degli slogan, che con la morte di i conservatori perdono il più grande avversario e i progressisti la loro guida carismatica. 

Vorrei strappare all’oblio inevitabile un ricordo personale. Nel 1996 si voleva invitare Küng in Sicilia ma egli aveva dichiarato di essere stanco di girare il mondo e che, in Italia, si era visto perfino disdire la sera prima la possibilità di parlare in pubblico per divieto del vescovo di una diocesi. Allora il Centro ecumenico a-confessionale “La Palma” di Cefalù sperimentò un piccolo stratagemma per attirare quel personaggio che era già una leggenda vivente: si affidò al maestro Giuseppe Testa il compito di musicare un testo ‘ecumenico’ scritto da Küng (una versione del ‘Padre nostro’ tale che potesse essere recitato da ebrei, cristiani e musulmani insieme) e lo si invitò alla ‘prima mondiale’ di quell’ “oratorio” per voce solista, coro e orchestra (“Fili d’amore, fili nello spazio”). Küng, vinto dalla curiosità, accettò di spostarsi a Cefalù e vi tenne una delle sue splendide conferenze sulla necessità di concentrarsi su ciò che unisce le tre grandi religioni monoteiste per lavorare alla pace nel mondo. 

PER COMPLETARE CLICCA QUI:

https://www.zerozeronews.it/leredita-che-kung-lascia-alla-chiesa-di-papa-francesco/


***


Per la registrazione della breve intervista radiofonica (ai minuti 20 - 25, ma tutta la trasmissione mi è sembrata di insolito livello):

https://www.raiplayradio.it/audio/2021/04/Mediterradio-del-1642021---IX-Ciclo---Trentunesima-puntata-f91834e3-7707-480f-9bbd-fd36322ba990.html




domenica 18 aprile 2021

DAL LIBRO "COS'E' LA MAFIA? TRE RAGAZZI IN CERCA DI RISPOSTE" AL GEMELLAGGIO FRA SCUOLE ITALIANE

 

DALLA FINZIONE LETTERARIA ALLA ESPERIENZA EFFETTIVA

 

Una proposta di gemellaggio (virtuale / reale) per gli insegnanti 

di tutta Italia

 

In un racconto per adolescenti (dai 10 ai 15 anni) , dal titolo Cos’è la mafia? 

Tre giovani in cerca di risposte (illustrazioni di Roberta Santi, edizioni Bukbuk, Trapani 2020, pp. 112, euro 12,90),  Adriana Saieva immagina che una ragazza di Palermo entri in corrispondenza via e-mail con una coetanea di Torino e che, dopo mesi di scambi, la ragazza piemontese ottenga il permesso dai genitori di recarsi nei mesi estivi in Sicilia.

 

Perché non realizzare, effettivamente, dei gemellaggi fra classi palermitane e classi di altre località italiane, prevedendo che gli ospiti possano – nell’ambito del “No mafia memorial” – sperimentare varie attività di educazione alla cittadinanza consapevole, alla legalità democratica e al contrasto alla criminalità organizzata? 

 

Di questo progetto si parlerà martedì 20 aprile 2021 , dalle ore 16.30

 alle ore 18.30, in una video-conferenza riservata ai docenti italiani di ogni ordine 

e grado di scuola.

 

 

NOTE TECNICHE:

·      Per ricevere il link di accesso  inviare una e-mail a: formazione@nomafiamemorial.org

·      Il libro-base (Cos’è la mafia? Tre giovani in cerca di risposte) è disponibile in tutte le librerie on line e nelle migliori librerie ‘fisiche’. A Palermo lo troverete senz’altro presso Spazio Cultura di Macaione (via Marchese di Villabianca), Maurizio Zacco (corso Vittorio Emanuele II) e Pasquale Arcoleo (via papa Sergio all’Arenella, di fronte alla scuola “Luigi Rizzo”).



sabato 17 aprile 2021

RIFLESSIONI 'LAICHE' SUL VANGELO DI DOMENICA 18 APRILE 2021 (LUCA 24, 35 - 48)

