mercoledì 5 ottobre 2016

MA PAPA FRANCESCO SA DI COSA PARLA QUANDO ATTACCA LA TEORIA GENDER ?

Per chi, come me, tifa per papa Francesco nella difficile partita che ha ingaggiato con l'intero sistema curiale vaticano (esponente apicale della cattolicità più conservatrice e retrogada del pianeta), è davvero un dispiacere ascoltare certe sue affermazioni (più o meno 'aeree') sulla questione dei generi sessuali. Non che il papa debba essere necessariamente d'accordo con le punte più mature della ricerca intellettuale ed etica contemporanea, ma rattrista supporre che egli attacchi bersagli su cui è poco informato. O su cui, in buona o meno buona fede, è mal informato dai suoi più stretti collaboratori.
Riproduco, per quei pochi che volessero andare al di là degli slogan di un colore o di un altro, il documento a suo tempo emanato dalla sezione italiana del  movimento internazionale"Noi siamo chiesa": chi sa se, gira e rigira, non dovesse capitare pure sotto gli occhi di papa Bergoglio...
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La campagna contro il gender combatte contro un nemico che non esiste. Valorizziamo la ricchezza della differenza sessuale e nelle scuole educhiamo ad accettare  serenamente le diversità.
Il fantasma
Un fantasma si aggira nelle nostre parrocchie e nelle nostre scuole, è quello del gender (oppure della teoria del gender, dell’ideologia del gender o espressioni simili). Si aggira e crea ansie, preoccupazioni e problemi, soprattutto nelle persone semplici. Il fantasma usa parole semplificate e slogan tipo: “attenzione! la differenza sessuale tra maschio e femmina nel percorso inevitabile del progresso, nell’avanzare della civiltà finisce con l’essere ridotta e poi cancellata”. Il fantasma, sarebbe promosso – si dice- da una specie di complotto, supportato da molto denaro e da grandi media, e organizzato da una lobby che fa capo al circuito degli omosessuali, genericamente intesi. Il complotto cercherebbe di penetrare nelle scuole di ogni ordine e grado, a partire da quelle dell’infanzia per portarvi lentamente un vero e proprio pensiero unico per quanto riguarda il rapporto tra i sessi. Nelle formulazioni più elaborate, secondo i suoi detrattori, esso mirerebbe a distruggere la famiglia, a lasciare l’uomo nella sua solitudine di consumatore e di suddito di fronte alla prepotenza del potere economico.
Insomma la propria identità la si costruisce, il sesso viene scelto, la percezione del proprio genere prescinde dal sesso biologico, la realtà e il valore delle differenze sessuali viene negato. Questo fantasma, così presentato con poche analisi e ragionamenti, suscita, in modo comprensibile, emozioni su un terreno molto sensibile, quello del rapporto con i figli e della famiglia considerata da molti come qualcosa –forse l’unica- che “tiene” nel contesto della crisi economica. “Vogliamo una famiglia con mamma e papà e i bimbi al centro protetti nella loro innocenza che il gender si ripromette di traviare”: sono parole di Massimo Gandolfini , presidente del Comitato “Difendiamo i nostri figli” e leader nazionale di tutta la campagna sul gender.
Prospettiva di genere, non gender
In realtà quanti si sono occupati seriamente degli “studi di genere” sanno che essi hanno forme e teorie diverse tra loro, che non ha senso parlarne in modo univoco, indistinto e caricaturale come se fossero una cosa sola e che esistono riflessioni teologiche, elaborate anche nell’ambito della teologia femminista, che ne propongono un’assunzione critica che può essere positiva per l’antropologia cristiana. E’ appunto quello che facciamo noi quando parliamo di “prospettiva di genere” che è il rapporto tra la differenza sessuale e il contesto sociale e culturale con cui essa si confronta.
