giovedì 30 aprile 2020

IL TRENO DELLA DECRESCITA FELICE E' IN TRANSITO: SALIRE IN TEMPO ?

29.4.2020

DECRESCITA FELICE: ULTIMO TRENO PRIMA DEL DISASTRO FINALE ?

Per realizzare almeno un decimo dei buoni propositi sbandierati, non senza retorica, per il dopo-pandemia sarà necessario accompagnare la nobiltà dei sentimenti con qualche idea più precisa. Anzi, documentarsi alla scuola di chi ha maturato competenze nei vari settori – senza cedere agli slogan propagandistici dei ciarlatani di ogni casacca – potrebbe costituire un primo proposito da ottemperare per evitare che il “Tutto come prima”, osannato come un mantra, si riveli motivo di incubo.  
  A chi ricercasse qualche testo rigoroso scientificamente, ma agevole da leggere, per rispondere al “Che fare?” di questi giorni, consiglierei senza esitazione le poco più di cento pagine di Fondamentali 1.0 d’un progetto politico in costruzione (Lindau, Torino 2019) curato da Maurizio Pallante. Il volume non si lascia definire facilmente: è infatti uno strumento di aggiornamento culturale, ma anche una piattaforma progettuale e un appello alla mobilitazione politica (cfr. mauriziopallante.it/appello) . Infatti il curatore – fondatore nel 2007 del “Movimento per la decrescita felice” – sta lanciando in questi mesi la proposta di configurare un vero e proprio “soggetto politico” che tenti di tradurre in attività legislativa e amministrativa le idee portanti del Movimento (sinora essenzialmente attivo sul piano dell’informazione culturale e della formazione etica): “Sostenibilità, equità, solidarietà”
  Il tentativo, che il promotore ritiene tanto “velleitario” quanto necessario, nasce dalla convinzione  - pressoché estranea a tutti i partiti politici attuali – che “l’attenuazione dei problemi ecologici” richiede di “rimettere in discussione la finalizzazione dell’economia alla crescita della produzione di merci”. Dopo aver delineato alcune caratteristiche organizzative del nuovo “soggetto politico”, e fissato il criterio ispiratore di fondo (“la conversione ecologica dell’economia dipende dalla conversione economica dell’ecologia”), si dedicano dei capitoli – sintetici ma non banali – ai vari settori di studio e di intervento: la politica agricola e alimentare, la politica energetica, la politica fiscale, la politica internazionale con particolare attenzione ai flussi migratori. 
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martedì 28 aprile 2020

I VESCOVI ITALIANI E LE INTIMAZIONI AL GOVERNO: UNA SOLLECITUDINE SOSPETTA

I VESCOVI ITALIANI E IL BUCO NELL’ACQUA… SANTA
27.4.2020
  
Anche la CEI (Conferenza episcopale italiana), come papa Francesco cui è molto in sintonia, oscilla fra posizioni non sempre dello stesso timbro. Così, nonostante i progressi dai tempi di Benedetto XVI e del cardinal Ruini (in cui si riteneva ovvio interferire con le politiche governative mediante contatti diretti), un comunicato in reazione alla conferenza stampa del presidente Conte sulla fase 2 della strategia anti covid-19, lascia per lo meno perplessi.
Come si legge sul sito ufficiale della CEI,  “alla Presidenza del Consiglio e al Comitato tecnico-scientifico si richiama il dovere di distinguere tra la loro responsabilità – dare indicazioni precise di carattere sanitario – e quella della Chiesa, chiamata a organizzare la vita della comunità cristiana, nel rispetto delle misure disposte, ma nella pienezza della propria autonomia. I Vescovi italiani non possono accettare di vedere compromesso l’esercizio della libertà di culto. Dovrebbe essere chiaro a tutti che l’impegno al servizio verso i poveri, così significativo in questa emergenza, nasce da una fede che deve potersi nutrire alle sue sorgenti, in particolare la vita sacramentale”.
 Formulata così, la protesta appare ineccepibile: lo Stato fissa le regole, la Chiesa cattolica le rispetta e – all’interno dei paletti fissati – fa ciò che ritiene più giusto. 
Se scrostiamo la superficie, il quadro non risulta però così evidente. In una logica democratica, la Chiesa cattolica non deve pretendere né più né meno di qualsiasi altra organizzazione religiosa, culturale, politica, sindacale, sportiva. Il decreto del governo italiano ha forse consentito assemblee, cortei, convegni, manifestazioni sportive – insomma occasioni di assembramento per decine o centinaia o migliaia di persone? Se sì, i vescovi italiani hanno ragione da vendere. Ma chi ha ascoltato la conferenza stampa di Conte e letto i quotidiani del giorno dopo sa che non è così. Perché, allora, dovrebbe essere consentito ai cattolici ciò che è vietato agli induisti, ai membri di un sindacato o ai tifosi di una squadra di calcio?