 


 
 “ADISTA”

N. 11/ 20.3. 2021

 

I GIOCHI NON SONO ANCORA CHIUSI

 

III domenica di pasqua

18 aprile 2021

 

ANCORA UNA MEDITAZIONE ‘LAICA’ RICHIESTAMI DAGLI AMICI ROMANI 

DELL’AGENZIA DI STAMPA “ADISTA”

 

Lc 24, 35-48

 

Luca offre una narrazione che, se non vera nell’accezione storiografica attuale, è però talmente accurata da risultare realistica. Certa tradizione gli attribuisce la professione di medico, comunque è uno che cura i dettagli anche secondari per poter annunziare la convinzione di fede della comunità in cui – e per conto della quale – scrive. Gesù è scomparso – e tragicamente – da una quarantina d’anni: l’avvento di un mondo nuovo – di un nuovo modo di convivere in questo mondo – non si è avverato. Perché queste comunità di ebrei considerati dissidenti, o comunque seguaci di un dissidente crocifisso, dovrebbero perseverare nella comunione dei beni, delle preghiere, della vita? Non potrebbero tornare nel proprio privato e allinearsi all’attesa messianica dei correligionari?  

Questa pagina offre due ragioni, strettamente intrecciate, per resistere.

La prima è che la vicenda di Gesù si è chiusa con un fallimento clamoroso solo se si ammette che la scena di questo mondo esaurisca lo spazio teatrale; che il proscenio non implichi un dietro le quinte; che al di là del fenomenico non esista alcunché di reale. Ma l’esistenza di Gesù è stata così intensa, così trasparente, da suscitare negli amici la speranza che non fosse caduto definitivamente nel nulla eterno ma fosse stato ri-creato, nella concretezza della sua umanità (“prese una porzione di pesce arrostito e lo mangiò”), dal Dio della vita. 

Questa speranza – e siamo alla seconda lezione di questa pagina raffinatissima – non è, per altro, un elemento di novità assoluta nella tradizione ebraica perché nella Bibbia si possono trovare, a cercare bene, dei preannunzi. Certo, come è stato notato da qualche biblista, i cristiani hanno dovuto forzare qualche volta l’interpretazione dei testi e piegarli in direzioni estranee alla mente dell’autore originario: ma questa operazione, che per noi sarebbe scorrettezza esegetica, nella mentalità dell’epoca era legittima creatività ermeneutica. Diciamo che, nel tentativo di usare la loro esperienza come chiave per entrare nel Libro, quando hanno incontrato qualche difficoltà a inserirla, hanno preferito, anziché adattare la chiave, modificare la serratura.  

Comunque neppure per Luca il Cristo è ancora diventato, da annunziatore, l’annunzio: infatti anche per lui, come per tutti noi che non siamo contemporanei di Gesù, la bella notizia – in cui consiste il cuore del vangelo – è “la conversione e il perdono dei peccati”. Credere, allora come oggi, è convincersi che i giochi non sono ancora chiusi. Che, nonostante il buio nelle biografie individuali come nella sorte della popolazione mondiale, nessuno è costretto a considerarsi perduto per sempre. Può sempre invertire la marcia, operare una svolta ad U, cominciando dalla mente (meta-noia): dal modo di vedere, di considerare gli altri esseri viventi, la Terra nella sua fecondità e fragilità,  il cosmo nel suo spiazzante impasto di bellezza e di sovrana indifferenza. La fedeltà autentica al messaggio significa rispettarne l’indeterminatezza, la potenziale trasformazione secondo le urgenze e i pericoli via via emergenti nella storia: la “conversione” non è uno stato, ma un processo senza fine, come sempre nuovi sono i modi di “peccare” contro la vita, l’equità, la solidarietà.  