Il movimento delle donne poi, che ha avuto tra i suoi riferimenti l’elaborazione della “teoria della differenza sessuale”, ha affrontato da tempo il ruolo che ha la società nelle relazioni uomo-uomo-donna-donna e nella formazione delle famiglie. In tali approfondimenti la questione di genere e gli studi sul genere sono ben differenti dalla teoria gender, come sopra detta, da cui anzi prendono ampiamente le distanze. Essi muovono una forte critica alla definizione tradizionale dei ruoli attribuiti ai due sessi. Ciò ha significato per le donne la relegazione alla subalternità, alla funzione passiva nella famiglia, alla inferiorità giuridica e sociale e alla generalizzata discriminazione, mentre per gli uomini ha significato un ruolo forte, possessivo e di superiorità, anche di violenza. L’intrecciare l’uguaglianza per quanto riguarda i diritti, le pari opportunità e la uguale rappresentatività dei due sessi nella sfera pubblica e privata, con la valorizzazione delle differenze è quindi un obiettivo da perseguire. Ciò significa non relegare i due generi sessuati in ruoli prestabiliti ma salvaguardare le loro differenze. L’educazione al superamento dei ruoli e la formazione delle diverse personalità nella libertà d’espressione è la modalità con cui educare le bambine ed i bambini fin dalla prima età. L’assunzione di una prospettiva di genere, nel senso che abbiamo detto, in ogni contesto della vita famigliare e sociale può consentire a ciascun soggetto di sviluppare a pieno la propria personalità e anche, di conseguenza la possibilità della migliore espressione della sessualità, etero od omo.
Natura immutabile
Purtroppo però la proposta di assumere “una prospettiva di genere”, se non capita e presentata in modo grottesco, suscita subito una reazione immediata e contraria che radicalizza tutto e blocca in partenza ogni riflessione pacata su problemi veri. Si sostiene allora che esisterebbe- anzi che esiste- un ordine trascendente, presociale, immutabile, non negoziabile, di segno del tutto opposto a quello del gender, come sopra inteso e che pensa solo al matrimonio ordinato alla procreazione. Questa opinione ha alle spalle una cultura fondata sulla gerarchizzazione delle differenze tra uomo e donna, sulla diffidenza o l’esclusione nel confronto di tutto quanto sta al di fuori del predeterminato binarismo sessuale, sulla presa di distanza a priori nei confronti delle riflessioni del movimento femminista, a favore del controllo solo naturale della fecondità e, alla fine, sul mantenimento di una posizione di potere maschile nella società e anche nella Chiesa.
Natura e cultura
Questa questione coinvolge grandi problemi che riguardano cosa intendiamo oggi, come cristiani, per natura e per cultura e se sappiamo considerare anche la storia in questo percorso di riflessione. Sono tematiche complesse, non possono essere banalizzate, semplificate, ci dispiace che di esse non si riesca a parlare serenamente. Esse hanno ripercussioni immediate sulla percezione che abbiamo del nostro stesso essere come persone credenti, con i nostri vincoli affettivi e famigliari, che vivono e agiscono nella comunità cristiana. E’ diverso ritenere che la Natura sia solamente qualcosa di immutabile, da sempre perenne, creata da Dio, solo da capire e da rispettare, o pensare invece che essa fa i conti col flusso del divenire nei secoli e nel quotidiano, perché è parte dello scorrere della Creazione nella sua ricca pluralità che si manifesta nella storia. Anche nel pensiero cattolico ufficiale è acquisito che il discorso sulla natura non può essere sviluppato senza tenere conto della cultura (si legga il testo della Commissione Teologica Internazionale del dicembre 2008 “Alla ricerca di un’etica universale: un nuovo sguardo sulla legge naturale” leggibile su <http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_con_cfaith_doc_20090520_legge-naturale_it.html#3.2. Natura, persona e libertà>).
Il messaggio di verità dell’Evangelo non discetta sulla Natura ma dice parole di verità sulla misericordia, sulla fraternità e la sororità nei rapporti umani di ogni tipo a partire da quelli tra i due sessi, nella vita e nella Chiesa. Non ci sono più, allora, “sabati” pesanti da osservare, criteri di esclusione nei confronti dei “diversi” a causa della loro condizione che è anch’essa opera di Dio, oppure attenzione solamente alla difesa della propria identità o della propria (presunta) ortodossia. E’ certamente più difficile cercare di capire i segni dei tempi che affermare certezze e trovare antagonisti a cui contrapporre la propria verità. La posizione dei cattolici “conciliari” sui segni del divenire ha -ci sembra- in questo momento due punti fermi: la differenza tra uomo e donna è una realtà ed una ricchezza da ribadire a piena voce contro ogni mistificazione da qualsiasi parte provenga; contemporaneamente l’assunzione della “prospettiva di genere” - per come noi la intendiamo- esprime il carattere variabile delle esperienze e della relazioni tra i sessi che, soprattutto in questo momento storico, significa il superamento delle logiche patriarcali nel rapporto uomo/donna e l’accettazione delle diversità, nelle loro multiformi manifestazioni, in particolare di quelle conseguenti all’esistenza di fratelli e di sorelle di tendenza omosessuale.