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sabato 25 aprile 2020

LE SCUSE CHE I SETTENTRIONALI ATTENDONO DA NONNO VITTORIO (FELTRI)

Se devo essere del tutto sincero, non riesco a capire – da meridionale – l’ira dei miei conterranei nei confronti del giudizio di Vittorio Feltri sulla loro “inferiorità”. 
Se Crozza, in una delle sue irresistibili imitazioni di Feltri, avesse sparato un giudizio simile, avrebbe strappato un sorriso divertito da  Macugnaga  a Pachino: cos’è la provocazione del giornalista bergamasco se non il sintomo che egli – ormai prigioniero del proprio personaggio – deve inventarsi battute sempre più paradossali per mantenere alta l’audience ?
Alcune persone che stimo mi hanno contestato di non cogliere una differenza decisiva: Crozza fa ridere perché è ovvio che non crede alle ingiurie che pronunzia recitando Feltri, mentre Feltri fa arrabbiare perché è ovvio che crede alle ingiurie che pronunzia quando imita il proprio imitatore.
Non sono né un profeta né uno psicoterapeuta e, dunque, ammetto l’ipotesi di sbagliarmi sul grado di convinzione (a mio parere vicino a zero) con cui Feltri sostiene che noi meridionali siamo inferiori al resto degli italiani. Ma, se avessero ragione i miei amici meridionali, continuerei a non vedere motivi di ira. 
Ad adirarsi, se mai, dovrebbero essere i miei numerosi amici centro-settentrionali (alcuni dei quali, infatti,  mi hanno già espresso stupore e sdegno per lo scomodo corregionale). Mi spiego con una analogia.

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mercoledì 22 aprile 2020

MARIO MULE' SULL'OGGI E SOPRATTUTTO SUL DOMANI DELLA PANDEMIA

Sono molto felice quando qualcuno degli amici commenta sul mio blog un articolo perché così mi rassicura di aver raggiunto lo scopo: suscitare riflessione critica, "mettere in movimento" il pensiero altrui e, grazie ad esso, mantenere attivo anche il mio. 
Di solito i commenti appaiono calce all'articolo cui si riferiscono (chi trovasse difficoltà tecniche nel pubblicare direttamente il suo commento può sempre inviarmelo attraverso il 'vecchio' sistema della posta elettronica: a.cavadi@libero.it), ma qualche volta sono troppo estesi rispetto allo spazio che il sistema ha previsto automaticamente (dunque, indipendentemente dalla mia volontà). 
Per questa ragione, tutte le volte che un commento 'lungo' risulta anche d' interesse generale mi preoccupo di rilanciarlo come nuovo 'post' a parte.
E' il caso, ad esempio, del contributo del mio caro amico Mario Mulé, psichiatra e psicoterapeuta, che con la moglie Giovanna Bongiorno gestisce, con delicata generosità, la "Fattoria sociale" a Bruca, nei pressi del Tempio di Segesta (Trapani):


