mercoledì 24 luglio 2024

UN TENTATIVO DI RIFORMULARE IL 'CREDO' (AMMESSO CHE DEL MISTERO SI POSSA NON TACERE)

 

Professione di fede. Un “Credo” in cui riuscire a credere

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 25 del 06/07/2024

Nella diocesi della città di Bolzano dove vivo con la mia famiglia, ho l’incarico di preparare i catecumeni adulti, per lo più stranieri, alla celebrazione dei sacramenti dell’iniziazione cristiana. Servizio che adempio con gioia, sperimentando a ogni incontro come leggere il Vangelo con persone adulte “vergini di Vangelo” costituisca un formidabile stimolo per la mia stessa fede. Dopo aver approfondito insieme la testimonianza di Gesù presentataci dai Vangeli, in uno degli ultimi incontri dovrei presentare loro come sintesi, la professione di fede, il “Credo” della Chiesa cattolica che ogni domenica viene proclamato du-rante la celebrazione eucaristica. Dico “dovrei”, perché in realtà da anni, vi confesso, non trovo il coraggio di presentarlo nella forma in cui è stato formulato nel lontano Concilio di Nicea. Non mi sento più in sintonia con certe formulazioni che ogni domenica ripetiamo a pappagallo, sia pure con commovente fervore, e che andrebbero reinterpretate o per lo meno riformulate. Mi è stato riferito da mia moglie di essersi ultimamente ritrovata come vicina di banco una gagliarda vecchietta che proclamava con tanto di enfasi: «Credo in Gesù Cristo Figlio “ingenuo” del Padre…», aggettivo che naturalmente le riusciva ben più familiare e comprensibile di “unigenito”.

Mi sono sentito confermato dalla seguente affermazione del teologo Carlo Molari: «Le varie affermazioni dottrinali sono costituite da parole di uomini che, con il variare dei tempi e soprattutto a partire dalle diverse situazioni culturali, possono modificarsi nel loro significato. Oltre al fatto che anche le nuove scoperte della scienza hanno aperto nuove prospettive di interpretazione e di comprensione di eventi e tradizioni storiche… Non si possono di conseguenza fissare in formule immutabili, dottrine e dogmi i quali devono continuamente essere interpretati e riformulati». Augusto Cavadi nel numero 14 di Adista giunge perfino ad affermare che «il cuore della crisi del cristianesimo di oggi è prima di tutto dottrinario, teologico… non è vero che le masse oggi disertano le messe solo perché scandalizzate dai comportamenti dei sedicenti credenti. Smettono di credere quando – sia pur minimamente – leggono, riflettono, si confrontano fra loro, con gli studiosi competenti e di conseguenza non vanno più a messa… È l’abbandono delle professioni di fede a provocare l’eclisse della preghiera comunitaria».

A questo proposito anche papa Francesco ultimamente ci ha rivolto la seguente esortazione: «Più della paura di sbagliare, spero che ci muova la paura di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle formule che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli, mentre fuori c’è una moltitudine affamata e Gesù ci ripete senza sosta: Voi stessi date loro da mangiare».

Che fare? Nel mio piccolo, da mesi mi sono ripromesso di riscrivere “il credo”. Sono ben cosciente che si tratta di un tentativo ambizioso per non dire velleitario e perfino temerario, che considero come una prima bozza da continuare ogni giorno ad approfondire, a meditare, a pregare… Ma sono contento di condividerlo con voi, sia per riceverne dei preziosi suggerimenti e magari anche per invogliare alcuni di voi a fare altrettanto. A parte il fatto che un simile tentativo, lo sto ben sperimentando, può aiutarci a mettere ben a fuoco ciò in cui crediamo, chissà che non possa costituire un piccolo accorato incoraggiamento, proveniente da una spontanea sinodalità dal basso, affinché un giorno ci sia data la possibilità di professare un credo che senza intaccare il cuore della nostra fede cristiana, possa nella sua formulazione continuare a essere comprensibile e soprattutto credibile per noi uomini e donne di oggi. Vorrei anche aggiungere che probabilmente non sarebbe neanche giusto, come afferma Carlo Molari, pervenire a una unica riformulazione del “Credo” per l’intera Chiesa universale. Si potrebbe lasciare alle varie Conferenze episcopali la libertà di una formulazione che tenga conto della propria cultura e in cui si percepisca «l’odore delle proprie pecore». Il pluralismo vissuto nel dialogo e nella comunione è autentica ricchezza.

Credo in Dio che ci è Padre e Madre, Mistero d’Amore e di Comunione, in cui tutto l’universo sussiste. In virtù della Sua perenne ed amorosa azione creatrice che si attua in continuazione mediante la forza del Suo Spirito, noi tutti esseri umani, animali, vegetali e minerali, viviamo, ci relazioniamo e ci compiamo.