Chi sostiene che il patrimonio genetico e l’anatomia fanno i conti con l’educazione, i simboli, le ideologie, il linguaggio, le credenze e soprattutto il contesto sociale ed economico, non sta organizzando alcun complotto. In questo “fare i conti” con la realtà ogni cristiano dovrebbe cercare di acquisire quanto di più evangelico vi si può cogliere. La ricchezza della pratica e della riflessione femminile, sia interna che esterna alla Chiesa, costituisce l’esempio -ci sembra- di un apporto creativo e positivo in quella che abbiamo detto essere la “prospettiva di genere”.
La Chiesa è ferma
La Chiesa dovrebbe arricchirsi riflettendo su queste tematiche. Per esempio, potrebbe prendere atto che “i documenti conciliari non si soffermano a definire la specificità femminile; nella Gaudium et Spes il soggetto umano è presentato in modo apparentemente neutro; rari sono gli accenni a questioni che riguardano il genere sul piano della pratica ecclesiale e della visione di Chiesa” (Serena Noceti). Anche i testi conciliari risentono di come ogni teoria antropologica occidentale sia nata e si sia sviluppata intorno a un “maschile” universalizzato e dichiarato neutro. Il Concilio fu tenuto in un periodo in cui la riflessione a partire dal femminile era ben più scarsa di adesso.
Proprio perché bisogna cogliere i segni dei tempi attendiamo dei passi in avanti nella comprensione del genere. I vecchi modelli dei ruoli maschili autoritari dovrebbero essere modificati più rapidamente, quelli femminili dell’apparenza e della subalternità altrettanto, i ruoli maschili e femminili dovrebbero essere meno separati, le disuguaglianze, ancora molto evidenti, soprattutto nella struttura e nella pastorale della Chiesa, eliminate. Siamo ancora al punto di partenza. Gli attuali ruoli sono rigidi, quasi come lo erano nei tempi preconciliari, pietrificati. Il popolo cristiano, salvo importanti minoranze, è poco reattivo; sulle questioni di morale sessuale scattano diffidenze e silenzi. La Gerarchia su queste questioni è arretrata e intimorita oppure subisce la realtà degli aspetti negativi della secolarizzazione senza avere idee o iniziative. Ci sono purtroppo le condizioni perché la campagna contro il preteso complotto gender trovi il mondo cattolico italiano, nel suo complesso, abbastanza impreparato, in particolare su ogni dimensione nuova delle relazioni tra i sessi. E questa campagna, da tutte le notizie che abbiamo, è contro i mulini a vento, cioè contro un avversario che è solo immaginato ma non reale. Ma il futuro porterà inevitabilmente al cambiamento. Vito Mancuso è convinto che la Chiesa cambierà, comprendendo quanto ora non capisce su come il sesso è presente nella società e nella storia e che sarà accettata “una pluralità di amori umani” in una società e in una Chiesa capace di accogliere tutti. E allora le attuali situazioni di “minoranza sessuale” saranno veramente accolte come fatto naturale, su cui la discussione è chiusa, come ora è chiusa la discussione sulla democrazia politica e sulla libertà di coscienza che furono demonizzate per troppo tempo.
Riassumendo, ci sembra di poter dire che il complotto gender, per come viene presentato, non esiste affatto, che la differenza sessuale invece esiste ed è importante, che la comprensione del genere, inteso come abbiamo cercato di indicare in sintesi, è un reale arricchimento per capire veramente le relazioni tra i sessi, il loro evolversi e il loro miglioramento, ed infine che la Chiesa e il mondo cristiano sono, in generale, in ritardo.