 

Augusto Cavadi

www.augustocavadi

venerdì 16 aprile 2021

POLITICA A SCUOLA: UN TESTO E LA REGISTRAZIONE-VIDEO DI UN SEMINARIO DI FORMAZIONE PER DOCENTI

 

Care e cari,

    qui di seguito sia il link al seminario sull'educazione alla politica nelle scuole, da me tenuto nell'ambito delle attività formative per docenti di ogni ordine e grado organizzate dal "No mafia memorial" di Palermo (https://youtu.be/FAobKKAg2bs) sia il testo dell'articolo ospitato su "Vita pensata" (Aprile 2021) con relativo link.

Nel corso del seminario sono stati utilizzati e suggeriti soprattutto due miei libri: "La bellezza della politica, Attraverso e oltre le ideologie del Novecento" e "Strappare una generazione alla mafia. Lineamenti di pedagogia alternativa" (entrambi per i tipi dell'editore Di Girolamo di Trapani). 

Per i lettori palermitani: nella libreria Zacco (Corso Vittorio Emanuele, davanti all'Auditorio del S. Salvatore) e nell'edicola-libreria Arcoleo (all'Arenella, davanti alla scuola elementare "Luigi Rizzo") ci sono delle copie dei 2 testi a prezzi fortemente scontati. 

LA POLITICA A SCUOLA: NO, FORSE, SÍ

 

Non si può negare che il metodo democratico per assumere decisioni collettive, oltre a vari pregi (il maggiore dei quali è che i metodi alternativi sono peggiori), presenta numerosi difetti. Esso, infatti, presupporrebbe un dato palesemente falso: che ogni attore sociale avesse le medesime qualità intellettuali e morali degli altri. Solo in questa ipotesi (controfattuale) la decisione assunta dal 51 % dei votanti sarebbe presumibilmente migliore della proposta sostenuta dal 49 %. Poiché, appunto, l’uguaglianza dei diritti non rispecchia l’uguaglianza delle potenzialità (naturali e acquisite) dei cittadini, sono possibili quattro principali opzioni:

a)    negare l’evidenza e difendere il metodo democratico a oltranza (opzione anarco-demagogica di ‘sinistra’[1])

b)   accettare l’evidenza, difendere il metodo democratico ma attrezzandosi  per strumentalizzarlo a vantaggio dei propri interessi privati o corporativi   (opzione populista-demagogica di ‘destra’)

c)    accettare l’evidenza e, nell’interesse del Bene comune, ridurre al minimo l’esercizio del metodo democratico affidando le decisioni a un’ élite di meritevoli  perché competenti-e-onesti (opzione aristocratico-conservatrice di ‘destra’)

d)   accettare l’evidenza e, nell’interesse del Bene comune, attivare ogni possibile strategia per ridurre il gap intellettuale e morale fra gli attori sociali in modo che da accentuare i vantaggi e ridurre i danni dell’esercizio del metodo democratico  (opzione pedagogico-progressista di ‘sinistra’[2]).

 

Cosa dovrebbe fare un politico – o un amministratore, un dirigente scolastico, un insegnante -  che dovesse condividere una delle prime tre opzioni ? Nulla. Può dormire sonni tranquilli e trascorrere giornate riposanti: la prassi pedagogico-didattica dalla fondazione della Repubblica italiana ad oggi, infatti, è perfettamente funzionale a ciascuno dei primi tre scenari evocati. 

Meno tranquilli i sonni e meno riposanti le giornate dovrebbero, al contrario, diventare per quei (pochi) cittadini che si riconoscono nella quarta prospettiva. Infatti l’abdicazione dei partiti politici – soprattutto dagli anni Ottanta del XX secolo  -  ad ogni obiettivo formativo dei propri militanti ha reso il sistema scolastico l’unica struttura estesa sul territorio nazionale in grado, potenzialmente, di  educare politicamente i cittadini: ma, tranne eccezioni tanto più lodevoli quanto meno frequenti, le potenzialità sono per lo più rimaste tali. Il dogma indiscusso è stato compendiato in un divieto-slogan: “A scuola non si fa politica!”. Forse sarebbe il caso di ficcarci il naso un po’ addentro per indagarne il fondamento, la (parziale) verità che contiene e la (ingente) dannosità che comporta.