Caro Augusto,
ho letto ciò che hai scritto in merito a quanto stiamo vivendo in questi giorni. Mi riferisco al tuo articolo  “ Pandemia e altre calamità: un ‘peccato’ tutto moderno”.
Mi piace aggiungere qualche mia riflessione alle tue.
Mi considero autorizzato ad intervenire perché conosco la tua disponibilità all’ascolto di “ non filosofi”, quale io sono; tante volte l’ho sperimentato negli incontri avuti in questi anni con te, con Orlando Franceschelli, Alberto Biuso e tanti altri eminenti “ filosofi di strada”.
D’accordo con te sulla improponibilità del peccato originale come giustificazione e spiegazione di questo e di altri eventi catastrofici che hanno colpito l’umanità nel corso dei secoli.
D’accordo anche con l’opportunità di non liquidare superficialmente e sbrigativamente il mito del peccato originale, cercando invece di cogliere il senso cui la metafora allude.
La lettura che io preferisco è quella che ci ha fornito E. Fromm, che ha scritto: “Se una volta l’uomo nel Paradiso ha mangiato dall’albero della conoscenza, non può più fare ritorno all’unità primigenia…essere nel mondo senza fratture, senza il sentimento di estraneità: questa unità non può essere ristabilita…Eppure esiste la possibilità che l’uomo, sviluppando la propria ragione e la propria capacità di amare, riesca a ricostruire una nuova unità con il mondo, seppure diversa.”
Il mito, a parere di Fromm, ci parla dell’emergere della coscienza. Un dono immenso, ma non privo di           “effetti collaterali”, dal momento che ci rende consapevoli di essere mortali, soggetti a malattie e altre sofferenze, a volte impotenti nei confronti del nostro destino.
Ma perché poi la disubbidienza è un peccato così grave e imperdonabile, da scontare “ nei secoli dei secoli?”
Forse ci parla di un mondo patriarcale, dove l’ubbidienza era uno dei primi comandamenti: non solo veniva comandato “Onora il padre e la madre”, De Andrè aggiunge “anche il loro bastone”. C’era anche l’imperativo di una ubbidienza assoluta, senza eccezioni: Abramo doveva ubbidire anche quando gli veniva chiesto da Dio di commettere il crimine più orrendo, di sacrificare il proprio figlio Isacco.
Ma disubbidire, ovvero trasgredire, può assumere oggi tutt’altro significato. Basta inserire un trattino tra trans e gredire; avremo allora l’invito a trans-gredire, ad andare oltre, a cercare , a conoscere.
Ma mettiamo da parte la metafora che, in quanto tale, si presta a molte altre interpretazioni e torniamo a questi nostri giorni.
Sto seduto nella verandina di casa mia, con vista sul giardinetto e guardo le piante di gerani: quanti colori, quante sfumature e combinazioni, un vero piacere per gli occhi. E poi garofani fuxia, gialli, porpora e più in là nel giardino condominiale, grandi alberi che si muovono al vento. Ma anche tanti animali, lucertole, uccelli, insetti…In questo piccolo lembo di città quante forme di vita!
Frutto dell’evoluzione, delle tante mutazioni che hanno inventato innumerevoli forme di vita, alcune delle quali hanno avuto la sorte di incontrare l’ambiente favorevole per espandersi e riprodursi.
Ed io che sto guardando e sto pensando? Sono anch’io il frutto di una evoluzione?
Sembra proprio che sia così. Un autorevole studioso ( Michael Tomasello ) “ha argomentato in maniera assai convincente che un singolo adattamento darwiniano…deve avere aperto la strada che conduce dalla evoluzione biologica alla evoluzione culturale tipica della specie umana, connessa alla capacità  ( esclusivamente umana ) di percepire l’altro come simile a sé nell’intenzionalità” (G.Liotti ).
Da questo adattamento darwiniano si è poi sviluppata la coscienza che consente di definire la nostra specie come Homo sapiens sapiens.
Quindi che sa di sapere, ma che ancora non sa quali siano i correlati biologici della coscienza!
Dunque le mutazioni sono continue, numerose, sotto gli occhi di tutti. A volte ci gratificano, come hanno fatto i fiori per me, ma ricordiamoci anche che la natura è “dell’uomo ignara e delle etadi” (Leopardi), che opera al di fuori della moralità e quindi non ha senso attribuirle finalità.
Perché mutano anche i batteri, diventando resistenti agli antibiotici, mutano anche i virus; e qualcuno di essi trova come habitat ideale il corpo umano per riprodursi e moltiplicarsi.
Niente di strano, niente di eccezionale: è la natura, è la vita.
Hanno detto che il virus è “ scappato” da un laboratorio cinese. Può essere solo una manovra propagandistica, visto il personaggio che l’ha diffusa, non potremo certo verificarlo. Possiamo però utilizzarla come una metafora, perfetta nel descrivere l’uomo “apprendista stregone”, adoratore della tecnica che può rivoltarsi contro di lui.
Comunque ormai il virus è tra di noi. E’ il nostro “nemico”, cui dobbiamo fare                "guerra”.
L’uso di questi termini mi preoccupa. Temo che possa essere un linguaggio che esprime un modo di essere e di pensare in cui ci sono “ nemici”, “noi” contro di “loro”. Spero di sbagliarmi ma mi lascia inquieto.
Sento spesso fare la domanda “agli esperti” su cosa ci lascerà questa esperienza: nell’economia, nella vita sociale, nel nostro futuro. Molti pensano che non sarà più come prima.
Ma abbiamo mai avuto la capacità di leggere il futuro? Forse è più saggio cercare di capire cosa ci sta succedendo oggi, di porci qualche domanda, di guardare dentro ed attorno a noi.
Una prima domanda ( di ispirazione evoluzionista) potrebbe essere la seguente:
Se il covid 19 viene percepito come pericolo per la nostra stessa vita, come minaccia di morte, è inevitabile che attivi il nostro sistema di allarme, molto attento e potente ( ha circa 500 milioni di anni, è nato con i rettili ed è presente nel nostro cervello rettiliano). Con quali conseguenze?
Che emozioni, che pensieri, che comportamenti mette in azione dentro di noi?
Un’altra domanda possibile: le forti limitazioni della vita sociale, così fondamentale nell’esistenza umana dove l’intersoggettività è costitutiva e sta alla base della nostra stessa fondazione umana, che effetto stanno avendo sulla qualità della nostra vita? I rapporti per via telematica possono essere sostitutivi di incontri in carne ed ossa ?
Ed ancora: le restrizioni imposte dal virus hanno interrotto  bruscamente modalità di funzionamento automatizzate, hanno messo in crisi ruoli predefiniti, ci hanno costretto ad interrompere una vita imperniata sul “ fare” più che sull’ “ essere”.
Come stiamo reagendo a tutto questo?
Porci qualche domanda, cercando di essere curiosi e consapevoli, guardando a noi stessi ed agli altri forse potrebbe farci bene.
Vorrei fare ancora qualche riflessione.
Anche in questo evento, come è già successo dopo altri grandi disastri, vediamo fiorire iniziative ispirate ad empatia, altruismo, solidarietà. Molti studiosi stanno lavorando alacremente ed in modo cooperativo per offrire cure efficaci a questa umanità spaventata e smarrita; senza barriere nazionali, senza obiettivi di lucro, quasi a testimoniare che l’affermazione della antropologia evoluzionista che ha definito la specie umana “ipersociale” abbia colto nel segno.
Sono sentimenti e comportamenti che testimoniano di capacità umane fondamentali, forse quelle su cui puntare per scongiurare altre catastrofi, certo più gravi, che possono realizzarsi con la complicità dell’uomo.
Le neuroscienze ci confermano quello che antiche sapienze avevano già capito e cioè che queste qualità possono essere coltivate e sviluppate, che la mente può guidare il cervello, che certi stati ( per es. la compassione ) se coltivati possono diventare tratti durevoli, aspetti stabili della nostra personalità.
Tutto questo rimanda alla necessità di una profonda riforma dell’educazione, che equilibri le conoscenze tecniche con quelle emotive (provenienti dal “cuore”) attraverso programmi ormai disponibili e sperimentati e che hanno confermato di essere efficaci nel favorire la crescita umana.
Capacità e qualità che possono svilupparsi se, ma soltanto se, vengono riconosciute come indispensabili e coltivate con grande impegno e convinzione. 
Un abbraccio, Mario

