venerdì 2 settembre 2005

RELIGIONE A SCUOLA


“Repubblica – Palermo”
2.9.05

Augusto Cavadi

LA STAGIONE DIFFICILE DEI DOCENTI DI RELIGIONE

Nell’ultimo anno scolastico un terzo degli studenti, anche siciliani, ha preferito non avvalersi dell’insegnamento della religione. Da quando il Ministero ha reso noto i dati statistici non sono mancati i commenti né sui giornali né sotto l’ombrellone. Il cattolico-tipo ha ovviamente stigmatizzato il fenomeno come ennesimo sintomo della secolarizzazione galoppante e, per le stesse ragioni, il laico-tipo se ne è rallegrato. Per fortuna, o per sfortuna, questo genere di considerazioni si basano sul presupposto – del tutto immaginario – che gli altri due terzi degli studenti continuino a studiare religione.  Chi invece nella scuola ci vive sa che le cose vanno diversamente. Forse non lo può dire apertamente per molteplici ragioni di opportunità, o di opportunismo. Ma lo sa.

Sa che tra i docenti di religione, proprio come tra i docenti in genere, alcuni  avrebbero la preparazione per insegnare ma gli manca la voglia (o, presi da altri impegni, il tempo); altri hanno la voglia ma gli manca la preparazione; altri ancora scarseggiano sia per voglia che per preparazione. Resta un minoranza valorosa ma sparuta: quegli insegnanti di religione che non si assentano con frequenza, non entrano in aula con ritardo, non ne escono in anticipo, non impiegano l’ora a preparare la lista dei doni natalizi per i poveri della parrocchia né la recita teatrale di fine d’anno. Sono educatori costretti ad impegnarsi ancor di più perché – dal momento che non possono ricorrere a quei piccoli incentivi (voti quadrimestrali che incidono sulla media, possibilità di assegnare il debito formativo…) su cui possono contare i colleghi di altre discipline- non hanno altre armi per conquistare l’attenzione dei ragazzi se non l’elasticità mentale e la comunicativa umana. L’esperienza ci dice quanto rari siano insegnanti così preziosi.

Se il quadro è realistico, bisogna avere l’onestà di riformulare i dati di partenza: prima ancora di contare quanti chiedono l’esonero dall’ora di religione, va riconosciuto che la quasi totalità degli alunni – di fatto – non ne fruisce. I dirigenti scolastici lo sanno ma non lo dichiarano a voce alta perché non si ritengono responsabili a pieno titolo in questo ambito e perché temono di infastidire gli “uffici catechistici” delle curie vescovili, i quali – da parte loro – ne sono tanto consapevoli da cercare in cento modi di correre ai ripari (corsi di preparazione all’insegnamento, convegni obbligatori di aggiornamento …).

Ma il fallimento storico dell’insegnamento della religione è davvero una faccenda interna alla Chiesa cattolica (anche se  i docenti della disciplina sono stati stipendiati dallo Stato sin dal Concordato del 1929  e, adesso, possono persino entrare nei ruoli pubblici) ?

Se – come prescrivono a tutt’oggi i programmi ufficiali – si tratta dell’insegnamento della religione cattolica, la risposta è affermativa. In questa ipotesi non resta che attendere gli sviluppi inesorabili e registrare, con preoccupazione o con soddisfazione (a seconda delle proprie prospettive ideologiche), l’estinzione di fatto di questa anomala materia scolastica. Quando sarà il 90% della popolazione scolastica a evitare l’ora di religione, la verità effettiva diventerà palese. Se invece – come vuole la prassi degli insegnanti più illuminati (e, guarda caso, anche più entusiasticamente seguiti dagli studenti) – si modificasse la struttura dei programmi, trasformando l’ora attuale in “storia delle religioni”, si andrebbe verso una soluzione radicalmente costruttiva. Dappertutto, in Sicilia in particolare, una conoscenza solida, elementare ma rigorosa, dell’Ebraismo, del Cristianesimo (in tutte le sue molteplici confessioni: cattolica, ortodossa, protestante, anglicana) e dell’Islamismo sarebbe davvero provvidenziale. Tanto più se lo studio delle tre religioni monoteistiche venisse incastonato all’interno di una panoramica mondiale comprendente, almeno, Induismo, Buddismo, Confucianesimo e Shintoismo. La scuola – non in quanto agenzia di una civiltà ‘cattolica’ ma proprio in quanto scuola – ne trarrebbe vantaggi enormi: sia in funzione dell’approfondimento di altre aree disciplinari (la storia, la filosofia, l’arte, le letterature greca, latina, italiana e straniere…) sia in ordine alla formazione civica dei cittadini di un’isola crocevia di immigrazione e, più in generale, di un pianeta globalizzato.

E’ ovvio che, in questa ipotesi pedagogico-didattica, lo Stato laico dovrebbe riappropriarsi del diritto-dovere di scegliere gli insegnanti della “storia delle religioni” con meccanismi pubblici del tutto identici rispetto alla matematica o all’educazione fisica. Ed è altrettanto ovvio che tali insegnanti, assunti esclusivamente sulla base delle competenze certificabili, non avrebbero alcun interesse istituzionale a convertire gli alunni, più di quanto ne possa avere un docente attuale di filosofia per convincere ad abbracciare il kantismo piuttosto che l’hegelismo. Essi sarebbero a servizio della consapevolezza critica di ogni alunno: affinché il cattolico possa, esattamente come il musulmano, sapere che cosa gli propone la sua religione e scegliere di conseguenza. Anche il ragazzo educato ateisticamente avrebbe, in questa impostazione scolastica, la possibilità di aprirsi a prospettive diverse rispetto ai condizionamenti familiari o di restare ateo ma per scelta personale.  Per la Chiesa cattolica sarebbe, nell’immediato, una perdita di potere ma, come la storia insegna, anche un’occasione per fare spazio alla ricerca della verità nella libertà. Dunque, in ultima analisi, un’opportunità in più per ciò che le dovrebbe stare più a cuore del suo stesso potere: l’effettiva crescita – insieme alla coscienza dell’umanità - dei valori evangelici annunziati da Gesù di Nazareth. Ne guadagnerebbero, insomma, la laicità dello Stato e la vitalità delle diverse comunità religiose (non solo cristiane): troppi vantaggi  per sperare, che la politica scolastica si incammini in questa direzione entro i prossimi mille anni.

Augusto Cavadi        

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