 

In che senso la politica deve restare fuori dalle aule

Nei regimi totalitari di qualsiasi colore la scuola è un luogo privilegiato di indottrinamento ideologico. Poiché il Fascismo italiano non ha fatto eccezione a questa regola, è stato psicologicamente comprensibile che i cittadini della Repubblica democratica basata sulla Costituzione del 1 gennaio 1948 abbiano, più o meno esplicitamente, concordato nell’inopportunità che “a scuola si facesse politica”. Il Sessantotto ha, del tutto involontariamente, costituito un’eloquente conferma a contrariodi questa diffidenza irriflessa: la ‘politicizzazione’ delle lezioni, dei seminari, delle iniziative para-scolastiche ed extra-scolastiche ha contribuito a determinare un clima di conflittualità sistemica che non di rado sfociava in scontri fisici violenti. Nell’anno horrendus mirabilis (a seconda degli occhiali ideologici con cui lo si osserva)  compivo il mio diciottesimo anno e completavo il ciclo degli studi liceali: mi gettai a capofitto nel movimento studentesco, pur su posizioni minoritarie,  né seppi definirmi altrimenti che “estremista extra-parlamentare di centro”[3], finendo col capeggiare – per la verità senza averlo né previsto né voluto – una delle due fazioni in lizza (l’altra era della sinistra extra-parlamentare)[4]. Fu per me una grande lezione, direi il risveglio da un sonno dogmatico cattolico-borghese, intuire che la scuola non era per nulla (come voleva apparire e come si dichiarava) a-politica: infatti programmi, pratiche didattiche, regolamenti disciplinari, erano informati da una ben precisa visione politica, tanto più pervasiva quanto meno palese. Tuttavia, come si espresse un intellettuale dell’epoca, se tutto è politica, la politica non è tutto. Dunque non può fagocitare ogni altro punto di vista, per esempio l’etica: né allora condivisi, né mai in seguito rimpiansi, scritte in vernice rossa come l’affermazione, sui muri della scuola, che “uccidere un fascista non è reato”.  

Il rifiuto dell’ingresso della politica nella scuola  - di questo ‘ingresso’ e di questa ‘politica’ – è legittimato dalla considerazione di alcuni effetti paradossali che ho segnalato caparbiamente, quanto vanamente, nel mezzo secolo successivo. Mi limito a due esempi. 

Il primo: l’introduzione del diritto degli studenti delle scuole secondarie superiori alle ore mensili per le assemblee di classe e di istituto. Sulla carta, nulla di eccepibile: secondo le sensate indicazioni di Dewey, la democrazia si impara solo praticandola. Tuttavia, per un insieme di fattori (assenza di regole, assenza di meccanismi di controllo del rispetto delle regole, esasperazione di protagonismi individuali…), il mezzo (l’assemblea) è diventato il fine, stravolgendo ogni logica (non ci si convoca per dibattere una tematica rilevante e urgente, ma si cerca affannosamente una tematica qualsiasi che possa legittimare la convocazione di un’assemblea). Risultato: a quattordici o quindici anni si fanno le prime esperienze ‘politiche’ convincendosi che la politica sia il luogo delle chiacchiere, degli scontri fra capetti ambiziosi, dell’ipocrisia eretta a sistema. 

