Repubblica – Palermo 22.10.06
La difficolta’ quotidiana di vivere in un luogo bello
Che cosa rende fastidiosa la vita a Palermo? La risposta è meno facile di quanto si possa supporre. Metereologicamente, il clima è mite. Le strade non sono sporche come dieci o venti anni fa. Una recente inchiesta (pubblicata su “Venerdì” di “Repubblica”) ha appurato che gli abitanti, nonostante il cipiglio abitualmente corrucciato, sono fra i più gentili del mondo. Il costo della vita è, proporzionalmente, tra i più sostenibili d’Europa. La ricchezza artistica ed urbanistica - un centro storico tra i più belli e i più vasti d’Italia - è invidiabile ed invidiata dai visitatori che confessano candidamente la sorpresa di trovarsi davanti ad una realtà effettiva di gran lunga migliore dall’immagine che se n’erano creata a casa. Per non parlare del cibo, della rosticceria, dei dolci…
Eppure. Eppure vivere nel capoluogo siciliano per più di una settimana di seguito è pesante. Talora sfibrante. Ma cos’è che non va? Per dare nome a un sentimento, avvertito intensamente ma non decifrato lucidamente, ho provato a mettere in sequenza una serie di piccoli episodi che - poco significativi in sé stessi - finiscono con il comporre un quadro istruttivo. Una sorta di mosaico diabolicamente integrato.
Intanto l’ingresso in città, di ritorno da un viaggio. Da Villabate al Politeama è quasi una fila ininterrotta di automobili, anzi due file parallele. Alla nostra destra una corsia sarebbe rigorosamente riservata alle emergenze (in autostrada) e ai mezzi pubblici (in città) : di fatto è a disposizione dei furbi. Non di uno o due, come accade un po’ dappertutto; ma di decine, anzi di centinaia. E’ evidente che sanno di poter restare impuniti.
Il giorno dopo, coda di due ore e cinque minuti alle Poste centrali. Quando arriva infine il mio turno, l’addetta mi spiega che l’avviso di ritiro del pacco inesitato non è stato rilasciato da un loro postino bensì dall’incaricato di un’agenzia che lavora per conto delle Poste: dunque non è affidabile. Un’altra impiegata tenta di convincermi con argomenti deliranti: “E’ una vita che i nostri cartellini sono gialli, come fa a dar credito a un foglio rosso e bianco?”. Una terza cambia tattica: “Ha ragione, decine di clienti ogni giorno vengono qui tratti in inganno dall’invito che rilascia questa agenzia quando non trova in casa i destinatari. Pensi che anch’io, che lavoro da anni alle Poste, ci sono cascata…”. Mi sembra di impazzire. Chiedo del direttore che, come ogni buon dirigente, o non c’è per davvero o fa dire di non esserci. Ho perduto - se considero gli spostamenti da casa in via Roma e da via Roma a casa - l’intera mattinata e, per giunta, resto senza il mio plico: ma chi risponderà del disservizio? Chi pagherà per i danni non occasionali ma sistematici che ogni giorno decine di cittadini sono condannati a subire?
Due giorni dopo è la volta dell’Asl 6 di via Giacomo Cusmano. Arrivo alle 11,25 per chiedere l’appuntamento con un oculista: il numero lampeggiante sul display mi avverte che sono preceduto da 104 assistiti. Dopo un’ora, ne restano ancora 62. Mi rivolgo alla gentile signora dell’Ufficio “per le relazioni col pubblico e la tutela degli utenti” chiedendo perché funzioni uno solo dei due sportelli mentre, al di là dei vetri, quattro impiegati chiacchierano amabilmente. Lei stessa stenta a credere che ciò sia vero, va a segnalare il disagio dei tanti in attesa, torna allargando le braccia con un rassegnato: “Mi dispiace, mi hanno detto che non si può fare altrimenti”. Alle 13,35 - dopo due ore e dieci minuti - viene finalmente il mio turno e chiedo all’impiegato dietro lo sportello se sia normale ciò che è accaduto quella mattina. Mi risponde assertivamente e mi invita a protestare con il responsabile del servizio a causa della cui imperizia quasi ogni giorno pazienti e addetti arrivano allo stremo delle forze: peccato che - secondo copione - il responsabile è già andato via per la sacrosanta pausa prandiale…Anche in questo caso si è davanti ad una parete rocciosa inabbordabile: si resta come soffocati da un senso d’impotenza. Nessuno prenderà sul serio la tua ira, nessuno sarà chiamato a rendere conto del suo menefreghismo. A chi rivolgerti per avere giustizia, per evitare che altri - giorno dopo giorno - vengano calpestati nei loro diritti elementari? Più si sale nella scala gerarchica, più cresce nell’interlocutore la certezza dell’impunità. E allora ti ricordi della definizione che un personaggio di Dacia Maraini dà dell’inferno: una specie di Palermo senza pasticcerie.
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