lunedì 4 dicembre 2023

IL COMPLOTTISMO: UNA PARANOIA CHE DISTRAE L'OPINIONE PUBBLICA DAI COMPLOTTI REALI

SE TUTTO E' COMPLOTTISMO, I VERI INTRIGHI PASSANO INOSSERVATI

Cosa sia un “complotto” o una “cospirazione” lo sappiamo tutti: un accordo (per lo più segreto) di alcuni che mettono in atto una strategia tendente a danneggiare altri. Che la storia umana abbia registrato numerosi casi di complotti è altrettanto noto. La questione centrale che affronta Tobia Savoca nel suo Narrazioni diversive. Come il complottismo protegge il potere (Diogene Multimedia, Bologna 2023, pp. 179, euro 20,00) si potrebbe forse sintetizzare così: dove finisce l’arte di intuire e denunziare complotti reali e inizia il “complottismo”, quella sorta di paranoia che immagina e denunzia complotti inesistenti? Il confine è sottile. Percorrendo questa corda tesa fra due baratri è facile cadere nell’ingenuità di chi non riconosce i sintomi dei complotti effettivi (orditi da soggetti potenti, legali o illegali) e l’allarmismo di chi vede trame complottiste dappertutto, seminando paure infondate e odio distruttivo. L’ingenuità di chi si fida ciecamente delle istituzioni, senza mai sospettare strategie malefiche, ha indubbie ricadute politiche negative: consente, ad esempio, alla CIA o all’NSA (Agenzia per la Sicurezza Nazionale) o alle organizzazioni omologhe di Russia o Cina di condizionare pesantemente le vicende storiche di interi continenti. Ma non meno tossiche sono le conseguenze politiche delle teorie complottiste: tra i sostenitori di Trump che il 6 gennaio 2021 hanno tentato di occupare il Campidoglio di Washington, non pochi erano infiammati dalla convinzione che politici democratici come Hillary Clinton e attori come Tom Hanks fanno parte di una rete globale di pedofili satanisti (teoria cospirativa QAnon).

Come distinguere, dunque, fra i diversi allarmi sparsi via internet, le denunzie fondate dalle grida infondate? Dipende dal proprio paradigma epistemologico. Anche qui l’autore invita a “destreggiarsi tra il relativismo assoluto delle interpretazioni dei fatti” (tutto può essere complotto e nulla può esserlo) e “l’aprioristica affermazione su presunte basi scientifiche di cosa siano verità ufficiali e teoria complottista” (ciò che non è dimostrabile scientificamente è di certo una balla). Nel campo storico-sociale, come tutte le volte in cui è in gioco l’essere umano con la sua complessità,  è saggio riconoscere al buon senso degli osservatori il diritto di esaminare un’ampia gamma di possibilità  intermedie fra ciò che è provato in maniera incontrovertibile e ciò che è palesemente frutto di fantasia alienata. Solo i fanatici dogmatici, “negli ultimi anni di guerra e pandemia”, non hanno “avvertito uno spaesamento” e hanno sposato una tesi senza ammettere neppure lontanamente la possibilità che fosse vera l’antitesi (e meno ancora l’ipotesi che bisognasse andare oltre le contrapposizioni secche fra il “così” e il “non così”). D’altronde, un ingrediente attrattivo del complottismo è la sua tendenza a concentrare su “un’idea semplice” “un problema complesso”: poiché “le cause degli eventi” sono molteplici, e non sempre facili da mettere a fuoco, siamo tutti propensi a ridurle “alla macchinazione di pochi”. 

Ma se il complottismo è una posizione intellettualmente rozza e politicamente insidiosa, come mai nella storia ha avuto e continua a riscuotere tanti consensi?

PER COMPLETARE LA LETTURA, BASTA UN CLICK QUI:
 

sabato 2 dicembre 2023

OMOFOBIA NELLA BIBBIA: LA MEDIAZIONE (NON SEMPRE FELICE) DEI TRADUTTORI

www.iosonominoranza.it

"Omofobia nella Bibbia: colpa dei traduttori?"

di E. Crociani

In questi mesi, a Milano, Varco, un gruppo di cristiani protestanti LGBT+, provenienti da una chiesa valdese e da una chiesa battista, in gran parte giovani, vuole vederci chiaro sulle controverse traduzioni della Bibbia.