Secondo esempio di “eterogenesi dei fini”: l’insegnamento ‘ideologizzato’ produce il contrario di ciò che si propone. Sappiamo che – tranne quando non si tratti di macchiette ridicole – i docenti, per questioni anagrafiche e di istruzione, esercitano un condizionamento non irrilevante della mente degli alunni. Questo fenomeno dovrebbe suggerire un particolare rispetto degli adulti nei confronti  dei giovani, tradotto nella delicatezza con cui esporre le proprie idee politiche e consentire loro di esporre le proprie. Capita però che alcuni insegnanti (prevalentemente, anche se non esclusivamente)  di ‘sinistra’ soffrano d’impazienza pedagogica e tendano a trasformare le proprie lezioni curriculari in occasioni di propaganda ‘politica’, con l’intento di cooptare nella propria area partitica i futuri (in qualche caso, negli anni terminali, attuali) elettori. Ebbene, questa scorrettezza deontologica porta in sé stessa la propria sanzione. Infatti l’esperienza attesta che più un docente insiste nella sponsorizzazione della propria appartenenza ideologico-politica, più i suoi alunni – subito o da adulti – si orientano in direzione diverse, quando non opposte. (E’ questa constatazione che mi ha strappato un sorriso quando la Ministra dell’Istruzione  di un governo di ‘centro-destra’ ha minacciato provvedimenti disciplinari contro i professori di ‘sinistra’ che “facevano politica in classe”, a suo dire di gran lunga statisticamente prevalenti dal Secondo dopoguerra in poi: se l’esito di decenni di propaganda ‘social-comunista’ dei professori è un elettorato collocato in stragrande maggioranza su posizioni moderate-conservatrici, non è autolesionismo, da parte di formazioni partitiche di ‘centro-destra’, voler sovvertire tale fruttuoso andazzo?). 

 

In che senso la politica deve entrare nelle aule

Se, dunque, la politica come propaganda ideologica e proselitismo partitico non dovrebbe trovare spazio all’interno delle mura scolastiche, è possibile ed è auspicabile che ne resti fuori anche come informazione sulle principali dottrine politiche e come confronto critico su di esse? Alla domanda, abbastanza manifestamente retorica, non posso rispondere che con un duplice ‘no’.

Intanto, infatti, non è possibile che in una scuola dove si insegna storia delle civiltà, storia delle letterature italiane e straniere, storia dell’arte, talora anche storia della filosofia, si eviti di parlare delle poleis greche, dell’impero romano, della dialettica medievale fra teocrazia e cesaropapismo, delle guerre di religione all’alba della Modernità, delle rivoluzioni inglese, americana, francese, russa (fra il Seicento e il Novecento), di nazi-fascismo e di anti-fascismo, di globalizzazione, di razzismo, di ecologia…Quel che si può fare è rendere innocua la trattazione di questi argomenti liofilizzandoli in noiose dosi nozionistiche e, nei rari casi in cui questa tattica non si rivelasse sufficiente, azzerando qualsiasi dibattito in aula o in forza della propria autorità di ruolo o ricorrendo all’irrisione dell’alunno troppo ‘originale’. 

Ma, ammesso che fosse possibile tener fuori dalla scuola la politica come cultura (come ‘coltivazione’ della soggettività pensante e agente), non sarebbe certo auspicabile. Decretare il suffragio universale senza fornire l’alfabetizzazione politica, e in qualche modo e misura pretenderla, sarebbe folle come abolire l’obbligo della patente di guida senza prevedere nessuna forma di istruzioni per l’uso delle automobili. Il diritto di voto è un’arma tanto più preziosa/pericolosa quanto più gravi sono le decisioni che spettano a un corpo elettorale: dall’assemblea di condominio al consiglio di circoscrizione, dal consiglio comunale al consiglio regionale, sino ai due rami del parlamento nazionale. Rinunziare alla “democratizzazione della conoscenza” (Edgar Morin), soprattutto nell’era della rivoluzione informatica (che segna, inscindibilmente,  il predominio delle conoscenze e degli strumenti tecnologici per veicolarle), equivale a un suicidio collettivo. 

 Più di mezzo secolo di attività (a vario titolo) nelle scuole è stato sufficiente per attestarmi che in ogni generazione di studenti il bisogno di cultura politica è reale, anche se fenomenicamente non sempre si esprime in desiderio esplicito: ma basta far annusare un po’ di cibo sano per svegliare appetiti solo sopiti.

 

Qualche esperienza personale 

 Per spiegare meglio, con qualche esemplificazione concreta, cosa intendo per ‘cultura’ politica, provo ad evocare delle esperienze autobiografiche.

