venerdì 21 luglio 2006

LA TEORIA DI LATOUCHE


Centonove
21.7.06

COM’È TOSSICO LO SVILUPPO

“Lo ‘sviluppo’ è stato ed è l’occidentalizzazione del mondo. Ci sono parole dolci, che rinfrancano il cuore, e parole-veleno, che si infiltrano nel sangue come una droga, pervertono il desiderio ed oscurano il giudizio. ‘Sviluppo’ è una di queste parole tossiche” . Così Serge Latouche nel suo Si può sopravvivere allo sviluppo? tradotto recentemente in italiano dalla Bollati Boringheri di Torino. Come sfida, intellettuale e politica, non c’è male. Al tribunale del teorico della “decrescita” sono convocati in giudizio imprenditori, sindacati, governi (anche ‘progressisti’) e associazioni di volontariato internazionale. Per tutti uno stesso capo d’accusa: “Se si è a Roma e si vuole andare a Torino, e si è preso per sbaglio un treno per Napoli, non basta rallentare la locomotiva, frenare o anche fermarsi, bisogna scendere e prendere un treno nella direzione opposta. Per salvare il pianeta e assicurare un futuro accettabile ai nostri figli non ci si può limitare a moderare le tendenze attuali, ma bisogna decisamente uscire dallo sviluppo e dall’economicismo”.

Ai responsabili della Scuola di formazione etico-politica “G. Falcone” è sembrato che la sfida teorica e pratica fosse meritevole d’essere accolta, soprattutto dal punto di vista ‘meridiano’: dove la retorica dello ‘sviluppismo’ serve a legittimare i programmi elettorali più fumosi e inconsistenti e a giustificare le pratiche clientelari più spartitorie. Ormai da anni, d’altronde, intellettuali come Franco Cassano insistono sulla necessità che il Sud smetta di interpretarsi come il luogo “dove ancora non è successo niente e dove si replica male e tardi ciò che celebra le sue prime altrove”.
Da qui l’idea di invitare Latouche ad un seminario di quattro giorni ad Erice - dalla sera del 3 al pranzo del 6 agosto (per informazioni e prenotazioni tf. 338.6132301-091.587437) - per provare a discutere con lui in maniera meno frettolosa di quanto consentano i dibattiti radiofonici o televisivi a base di slogan.
Dopo la relazione iniziale dell’economista francese, la discussione sarà avviata di volta in volta da alcuni esperti (Umberto Santino del Centro “G. Impastato”, Salvo Vaccaro dell’Università di Palermo e Santo Vicari della “Università etica per la condivisione della conoscenza” di Bruxelles) che, pur muovendosi in un’ottica analoga, hanno maturato perplessità, riserve e critiche rispetto alle tesi di Latouche. Non è difficile, infatti, che esse - acute nella diagnosi del modello capitalistico dilagante, con le buone e con le cattive, su quasi tutto il pianeta – risultino meno convincenti quando si tratta di controproporre delle terapie. E’ vero, infatti, che - “di fronte alla mondializzazione” – bisogna reagire con “una vera e propria decolonizzazione dell’immaginario e una deeconomizzazione degli spiriti, necessarie per cambiare il mondo prima che il cambiamento del mondo ci condanni a vivere nel dolore. Bisogna cominciare a vedere le cose diversamente perché possano diventare diverse, perché si possano concepire soluzioni veramente originali e innovative ”. Ma, in concreto, come attuare una “decrescita conviviale” ed un “localismo” virtuoso che restituisca alla gestione democratica dal basso la governance? Il professore parigino non è prodigo di indicazioni operative (anche perché le strategie di coinvolgimento dei partiti, dei sindacati, degli stessi governi nazionali e regionali, vanno calibrate secondo il contesto specifico delle aree del pianeta). D’altronde non si può pretendere da un intellettuale che - oltre ad indicare la méta - preconfezioni i mezzi per raggiungerla. Latouche stesso sembra esserne convinto quando scrive: “l’alternativa allo sviluppo” non può “prendere la forma di un modello unico. Il doposviluppo è necessariamente plurale”. Sarebbe un passo importante se all’appuntamento di Erice si sentissero convocati non solo rappresentanti del volontariato e del mondo scolastico-universitario, ma anche delle istituzioni locali: non sarebbe tempo di uscire dalla logica della navigazione a vista, tra una tornata elettorale e l’altra, per provare a progettare sul lungo periodo un futuro diverso?

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