“Vorrei capire la Bibbia, ma anche la cultura e la società del tempo, come si sono evolute da quando è stato scritto il primo testo biblico, millenni fa, fino al giorno d’oggi”, afferma Rocco.

“Mi piacerebbe avere una visione più completa, che comprenda quello che le traduzioni della Bibbia ci hanno tenuto nascosto. Vorrei sentirmi rappresentata sia nella mia identità sia nella mia fede”, gli fa eco Rebecca.

Infatti, secondo le interpretazioni tradizionali, molti passi della Bibbia condannerebbero l’omosessualità, ma cosa succederebbe se ricerche più approfondite dimostrassero che l’omosessualità non era considerata peccato da coloro che la Bibbia la hanno scritta?
Uno studioso danese, di fede cristiana luterana, K. Renato Lings, recentemente ha pubblicato i suoi studi esegetici in un libro divulgativo, intitolato Amori biblici censurati (Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2023). Lings sostiene che nella Bibbia non si condannerebbe l’omosessualità: la condanna verrebbe dai traduttori della Bibbia imbevuti dei loro pregiudizi.

Ma come possono i traduttori far dire a un testo sacro cose che in realtà non ci sono? Semplicemente perché bisogna partire dal presupposto che non esiste una traduzione perfetta: nessuna lingua ha vocaboli i cui significati collimano perfettamente con un’altra lingua, e perciò è compito del traduttore trovare le parole che gli sembrano più adatte. Ecco quindi che entra in gioco il pregiudizio dei traduttori, che gli fa vedere il peccato anche laddove non c’è.

Omofobia nella Bibbia: colpa dei traduttori?

La Bibbia è un libro dalla formazione molto complessa: l’Antico Testamento fu scritto parecchi secoli fa, in un ebraico antico, che già all’epoca di Gesù era poco comprensibile agli stessi ebrei. L’ebraico è inoltre una lingua semitica, completamente diversa dalle lingue indoeuropee, davvero complicatissima da tradurre! Il cristianesimo inizialmente adottò ufficialmente una traduzione dall’ebraico antico al greco, la lingua più parlata nell’impero romano. Ma dopo qualche secolo, la Bibbia dal greco venne tradotta in latino, e dopo ancora qualche secolo dal latino alle lingue moderne. I traduttori antichi vivevano in una società patriarcale totalmente diversa dalla nostra, dove la schiavitù e la servitù erano la norma, dove non esisteva democrazia, dove la donna era considerata inferiore. In epoca a noi contemporanea, inoltre, per facilitare sempre più la lettura di massa, ogni chiesa riscrive circa ogni dieci anni la Bibbia con un lessico più semplificato e attuale.

Davide e Gionata, dalla “Somme le Roy” (1290), manoscritto miniato francese, British Museum

Davide e Gionata, dalla “Somme le Roy” (1290), manoscritto miniato francese, British Museum

Dopo tutte queste traduzioni, cosa resta del messaggio originario? A volte molto, altre volte ben poco. La lettura del libro di Lings per me è una rivoluzione: questo esegeta scava a fondo nelle culture e nelle lingue antiche (da quelle della Mesopotamia a quelle dell’Europa medioevale), immedesimandosi negli scrittori (e anche nei lettori!) originari, tenendo conto dei contesti storici e letterari. E l’omosessualità sembra risultare da queste ricerche un “peccato” in realtà sconosciuto agli antichi ebrei e non considerato nei Vangeli. Pare che la vera colpevole sia la mentalità degli antichi traduttori, vissuti in un’epoca patriarcale che affermava che la sola attività sessuale legittima fosse finalizzata alla procreazione. Così ci ritroviamo un testo sacro oggi avversato da chi lotta contro l’emarginazione ereditata dall’antica società patriarcale: omosessuali e femministe.

Allora dobbiamo liberare noi la Bibbia dai nostri pregiudizi? Mi vien da pensare di sì. E scopriremmo che i messaggi originari sono molto più belli e degni di essere trasmessi, direi davvero giusti e “sacrosanti”.