Credo in Gesù di Nazareth che nutrito dall’affetto e sostenuto dall’esempio di Maria e di Giuseppe, ha saputo sviluppare appieno la propria umanità, permettendo che rifiorisse in Lui quel medesimo Spirito che giorno dopo giorno lo ha reso Figlio e fratello universale. Secondo la testimonianza dei suoi discepoli, essendosi mostrato accogliente verso tutti ed in modo particolare dei più poveri ed emarginati, morì crocifisso invocando perdono, rivelandoci in tal modo il volto comunionale e misericordioso di Dio.

Credo nello Spirito Santo, respiro vitale fatto dono a Gesù. Egli alimenta in continuazione anche in noi tutti credenti e non credenti, quel desiderio e quell’impulso profondo che ci sospingono giorno dopo giorno a crescere a nostra volta in umanità come figli e figlie di Dio e quindi fratelli e sorelle fra noi tutti, nel pieno rispetto della casa comune che ci ospita.

Credo nella Chiesa cattolica vale a dire universale, comunità di comunità, dialogante, ecumenica, inter-religiosa, umile e gioiosa testimone della presenza di Gesù che mediante il suo stesso Spirito continua a essere vivo in mezzo a noi e ha come unico potere quello di annunciare la Sua Buona Notizia mediante opere di giustizia, di liberazione, di riconciliazione e di pace.

Credo nella Comunione universale e cosmica che costituisce la nostra meta e nella quale già da ora noi tutti, compresi i nostri cari defunti, dimoriamo. Sorretti dalla speranza che mediante la nostra collaborazione e nonostante le nostre fragilità e infedeltà, essa giunga a quella pienezza in cui “Dio sarà Tutto in tutti”. 


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Giuseppe Morotti è ex Piccolo Fratello del Vangelo di Charles de Foucauld; vive con la sua famiglia a Bolzano dove anima incontri di meditazione e di preghiera sui mistici cristiani e musulmani

martedì 23 luglio 2024

IL PASTORE PANASCIA, LE CHIESE E LA MAFIA: UNA PUNTATA DI "PROTESTANTESIMO" SU RAI 3

Domenica 21 luglio 2024, su Rai 3, la puntata settimanale della trasmissione "Protestantesimo" è stata dedicata al pastore valdese Pietro Valdo Panascia (con particolare attenzione all'atteggiamento delle chiese cristiane nei confronti della mafia).

Chi è interessato a queste tematiche, di rilevanza civile oltre che religiosa, può regalarsi 29 minuti di visione:

La puntata "Protestantesimo" del 21.7.24 su chiese e mafia 

sabato 20 luglio 2024

ADDIO A GERMANO FEDERICI, AMOREVOLE RICERCATORE DELLA FLORA ALPINA

 Sabato 20 luglio, alle 14.30, presso la Sala del commiato del Tempio crematorio del Cimitero di Bergamo, un folto numero di parenti e di amici ha salutato per l’ultima volta Germano Federici, spentosi all’età di 74 anni dopo una devastante malattia affrontata con grande serenità.

Le ragioni di stima e di gratitudine verso questa persona sono molteplici.

Generazioni di studenti liceali lo hanno avuto come insegnante di Scienze naturali dai metodi assai poco cattedratici: come si legge su “L’Eco di Bergamo” odierno, “sono passate alla storia le campagne naturalistiche al rifugio Curò dove per una settimana faceva scorrazzare gli studenti in lungo e in largo alla ricerca di piante”.

Già, le piante: la sua passione per la flora lo ha indotto a promuovere la fondazione del FAB (Flora Alpina Bergamasca), un gruppo di ricercatori che hanno attuato, dai primi anni Novanta ad oggi, il censimento delle piante presenti a Bergamo e nelle valli d’intorno.  Come ricorda l’attuale presidente del FAB, Luca Mangili, “a lui si deve il primo database, successivamente integrato con un altro organizzato dal gruppo di Brescia, nel quale sono state registrate le varie specie di piante. Per capire la mole di lavoro basta dire che il database contiene un milione di dati raccolti per le provincie di Bergamo e di Brescia”.

Da alcuni anni, grazie a internet, Germano Federici si era inserito (con rara signorilità di tratti) anche in alcuni gruppi di ricerca filosofico-teologica frequentati, soprattutto, da persone che, pur deluse dalle appartenenze ecclesiali e partitiche tradizionali, continuano a esplorare “inediti cammini” di consapevolezza intellettuale e di impegno socio-politico.

Insegnante, ricercatore scientifico, ma soprattutto persona per bene. Ricordarlo, più che un omaggio a lui (che, ormai, non ne ha più bisogno), è un piccolo segno di conforto per noi che viviamo una fase dell’umanità in cui sembra che solo i pazzi e i disonesti abbiano in mano le redini della storia; che non ci siano più persone belle per saggezza e mitezza, per passione verso il proprio mestiere e per attenzione amorevole verso la natura.

Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com

Per la versione originale illustrata cliccare qui:

https://www.zerozeronews.it/federici-una-vita-per-la-botanica-e-la-virtu-dellefficacia-propedeutica/

venerdì 19 luglio 2024

PIETRO DI PASQUALE, CARDIOLOGO DI FIDUCIA DI PAOLO BORSELLINO, RACCONTA...

 

Quella maledetta domenica del 19 luglio 1992 Paolo Borsellino aveva un accordo di massima con il suo cardiologo di fiducia: lo avrebbe prelevato con la scorta e accompagnato in via D’Amelio per una visita medica alla madre anziana. Per motivi che nessuno ormai saprà, il giudice non segue il programma concordato e – senza saperlo – salva la vita dell’amico Pietro Di Pasquale. Il quale, dopo trent’anni e più di silenzio pudico, ha deciso di mettere nero su bianco (nel volume Medico in terra di mafia. Il cardiologo di Paolo Borsellino si racconta, Di Girolamo, Trapani 2024) il racconto non solo dei rapporti personali con alcuni magistrati del pool antimafia fondato da Rocco Chinnici e poi diretto da Antonino Caponnetto, ma anche della sua pluridecennale carriera di Consulente Tecnico d’Ufficio. Egli infatti, inizialmente su invito di Borsellino, poi di altri magistrati come Giovanni Falcone, accetta di svolgere un incarico delicatissimo: periziare le condizioni di salute di detenuti mafiosi per offrire ai giudici i dati, per quanto possibile oggettivi, per decidere se i soggetti in esame potessero o meno rimanere in carcere. Quanto pericoloso fosse, e sia tutt’ora, questo compito basterebbe ad attestarlo il nome di Paolo Giaccone, trucidato da mafiosi per non aver voluto falsificare una perizia medica, cui è intitolato il Policlinico universitario di Palermo.

Di Pasquale racconta vicende romanzesche, con condannati ristretti in istituti di pena o agli arresti domiciliari, in giro per tutto il Meridione: boicottaggi, minacce, tentativi di corruzione, denunce, rivelazioni di segreti d’ufficio… ad opera non solo di criminali ‘ufficiali’ ma anche di avvocati spregiudicati, medici superpagati come periti di parte, direttori di carceri, politici e alti burocrati al loro servizio, perfino in qualche caso magistrati.  Lo scenario è impressionante: si tocca, per così dire con mano, l’intreccio fra Cosa nostra e la borghesia delle professioni, il cui risultato è un sistema di potere al quale piegarsi o da cui essere stritolato. Soprattutto nel settore della medicina dove clientelismi e favoritismi sono evidenti – secondo l’esperienza dell’autore – sin dal percorso di formazione universitario e di specializzazione dopo la laurea.

Di Pasquale evita il facile scandalismo di elencare nomi e cognomi dei protagonisti dei suoi racconti, ma dalla precisione dei dettagli storici si intuisce che sta riferendo vicende effettivamente svoltesi e dunque potenzialmente documentabili nel caso che ciò dovesse risultare necessario. Né assume pose da eroe donchisciottesco: con sincerità ammette debolezze, sconfitte, stati d’animo sconfortati. Ma non nasconde la soddisfazione morale di aver perseverato nel servizio della verità, della giustizia e soprattutto della salute dei suoi pazienti (a prescindere dalle loro responsabilità penali), rinunziando ad alternative più remunerate e meno gratificanti dal punto di vista deontologico. Uno dei suoi pazienti (estraneo a vicende giudiziarie) ha voluto ringraziarlo, per una prestazione clinica d’avanguardia, chiedendo e  ottenendo che le autorità accademiche gli dedicassero un asteroide; caso sinora unico al mondo che  mi ha evocato il passo biblico di Daniele 12,3: “I saggi risplenderanno di luce come la volta del cielo, e quelli che avranno aiutato gli altri a essere giusti brilleranno per sempre come le stelle”. Già, la Sicilia è anche questo: persone per bene che, lontanissime dai riflettori di certa antimafia da sfilata, rischiano la vita pur di difendere la convivenza democratica dagli attacchi di vecchi e nuovi totalitarismi. 

Augusto Cavadi

* Per la versione originale illustrata cliccare qui:

https://www.zerozeronews.it/lappuntamento-rinviato-da-borsellino-che-salvo-la-vita-allamico/

* Al punto 1 ora, 17 minuti, intervista a Pietro Di Pasquale:

Paolo Borsellino e il mistero dell'agenda rossa - la Repubblica



mercoledì 17 luglio 2024

IL 400° FESTINO DI SANTA ROSALIA : UN PO' "INDIGESTO" ?