venerdì 17 aprile 2020

PESTE E ALTRE CALAMITA' NATURALI: CONSEGUENZE DEL "PECCATO ORIGINALE" ?



Dai tempi di sant’Agostino (IV – V secolo), sino a quando andavo al catechismo per prepararmi alla Prima Comunione, alla domanda sul perché avvenissero cataclismi, terremoti, eruzioni vulcaniche, pestilenze e disastri naturali simili, la Chiesa cattolica rispondeva: “Conseguenze del peccato originale compiuto da Adamo ed Eva”. Il padre della Chiesa africano, immigrato a Milano, aveva dato la formula-chiave: “Da quando l’anima si è ribellata a Dio, il corpo si è ribellato all’anima e la natura si è ribellata al corpo”. Secondo molti teologi contemporanei questa spiegazione non regge più per almeno due ragioni. 
La prima è che, studiando la Bibbia con metodi esegetici rigorosi, si scopre che essa non insegna questa concatenazione di cause ed effetti: trasformare un racconto mitologico (i progenitori nel giardino dell’Eden) in resoconto storico di un evento effettivamente avvenuto (e, per giunta, dalle conseguenze disastrose perenni) è stato un errore madornale.
 La seconda ragione è che l’evoluzione delle scienze antropologiche rende incredibile la tesi che una coppia primitiva, appena un po’ più evoluta dei primati, abbia potuto rendersi responsabile di scelte catastrofiche per la propria esistenza e per il destino di miliardi di discendenti umani. 
      La dottrina del peccato “originale”, scartata come dispositivo argomentativo per spiegare i fenomeni naturali che provocano enormi danni agli esseri umani (anche se si tratta di fenomeni che hanno una propria logica e svolgono una funzione evolutiva), va dunque gettata nel cestino dei rifiuti?