  Ritorno, per un momento, agli anni Sessanta. All’inizio del 1969 si realizza, nel mio liceo, una delle prime ‘occupazioni’ di una lunga serie in Italia, interrotta solo dalla “Didattica a distanza” imposta dalla pandemia del Covid-19 [5]. Un po’ per vincere la noia, un po’ per senso autentico di responsabilità, si decise di attivare dei “gruppi di studio” sulle tematiche più svariate. Tra le altre proposte fu accettate la mia: rintracciare le radici filosofiche delle correnti contestatarie presenti nella scuola e, più in generale, nel panorama socio-politico del momento. Grazie all’inaspettata sponsorizzazione del quotidiano “L’Ora” il nostro gruppo fu l’unico a stampare e diffondere gratuitamente le relazioni presentate e discusse dai suoi membri. E’ con comprensibile tenerezza che ogni tanto sfoglio le poche, e ingenue, pagine dell’opuscolo Filosofia e contestazione : dal capitolo La filosofia come anima delle rivoluzioni storiche (scandito in due parti: Rapporti tra illuminismo e rivoluzione francese Pensiero ed azione in G. Mazzini) al capitolo La filosofia come fondamento dei sistemi socio-politici (comprendente i paragrafi: Lo Stato democratico di RousseauHegel e il totalitarismoMarx e il materialismoS. Tommaso e la sociologia cristianaComponenti estremiste apolitiche nel movimento studentescoComponenti marcusiane del movimento studentescoComponenti cristiane nel movimento contestatario) sino all’ultima parte della Relazione dedicata a fissare, nella nostra ottica, gli Scopi e i Metodi della contestazione [6] .

Negli anni Settanta, in virtù della laurea in filosofia ma anche di un diploma quadriennale di teologia per laici organizzato dalla pontificia università del Laterano, fui incaricato dai Gesuiti del liceo “Gonzaga” della mia città di gestire le due ore settimanali di “religione” che lo statuto della scuola prevedeva per ogni classe. Mi fu data carta bianca, ma anche un suggerimento: di dedicare solo una delle due ore alla cultura teologica (che per me significò, ovviamente, proporre un programma di storia delle religioni e di filosofia della religione[7]), riservando la seconda agli “Orientamenti socio-politici”. Devo a quel suggerimento l’idea di una esposizione comparativa delle principali ideologie del Novecento che fissai prima in dispense dattiloscritte, poi in un articolo su “Esperienze sociali”[8], infine nel volumetto Le ideologie del Novecento. Cosa sono state, come possono rifondarsi[9]ripubblicato, in un’edizione rivista e integrata, con il titolo La bellezza della politica. Attraverso e oltre le ideologie del Novecento [10]. In un quadro sinottico ho cercato di raccontare, nella maniera più obiettiva possibile (ma senza sottrarmi, alla fine del corso, alle domande dei ragazzi sui miei personali orientamenti), quale fosse il nucleo generativo, la visione antropologica, la concezione della società, dello Stato, dell’economia, della scuola e della religione secondo le prospettive liberalemarxistasocialdemocraticafascistacattolicaconservatriceanarchicaambientalista. Questa mappa orientativa è servita ai ragazzi dell’ultimo anno di liceo[11] per leggere (e riferire alla classe), in piccoli gruppi di studio, le linee essenziali dei programmi politici dei partiti rappresentati in Parlamento. 

 

Sinergie educative

Per quanto complessivamente proficui possano considerarsi i risultati di una educazione politica all’interno del sistema scolastico, non si possono ignorare almeno due riserve.

La prima: non tutti i docenti che ne avrebbero la possibilità ‘disciplinare’ sono disposti a praticarla. E, di certe cose (diciamo pure: di tutte le cose belle e importanti della vita), se non se ne parla con passione sincera è meglio tacerne. Quale livelli di sadismo (oggettivo, non intenzionale) si possano raggiungere infliggendo agli alunni l’ora di “educazione civica” quando proprio non se ne può fare del tutto a meno, lo sappiamo o per esperienza personale di noi da alunni o per esperienza indiretta comunicataci da nostri alunni con colleghi di altri ordini e gradi. 