 

Circa 400.000 persone hanno partecipato a Palermo, la vigilia del 15 luglio,  alle celebrazioni del 400 ° Festino in onore della patrona santa Rosalia.  Quasi in contemporanea sono divampate le polemiche incentrate su tre principali aspetti.

Innanzitutto dall’angolazione estetico-artistica: era il caso di affidare la direzione creativa a Marco Balich che ha, coerentemente, lavorato sulla scia delle sue precedenti esperienze (tra cui la finale di Champions 2023 e le feste in giro per il mondo di Dolce e Gabbana), inserendo dunque in processione anche musiche da discoteca?  Siamo in un campo in cui c’è spazio per tutti i gusti. Personalmente avrei apprezzato l’aggiornamento della tradizione soprattutto per quegli aspetti che collidono con la nuova coscienza ecologica: perché non adottare giochi pirotecnici senza quei “botti” che ammazzano di paura volatili liberi e animaletti domestici?

Una seconda angolazione da cui si sono incrociate le polemiche è stata l’economico-finanziaria: alcune comunità cattoliche, come i Comboniani, hanno notato in una lettera aperta la discrepanza fra i soldi investiti e i bisogni di decine di migliaia – forse centinaia di migliaia – di abitanti: “Tutto questo sfarzo, questo chiasso, questa teatralità rende indigesto il festino. Il festino produce uno scandalo contrario a quello richiesto ai credenti da Papa Francesco, cioè di una fede che si china sui deboli, i fragili, gli invisibili alla società, che continuano a rimanere esclusi dalla convivialità escludente dello stesso festino”. E’ vero che ogni amministrazione precedente ha sostenuto che per ogni milione di euro (per altro speso in parte per pagare artisti e maestranze locali) ne sia entrato almeno il doppio dai turisti in visita per l’evento (in alberghi, ristoranti, bar, musei, taxi…). Tuttavia almeno qualche gesto di solidarietà sociale che avesse contemporaneamente spessore materiale e significato simbolico – ad esempio l’apertura di un centro stabile di accoglienza per migranti senza casa - andava assolutamente realizzato: altrimenti che differenza tra una festa religiosa e una sagra del formaggio?

Sia pur meno visibili nei social, sono state avanzate delle obiezioni dalla prospettiva storico-teologica:  poiché vari studi attendibili (come I giorni della peste di Umberto Santino) hanno dimostrato che la figura di santa Rosalia è leggendaria; che le sue vicende biografiche (collocate nel XII secolo) sono frutto di fantasia; che il miracolo di liberare Palermo dalla peste nel XVII secolo non è mai avvenuto, perché onorare questa donna immaginaria rafforzando nell’opinione pubblica la convinzione che sia esistita e la devozione nei suoi confronti?  La questione è enorme almeno quanto la diatriba sull’ambivalenza della religiosità popolare. Da una parte ogni gruppo sociale ha bisogno di un totem, di un simbolo, in cui riconoscersi al di là delle differenze di classe, di censo, di istruzione, di etnia di provenienza: e una ragazza (raffigurata ogni anno più bella, sino alle fattezze sexy e vigorose della statua odierna) si presta meravigliosamente a icona del divino (che, non avendo né volto né nome, resterebbe irrimediabilmente estraneo alla vita della gente). Ma, dall’altra parte, non è opportuno che la Chiesa cattolica lasci supporre alla stragrande maggioranza della popolazione che Rosalia sia veramente esistita e (per chi crede in una dimensione ulteriore dopo la vita terrena) stia veramente vegliando su Palermo per liberarla dalle pesti reali e metaforiche ricorrenti.

E’ comprensibile che al sindaco di turno non interessi chiarire nulla e sia disposto in processione, al momento prestabilito, a gridare “Viva Palermo, viva santa Rosalia!” per esibire una consonanza emotiva con il popolo astante, così come farebbe se dovesse inaugurare un teatro intestato a Ulisse o una piazza dedicata a Didone. Ma un vescovo non dovrebbe cogliere ogni occasione per catechizzare? Per spiegare che cosa un cristiano “crede” davvero e cosa, anche ai suoi occhi, è creazione mitologica? Don Corrado Lorefice quest’anno ha letto un testo davvero intenso, coraggioso, incisivo contro la mafia e in particolare l’epidemia del crack fra i giovani: perché non chiarire con più nettezza che i princìpi evangelici hanno un’energia salvifica indipendente dalle cornici agiografiche in cui in altre epoche sono stati incastonati per renderli credibili?   Perché non infrangere anche solo l’impressione che annunzio di fede e pie leggende costituiscano un “pacco” unico?

 

Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com

* La versione originaria (illustrata e con un titolo redazionale...ironico) è al link:

https://www.zerozeronews.it/il-cavadi-pensiero-sul-festino-di-santa-rosalia/