 

Emanuele Crociani
©2023 Il Grande Colibrì

mercoledì 22 novembre 2023

UNA SPIRITUALITA' SENZA CASA IN "RELIGIONI E SOCIETA' "

 “Religioni e società”: una spiritualità senza casa

Nel maggio-agosto del 2023 (anno XXXVIII) è uscito il numero 106 di Religioni e Società. Rivista di scienze sociali della religione (editore Fabrizio Serra) dedicato a una tematica affascinante e attuale: Mistica selvaggia, spiritualità senza confini. Quasi quarant’anni per una rivista di sociologia della religione non sono certo pochi. Il merito principale va ad Arnaldo Nesti per la sua tenacia, ancor più per la sua capacità di tessere relazioni e di saper valorizzare ogni genere di collaborazione.

La chiave di lettura del numero monografico è offerta nell’editoriale a firma del Direttore e di  Mariangela Maraviglia: “Oggi assistiamo a una chiara e inoccultabile crisi della religione soprattutto nell’Occidente europeo e nordamericano. Chiese e religioni, legate a vecchi paradigmi espressi in linguaggi del passato, si rivelano incapaci di parlare a gran parte dell’umanità contemporanea, ma questo non impedisce di cogliere una domanda di senso, un’apertura verso un ‘altrove’ che resiste anche nelle traumatiche trasformazioni del presente” (pp. 9 – 10).

I dati statistici di questa crisi sono riportati, e interpretati, da Luca Diotallevi nel suo contributo “La messa è sbiadita”, La partecipazione a riti religiosi altamente istituzionalizzati in Italia tra il 1993 ed il 2019 (pp. 87 – 95), da cui si apprende che “la quota di individui con 18 anni d’età o più che dichiarano di aver partecipato ad un rito religioso (PRRAI) almeno una volta a settimana (…) passa dal 37,3% al 23,7%” (p. 89): né la situazione mostra segni di ritorno al passato dopo gli anni della pandemia e dei vari lockdown.

Il calo della frequenza alle liturgie ufficiali significa, direttamente, abbassamento della tensione religiosa e più ancora della dimensione spirituale in senso antropologico? Nell’ampio saggio di Romano Màdera  - Una mistica per tutti? Al crocevia dell’incontro e dello scontro tra crisi del sacro e desiderio di senso (pp. 19 – 29) – viene argomentata la risposta negativa: riprendendo il celebre saggio di Michel Hulin (La mistica selvaggia), che a sua volta si ricollega al Misticismo senza dei di Roger Bastide del 1931, il filosofo afferma, infatti, che “  ‘stati d’animo’ di tonalità spirituale che possiamo chiamare appunto «mistica selvaggia», «esperienza (o dimensione) estatica», «sentimento oceanico», siano  più comuni di quanto si possa ipotizzare, siano trasversali rispetto alle distinzioni tra persone religiose e non religiose, evochino un bisogno e uno slancio per qualcosa percepito come mancante nel mondo delle pratiche e dei valori che per lo più abitano e guidano la nostra vita quotidiana” (p. 20).

Anche il contributo sociologico di Stefano Sbalchiero e di Giuseppe Giordan , dedicato a Raccontare le spiritualità. Forme di credenza oltre la religione (pp. 69 – 78), conferma che i giovani italiani  (tra i 13 e i 20 anni) si auto-interpretano “spirituali, sì, ma non del tutto religiosi” (p. 76).

Simili fenomeni socio-psicologici non si verificherebbero nella storia se non fossero preparati, accompagnati e teorizzati da studiosi, spesso impegnati anche esistenzialmente nella ricerca: come è stato il caso illustrato da Giuseppe Cognetti nel suo Raimon Panikkar e la mistica (pp. 30 – 36). Per il pensatore indiano-spagnolo, il “mistico” è “originaria apertura al Mistero testimoniata in tutte le culture fin dalle «sterminate antichità», non è affatto un privilegio di pochi eletti ma «la caratteristica umana per eccellenza», dell’uomo cioè in quanto insieme essere corporale, animale razionale e «spirito», accoglimento di un Oltre irriducibile a ciò che è percepito dai sensi o inteso dalla mente” (p. 35).