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mercoledì 15 aprile 2020

UNA LETTERA SPIAZZANTE DELL'ATTUALE VESCOVO DI ROMA



Ai fratelli e alle sorelle dei movimenti e delle organizzazioni popolari
Cari amici,
Ricordo spesso i nostri incontri: due in Vaticano e uno a Santa Cruz de la Sierra, e confesso che questa "memoria" mi fa bene, mi avvicina a voi, mi fa ripensare ai tanti dialoghi avvenuti durante quegli incontri, ai tanti sogni che lì sono nati e cresciuti, molti dei quali sono poi diventati realtà. Ora, in mezzo a questa pandemia, vi ricordo nuovamente in modo speciale e desidero starvi vicino.
In questi giorni, pieni di difficoltà e di angoscia profonda, molti hanno fatto riferimento alla pandemia da cui siamo colpiti ricorrendo a metafore belliche. Se la lotta contro la COVID-19 è una guerra, allora voi siete un vero esercito invisibile che combatte nelle trincee più pericolose. Un esercito che non ha altre armi se non la solidarietà, la speranza e il senso di comunità che rifioriscono in questi giorni in cui nessuno si salva da solo. Come vi ho detto nei nostri incontri, voi siete per me dei veri “poeti sociali”, che dalle periferie dimenticate creano soluzioni dignitose per i problemi più scottanti degli esclusi.
So che molte volte non ricevete il riconoscimento che meritate perché per il sistema vigente siete veramente invisibili. Le soluzioni propugnate dal mercato non raggiungono le periferie, dove è scarsa anche l’azione di protezione dello Stato. E voi non avete le risorse per svolgere la sua funzione. Siete guardati con diffidenza perché andate al di là della mera filantropia mediante l'organizzazione comunitaria o perché rivendicate i vostri diritti invece di rassegnarvi ad aspettare di raccogliere qualche briciola caduta dalla tavola di chi detiene il potere economico. Spesso provate rabbia e impotenza di fronte al persistere delle disuguaglianze persino quando vengono meno tutte le scuse per mantenere i privilegi. Tuttavia, non vi autocommiserate, ma vi rimboccate le maniche e continuate a lavorare per le vostre famiglie, per i vostri quartieri, per il bene comune. Questo vostro atteggiamento mi aiuta, mi mette in questione ed è di grande insegnamento per me.
Penso alle persone, soprattutto alle donne, che moltiplicano il cibo nelle mense popolari cucinando con due cipolle e un pacchetto di riso un delizioso stufato per centinaia di bambini, penso ai malati e agli anziani. Non compaiono mai nei mass media, al pari dei contadini e dei piccoli agricoltori che continuano a coltivare la terra per produrre cibo senza distruggere la natura, senza accaparrarsene i frutti o speculare sui bisogni vitali della gente. Vorrei che sapeste che il nostro Padre celeste vi guarda, vi apprezza, vi riconosce e vi sostiene nella vostra scelta.
Quanto è difficile rimanere a casa per chi vive in una piccola abitazione precaria o per chi addirittura un tetto non ce l’ha. Quanto è difficile per i migranti, per le persone private della libertà o per coloro che si stanno liberando di una dipendenza. Voi siete lì, presenti fisicamente accanto a loro, per rendere le cose meno difficili e meno dolorose. Me ne congratulo e vi ringrazio di cuore. Spero che i governi comprendano che i paradigmi tecnocratici (che mettano al centro lo Stato o il mercato) non sono sufficienti per affrontare questa crisi o gli altri grandi problemi dell'umanità. Ora più che mai, sono le persone, le comunità e i popoli che devono essere al centro, uniti per guarire, per curare e per condividere.
So che siete stati esclusi dai benefici della globalizzazione. Non godete di quei piaceri superficiali che anestetizzano tante coscienze, eppure siete costretti a subirne i danni. I mali che affliggono tutti vi colpiscono doppiamente. Molti di voi vivono giorno per giorno senza alcuna garanzia legale che li protegga: venditori ambulanti, raccoglitori, giostrai, piccoli contadini, muratori, sarti, quanti svolgono diversi compiti assistenziali. Voi, lavoratori precari, indipendenti, del settore informale o dell’economia popolare, non avete uno stipendio stabile per resistere a questo momento... e la quarantena vi risulta insopportabile. Forse è giunto il momento di pensare a una forma di retribuzione universale di base che riconosca e dia dignità ai nobili e insostituibili compiti che svolgete; un salario che sia in grado di garantire e realizzare quello slogan così umano e cristiano: nessun lavoratore senza diritti.
Vorrei inoltre invitarvi a pensare al "dopo", perché questa tempesta finirà e le sue gravi conseguenze si stanno già facendo sentire. Voi non siete dilettanti allo sbaraglio, avete una cultura, una metodologia, ma soprattutto quella saggezza che cresce grazie a un lievito particolare, la capacità di sentire come proprio il dolore dell'altro. Voglio che pensiamo al progetto di sviluppo umano integrale a cui aneliamo, che si fonda sul protagonismo dei popoli in tutta la loro diversità, e sull'accesso universale a quelle tre T per cui lottate: “tierra, techo y trabajo” (terra – compresi i suoi frutti, cioè il cibo –, casa e lavoro). Spero che questo momento di pericolo ci faccia riprendere il controllo della nostra vita, scuota le nostre coscienze addormentate e produca una conversione umana ed ecologica che ponga fine all'idolatria del denaro e metta al centro la dignità e la vita. La nostra civiltà, così competitiva e individualista, con i suoi frenetici ritmi di produzione e di consumo, i suoi lussi eccessivi e gli smisurati profitti per pochi, ha bisogno di un cambiamento, di un ripensamento, di una rigenerazione. Voi siete i costruttori indispensabili di questo cambiamento ormai improrogabile; ma soprattutto voi disponete di una voce autorevole per testimoniare che questo è possibile. Conoscete infatti le crisi e le privazioni... che con pudore, dignità, impegno, sforzo e solidarietà riuscite a trasformare in promessa di vita per le vostre famiglie e comunità.
Continuate a lottare e a prendervi cura l’uno dell’altro come fratelli. Prego per voi, prego con voi e chiedo a Dio nostro Padre di benedirvi, di colmarvi del suo amore, e di proteggervi lungo il cammino, dandovi quella forza che ci permette di non cadere e che non delude: la speranza. Per favore, anche a voi pregate per me, che ne ho bisogno.
Fraternamente,
Francesco
Città del Vaticano, 12 aprile 2020, Domenica di Pasqua