Come nasce la campagna
La campagna è in corso da quasi due anni ed ha solo alcune caratteristiche di quelle precedenti (Family Day, referendum sulla legge n.40). Gli strumenti sono: l’Avvenire in modo martellante e con i suoi principali editorialisti, gli intellettuali di area (appello del giugno scorso), un’area di parlamentari molto attiva, molti siti Internet e un circuito di associazioni. Il casus belli per il decollo della campagna è stato, nell’aprile 2014, la preparazione da parte dell’Istituto A.T.Beck (associazione di psicologi e psicoterapeuti) di tre opuscoli –uno per ogni ordine di scuola- dedicati agli insegnanti con lo scopo di attivare interventi di educazione alla non discriminazione e contro il bullismo omofobico nelle scuole mediante un piano triennale di azioni pilota chiamato “Educare alla diversità nella scuola” (vedi i testi su http://espresso.repubblica.it/inchieste/2014/04/08/news/tutti-i-libretti-dell-unar-sull-diversita-nella-scuola-1.160258). Questi opuscoli avrebbero potuto essere utilizzati nelle scuole solo se richiesti dai dirigenti scolastici. Erano quindi un sussidio solo proposto senza che vi si fosse niente di obbligatorio. Gli opuscoli sono stati violentemente accusati di essere diretta espressione della lobby LGBT (lesbiche, gay,bisessuali,transessuali) e quindi strumento principe del “complotto”.
L’iniziativa degli opuscoli era partita dalla Presidenza del Consiglio (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali-UNAR all’interno del Dipartimento delle Pari Opportunità), anche sulla base di input provenienti dal Consiglio d’Europa. A quanto si capisce, il Ministero della Pubblica Istruzione si è trovato scavalcato e, all’inizio delle polemiche, ha subito bloccato la diffusione degli opuscoli. In seguito nel settembre 2015, il Ministero, davanti all’incalzare della campagna, ha dovuto diffondere una circolare (n.1972 del 15-9) per assicurare che la nuova legge sulla “buona scuola” non avvallava in alcun modo le iniziative paventate dalle associazioni promotrici della campagna. La ministra Giannini su queste iniziative è stata esplicita “Si tratta di una colossale truffa ai danni della società”. Se si leggono i tre opuscoli ci si rende conto facilmente che si tratta di validi e accurati strumenti per una didattica di tipo sperimentale all’intermo della realtà della scuola di oggi, dove episodi e comportamenti di bullismo sono presenti e anche in crescita. Vi appare evidente lo scopo di promuovere presso la generalità della popolazione studentesca interventi di informazione e di formazione per quanto riguarda il comportamento nei confronti dei ragazzi e delle ragazze che manifestino tendenze omosessuali o che appaiano averle e che, nel periodo scolastico, vivono il momento più delicato della presa di coscienza della loro condizione.
La campagna in corso
La campagna sul gender con le caratteristiche descritte è ora diffusa nelle nostre scuole e coinvolge parrocchie e diocesi, anche se a macchia di leopardo ma in alcune situazioni (per esempio Brescia e Verona) è presente in modo ossessivo, organizza assemblee (per esempio oltre 200 a Brescia, dove un arco di forze laiche e cattoliche ha reagito con un proprio manifesto), stampa molto materiale propagandistico, affigge anche manifesti. Molti gruppi hanno fatto propaganda sul territorio contro il gender con riferimento a situazioni assolutamente estranee ad esso, come corsi di educazione affettiva e sessuale, od usando notizie infondate e manipolate. Per esempio, la questione delle Linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) in materia sono state presentate come se volessero indurre i bambini all’omosessualità e alla pratica della masturbazione attraverso l’attività scolastica; cosa del tutto falsa (si legga in proposito un’accurata disamina di questo testo e della manipolazione che ne viene fatta su :<http://www.ordinepsicologilazio.it/blog/psicologia-della-vita-quotidiana/educazione-sessuale-nelle-scuole-no-gender-no-party/>.
La campagna è supportata in modo costante e incalzante dal Card. Angelo Bagnasco, presidente della CEI, che non si è risparmiato in ogni sua trimestrale prolusione agli incontri del Consiglio Episcopale Permanente e in altre occasioni. “Il gender- egli dice-pone la scure alla radice stessa dell’umano per edificare un “transumano” in cui l’uomo appare come un nomade privo di meta e a corto di identità” (23-3-2015). Il Presidente della CEI non usa più l’espressione “valori non negoziabili” perché essa non piace al Papa ma la sostanza è la stessa, quella di grande asprezza verso la cultura “laica” e della difesa di principi ritenuti immutabili. Gli incontri nelle parrocchie hanno quasi sempre le caratteristiche di appassionati e demonizzanti concioni, intolleranti e molto preordinati nei contenuti. Li conosciamo dal vivo. Chi voglia leggere due cronache efficaci le trova su www.noisiamochiesa.org/?p=4592. Il vittimismo e la proposta di fare quadrato contro una “aggressione esterna” sono altri elementi caratterizzanti questa campagna, che si estende, cosa scontata, al contrasto nei confronti dei progetti di legge Scalfarotto contro l’omofobia e Cirinnà sulle unioni civili.
