venerdì 6 giugno 2014

CRISI DELLA LETTURA (E DEL LIBRO) ?


“Centonove”, 6.6.2014


    CRISI DELLA LETTURA. ANZI NO
  C’è davvero una crisi epocale della lettura, dell’atto antico e ogni volta inedito di leggere un testo? Questo week-end siciliano (da venerdì 6 a domenica 8 giugno) , con Una marina di libri (Galleria d’arte moderna) a Palermo e con A tutto volume in vari luoghi di Ragusa Ibla, ripropone l’interrogativo: tutte queste iniziative, infatti, possono essere lette come sintomi ambigui di floridezza o, al contrario, di reazione a una fase di magra.
  A sentire le dichiarazioni di rito degli opinion leader  - in particolare del sottogruppo  dei politici che di solito arrivano a leggere in un anno solo i libretti che qualcuno scrive a nome e per conto loro – la risposta sarebbe nettamente affermativa. Basta però analizzare la congerie di fattori che essi mettono in sequenza come causa della crisi  - “cellulari, tablet, internet… “ -  per intuire che non sanno di che parlano. Non sospettano neppure che, tra fattori di probabile disincentivazione alla lettura dei libri (le mille opportunità e le mille distrazioni della rete) e fattori irrilevanti (la diffusione dei cellulari), ve ne sono di altamente incentivanti (tablet e lettori di e-book). Ma qualcuno di loro ha mai usato un tablet per leggere Wittgenstein o Neruda? Anzi: ha mai sospettato che servisse anche a questo? D’altra parte, perché avrebbe dovuto sospettarlo dal momento che non ha mai letto Wittgenstein o Neruda in edizione cartacea?
      Accantonate le argomentazioni da operetta sulla crisi del libro, ne restano comunque di ben più serie. Ne evidenzio solo due tra altre.
     La prima è che “con la cultura non si mangia”. Il ministro dell’infelice dichiarazione si riferiva all’economia di un Paese e aveva, evidentemente, torto. Ma, su scala individuale, aveva drammaticamente ragione. Nella mia famiglia d’origine, tra i cugini di primo grado, si è verificata una proporzionalità inversa quasi matematica fra titoli di studio acquisiti e redditi annuali. Fuori dalla mia famiglia, tra compagni di scuola e conoscenti, ho osservato invece una proporzionalità diretta (quasi altrettanto matematica) fra allergia alla carta stampata e rapidità di carriera (soprattutto in politica). Chi non perde tempo a leggere Leopardi o Carofiglio, ne ha molto di più per coltivare amicizie sincere e relazioni clientelari, moltiplicando vertiginosamente le probabilità di diventare sindaco o assessore regionale.  E’ ovvio che, in questo clima, ogni generazione è meno incoraggiata della precedente a investire tempo, energie e denaro nella frequentazione dei libri, con conseguente crisi dell’editoria, della distribuzione, delle librerie. Un po’ diversamente andrebbero le cose se, al posto di Giulio Tremonti, avessimo un clone di Wiston Churchill: quello stesso che, alla richiesta di diminuire i fondi per l’arte  a favore dell’investimento bellico contro il nazismo, avrebbe risposto “Ma allora per cosa stiamo combattendo?”.
     Una seconda ragione profonda, strutturale, della crisi del libro è che esso sta attraversando un mutamento epocale. Chi se ne allarma, mostra di non avere memoria storica. Già la nascita dell’oggetto materiale “libro” fu avvertita come un trauma pericoloso: Platone si fa portavoce (paradossale, perché lo ha fatto anche mediante scrittura) della preoccupazione che, passando dall’oralità alla scrittura, si perda la vera sapienza. Duemila anni dopo, l’invenzione dei caratteri mobili della stampa e il passaggio dalla pergamena di papiro alla carta industriale, segna un altro trauma: che ne sarà del libro ora che, da oggetto esclusivo di aristocrazie spirituali, diventerà una merce acquistabile da tutti a pochi fiorini?  Oggi attraversiamo una terza rivoluzione: il combinato disposto del web (che custodisce quasi tutto ciò che è stato scritto nella storia dell’umanità) e dei vari strumenti di lettura elettronica (che rendono fruibile gratuitamente e immediatamente quel patrimonio universale) mette in crisi certamente il libro come oggetto-cartaceo, ma come oggetto-in-sé ne rivaluta e ne rilancia la popolarità su scala mondiale. Ci sarà sempre, anzi sempre di più, bisogno di una figura come l’editore attuale che selezioni e salvi (su qualsiasi supporto materiale) , dall’oceano delle parole fluttuanti nella mediasfera, ciò che merita di essere selezionato e salvato: anche per evitare che il lettore isolato rimanga travolto dalla marea di informazioni che la caduta dei muri di carta sta causando per le vie e i viottoli della Terra.
     La questione esssenziale sul destino della scrittura è comunque altrove. Autodisciplina e controllo sociale recipoco dovrebbero limitare l’inflazione di ciò che si pubblica, facilitata proprio dalla caduta dei costi di pubblicazione e dal moltiplicarsi dei canali di diffusione. La sapida battuta di Troisi (“Sono sempre indietro con la lettura: perché loro sono tanti che scrivono, io sono solo che leggo!”) ha acquistato, con i decenni, pertinenza. Si dovrebbe scrivere solo dopo aver molto letto, molto meditato e – più in radice – molto vissuto.
     Da parte sua il lettore, se non vuole disperdersi e estenuarsi, potrebbe farsi più esigente e concentrare tempo e denaro  - soprattutto attenzione – sui libri che, nascendo dalla vita dello scrittore, modificano la vita di chi legge (anche e soprattutto quando non se lo propongono esplicitamente). Scartati i testi “ideologici” in senso dottrinario o pedagogico, politico o confessionale, ci si limiti ai libri belli perché divertenti o spaesanti, confortanti o angoscianti, che ci parlano del nostro io meglio di come sappiamo fare noi o che ci fanno capire dove sta andando il mondo  meglio di come lo sappia il mondo.  Sarà stata una scelta oculata? Non lo sapremo mai. Un indizio significativo, comunque, se – quando avremo chiuso il libro – qualche altro avrà l’impressione, vedendoci muovere per le strade della vita, che in qualche misura siamo diventati noi libro per gli altri.
                                                               www.augustocavadi.com

1 commento:

Maria D'Asaro ha detto...

"Il lettore, se non vuole disperdersi e estenuarsi, potrebbe farsi più esigente e concentrare tempo e denaro - soprattutto attenzione – sui libri che, nascendo dalla vita dello scrittore, modificano la vita di chi legge" e quindi: "Un indizio significativo, comunque, se – quando avremo chiuso il libro – qualche altro avrà l’impressione, vedendoci muovere per le strade della vita, che in qualche misura siamo diventati noi libro per gli altri". Davvero illuminanti queste frasi, che suggeriscono la necessità di un legame profondo e autentico tra vita e scrittura, e dunque tra cuore, mente e cammino esistenziale.