“Frontiere della scuola”
2024 /1
In molte imprese ci vuole coraggio: forza interiore nel
vincere la paura – specie quando è giustificata oggettivamente – e nell’attuare
sino in fondo i propri propositi. Quando il coraggio si esercita non più
nell’ambito del noto, dello sperimentato, ma dell’ignoto, dell’inedito, si
colora di venature particolari: diventa audacia. Si tratta di una
qualità positiva, di una virtù? Di per sé è preferibile alla vigliaccheria,
all’accontentarsi timoroso di chi rimane rintanato nella propria cuccia e si
abbarbica alla banalità del conformismo e del tradizionalismo. Ma, come ogni
virtù, l’audacia non è un valore assoluto. Dipende infatti dal lasciapassare
della prudenza, della saggezza, del saper vivere.
Audacie sconsigliabili
Senza, o contro, l’approvazione del
buon senso (che non coincide con il senso comune!), l’audacia rischia di degenerare
in temerarietà, in velleitarismo. Lo sprezzo del pericolo diventa sprezzo del
ridicolo: l’ammirazione lascia il posto alla commiserazione. Se uno perde la
libertà o la salute o la vita stessa in tentativi puramente esibizionistici, o
comunque non funzionali al miglioramento della vita propria e/o comune, non merita
alcuna gratitudine. Al massimo, un accenno di compatimento. I meriti
dell’audace sono una variabile dipendente dalla consistenza etica e dalla condivisibilità
sociale dei fini in vista dei quali egli agisce. La storia di ieri e la cronaca
dei nostri stessi giorni pullula di audaci di cui avremmo fatto volentieri a
meno: specie quando mettono a repentaglio la propria vita nel tentativo, cieco
e spietato, di eliminare la vita altrui.
L’elenco delle audacie fuori luogo, controproducenti,
sconsigliabili sarebbe interminabile. Quanti miliardi di persone hanno
sacrificato benessere e affetti, persino la sopravvivenza biologica, per
obbedire a capi politici ambiziosi? Per ottemperare agli ordini insani di
strateghi militari? Per diffondere ideologie sono molto parzialmente lucide? Per
verificare prematuramente, in concorrenza con la comunità scientifica, ipotesi teoriche
e apparecchiature tecnologiche? Per raggiungere nell’aldilà paradisi
improbabili promessi da sedicenti profeti dissennati? I cimiteri sono zeppi di
audaci tra i quali non è facile distinguere i benefattori dell’umanità dagli
assassini presuntuosi, spesso prime vittime della loro insipienza. Infatti i
più pericolosi fra gli spericolati sono i soggetti, i gruppi, le associazioni
in buona fede: a differenza dei delinquenti che sanno di delinquere, solo in
casi rarissimi i fanatici sono in grado di ricredersi. Il monito di Gaetano
Salvemini non ha perduto d’attualità: “Chi è convinto di possedere il segreto
infallibile per rendere felici gli uomini, è sempre pronto ad ammazzarli” (ho
contestualizzato questa frase nel mio La bellezza della politica. Attraverso
e oltre le ideologie del Novecento, Di Girolamo, Trapani 2011, p. 31).
Audacie auspicabili
Ci è toccato di vivere un’epoca di
amare delusioni collettive. Ci sentiamo traditi da troppe strategie imperialistiche,
da troppe offerte di felici immortalità biologiche, da troppe chiese
infallibili solo nel pronunziare dogmi e precetti che, puntualmente, si
rivelano insostenibili. Abbiamo verificato la tragica verità dell’espressione
di Paul Claudel: “Chi cerca di realizzare il paradiso in terra, sta in effetti
preparando per gli altri un molto rispettabile inferno”. Il variegato mondo
dell’informazione ci squaderna sotto gli occhi una quantità di dolori, di
ingiustizie e di sofferenze, sproporzionatamente al di sopra della nostra
capacità di sopportazione emotiva. Il cuore non regge e sprofondiamo nel
sentimento paralizzante dell’impotenza. Ogni abbozzo di coraggio, di ribellione,
di progettazione alternativa viene soffocato sul nascere. L’audacia non ha il
tempo di essere soppesata dalla prudenza: muore già in culla.