Il momento più visibile e clamoroso della campagna è stata la manifestazione del 20 giugno scorso a piazza S. Giovanni a Roma promossa da un cartello dal nome “Difendiamo i nostri figli”. La grande partecipazione testimonia di quanto il gender, così presentato, tocchi un’area di base del mondo cattolico, sensibilissima ad ogni questione che riguardi l’educazione e la famiglia, pronta a mobilitarsi anche su parole d’ordine che a noi sembrano fuorvianti. Che dubbi od opinioni perplesse sul 20 giugno, per i suoi contenuti ed i suoi metodi, ce ne fossero è testimoniato dall’assenza di grandi associazioni (C.L., Azione Cattolica, Rinnovamento dello Spirito, S.Egidio, ACLI, AGESCI, Focolarini) tra i promotori della manifestazione. E’ stata una iniziativa nata dal basso e in parte sfuggita di mano alla CEI, soprattutto nel metodo. In piazza è stato criticato Mons. Nunzio Galantino, segretario della CEI, per il suo poco “entusiasmo”, ma il Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia Mons. Paglia ha scritto ai promotori auspicando “pieno successo”.
Dal suo inizio, peraltro, tutta la campagna ha suscitato, sempre di più, perplessità e critiche aperte da numerosi esponenti autorevoli della riflessione teologica e culturale del mondo cattolico (ricordiamo, tra gli altri, Christian Albini, Domenico Barillà, Paola Gaiotti, Vito Mancuso, Serena Noceti, Alberto Pellai, Cristina Simonelli, Selene Zorzi). I punti di vista che stiamo esponendo si sono serviti anche di questi contributi. Su tutte queste questione è nato il circuito “Educare alle differenze”, che riunisce docenti, genitori ed esperti. Esso ha già organizzato due incontri nazionali a Roma (settembre 2014 e 2015) con centinaia di partecipanti e di adesioni da parte di gruppi ed associazioni. Hanno parlato di positive esperienze presenti nelle nostre scuole che vanno in direzione opposta alla campagna sul gender, nei cui confronti c’è una polemica diretta e vivace. C’è anche una polemica nei confronti del governo per lo scarso impegno concreto nel fornire strumenti e incentivi nella didattica su questa questione.
Papa Francesco
Papa Francesco è intervenuto poche volte sulla questione chiedendosi, per esempio, se la cosiddetta teoria del gender “non sia anche l’espressione di una frustrazione e di una rassegnazione che mira a cancellare la differenza sessuale, ma ciò è il problema non è la soluzione”. Altre volte ha parlato di possibile “colonizzazione ideologica” e di “sbaglio della mente umana che crea tanta confusione”. A noi sembra che il papa abbia usato un linguaggio riguardante qualcosa che in realtà egli non conosce a fondo, perlomeno per come essa si manifesta nel nostro paese. Possiamo affermare questa sua non conoscenza anche per quanto riguarda il pensiero “femminile” elaborato da molte teologhe del nostro paese e fuori. Il papa, in questo caso, ci sembra riprenda quanto detto da altri senza essere consapevole - come ha scritto Vito Mancuso- che “aldilà di singoli episodi legati al mondo dello spettacolo dove si fa di tutto per emergere, in realtà nessuno nel mondo lgbt intende abolire il dato del maschile e del femminile”. In questo modo però, tra le tante e fondamentali parole che il papa dice per il rinnovamento della Chiesa, queste vengono accuratamente selezionate ed usate per iniziative e per mobilitazioni che sono ben diverse –ci sembra- dal senso generale del nuovo corso di papa Francesco.