domenica 12 aprile 2020

"LA GOCCIA CHE FA TRABOCCARE IL VASO": UN INSTANT BOOK A CURA DI PAOLO SCQUIZZATO

Sono giorni strani, anche dal punto di vista della fenomenologia religiosa.
Si va dalla strumentalizzazione blasfema del politico istrione, che blatera preghiere in TV,  all’icona del papa barcollante sotto la pioggia nel deserto di piazza san Pietro (che ha suscitato le reazioni più opposte). 
In questo contesto un prete ‘differente’ , don Paolo Scquizzato, ha avuto l’idea di assemblare un istant-book  in cui riportare  le voci di alcuni spiriti inquieti del panorama teologico italiano.
Così ha chiesto a Claudia Fanti, Paolo Farinella, Paola Lazzarini, Antonella Lumini, Alberto Maggi, Gianni Marmorini, Carlo Molari, Gianluigi Nicola, Silvano Nicoletto, Antonietta Potente, Gilberto Squizzato, Ferdinando Sudati, Antonio Thellung, Paolo Zambaldi e – bontà sua – anche a me,  come intendessimo  la preghiera in epoca di Covid-19: cosa possa voler  dire pregare un Dio in un momento buio come questo. Si è formato un mosaico, fatto di piccole tessere, ciascuna con il suo tratto personale, accomunate da una qualità trasversale: la sincerità. Il dire solo quello che veramente si pensa, senza preoccupazioni di ortodossia né di altro genere. 
Il libro, intitolato La goccia che fa traboccare il vaso, è edito dalle edizioni Gabrielli: può essere immediatamente acquistato via internet in formato elettronico e sarà, tra qualche settimana, anche in libreria in formato cartaceo.
Per ulteriori informazioni cliccare qui:

https://www.gabriellieditori.it/shop/spiritualita/paolo-scquizzato-la-goccia-che-fa-traboccare-il-vaso-la-preghiera/

venerdì 10 aprile 2020

UN PRO-MEMORIA PER IL DOPO VIRUS DA PAOLO RUMIZ



Paolo Rumiz, "la Repubblica", 27 marzo 2020

MI RICORDERO' DI VOI QUANDO SARA' TUTTO FINITO

Stamattina ho appeso fuori dalla porta un foglio con su scritto:

 «Mi ricorderò di voi quando tutto sarà finito. 
  Di voi che avete smantellato la sanità pubblica per finanziare centri di estetica e ora tuonate contro lo Stato perché mancano respiratori. 
  Di voi farisei che, mentre pontificavate sulla vita, mettevate il profitto davanti alla vita stessa, e la difesa dei beni davanti a quella delle persone. 
  Di voi, che ci avete coperto di veleni e lasciato desertificare l’Italia dei borghi;  
 e di voi, volonterosi partigiani dell’economia del saccheggio, dello scarto e dello spreco, che avete de-localizzato in Asia e tolto lavoro alla nostra gente. 
 E di voi, che avete coperto tutto questo, facendoci credere che il problema fossero gli immigrati, quando siete stati i primi a chiamarli per ingrassarvi il culo. 
  E soprattutto di voi, ultra-liberisti da talk show, che avete smantellato cultura e senso del dovere, obbligandoci a gestire questa emergenza più con la polizia che con l’educazione civica. 
  E infine di voi, che anche ora, nel momento estremo, seminate zizzania e bugie per coprire di fango chi senza clamore si spende per soccorrere gli ultimi».

Scritto d’impeto, dopo avere letto un report agghiacciante sulle responsabilità dell’ecatombe a Bergamo, epicentro dell’infezione, con centinaia di morti al giorno. 

PAOLO RUMIZ

martedì 7 aprile 2020

ANTONINO CANGEMI SU SICILIANI UN PO'...ORIGINALI



“IL GATTOPARDO”
Marzo 2020

ARISTOCRATIICI ECCENTRICI E POVERI TALENTUOSI

Per conoscere i siciliani di oggi riesce certamente istruttivo conoscerne alcuni di ieri. Chi ama i testi di storia ha solo l’imbarazzo della scelta fra tante monografie dedicate a personaggi illustri, da Archimede a Camilleri. Chi preferisce pagine più agili, al confine fra la saggistica e la letteratura, troverà gradevole la lettura di un libro recentissimo di Antonino Cangemi, Miseria e nobiltà in Sicilia, edito da Navarra, in cui si raccontano – come avverte il sottotitolo – Vite di aristocratici eccentrici e poveri talentuosi.
Tra i nobili troviamo poeti come Domenico Tempio, Antonio Veneziano e Lucio Piccolo; filantropi illuminati come Pietro Pisani, fondatore e primo direttore della Real Casa dei Matti di Palermo; donne fatali come l’immancabile Franca Florio, la cui fama sembra crescere – anziché sfumare – con lo scorrere dei decenni. Tra i  “poveri”, ma  “talentuosi”, sono evocate figure abbastanza note (come Tommaso Bordonaro, autore de La spartenza, e Filippo Bentivegna, lo scultore delle inquietanti pietre del suo “Castello incantato” nei pressi di Sciacca) e altre pressoché sconosciute (come Pietro Vento, detto Pietro Sasizza, che anch’io ebbi modo di incontrare più volte a Mezzojuso quando preparava per le feste aquiloni colorati e piccole mongolfiere, il cui volo incantava noi bambini con gli occhi sgranati).
Che cosa accomuna personaggi tanto diversi per ceto sociale, formazione culturale, scelte di vita? Nulla. Ma è proprio quest’assenza di affinità a risultare eloquente. Ancora una volta, infatti, conferma – come scrive Cangemi nell’Introduzione - che “i poli opposti si attraggono. Anche in Sicilia. O, forse, soprattutto in Sicilia. Quella Sicilia abbagliata dalla luce e oscurata dal lutto (per dirla con Bufalino), accecata dalle luminarie della festa e afflitta da ataviche amarezze, allegra e malinconica, ciarliera e silenziosa, vivace e apatica, dai colori accesi e dalle più tenebrose oscurità. Quella Sicilia assetata di giustizia e devastata da troppe iniquità, ribelle e rassegnata, clemente e inclemente, docile e aspra, in cui tutti vogliono vivere e da cui tutti vogliono scappare, dove il bello che incanta e sublima sino a estraniare confina con l’indecenza”. I siciliani, come i cittadini di ogni parte del mondo, abbiamo questo in comune: che ognuno di noi è unico.