In gioventù la mia generazione ha
conosciuto la speranza (in parte illusoria, in parte fondata) che dove non
arrivava l’individuo potesse arrivare il collettivo: il sindacato o il partito
politico e – attraverso questi organismi – il governo nazionale e le
organizzazioni internazionali. Ma, dagli anni Ottanta del XX secolo, la fiducia
in questi canali di partecipazione è crollata: la politica, liberatasi
allegramente dalle remore dell’etica, si è trovata indifesa davanti ai
tentacoli dell’economia (liberistica). Ci si guarda intorno smarriti né la voce
isolata di un papa (in alcuni casi persino ‘audace’) può costituire più di un
faro nella notte: anche se l’ecologia valesse bene una messa, neppure un
cattolico può far finta di poter contare sull’accordo unanime dei suoi
confratelli né escludere che con il decesso di questo pontefice la sua Chiesa
ritorni al moderatismo equilibrista precedente.
In queste contingenze storiche non
resta – secondo il detto orientale – che accendere una candela piuttosto che
maledire l’oscurità. Come i giovani tedeschi della “Rosa Bianca” per i quali
fare politica sotto la dittatura nazista era ancora più necessario proprio
perché ogni speranza ragionevole era stata brutalmente cancellata
dall’orizzonte.
Ma si tratta di fare appello
soltanto, o principalmente, allo sdegno emotivo? Alla protesta viscerale?
All’insopportabilità dell’assurdo? Per
alcuni sarà sufficiente (anche a costo di saltare dalla passività rinunciataria
al fanatismo iperattivo). Altri, invece,
abbiamo bisogno di ragioni convincenti. Come le considerazioni del poeta Edgar
Lee Masters che fa confessare a George Gray, un protagonista della sua Spoon
River Anthology, le conseguenze amare della propria viltà. George, in vita,
ha preferito l’inazione al rischio di fallire: ma adesso, da morto, capisce che
proprio la tiepidezza inerte è il più sicuro e disastroso dei fallimenti. Infatti:
“l’amore mi si offrì e io mi ritrassi dal suo inganno;/ il dolore bussò alla
mia porta, e io ebbi paura;/l’ambizione mi chiamò, ma io temetti gli
imprevisti./ Malgrado tutto avevo fame di un significato nella vita./ E adesso
so che bisogna alzare le vele/ e prendere i venti del destino,/dovunque
spingano la barca./ Dare un senso alla vita può condurre a follia/ ma una vita
senza senso è la tortura/dell’inquietudine e del vano desiderio -/ è una barca
che anela al mare eppure lo teme” (la traduzione einaudiana è di Fernanda
Pivano).
In questo scenario, l’audacia
auspicabile acquista il volto della resilienza. Più che gesti clamorosi di
leader carismatici – ben vengano nuovi santi, nuovi eroi ad accendere
l’immaginario collettivo in letargo, purché senza pose da prime donne ! – servono
piccole comunità che preservino alcuni tesori dalla vandalizzazione dilagante. Servono
team affiatati che, senza invidie né gelosie, osino scommettere su una
società ragionevole pur nell’epoca dell’irragionevolezza: osino sapendo che
l’improbabile, qualche volta, accade. Maurizio Pallante ed altri in Italia
lavorano da tempo per costruire “monasteri laici” dove sperimentare forme di
spiritualità post-religionaria (cfr. Monasteri del terzo millennio,
Lindau, Torino 2015) . Annibale Raineri, con altri discepoli di Lanza del
Vasto, è impegnato nella costruzione di “arche” – modeste barchette – per
ospitare chi desideri salvarsi dal diluvio e trasmettere alle generazioni
future la memoria di un’umanità sobria, solidale, pacifica, equa, rispettosa
dei viventi e dell’intero cosmo (cfr. Ancora. Cambiare il mondo nel tramonto
della politica, Navarra, Palermo 2022). Servono – se non si tratta di
ossimori irrealizzabili – il coraggio della pazienza e l’audacia della lungimiranza.
Magari tra pochi secoli risulterà l’inutilità di tutto questo
perché l’umanità, dopo aver compromesso irreversibilmente l’equilibrio
dell’ecosistema, si suiciderà sotto una pioggia di bombe atomiche. E’
un’ipotesi che solo gli osservatori superficiali possono escludere. Se,
malauguratamente si dovesse realizzare, avremmo la prova che – a causa di
maggioranze idiote - non è sempre vero che la fortuna soccorra gli audaci.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com