Riflettendo sulla scuola
Quanto abbiamo scritto ci sollecita a dire qualcosa sulla scuola, soprattutto dell’infanzia e dell’adolescenza, per cercare di essere propositivi sulle questioni che la campagna, comunque, ha imposto alla discussione. I/le giovani e i/le giovanissimi/e, nel loro crescere in questa società, si trovano di fronte a una situazione ben diversa da quella statica della famiglia tradizionale di una volta. Sulla realtà delle “famiglie” di oggi siamo intervenuti spesso. Sulla realtà della situazione delle persone omosessuali pure. Rimandiamo ai nostri convegni e ai nostri libri in materia. In sintesi abbiamo detto che le nuove situazioni famigliari e il nuovo modo di intendere i rapporti tra i sessi, etero od omo, vanno conosciuti bene e capiti ma né pensando né dicendo che tutto, comunque, va bene. Anzi va scritta una nuova etica molto critica nei confronti del sesso come consumo, dell’uso del corpo della donna, della scarsa attenzione all’educazione sessuale “buona” nell’infanzia e nell’adolescenza e così via. Bisogna oggi educare senza soffermarsi solo sulla ripetizione di moduli rigidi, pure importanti (appunto la “famiglia”), bisogna puntare su valori, che comportino diritti e doveri, sulle relazioni di affetto, di solidarietà, di rispetto per le persone che vivono insieme, sposate o non sposate, coppie omosessuali od eterosessuali, che fanno crescere bambini e bambine, che sono aperte all’accoglienza, ai bisognosi, e anche alla politica, nel senso migliore del termine.
I genitori dovrebbero preoccuparsi di dare ai propri figli e alle proprie figlie una educazione non individualista, aperta alla socialità e alla non esclusione, a partire dai luoghi dove i ragazzi e le ragazze vivono, nelle classi della scuola, nelle compagnie di amici e di amiche, nei giochi, nello sport. Tutti noi dobbiamo essere impegnati a contrastare ogni forma di facile permissivismo in campo sessuale, senza stabilità negli affetti e nelle relazioni, non accettando una cultura in cui tutto sia possibile, sperimentabile e continuamente modificabile. Bisogna proporre e realizzare alleanze educative tra genitori e insegnanti. Per fare questo ci vuole pazienza e prudenza, il modo sbagliato è quello di bloccare tutto con questa campagna sul gender, o con iniziative simili, che creano muro contro muro anche tra credenti di diversa formazione. Troppi genitori non sono preparati. Nella scuola la pazienza e la perseveranza sono necessarie per comprendere situazioni tanto diverse, nei confronti delle quali fare crescere l’accettazione delle diversità. Per esempio, può essere intempestivo o controproducente scrivere sui moduli amministrativi della scuola “genitore A” e “genitore B”, ma è necessario trovare i modi perché le famiglie non convenzionali facciano parte della normalità della vita scolastica.
Piuttosto bisognerebbe fare una campagna nei confronti dei pericoli che, da qualche anno ormai, vengono dall’accesso alle nuove tecnologie online. Esse permettono ai giovani e ai giovanissimi di avere una iniziazione alle questioni del sesso e dell’affettività nel modo peggiore possibile. Perché tutta la Chiesa non dovrebbe mobilitarsi veramente in questa direzione piuttosto che in una campagna sul gender che genera ansie infondate, disperde energie e provoca polemiche continue?
E poi perché non si riduce l’attenzione su queste questioni, pure molto importanti, per un maggiore impegno comune sui problemi posti dalla crisi economica e sociale, che colpiscono da vicino soprattutto le famiglie (occupazione, casa, reddito…)? Le provvidenze pubbliche a favore della famiglia sono tra le più basse dell’Unione Europea e ciò in un paese, come il nostro, che è governato da cattolici ininterrottamente da settanta anni.
Una campagna per il dialogo
Le nostre speranze e il nostro appello è quello che si determini un clima diverso per conoscere prima, capire e approfondire poi e infine dialogare nelle nostre comunità, nelle nostre scuole. Cessi la campagna sul gender, si abbandonino i toni con cui viene condotta con accuse facili di malafede, di secondi fini, di complotti e via di questo passo nei confronti di chi non è d’accordo. Cresca nelle nostre scuole un clima inclusivo e sereno che proponga una discussione comune e poi collaborazione tra tutti (genitori, docenti, dirigenti scolastici, psicologi, senza trascurare l’ascolto delle giovani generazioni appena l’età lo consente). E’ possibile, è auspicabile pensare ai bambini e alle bambine, ai giovani e alle giovani con la preoccupazione e la tenerezza che, come leggiamo nel Vangelo, aveva per loro Gesù.
Roma, 15 gennaio 2016                       NOI SIAMO CHIESA

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