Augusto Cavadi
www.augustoavadi.com

venerdì 3 aprile 2020

ANDREA PICONE CI AIUTA A RIFLETTERE SULLA CRISI ATTUALE




Dal profilo FB di Andrea Picone:


Nei dibattiti parlamentari (europei e italiani), nelle innumerevoli trasmissioni televisive, negli editoriali dei giornali si evoca il bisogno di "tornare al più presto alla normalità". Si citano, al proposito, vari episodi di assalti ai supermercati e si diffondono reportage di gente che giustamente denuncia di non avere neanche i soldi per fare la spesa.
Trovo pochi interventi, tuttavia, che evidenzino che la "normalità" portava in sé esattamente i geni dell'autodistruzione che stiamo vedendo adesso, sia dal punto di vista epidemiologico e sanitario, sia sociale.
NORMALITÁ non è consentire, e anzi foraggiare, come ha fatto per decenni il governo cinese e non solo, il diffondersi dei cosiddetti ‘wet markets’, i mercati di animali selvatici, rinchiusi in gabbie microscopiche in condizioni indegne, torturati e poi uccisi. Il ‘salto di specie’, già documentato in altri casi, è praticamente garantito, come puntualmente avvenuto. Lo stesso può dirsi per gli allevamenti intensivi in Europa finanziati con soldi comunitari, ovviamente.  
NORMALITÁ non è perseguire ricette economiche tanto stupide quanto autolesioniste (vediamo alcuni governi UE persistere ‘diabolicamente’), facendo finta che il divario tra le classi meno abbienti e i benestanti non si allargasse sempre di più, in Europa come nel resto del mondo. Per poi stupirsi che “toh, c’è il lavoro in nero” e, se per tre settimane ci si ferma, è ovvio che chi è costretto a lavori saltuari pagati alla giornata non ha niente da mettere in tavola.  
NORMALITÁ non è fare in modo che la ricerca, la serietà, la professionalità siano costantemente sottofinanziate o svilite, non è normale tagliare in modo criminale la sanità e il servizio pubblico, per poi stupirsi che non ci sono abbastanza posti letto in terapia intensiva. 

Ho sentito più volte ribadire, in questi giorni, l’ottimistica frase: “crisi è opportunità”. Lo è solo e se i paradigmi cambiano. Perché come scriveva dieci giorni fa Diego Garcia-Sayan su El Paìs, non è vero che il virus è democratico. Si, l’infezione può colpire il Principe Carlo o l’operaio dell’ILVA, ma sappiamo benissimo che non è la stessa cosa. Per adesso, la crisi da coronavirus ha semplicemente acuito le enormi disuguaglianze già in essere. 

Non sono affatto ottimista sul cambio di questi paradigmi. Non appena finita l’emergenza, sentiremo i vari Salvini, Meloni, Renzi & co. (abbiamo già avuto qualche succoso ‘antipasto’ come il Cazzaro Verde virologo, Giorgiona nazionale matematica e il ‘riformista’ toscano che vuole aprire tutto tranne il suo cervello) premere subito sulla necessità di produrre, di crescere ma anche di mettere da parte il Green deal perché "la gente non ce la fa". 
Sarà questa la vera sfida, lo pseudo-ricatto al quale, in UE come in Italia, le forze progressiste e ambientaliste non dovranno cedere e dovranno anzi essere capaci di essere credibili e propositive. Soprattutto verso chi oggi, al netto delle infiltrazioni criminali, è tentato di assaltarlo davvero il supermercato, e non per divertimento. 
Sentiremo, come abbiamo sempre sentito, la destra dire: “LAVORO O AMBIENTE”, “GRETA RADICALCHIC” “NO ALLA TRANSIZIONE” e altre amenità varie. 
E allora, o si è appunto credibili, inclusivi, sia individualmente, sia come collettivo, o è la fine. Perché significherà che non avremo imparato nulla, e il nostro pianeta sarà ad un passo dalla distruzione. Non sono tra quelli che dice “il virus è un avvertimento/punizione per l’uomo”. 
Per me la crisi da coronavirus è solo una logica conseguenza dei nostri errori. Siamo stati già avvertiti troppe volte, senza successo.  
Siamo ancora in tempo? Forse. Ma non dovremmo indugiare più di quanto abbia fatto Mamma Papera con la sua famigliola a Firenze in rapida escursione verso una parafarmacia. Venti secondi e poi #acasa.


Andrea Picone
Marzo 2020