La mistica, dimensione universale, non è certo estranea all’esperienza femminile. E’ quanto sostiene Annarosa Buttarelli nel suo La mistica come forma mentis femminile (pp. 52 – 57) e quanto testimonia, per così dire in prima persona, Antonietta Potente in Mistica. Umanissimi percorsi in cui il Mistero si svela (pp. 58 – 65). Entrambe le autrici sottolineano il legame strettissimo della mistica autentica con la vita in generale (per uscire da sé, per sperimentare l’estasi, bisogna concentrarsi sulla “vita, solo la vita, così come si presenta con la sua imprevedibile sorpresa”, p. 65) e con la politica in particolare (“la mistica femminile, aperta alla generatività dell’amore, è una forma delle pratiche politiche femminili, è una forma mentis differente guadagnata dalle donne pensanti, non mimetiche, non paritarie, capaci di decisioni pienamente erotiche” (p. 57).

La mistica esiste solo nella biografia, nella ‘carne’, dei mistici. Per questo nel quadrimestrale in esame si trovano alcuni profili di persone che l’hanno, più o meno consapevolmente, perseguita: Giannino Piana si occupa di un suo amico, Michele Do. Una esperienza spirituale pura e creativa (pp. 37 – 44), prete della diocesi di Alba, che ha dedicato l’esistenza a tentare di “fare cose (…) che meritino di non morire” e di imparare a “morire per le cose che meritano di non morire” (p. 38); Paolo Trianni, poi,  in “Un uomo religioso e basta”. L’itinerario spirituale di Franco Battiato (pp. 45 – 51), ha tratteggiato le cinque fasi in cui si può scandire la produzione discografica del cantautore siciliano, attraversate dal filo rosso di “due categorie”: “l’apofatismo e la mistica” (p. 47).

Nello scenario internazionale non mancano certo fenomeni in controtendenza rispetto alla dislocazione dalla religione alla spiritualità. E’ il caso, ad esempio, del “più grande network cattolico del mondo” (p. 79) analizzato da Roberto F. Scalon in Anticamera dei dieci segreti di Medjugorie. La pandemia da Covid-19 nella lettura escatologica di Radio Maria (pp. 79 – 86) e della diffusione del nesso tra Fondamentalismo e homeschooling negli Stati Uniti (pp. 96 – 102) illustrato da Paolo Di Motoli. In Brasile, poi, è il mondo del fondamentalismo conservatore protestante che si riconosce in Bolsonaro a tentare di bloccare ogni apertura ecumenica, interconfessionale, universalistica, come dimostra il documentato articolo in lingua francese, di Ari Pedro Oro e Claude Petrognani, Le Dieu des Brésiliens, de Lula et Bolsonaro. Considérations socio-anthropologiques (pp. 103 – 110):  anche il lettore italiano troverà spunti interessanti per orientarsi su alcuni processi registrabili nella politica ‘interna’, dove non mancano personaggi e partiti che tradiscono il messaggio evangelico (cui dichiarano strumentalmente di aderire) in nome di un Dio “exclusif, intolérant, violent et justicier” (p. 109) innalzato a protettore dei confini nazionali e difensore dei privilegi acquisiti dagli europei in cinque o sei secoli di imperialismo colonialista.

Fra le molte riflessioni che suggerisce questo numero di Religioni e Società rientra una questione: se la spiritualità resta un fenomeno “selvaggio”, caratterizzato dall’anonimato, dall’eccezionalità, dalla singolarità individuale, potrà davvero sostituire le confessioni dogmatico-gerarchiche del passato? O non sarebbe opportuno che – pur evitando ovviamente le costruzioni elefantiache, gli assembramenti oceanici e i leaderismi carismatici – si provasse ad offrire più numerose occasioni di incontro, di sostegno reciproco, a quanti hanno sete di autenticità? Chi ha abbandonato alle proprie spalle i templi, è oggi per lo più per strada: può restarvi perennemente o ha bisogno di qualche casetta, di qualche piccola oasi, dove fare tappa tra pellegrini della stessa stoffa?

 

Augusto Cavadi

“Adista/Segni Nuovi”  32/ 30.9.2023