La seconda riserva è legata ai limiti temporali: un’ora ‘lorda’ la settimana, sottoposta per altro ai ‘tagli’ fisiologici per coincidenze e festività varie, si rivela del tutto insufficiente. Una formazione politica minimale non può limitarsi allo studio delle “ideologie” (sia pur includendovi brevi cenni all’economia, alla pedagogia e al diritto ecclesiastico), deve affrontare una miriade di temi sociologici, giuridici, filosofici, politologici: dalle relazioni di genere (fra uomini e donne) ai diritti e doveri dei lavoratori (dipendenti da imprenditori privati); dai poteri criminali occulti interni ad ogni Stato alle relazioni internazionali fra gli Stati e così via. 

Per queste ragioni, già nella seconda metà degli anni Ottanta, ho invitato alcuni colleghi a promuovere un’attività di volontariato educativo denominata Laboratorio di cultura politica pluralistico e itinerante: attività che, come risposta alle stragi politico-mafiose del 1992 (Capaci e via D’Amelio), pensammo di strutturare in maniera più stabile con la creazione dell’associazione di volontariato culturale Scuola di formazione etico-politica “Giovanni Falcone” di Palermo. Si è trattato, da allora ai nostri giorni, del tentativo di riempire, sia pur molto parzialmente, il vuoto pedagogico conseguente al rinserrarsi dei partiti politici tradizionali su questioni di potere tutte interne e alla chiusura delle vecchie “scuole di partito” (che una formazione, sia pur settaria e polemica, la offrivano),  nell’illusione che, con il pretesto di adottare ottiche progettuali pragmatiche e  post-ideologiche, si potesse delegare alla telegenicità di pochi esponenti il compito di catturare il consenso degli elettori. Non è questa la sede per evocare, sia pur sommariamente, i primi tre decenni di attività della Scuola “Falcone”[12]: basti segnalare che essa, lungi dal rintanarsi in una prospettiva autoreferenziale, ha lavorato e continua a lavorare in sinergia con istituzioni (scuole e università in primis), associazioni, singoli intellettuali di ogni orientamento, ricevendo e offrendo esperienze, competenze, materiali[13]. Dal 2017 l’allocazione della sede operativa presso la “Casa dell’equità e della bellezza”, spazio in cui operano altre realtà associative, ha reso per così dire plasticamente evidente questa propensione all’apertura e alla cooperazione. Veramente siamo in un campo in cui chi ha a cuore l’evoluzione civile dell’umanità deve rinunziare a stupidi protagonismi e sterili gelosie: un campo in cui, per citare l’ignoto autore di un testo greco del I secolo dell’era volgare, “la messe è molta e gli operai sono pochi”.

Nella stessa ottica di sintonizzazione con altre realtà cittadine impegnate nella formazione civica degli adulti e dei giovani – a partire dagli insegnanti e dagli alunni delle scuole di ogni ordine e grado – la nostra associazione di volontariato culturale partecipa attivamente alle iniziative che dal 2019 vengono offerte dal “No mafia memorial” di Palermo, spazio polivalente progettato e fortemente voluto dal Centro siciliano di documentazione “Giuseppe Impastato” [14].

 

Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com

 



[1] “Anarco-demagogica” non equivale ad anarchica: l’anarchismo si identifica, piuttosto, con la quarta opzione.

[2] ‘Destra’ e ‘sinistra’, in questo contesto, vengono adoperate come qualificazioni di principio, non necessariamente corrispondenti a  posizioni storiche effettive.

[3] In quanto, in quella fase della mia vita, cattolico-democratico non mi consideravo fascista (l’anti-fascismo era anzi l’unica certezza politica che mi abitava); non ero marxista (anche se per un aspirante ‘intellettuale’ era pressoché socialmente obbligatorio (perché, con Giorgio La Pira, ritenevo il marxismo un ottimo strumento di analisi e una pessima terapia); non ero democristiano perché lo erano gli opportunisti, i carrieristi e – cosa per me insopportabilmente grave – i mafiosi. Forse, se il Partito socialista democratico non fosse stato il partito delle clientele e delle tangenti, mi sarei potuto definire (almeno ideologicamente) un socialdemocratico o, meglio, un socialista liberale. 

