venerdì 18 gennaio 2008

STORIA DI DUE QUACCHERE


Centonove 18.1.2008

NELLE GRINFIE DELL’INQUISIZIONE

I quaccheri, nella variegata e variopinta famiglia delle confessioni cristiane, sono tra i più intransigenti sostenitori del pacifismo e della nonviolenza. Un intrigante documento di questa propensione è costituito dal racconto autobiografico di due donne inglesi del Seicento che una docente dell’Università di Catania - Stefania Arcara - ha tradotto e arricchito di una lunga e dotta “Introduzione”, oltre a sobrie note a piè di pagina. E’ così arrivato nel circuito editoriale, in questi giorni, l’ elegante volume Messaggere di luce. Storia delle quacchere Katherine Evans e Sarah Cheevers prigioniere dell’Inquisizione (Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2007, pp. 183, euro 20,00), ospitato nella Collana “Oi cristianoi” diretta magistralmente da Sergio Tanzarella. .

Le due amiche (”predicatrici, profetesse, visionarie, indomite viaggiatrici”) ardono dal desiderio di convertire alla loro confessione religiosa persino gli africani e così partono da Plymouth alla volta di Alessandria d’Egitto. Ma, dopo uno scalo a Livorno, dovranno fare una seconda tappa a Malta. L’accoglienza nell’isola è principesca: il console inglese le invita a casa e le presenta a parenti ed amici. Purtroppo fanno parte della cerchia anche dei Gesuiti che non gradiscono lo zelo missionario delle due protestanti e le denunziano al tribunale dell’Inquisizione. Che, ovviamente, le sottopone a processo. Un processo un po’ strano, in verità: le imputate, con fierezza, sostengono di essere state incaricate da Dio stesso di convertire dalle false credenze e dai costumi immorali il resto dell’umanità, a cominciare proprio dai…giudici dell’Inquisizione. Gli estenuanti, ripetuti interrogatori sono per Katherine e Sarah l’occasione di esporre il “credo” della chiesa fondata da George Fox cui appartengono: un “credo” che recupera l’essenziale del messaggio cristiano (compresa la possibilità per le donne di esercitare - come sottolinea Adriana Valerio nella sua Premessa - il dono della profezia), che valorizza la luce naturale dell’intelligenza (meritandosi, come ricorda Pier Cesare Bori nella sua Postfazione le lodi di pensatori quali Voltaire, Emerson, James, Weber) e che rifiuta, con fermezza, quei dogmi che la chiesa cattolica ha ritenuto di poter formulare, nel corso dei secoli, a partire dal dato biblico originario. L’esito del processo è scontato. Alle prigioniere viene posta innanzi l’alternativa: “Se prenderete il nostro sacramento, potrete avere la vostra libertà, altrimenti il Papa non vi rilascerà neanche per milioni d’oro, ma perderete le vostre anime e anche i vostri corpi”. La risposta, però, è altrettanto scontata: “Il Signore si prende cura delle nostre anime e i nostri corpi sono liberamente offerti al servizio del Signore. (…) Il Signore non ha affidato la responsabilità delle nostre anime al Papa, né a voi”. La reazione diventa sempre più dura, sino alle minacce più feroci: “Sarai frustata, squartata e bruciata questa notte a Malta, insieme alla tua compagna”. Con questo decorso, ci si sarebbe aspettato il peggio. Imprevedibilmente, però, l’Inquisitore alla fine le lascia partire per la madre patria (dove arrivano passando, tortuosamente, per l’Italia, la Spagna e il Marocco).
Chiuso il libro, è difficile dimenticare le protagoniste (anche se il genere letterario della loro scrittura, zeppo di citazioni bibliche implicite e di stereotipi leggendari, è ormai lontano dai nostri gusti): costituiscono quasi una sintesi di tutto l’anticonformismo che si poteva sperimentare nel loro ambiente. In una società maschilista, sono donne attivamente intraprendenti; contro la chiesa ufficiale anglicana, aderiscono ad una comunità cristiana minoritaria ed anti-istituzionale; a differenza dei loro persecutori, si appellano alla “mansuetudine” dei nonviolenti (”Cristo non era un persecutore, non imprigionò mai nessuno, né fece mai soffrire nessuno”). Quando un frate dell’Inquisizione ordina di mettere i ceppi ai piedi di Sarah , come sottolinea Arcara nel suo saggio, “lei lo affronta con un disarmante gesto di non-violenza, chinando il capo: ‘Non solo i miei piedi, ma le mani e il collo offro per la testimonianza di Gesù′, tanto che l’ira dell’uomo si placa”. Quando, dopo aver spiegato che i cattolici “giudicavano dannati tutti coloro che non erano della loro fede”, viene loro chiesto se condividessero lo stesso giudizio nei confronti dei non appartenenti alla “Società degli Amici”, rispondono: “No, we had otherwise learned Christ”. Quando apprendono che stanno per arrivare, nell’isola in cui sono recluse, “venti navi provenienti dalla Francia e dalla Spagna per unirsi ai Cavalieri di Malta nella guerra contro i Turchi”, una di loro avverte l’esigenza interiore di “profetizzare contro di loro”: “Non andate ad assassinare, ad uccidervi l’un l’altro. Cristo non è venuto per distruggere la vita, ma per salvarla”. Purtroppo l’appello rimane inascoltato: i prodi guerrieri cristiani “tornarono con grande perdite e la loro gioia si trasformò in dolore, la loro allegria in lutto”. Come spesso sarebbe accaduto, anche quella volta la crociata contro l’impero del Male si risolse in un boomerang fallimentare.

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