[4] “Cavadiani” e “Pompeiani” erano le due denominazioni, originariamente scherzose, sotto cui gli studenti del liceo “Garibaldi” di Palermo attivi nella ‘contestazione’ ci trovammo schierati: il leader degli attivisti di sinistra era Pompeo Macaluso, figlio (purtroppo prematuramente scomparso) di Emanuele Macaluso, storico dirigente del Partito Comunista Italiano. 

[5] Siamo dunque nella fase in cui occupare una scuola è un reato effettivamente segnalato alle autorità giudiziarie, non ancora una festosa ritualità pre-natalizia supportata dalla maggioranza dei genitori (specie se ‘progressisti’). All’assemblea in cui si decise per l’occupazione i “cavadiani” votammo contro, ma – per rispetto delle regole democratiche – vi partecipammo ugualmente.

[6] Titolo completo: Relazione del documento per l’assemblea del liceo Garibaldi proposto dal gruppo di studio Filosofia e contestazione,  Società immobiliare industriale “L’Ora”, Palermo 1969, pp. 23.

[7] Le dispense ciclostilate e distribuite, in alternativa ai manuali abitualmente adottati, affrontavano anche le critiche alla religione di Marx, Nietzsche, Freud e Sartre.

[8] Concezioni antropologico-sociali contemporanee, “Esperienze sociali”, XX, 2 (1978), 39, pp. 63 – 70. 

[9] Le ideologie del Novecento. Cosa sono state, come possono rifondarsi, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001.

[10] La bellezza della politica. Attraverso, e oltre, le ideologie del Novecento, Di Girolamo, Trapani 2011.

[11] Dopo i primi anni di insegnamento, già alla fine degli anni Settanta, sono entrato stabilmente nella scuola statale dove, insegnando al triennio, ho dedicato all’educazione politica (come preferivo tradurre la dizione inflazionata “educazione civica”) un’ora la settimana, riservandone due alla storia e tre alla filosofia.

[12] Ne ho tracciato un bilancio sommario, in occasione del venticinquesimo anniversario della fondazione,  nel volumetto La mafia desnuda. L’esperienza della Scuola di formazione etico-politica “Giovanni Falcone”, Di Girolamo, Trapani 2017.

[13] Tra i materiali prodotti in occasioni di seminari della Scuola, e resi fruibili a un più vasto pubblico da alcune case editrici, segnalo: A. Cavadi (a cura di), Il Vangelo e la lupara. Documenti e studi su chiese e mafie, Dehoniane, Bologna 1994 ;  E. Palumbo, F.M. Stabile , R. Giuè, V. Orlando, La fede laica e la politica, La Zisa, Palermo 2000; A. Cavadi, Il Dio dei mafiosi, San Paolo, Cinisello Balsamo 2009; U. Santino, La mafia come soggetto politico, Di Girolamo, Trapani 2013; F. Palazzo – A. Cavadi – R. Cascio, Beato fra i mafiosi. Don Puglisi: storia, metodo, teologia, Di Girolamo, Trapani 2013; A. Cozzo, Stranieri. Figure dell’Altro nella Grecia antica, Di Girolamo, Trapani 2014; A. Cavadi, Etica. Idee semplici per orientarsi, Aracne, Roma 2016; A. Cavadi, Filosofare in carcere. Un’esperienza di filosofia-in-pratica all’Ucciardone di Palermo, Diogene Multimedia, Bologna 2016; A. Cavadi, Peppino Impastato martire civile. Contro la mafia e contro i mafiosi, Di Girolamo, Trapani 2018.

[14] Sulla storia del  Centro siciliano di documentazione “G. Impastato” e sulla fondazione del “No mafia memorial” cfr. U. Santino – A. Puglisi (con S. Proniewicz), La memoria e il progetto. Dal Centro Impastato al No mafia memorial, Di Girolamo, Trapani 2020. 


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https://www.vitapensata.eu/2021/04/03/la-politica-a-scuola-no-forse-si/